… il VECCHIO FARISEO COMMENTA….
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Dal Vangelo secondo Luca 10,13-16
In quel tempo, Gesù disse «Guai a te, Corazìn, guai a te, Betsàida! Perché, se a Tiro e a Sidòne fossero avvenuti i prodigi che avvennero in mezzo a voi, già da tempo, vestite di sacco e cosparse di cenere, si sarebbero convertite. Ebbene, nel giudizio, Tiro e Sidòne saranno trattate meno duramente di voi. E tu, Cafàrnao, sarai forse innalzata fino al cielo? Fino agli inferi precipiterai! Chi ascolta voi ascolta me, chi disprezza voi disprezza me. E chi disprezza me, disprezza colui che mi ha mandato». Parola del Signore
Mediti…AMO
LA VITA E IL PENSIERO DEL SANTO
SANTA TERESA DEL BAMBIN GESÙ, LA SANTA DEI PARADOSSI. Suor Teresa di Gesù Bambino e del Volto Santo, detta di Lisieux, al secolo Marie-Françoise Thérèse Martin (Alençon, 2 gennaio 1873 – Lisieux, 30 settembre 1897), è stata una carmelitana francese. Beatificata il 29 aprile 1923 da papa Pio XI, fu proclamata santa dallo stesso papa il 17 maggio 1925.
La vicenda umana e spirituale di Teresina di Lisieux è una delle più paradossali della storia della Chiesa che la festeggia il 1° ottobre. Morta quasi sconosciuta a 25 anni, nel monastero di Lisieux, da dove non si mosse per tutta la vita, è venerata a livello mondiale. Dottore della Chiesa, patrona delle missioni, protettrice dei malati di Aids e di altre malattie infettive, ha scritto Storia di un’anima, uno dei capolavori della spiritualità di tutti i tempi
Religiosa, mistica, drammaturga, dottore della Chiesa insieme a Caterina da Siena e Teresa d’Avila, patrona di Francia insieme a Giovanna d’Arco, protettrice dei malati di AIDS, di tubercolosi e di altre malattie infettive, persino patrona delle missioni, lei che scelse la clausura e morì giovanissima di tubercolosi. La vicenda umana e spirituale di santa Teresa di Lisieux, più nota come santa Teresa del Bambin Gesù, è una delle più paradossali della storia della Chiesa che la festeggia il 1’ ottobre.
Morta di tubercolosi a 25 anni nel monastero di Lisieux è venerata a livello mondiale. La Basilica della città francese a lei dedicata è il secondo luogo di pellegrinaggio di Francia solo dopo Lourdes. Pio XI, che la canonizza nel 1925, la considerava la “stella del suo pontificato”.
Giovanni Paolo II nel 1997 l’ha proclamata Dottore della Chiesa in occasione del centenario della sua morte.
Pio XI era molto devoto di santa Teresa di Gesù Bambino e la nominò patrona delle Missioni, lei, la cui breve vita si svolse tutta fra Alenon e Lisieux e che dopo i suoi quindici anni non usci più dal convento.
Quanto spesso Gesù dimostra che i pensieri di Dio non sono i nostri pensieri, né le sue vie le nostre vie I nostri pensieri vengono dall’orgoglio, quelli di Dio dall’umiltà; le nostre vie sono tutte uno sforzo per essere grandi, quelle di Dio si percorrono solo diventando piccoli.
Come per andare a Nord bisogna prendere la direzione opposta al Sud, così per camminare sulle vie di Dio dobbiamo prendere la direzione opposta a quella verso cui il nostro orgoglio ci spinge.
Teresina aveva grandi aspirazioni: voleva essere contemplativa e attiva, apostolo, dottore, missionario e martire, e scrive che una sola forma di martirio le sembrava poco e le desiderava tutte.
Ma il Signore le fece capire che c’è una sola strada per piacergli: farsi umili e piccoli, amarlo con la semplicità, la fiducia e l’abbandono di un bimbo verso il padre da cui si sa amato.
“Non vado in cerca di cose grandi, superiori alle mie forze. Io sono tranquillo e sereno come bimbo svezzato in braccio a sua madre“. Così questa giovanissima donna ravvivò nella Chiesa il più puro spirito evangelico ricordando una verità essenziale: prima di dare a Dio è necessario ricevere.
Noi abbiamo la tendenza a guardare sempre a quello che diamo; Teresa ha capito che Dio è amore sempre pronto a dare e che tutto riceviamo da lui.
Chi vuol mettere la propria generosità prima della misericordia, prima dell’amore misericordioso di Dio, È SUPERBO E ARROGANTE.
MA CHI RICEVE QUELLO CHE DIO GLI DÀ CON LA SEMPLICITÀ DI UN BAMBINO SCALA LE VETTE DELLA SANTITÀ. Ovviamente è un atteggiamento spirituale che è anch’esso dono di Dio ed è tutt’altro che passività.
Teresina fece di sé un’offerta eroica e visse nella malattia e nella prova di spirito con l’energia e la forza di un gigante: la forza di Dio si manifestava nella sua debolezza, che ella abbandonava fiduciosamente nelle mani divine.
Riuscì così in modo meraviglioso a trasformare la croce in amore, una croce pesante, se ella stessa dirà alla fine della sua vita che non credeva fosse possibile soffrire tanto.
Facciamo tesoro di questa grande lezione di fiducia, di piccolezza, di gioia e preghiamo Teresa che ci aiuti a camminare come lei nella povertà di spirito e nell’umiltà del cuore. E saremo come lei inondati da un fiume di pace.
ESAME DEL TESTO EVANGELICO
In questo passo il Signore nomina alcune città molto significative accorpandole in due gruppi distinti:
- Corazìn, Betsaida e Cafàrnao (o Capernahum) da un lato,
- Tiro, Sidone e Sodoma dall’altro,
- quindi tre (numero che potremmo definire “del compimento” o “dell’autonomia”)
- più tre per un totale di sei, numero dell’imperfezione.
Colpisce l’amore appassionato di Gesù, che diventa rimprovero per la durezza del cuore e annuncia i terribili castighi del giudizio, rimproverando coloro che credono, mettendoli a paragone con coloro che sono atei. Il Maestro è dolorosamente colpito dall’indifferenza e dalla reazione delle piccole città della Galilea nei suoi confronti.
Tutti i loro abitanti sono certi di essere dei prescelti, degli eletti, non si preoccupano di coltivare la propria Fede e non riconoscono i Profeti come Gesù.
E il Maestro annota amaramente, come tantissime le città pagane si siano convertite, davanti alla sollecitazione degli uomini di Dio. E aggiunge che nel passato, Tiro e Sidone (nemici ferrei di Israele, che maltrattarono il popolo di Dio), furono maledette dai profeti (Is 23,1; Jr 25,22; 47,4; Ez 26,3; 27,2; 28,2; Jl 4,4; Am 1,10).
Ma ora Gesù dice che queste città, simboli di tutta la malvagità, si sarebbero già convertite se in esse si fossero realizzati tutti i miracoli avvenuti a Corazin ed a Betzaida.
Non si tratta perciò semplicemente dell’accusa di una vita traviata, come ad esempio fu il caso di Sodoma e Gomorra, ma della ostinazione degli abitanti delle due città a non accogliere il Vangelo nel loro cuore e a non convertirsi. Gesù ricorda due antiche città pagane, Tiro e Sidone, le quali avrebbero certo fatto penitenze e digiuni se avessero assistito ai miracoli compiuti presso Corazin e Betsàida.
Cosa che le città prescelte, appartenenti alla fede ebraica non hanno saputo, ne sanno fare, non aprendosi alla conversione. Infatti, Corazim, Betsaida e Cafarnao, grandi città attorno al lago di Tiberiade, in Galilea, che ascoltarono la predicazione di Gesù e videro i suoi miracoli, e non vollero aprirsi al suo messaggio, vengono condannate da Gesù.
- Kefar Nahum, Capernaum, dove il Maestro fissò la sua temporanea residenza quando, all’età di circa trent’anni, giunse dopo aver lasciato Nazareth, ricevuto il battesimo da Giovanni e percorso la Samaria. Là sappiamo che fece non solo molti miracoli di guarigione, ma soprattutto predicò la “buona novella” che può essere sintetizzata, per allora, con le parole del Battista “Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino” (Matteo 3.2), analoghe a quelle di Gesù (Matteo 4.17).
Ivi Gesù guarì la suocera di Pietro (Lc 4,31-44); nella sinagoga liberò un uomo posseduto da uno spirito impuro (Lc 4,31-44), sempre a Cafarnao avvennero il miracolo del servo del centurione (Mt 8,5-13), la guarigione del paralitico calato dal tetto (Gv 10,31-42) e molti altri prodigi.
Poche città erano state privilegiate come Capernahum, che era diventata la città d’adozione di Gesù dopo che gli abitanti di Nazareth l’avevano respinto (Mt 9,1 e Mc 2,1-12); qui egli aveva compiuto alcuni dei suoi miracoli più straordinari, dimostrazioni indiscutibili della sua messianicità.
Se la corrotta e depravata città di Sodoma fosse stata altrettanto privilegiata, si sarebbe ravveduta e sarebbe stata risparmiata.
L’onore di Capernahum era ancora più grande: i suoi abitanti si sarebbero dovuti ravvedere e avrebbero dovuto riconoscere il Signore con gioia.
Ma Capernahum perse la sua occasione. Il peccato di perversione di Sodoma era stato grande, ma non vi è peccato più grande di quello commesso da Capernahum, la quale rigettò il santo Figlio di Dio.
Ecco perché Sodoma, nel giorno del giudizio, non sarà punita così severamente come Capernahum. CAPERNAHUM, INNALZATA FINO AL CIELO PER L’ONORE TOCCATOLE, SCENDERÀ, NEL GIORNO DEL GIUDIZIO, FINO ALL’ADES.
Se questo succederà a Capernahum, cos’altro accadrà ai paesi dove abbondano le Bibbie, dove il vangelo è diffuso tramite i più disparati mezzi di comunicazione e dove pochi, per non dire nessuno, potranno accampare scuse? Ai giorni del Signore c’erano quattro città importanti in Galilea:
- Corazin,
- Betsaida,
- Capernahhum
- e Tiberiade.
Gesù pronunciò una condanna contro le prime tre città, ma non contro Tiberiade. Quale fu il risultato? Che la distruzione di Corazin e Betsaida fu così assoluta che oggi si ignora perfino dove sorgessero, né si conosce l’esatta ubicazione di Capernahum.
MENTRE TIBERIADE È SOPRAVVISSUTA FINO AI NOSTRI GIORNI. Essa venne costruita attorno all’anno 20 da Erode Antipa, figlio di Erode il Grande, sul sito del villaggio di Rakkat, con lo scopo di farne la capitale del regno di Galilea.
Il nome Tiberiade venne scelto per onorare l’imperatore romano Tiberio Claudio Nerone: la forma greca Τιβεριάς (Tiberiás) derivava dalla forma semitica, preservandone il genere femminile.
All’inizio, gli ebrei non vollero popolare la città, in quanto la presenza di un cimitero la rendeva impura: Erode, allora, obbligò a trasferirvisi le popolazioni rurali della Galilea. Anche il sinedrio venne trasferito a Tiberiade.
Dopo l’espulsione degli Ebrei da Gerusalemme, nel 135, Tiberiade e la vicina Sefforis divennero i maggiori centri di cultura ebraica: la Mishnah, che divenne poi il Talmud di Gerusalemme, potrebbe essere stato iniziata qui. Nel 351-352 Tiberiade fu uno dei centri della rivolta ebraica contro Gallo, volta a rovesciare il dominio romano: la ribellione fu però soppressa nel sangue e Tiberiade dovette subire una devastazione.
A seguito delle Crociate, Tiberiade divenne la città principale del principato di Galilea, compreso nel regno di Gerusalemme, tanto che si parla anche di “Principato di Tiberiade”.
Saladino assediò la città durante la sua invasione del Regno, nel 1187 e nel luglio dello stesso anno sconfisse l’esercito crociato nella Battaglia di Hattin, appena fuori dalla città. Fu dopo questo episodio che la città fu abbandonata e l’insediamento spostato più a nord, nell’area della città moderna.
Nel 1558 Grazia Nasi, già marrana (composta da ebrei convertiti al cristianesimo), affittò il sito da Solimano il Magnifico: restaurò le mura cittadine, costruì una yeshiva (una scuola religiosa) e incoraggiò gli ebrei europei che fuggivano all’Inquisizione ad abitare la città. Tiberiade fiorì per i seguenti cento anni, fu devastata ancora, ma ancora ripopolata, da giudei Chassidim (ebrei per il rinnovamento spirituale).
Nel XVIII e XIX secolo Tiberiade assistette ad una notevole immigrazione di rabbini, che resero la città un centro di studi ebraici, una delle quattro Città Sante, assieme a Gerusalemme, Hebron e Safad.
- Corazìn, toponimo che invano cercheremmo nella Bibbia e che compare solo in Matteo 11,20-24 e qui in Luca. Se Gesù non l’avesse nominata, non sapremmo della sua esistenza a meno di non essere archeologi, storici o “addetti ai lavori”, che la identificano generalmente con le rovine del luogo chiamato Khirbert Karazeb, situato circa 3 km a nord di Cafarnao. Le rovine includono anche i resti di una sinagoga costruita in pietre nere di basalto, ornata come quella di Cafarnao (come simboli scolpiti quali uccelli, animali, figure umane colorate che raccolgono e pigiano l’uva, e altri soggetti di natura pagana) ma più piccola. Solo una piccola parte dei 32 ettari di questo luogo sono stati scavati, mentre le rovine del primo secolo d.C. devono ancora essere riportate alla luce.
Questa città distava tre chilometri circa da Capernahum, ma non ci è stato trasmesso nessun miracolo in lei espressamente avvenuto, a conferma del fatto che i Vangeli riportano una minima parte di quanto fatto e detto da Gesù che comunque passò da lei più volte. Corazìn, attualmente chiamata Keraze o Kerazie, è oggi solo sito archeologico, ma a quei tempi i suoi abitanti erano sia costantemente informati di quanto avveniva nella città vicina, Capernaum, sia erano stati testimoni della “maggior parte dei prodigi” operati da Nostro Signore.
- Bethsaida, “Casa della pesca”, è la città dove operavano i primi quattro discepoli, cioè Pietro, Andrea, Giacomo e Giovanni, appunto pescatori, oltre a Filippo che lì era nato. nella stessa città Gesù fece riacquistare la vista ad un cieco (Mc 8,22-26).
Esse sono ben strutturate, si sentono e si vivono come fossero il centro del mondo, e il loro pensiero è radicato nella convinzione secondo cui tutto il mondo debba girare intorno a loro. Esse sono completamente e totalmente assorbite dalla contemplazione di sé stesse.
Il “guai” di Gesù (“Ouài” è una traslitterazione dell’Òy ebraico, a sua volta una sorta di onomatopea, un grido di dolore, terrore, sdegno, spesso una minaccia, una dichiarazione di sfortuna, una denuncia aperta contro un’unica persona o un intero gruppo umano a causa della miseria e delle privazioni procurate) non è una minaccia, ma è molto, molto di più.
È la rivelazione di una legge dominante che da sempre regola il funzionamento delle energie vitali nell’universo. Chi vive nella contemplazione di sé stesso e vive sé stesso come fosse il centro del mondo è un essere immobile e inutile alla vita, e la vita se lo scrollerà di dosso il prima possibile come un peso inutile e imbarazzante.
Veniamo ora a Tiro e Sidone, tralasciando le profezie dell’Antico Testamento sulla prima, basta ricordare che erano note per la loro idolatria e libertinaggio. Due città dove Gesù fece una breve tappa e dove incontrò la donna Cananèa (Mt 15,21-28). In esse era particolarmente sentito il culto ad Astarte, la dea della fertilità alla quale purtroppo lo stesso Salomone, ormai corrotto, aveva edificato degli altari.
Ora Gesù, con questo secondo gruppo di città, fa una distinzione, parlando della responsabilità di fronte a Dio, dice che è preferibile una vita nell’ignoranza sulle esigenze del Creatore piuttosto che rimanere indifferenti e proseguire per la propria strada una volta che lo si è incontrato.
Come la positività ha dei gradi, vista nel portare frutto in un trenta, sessanta o cento, altrettanto avviene per la negatività dove sarà la coscienza di ciascuno a giudicare, condannare o attenuare la pena sempre secondo le parole di Nostro Signore in Luca 12.47,48 “Il servo che, conoscendo la volontà del padrone, non avrà disposto o agito secondo la sua volontà, riceverà molte percosse; quello invece che, non conoscendola, avrà fatto cose meritevoli di percosse, ne riceverà poche”.
Anche con Cafarnao è durissimo, al punto che le dice “…Fino agli inferi precipiterai”. Gesù sembra non riferirsi solamente agli abitanti, ma alla città stessa, ove c’è un importante legame tra gli abitanti e la città nella quale vivono.
E questo perché la vita associata è il risultato della qualità della vita dei suoi abitanti. Infatti se c’è disinteresse per la vita associata e ciascuno pensa solo ai propri affari, la città si autodistrugge.
L’inferno inizia così, a partire dall’egocentrismo dei cuori. C’è una responsabilità dei cristiani per la città nella quale vivono. Debbono esserne l’anima perché la città, gli uomini e le donne che in essa abitano, siano aiutati a vivere nella pace e nell’armonia.
Quanti miracoli e prodigi avevano visto gli abitanti di quei luoghi che erano stati benedetti dalla presenza, dalle predicazioni, e dai prodigi fatti dal Figlio di Dio. E il pio israelita, come me, come noi, aveva fatto presto a dimenticare che Dio e il suo popolo sono una cosa sola.
Dalla rivelazione profetica noi sappiamo che tra Israele e il suo Dio vi era una profonda unione, simboleggiata nel segno sponsale. DIO E L’UOMO PER LA FEDE DIVENGONO UNA COSA SOLA, UN SOLO ALITO, UNA SOLA VITA. La creazione di questa altissima unità e unione tra Dio e il suo popolo, fa sì che ciò che è del popolo è di Dio e ciò che è di Dio è del popolo.
Tuttavia, agivano come se niente fosse cambiato nelle loro vite, attribuendo a Gesù un’importanza solo terrena e materialistica, senza aprirsi agli orizzonti soprannaturali che Egli dischiudeva.
Le parole di Gesù non sono una condanna, ma l’accorato appello rivolto da chi ama all’amato per risvegliarlo dal suo torpore.
I “guai” danno voce all’invito pressante di Gesù alla eterna conversione dell’uomo di tutti i tempi, a cambiare direzione nella propria vita.
Sono uno scossone alla tiepidezza in cui ognuno può scivolare senza rendersene conto.
Gesù offre un aiuto agli abitanti della Galilea del suo tempo, e un messaggio a noi e a chi legge il Vangelo in ogni tempo, affinché riconosciamo di essere stati visitati dal Signore, riconosciamo il bene che in mezzo a noi è stato fatto, senza darlo per scontato o considerarlo come un qualcosa di passeggero ed estraneo alla nostra vita.
Ma perché questo invito possa avere effetto senza cadere nel vuoto, bisogna ascoltare, aprirsi, essere disponibili: per questo il “guai” di Gesù bussa con insistenza al nostro cuore.
E questo perché il rischio di tutti i credenti di ieri e di oggi è di sentirsi intoccabili nella propria fede. Poiché siamo assolutamente certi delle nostre convinzioni, credendo di avere il biglietto della salvezza in tasca.
È successo ai contemporanei di Gesù, per lo più brava gente, convinta di essere fedele e devota del Dio di Israele perché rispettosa delle norme e delle disposizioni della Legge.
Così facendo, però, avevano, come me, come noi, perso lo smalto e lo stupore. E si erano resi impermeabili alla novità, non avevano saputo vedere l’inaudita presenza di Dio, non più nascosto dietro il simbolo e celebrato nella liturgia del Tempio, ma vivo e operante in mezzo a loro, in mezzo a noi.
Credetemi, Fratelli e Sorelle, è facile caderci…
Ricordiamoci anche che l’incontro con Cristo non è un privilegio se non nella misura che è una responsabilità. Il male non risiede nell’ignoranza, ma nell’ostinazione a dimorare nel proprio buio, decidendo per il proprio male.
Questo Vangelo ci ricorda che dobbiamo contribuire alla nostra salvezza con «timore e tremore». Guai a perderli…
Domandiamo che il nostro cuore si apra a riconoscere i doni di Dio, e la nostra volontà si decida di accoglierlo, lodarlo e celebrarlo e che i nostri passi prendano il ritmo di una sequela consapevole e decisa.
“Fa questo e vivrai”, ci dice Gesù. Ricominciamo allora a seguirlo, se lo abbiamo abbandonato. Solo allora passeremo al di là del Mar Rosso E IL NOSTRO MOSÈ SARÀ L’AMORE DI CRISTO, IL SUO VANGELO E LA NOSTRA VITA, LA SUA SEQUELA.
Ragioniamoci sopra…
Sia Lodato Gesù, il Cristo!