XII^ DOMENICA T.O. – Mc 4,35-41 Chi è costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono

… il VECCHIO FARISEO COMMENTA….

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Dal Vangelo secondo Marco 4,35-41

In quel giorno, venuta la sera, Gesù disse ai suoi discepoli: «Passiamo all’altra riva». E, congedata la folla, lo presero con sé, così com’era, nella barca. C’erano anche altre barche con lui. Ci fu una grande tempesta di vento e le onde si rovesciavano nella barca, tanto che ormai era piena. Egli se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva. Allora lo svegliarono e gli dissero: «Maestro, non t’importa che siamo perduti?». Si destò, minacciò il vento e disse al mare: «Taci, calmati!». Il vento cessò e ci fu grande bonaccia. Poi disse loro: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?». E furono presi da grande timore e si dicevano l’un l’altro: «Chi è dunque costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?». Parola del Signore

 

Mediti…AMO

Ma perché Gesù vuol passare all’altra sponda?

Perché decide di uscire dalla terra santa di Israele, per andare verso una terra abitata dai pagani. Perché pur sentendosi “inviato prima alle pecore perdute della casa di Israele” (cf. Mt 15,24), Gesù vuole annunciare la misericordia di Dio anche alle genti, vuole combattere Satana e togliergli il terreno da sotto i piedi anche in quella terra straniera e non santa.

Ma ognuno di noi nella propria vita conosce ore di terrore e di tempesta, nelle quali ci sentiamo perduti. E Gesù lo sa bene. E in quei momenti ci sembra che Dio “dorma”, perché non interessato a noi. Allora Gesù ci insegna… si addormenta sul fondo della barca per riposare.

Ma alla volontà di Gesù si oppone il mare, che è il luogo dove le forze del male si scatenano in tempesta. Non dimentichiamo che per gli ebrei il mare era il grande nemico, vinto dal Signore quando fece uscire il suo popolo dall’Egitto.

Era anche la residenza del Leviathan, il mostro marino ed anche quel grande abisso che, quando scatenava la sua forza, impauriva i naviganti. Lo sapevano bene i marinai antichi che conoscevano il salmo 107,23-27:

23 Quelli che solcano il mare su navi e trafficano sulle grandi acque,
24 vedono le opere del SIGNORE e le sue meraviglie negli abissi marini.
25 Egli comanda, e fa soffiare la tempesta che solleva le onde.
26 Salgono al cielo, scendono negli abissi; l’anima loro vien meno per l’angoscia.
27 Traballano, barcollano come ubriachi e tutta la loro abilità svanisce.

 

Ed ecco che la potenza del demonio si manifesta in una tempesta di vento, getta le onde nella barca e tenta di affondarla. È notte, è l’ora delle tenebre, e la paura scuote quei discepoli, che non riescono più a governare la barca. Il naufragio sembra ormai inevitabile, eppure Gesù, a poppa, dorme, quasi indifferente…

I discepoli allora, in preda all’angoscia, si spazientiscono e decidono di svegliarlo e gridano: “Maestro, non t’importa nulla che siamo perduti?”. Già questo modo di esprimersi è eloquente: lo chiamano maestro e con parole brusche contestano il suo sonno.

Parole che nella versione di Matteo diventeranno una preghiera – “Signore (Kýrios), salvaci, siamo perduti!”

I discepoli stanno passando dalla conoscenza delle parabole alla conoscenza della forza del male e di quella divina che ci libera dalle insidie del male.

Gesù mette a tacere mare e vento con la stessa potenza con cui scaccia i demoni. La sua è LA PAROLA che opera, che libera, che realizza la salvezza, CHE CI RESTITUISCE LA VITA.

In LUI si riconosce l’autorità di Dio «…destatosi, sgridò il vento e disse al mare: “Taci, calmati!”. Il vento cessò e vi fu grande bonaccia».

Mi fa pensare molto questo brano evangelico. Persino i discepoli sono sempre riconosciuti come persone dalla fede fragile, pur stando con il Maestro… e Gesù lo sa «…disse loro “Perché siete così paurosi? Non avete ancora fede?”»

Anche per noi è la stessa cosa quando siamo in “cattive acque”. Anche la mia fede incomincia a vacillare e sopraggiunge la paura. In questi frangenti occorre domandarci con quali occhi esaminiamo quanto sta accadendo di brutto: con quelli della fede vera, o attraverso la mentalità corrente ripiegata su sé stessa, che ci fa apparire tutto come una congiura ordita contro di noi, e ogni difficoltà imprevista diventa allora una montagna che non siamo più capaci di scalare?

Volete riacquistare una corretta visione, in queste terribili circostanze?

Teniamo sempre ben fisse nel cuore, l’ultima Parola che Gesù, in chiusura del Vangelo di Matteo, al capitolo 28,20, pronunzia «….ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».

Poi possiamo con gioia svegliare Gesù, IL MIO E NOSTRO UNICO E PERSONALE SALVATORE, che è sempre presente nella barca, affidandoci a Lui, e la nostra barca non andrà a fondo!

Il nostro racconto si conclude lasciando aperta una domanda. I discepoli «furono presi da grande timore e si dicevano l’un l’altro “…chi è dunque costui, al quale anche il vento e il mare obbediscono?”»

È la questione dell’identità di Gesù, che ci accompagna per tutto il vangelo, che pervade la nostra vita di credenti, nel nostro non avere ancora, e ancora, fede.

Ricordiamoci che attraversando il buio delle nostre giornate, possiamo cercare e conoscere la buona notizia, il vangelo che è Gesù, e con lui riconoscere chi siamo noi e chi siamo chiamati a essere, ma anche e soprattutto chi abbiamo accanto.

Solo se impariamo con umiltà e Fede a contemplare nella tomba vuota IL CRISTO VIVENTE, acquistiamo una fede salda, che ci farà a confessare, in ogni situazione che Gesù, vincitore sul male e sulla morte, È IL CRISTO DI DIO.

E divenuti testimoni del Risorto, diventeremo anche capaci di affrontare le tempeste che si abbatteranno inevitabilmente su di noi nella vita. Esse costituiscono quella persecuzione a causa del nome di Gesù e della fede in Lui, di fronte a cui siamo chiamati a DARE TESTIMONIANZA CON LA VITA.

San PIETRO CRISTOLOGO (+450), Vescovo di Ravenna e Dottore della Chiesa antica, nei suoi Sermoni sul Vangelo di Marco, scriveva al n.25:

Ogni volta che Cristo nella barca della nostra vita dorme, quando il nostro pigro riposo la fa addormentare in noi, si scatena la tempesta con tutte le forze dei venti […]. Veramente una tempesta grande, possente, ci minaccia da tutte le parti, ci assale un uragano terrificante e rovinoso… Ma poiché, come abbiamo detto, Cristo dorme nella nostra barca, rivolgiamoci a lui più con la fede che col corpo. Scuotiamolo, non con gesti di disperazione, ma con opere di misericordia. Svegliamolo, non con grida scomposte, ma con cantici spirituali, con lacrime perseveranti“.

La tempesta sul mare di Galilea possiamo dire allora, è una metafora della lotta contro le potenze del male, che Gesù Cristo ha vinto. Gesù appare dunque come un Giona al contrario: non riluttante, ma missionario verso i pagani, in obbedienza a Dio. Perché Giona fuggì, pur essendo figura di ciò che Gesù farà correttamente.

In ogni caso, Giona e Gesù sono due missionari di misericordia, che predicano a caro prezzo: scendendo nel vortice delle acque e affrontando la tempesta. Essi ben sanno che solo attraversando la tempesta del male, si vince il male. Ecco perché Gesù dirà che alla sua generazione sarà dato solo il segno di Giona. Cioè la misericordia potrà essere ottenuta solo con la discesa nelle acque di morte, anche pagando il prezzo dell’andare a fondo.

Ecco allora che la frase “Naufragium feci, bene navigavi” diventa splendidamente cristiana (fu pronunciata da Diogene Laerzio, ma scritta da ZENONE DI CIZIO nel 346 a.C., e tradotta in latino da SCHOPENHAUER, e più volte ripresa da NIETZSCHE)! “Ho fatto naufragio, ma ho navigato bene”, perché sono approdato nel regno di Dio.

Una piccola chicca…

Zenone è citato (anche se potrebbe trattarsi anche di Zenone di Elea), da Dante nel Canto IV, vv. 136-138, dell’Inferno (Divina Commedia), fra gli spiriti magni che quest’ultimo incontra nel primo Cerchio o Limbo; il poeta lo descrive accanto a Democrito, Anassagora, Talete, Empedocle, Eraclito e Diogene di Sinope (o Diogene di Apollonia):

«Democrito che ‘l mondo a caso pone, Dïogenès, Anassagora e Tale, Empedoclès, Eraclito e Zenone.»

Sia Lodato Gesù, il Cristo!