VENERDI’ XXVIII^ SETTIMANA TO SANTA TERESA D’AVILA 15.10.2021 –  Luca 12,1-7 “…non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo”

… il VECCHIO FARISEO COMMENTA….

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Dal Vangelo secondo Luca 12,1-7

In quel tempo, si erano radunate migliaia di persone, al punto che si calpestavano a vicenda, e Gesù cominciò a dire anzitutto ai suoi discepoli «Guardatevi bene dal lievito dei farisei, che è l’ipocrisia. Non c’è nulla di nascosto che non sarà svelato, né di segreto che non sarà conosciuto. Quindi ciò che avrete detto nelle tenebre sarà udito in piena luce, e ciò che avrete detto all’orecchio nelle stanze più interne sarà annunciato dalle terrazze. Dico a voi, amici miei: NON ABBIATE PAURA di quelli che uccidono il corpo e dopo questo non possono fare più nulla. Vi mostrerò invece di chi dovete aver paura: temete colui che, dopo aver ucciso, ha il potere di gettare nella Geènna. Sì, ve lo dico, temete costui. Cinque passeri non si vendono forse per due soldi? Eppure nemmeno uno di essi è dimenticato davanti a Dio. Anche i capelli del vostro capo sono tutti contati. NON ABBIATE PAURA: valete più di molti passeri!». Parola del Signore

 

Mediti…AMO

LA VITA E IL PENSIERO DEL SANTO

Santa Teresa, mistica, vergine, Dottore della Chiesa e Maestro di Fede della Chiesa Anglicana e fondatrice delle Monache e dei Frati Carmelitani Scalzi.

È da porsi tra le guide più nobili del misticismo Cristiano: le sue sono indicazioni auree per chi desidera intraprendere un vero cammino spirituale per giungere alle vette più alte verso Dio.

Tanto era il desiderio della santa di raggiungere il Paradiso, che ad ogni tocco di campana che udiva esclamava “Un’ora in meno da aspettare: il Cielo è più vicino”.

È stata proclamata dottore della Chiesa perché nei suoi scritti ha saputo esprimere i segreti della vita spirituale e spiegarli agli altri, con l’abbondanza del cuore.

È un piacere leggere i suoi scritti, per la spontaneità dello stile che li fa assomigliare non a dei trattati di teologia, ma ad una viva conversazione con una donna colma di Dio, che racconta come ha incontrato Dio su tutte le sue strade, come ha lavorato con Dio per fondare ovunque carmeli che fossero centri di intensa vita spirituale.

Teresa si distinse fin da bambina per un grande amore alla lettura di buoni libri, e specialmente della Sacra Scrittura.

Teresa di Gesù nacque ad Avila (Spagna) il 28 marzo dell’anno 1515, da nobile ed antica famiglia.

Teresa si distinse fin da bambina per un grande amore alla lettura di buoni libri, e specialmente della Sacra Scrittura.

Leggendo ad un suo fratellino le gesta dei Martiri, tutti e due furono accesi di santo ardore di morire per il nome di Gesù, ed un giorno, non visti, fuggirono per andare tra i Mori infedeli «Così, dicevano, voleremo subito in Paradiso!»

Mirabile ingenuità! Ma un loro zio li ricondusse alla casa paterna. Allora pensarono di condurre una vita solitaria e si costruirono una celletta nel giardino, dove si ritiravano in preghiera.

A 12 anni le morì la madre e Teresa provò tale dolore da non trovare conforto sulla terra.

Pensò allora che le rimaneva un’altra madre ben più amorosa e potente: la Madonna, e a Lei si affidò. Intanto andava preparandosi pel chiostro e a 20 anni seguì la divina chiamata. Si ritirò nel monastero dell’Incarnazione del Monte Carmelo in Ávila, dove ben presto rifulse per ogni virtù.

Per una grave malattia dovette lasciare il monastero e ritornare in famiglia: guarì, ma perdette il primitivo fervore.

Una visione la fece ritornare in sé ed allora si diede con tutte le forze alla propria santificazione. Così si preparò a quella grande riforma dei monasteri Carmelitani, che fu accettata non solo da tutti i monasteri delle suore, ma anche da parecchi conventi dei frati. Aveva conosciuto S. Giovanni della Croce, tenuto in grande fama di dotto e santo, e se ne servi come del più valido aiuto.

Indicibili furono i dolori fisici, le penitenze e le discipline, ma sostenne tutto colla più dolce serenità di spirito. Gesù la ricompensava con sublimi estasi, rivelandole verità altissime che ella tramandò nelle sue mirabili «Opere».

Non conosceva altro bene in questa vita che quello d’imitare Gesù Cristo paziente e crocifisso, e si sforzava di acquistare, per mezzo dei patimenti, nuovi meriti per l’eternità.

Ammirabile la sua preghiera «Signore, o patire o morire». Il suo cuore, infiammato dell’amor di Dio, altro non sospirava che di uscire da questa valle di pianto e di unirsi per sempre al suo diletto Sposo, nella gloria celeste.

Il Signore esaudì i fervidi voti e, nel monastero di Alba di Tormes, alla età di 67 anni, passò da questa vita. Era il 13 ottobre del 1582.

Nella sua vita possiamo vedere in santa Teresa a cosa conduce la comprensione della speranza a cui Dio ci chiama.

Ebbe a dedicarla molto presto a Dio, conoscendo, non tanto il peccato grave, ovvero il deciso allontanarsi da Dio, rinnegandolo in modo evidente, ma quella sottile indifferenza, vestita ancora di religiosità ma che può nascondere una freddezza e un modo educato di essere atei.

La sua esperienza spirituale la fa maestra, dottore per la Chiesa di come si cammina nello Spirito.

Non ci sono limiti di età per una conversione autentica.

E nella conversione continua, radicale a Dio, si trova la forza di fare rivoluzioni, a tutti i livelli, non solo spirituali!

Il cambiamento, anche concreto, organizzativo, strategico nasce dalla capacità di rinnegare prospettive, letture decadenti che imbrigliavano la nostra razionalità e i nostri sentimenti.

Signore, che l’esempio di santa Teresa, il suo magistero ci aiuti a tradurre in azioni concrete quell’invito che Papa Francesco ci sta facendo di uscire, di abbattere i recinti nei quali abbiamo costretto la nostra fede e il nostro amore.

Diceva:

  • Chi ha come amico Cristo Gesù e segue un capitano così magnanimo come lui, può certo sopportare ogni cosa; Gesù infatti aiuta e dà forza, non viene mai meno ed ama sinceramente. Infatti ha sempre riconosciuto e tuttora vedo chiaramente che non possiamo piacere a Dio e da lui ricevere grandi grazie, se non per le mani della sacratissima umanità di Cristo, nella quale egli ha detto di compiacersi”.

 

ESAME DEL TESTO EVANGELICO

Quando c’è polemica per Gesù ed intorno a Gesù, le folle accorrono numerose. Ed è proprio il momento in cui è meglio rivolgersi ai soli discepoli, perché stiano in guardia da coloro che non hanno lo spirito del Signore.

Anche nel Vangelo odierno di Luca Gesù ripete ai suoi discepoli di guardarsi dal “lievito” dei farisei, cioè dalla loro ipocrisia «Guardatevi bene dal lievito dei farisei, che è l’ipocrisia». È un rinvio al brano precedente, che abbiamo commentato ieri sull’ipocrisia dei farisei e al quale rimandiamo.

Il lievito dei farisei consisteva nell’ipocrisia, quel modo di vivere e di comportarsi ambiguo, che non è chiaro e limpido, ma oscuro e nascosto. Il dire dei farisei portava gli ascoltatori in un mondo di menzogne sottili e di apparenze, ove i più furbi trovavano sempre il modo di farla franca e di mettere in pace la propria coscienza.

L’ipocrisia distrugge la fiducia, annebbia le virtù lasciando che vengano scambiate per il loro contrario, dona al linguaggio quell’ambiguità sufficiente per distruggere una vera comunicazione, mina alle fondamenta le relazioni e non permette di conoscersi e riconoscersi per quello che si è. Impossibile costruire comunità con gli ipocriti.

Ed è difficile da riconoscere. Tra le molte colorazioni dell’ipocrisia, la più spiccata s’identifica con l’insincerità e la reticenza, con quell’atteggiamento di studiata cautela nel parlare, che alcuni apprezzano scambiandola per prudenza, saggezza, diplomazia.

Se non avesse un positivo quanto ambiguo riscontro sociale, l’ipocrisia verrebbe apertamente bollata come vizio, e invece la si accredita come virtù per la sua abilità, per la sua simulazione appunto.

Chi sa sospendere un discorso prima di una parola o di un’espressione particolarmente forte, chi evita il tranello teso da un interrogativo diretto che provoca una presa di posizione netta, costoro normalmente ricevono approvazione, insieme a una sospettosa valutazione di furbizia.

Proprio a causa dell’ambiguità, da cui proviene e a cui tende suscitando complicità, l’ipocrisia è facile da definire e difficile da riconoscere.

I farisei, gli scribi, i dottori della Legge hanno falsato l’annuncio, hanno nascosto il volto straordinario del Dio di Israele.

In un modo o nell’altro tutti si sono allontanati da Dio e, quel che è peggio, hanno allontanato il popolo da Dio…

E nessuno riconosce Gesù come profeta anzi, tutto lascia supporre che con lui faranno come i loro padri hanno fatto con altri profeti: prima li hanno uccisi, poi i loro figli hanno dedicato loro dei bei monumenti!

Ma nessuno è perduto, nessuno è escluso: anch’essi potrebbero convertirsi, ascoltare la Parola vibrante del Nazareno e cambiare.

Ma per cambiare dovrebbero abbandonare l’ipocrisia, la maschera che hanno indossato e ammettere con onestà il proprio limite. Ma non solo non lo faranno, ma metteranno a morte Gesù.

Un pericolo per i discepoli è l’ipocrisia farisaica, ovvero l’incoerenza tra l’atto di fede, e di appartenenza, e le opere che dovrebbero manifestarlo con l’aggravante di accampar diritti di merito inesistenti.

In quest’ottica l’infedeltà alla “luce della Parola” che si manifesta da parte dell’uomo vecchio, il perbenismo di facciata di coloro che non si lasciano convertire dall’avvento del Regno che la “buona novella” annuncia e proclama, sono fattori dai quali Gesù mette in guardia.

Gesù non solo li mette in guardia da costoro, invitando i suoi discepoli AD AVERE IL CORAGGIO DELLA VERITÀ, a non avere paura di proclamare apertamente il suo messaggio, perché alla fine poi tutto sarà svelato.

Non c’è nulla di nascosto che non sarà svelato, nulla di segreto che non sarà conosciuto.

La testimonianza, l’annuncio del Vangelo, la “confessione” della divina volontà quale trasparenza della “luce vera” venuta nel mondo per illuminare ogni uomo! (Gv 1, 9)

È la “luce della grazia, è la “luce dell’amore”, è la “luce della gioia” di chi si sente amato e liberato da Dio! Tutto questo dovrà essere palese per il bene di tutti.

All’invito al coraggio seguono i motivi che lo giustificano:

– la certezza di essere tra le braccia di un Padre che ci ama e si prende cura di noi, molto di più che dei passeri del cielo «Non abbiate paura: valete più di molti passeri!»;

– la certezza che gli uomini non possono fare nulla per toglierci la vera vita;

– la certezza che anche la persecuzione è un’occasione in cui lo Spirito di Dio si rende presente con la sua potenza;

– la certezza infine del premio nel mondo futuro.

Di fronte a queste parole mi sale la commozione e la paura di non capire un Dio che si perde dietro le più piccole creature: i passeri e i capelli del capo. E la commozione di immagini che mi parlano della grandezza del pensiero illimitato di Dio, che fa per me ciò che nessuno ha fatto, ciò che nessuno farà: mi conta i capelli in capo e mi prepara un nido nelle sue mani.

Per dire che ognuno di noi vale per Lui, che ha cura di ognuno, di ogni fibra del corpo, di ogni cellula del cuore: innamorato di ogni dettaglio di ogni uomo che si affaccia sulla terra.

E che ci dona una eterna immensa certezza: nemmeno un passero cadrà a terra senza il volere del Padre Celeste.

Il santo Vescovo e Martire di Antiochia Ignazio di Antiochia, scrivendo ai Magnesii 10, 2-3, dice «Eliminate perciò il lievito cattivo, invecchiato e inacidito e trasformatevi in un nuovo lievito, che è Gesù Cristo…. È fuor di luogo professare Gesù Cristo e giudaizzare».

Ragioniamoci sopra…

Sia Lodato Gesù, il Cristo!