… il VECCHIO FARISEO COMMENTA….
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Dal Vangelo secondo Luca 6,39-42
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli una parabola «Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso? Un discepolo non è più del maestro; ma ognuno, che sia ben preparato, sarà come il suo maestro. Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? Come puoi dire al tuo fratello “Fratello, lascia che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio”, mentre tu stesso non vedi la trave che è nel tuo occhio? Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello». Parola del Signore
Mediti…AMO
È ormai un proverbio ed è colmo di buon senso: come possiamo condurre un cieco se noi per primi siamo ciechi? Come possiamo togliere la pagliuzza dall’occhio del fratello se prima non togliamo la trave che portiamo nel nostro occhio?
La parola originale greca che si traduce come “pagliuzza” (κάρφος, karphos) significa propriamente “ogni più piccola cosa“.
Quanto è vero ciò che dice il Signore!
Istintivamente siamo sempre pronti ad essere molto indulgenti nello scusarci, MA MOLTO, MOLTO più severi nel RILEVARE E GIUDICARE i difetti degli altri, stigmatizzandoli, amplificandoli, evidenziandoli…
I social media poi, come se non bastasse, spesso protetti dall’anonimato, hanno esasperato questa possibilità siamo impietosi nell’esprimere giudizi, quasi sempre A VANVERA E QUASI MAI DOCUMENTATI, facendo diventare l’orribile vizio del pettegolezzo una quasi-virtù.
Prima di accusare gli altri e di erigerci a giudici, dice il Signore, dobbiamo guardare nelle profondità del nostro cuore, analizzare la nostra vita con obiettività, usando gli stessi criteri con cui stiamo guardando alla vita degli altri. Magari lo facessimo…. ma non lo facciamo mai.
In filigrana si vede sempre l’atteggiamento farisaico, in questo caso quello moralizzatore, che a noi piace tanto.
Infatti anche in questo caso, la deriva è stata subito ed è ben presente anche nel cristianesimo. Ed è anche forse uno dei detti più belli di Gesù, poiché quello che viene professato come figlio di Dio, come Parola incarnata, comanda a chi vuol credere nella sua Rivelazione DI NON ESSERE IPOCRITA.
L’ipocrisia è lo stesso atteggiamento di chi è sempre pronto a scagliare una pietra DI NASCOSTO, perché l’ipocrita, nel faccia a faccia, non scaglia mai la prima pietra.
Inoltre l’ipocrita È CHI CREDE DI NON AVERE PECCATO IN LUI, ma in compenso ha l’occhio BEN ALLENATO PER VEDERE SOLO QUELLI DEGLI ALTRI.
L’ipocrita è:
- colui che dichiara –certamente fermo in questa sua convinzione – che se incontrasse Gesù oggi lo ospiterebbe per un banchetto regale, donandogli tutto ciò di cui POTESSE AVER BISOGNO.
- ma è ipocrita perché dimentica di ospitare, sfamare, vestire e visitare coloro CHE QUI ED ORA –hic et nunc– ne hanno davvero bisogno.
Triste condanna lo aspetta, «…perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e non mi avete dato da bere; ero forestiero e non mi avete ospitato, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato» (Mt 25,42-43).
Ma a questo punto dobbiamo domandarci: MA SIAMO REALMENTE FIGLI DI DIO?
IO CREDO DI NO! Perché così facendo non abbiamo nulla a che vedere con il nostro Dio, che vede con grande misericordia ciascuno di noi, e MAI si sofferma sulla miseria (che comunque va riconosciuta e superata).
Ma il nostro Dio SEMPRE FOCALIZZA LA SUA ATTENZIONE sulla possibilità di conversione che offre ad ognuno, PERCHÉ SI RAVVEDA E VIVA.
Magari comprendessimo che nella Fede siamo tutti dei peccatori riconciliati, tutti dei ciechi che in Cristo hanno ritrovato la luce.
Sarebbe meraviglioso. Perché solo un cuore che ammette il proprio limite, che ha dolorosamente sperimentando la propria miseria, anche attraverso umiliazione e colpa, può essere in grado di riconoscere e compatire la miseria altrui.
E dimentichiamo sempre, che quando non ascoltiamo il Signore pretendendo di conoscere la strada, siamo guide cieche.
Quando non ammettiamo con umiltà che Cristo è l’unica via, verità e vita, siamo guide cieche.
Dio non vuole figli malvagi, prepotenti, arroganti, giudici dei loro fratelli. Neanche l’uomo vuole fratelli così fatti.
Non li vuole e per questo chiede al Signore che lo salvi:
- “Liberami, Signore, dall’uomo malvagio, proteggimi dall’uomo violento, da quelli che tramano cose malvagie nel cuore e ogni giorno scatenano guerre. Aguzzano la lingua come serpenti, veleno di vipera è sotto le loro labbra. Proteggimi, Signore, dalle mani dei malvagi, salvami dall’uomo violento: essi tramano per farmi cadere. I superbi hanno nascosto lacci e funi, hanno teso una rete sul mio sentiero e contro di me hanno preparato agguati. Io dico al Signore: tu sei il mio Dio; ascolta, Signore, la voce della mia supplica. Signore Dio, forza che mi salva, proteggi il mio capo nel giorno della lotta. Alzano la testa quelli che mi circondano; ma la malizia delle loro labbra li sommerga! Piovano su di loro carboni ardenti; gettali nella fossa e più non si rialzino. L’uomo maldicente non duri sulla terra, il male insegua l’uomo violento fino alla rovina. So che il Signore difende la causa dei poveri, il diritto dei bisognosi. Sì, i giusti loderanno il tuo nome, gli uomini retti abiteranno alla tua presenza”. (Sal 139,1-14).
Ora se noi non vogliamo che fratelli malvagi, cattivi, ipocriti inquinino di male e di cattiveria la nostra vita, la stessa verità vale anche per noi.
Anche noi dobbiamo mettere ogni attenzione perché non siamo per i nostri fratelli empi, malvagi, cattivi, giudici spietati, senza misericordia, carità, compassione, vera commiserazione, grande pazienza, infinita sopportazione.
Gesù ci vuole persone che sappiano amare l’altro, mostrando ad esso non la nostra pochezza spirituale, ma la sua stessa infinita carità.
- “O come dirai al tuo fratello: “Lascia che tolga la pagliuzza dal tuo occhio”, mentre nel tuo occhio c’è la trave? Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello”.
Come potrà avvenire tutto questo? Potrà avvenire se mettiamo nel cuore e nella mente un pensiero nuovo: L’ALTRO CI È DATO PERCHÉ NOI LO SALVIAMO, LA REDIMIAMO, LO CONDUCIAMO NELLA VERITÀ E NELLA CARITÀ DI CRISTO.
L’ALTRO CI VIENE AFFIDATO DA DIO NEL GRANDE CUMULO DEI SUOI VIZI, DIFETTI, PECCATI, STOLTEZZA, INSIPIENZA, EMPIETÀ, IDOLATRIA, SUPERSTIZIONE, CATTIVERIA DEL CUORE E DELLA MENTE, PERCHÉ NOI LO FACCIAMO SANTO.
Lo faremo santo non svelandogli i suoi peccati, ma mostrandogli la nostra grande santità. Non condannandolo per la sua cattiveria, ma rivelandogli la nostra infinita carità.
Non giudicandolo e condannandolo, ma perdonandolo sempre, qualsiasi cosa lui faccia contro di noi. Non lamentandoci di lui, ma pregando il Padre perché lo immerga e sommerga nella sua grazia e lo trasformi in nuova creatura.
L’ALTRO SI SALVA SE NOI CON LA PAZIENZA DI CRISTO GESÙ LO PRENDIAMO PER MANO E OFFRIAMO PER LUI AL SIGNORE LA NOSTRA VITA COME SACRIFICIO, OLOCAUSTO, RISCATTO PER LA SUA SANTITÀ.
Cerchiamo di vedere il contesto del brano.
Gesù si trova in pianura, insieme ai suoi discepoli, e proclama le beatitudini e dice: beati sono dichiarati i poveri, quelli che adesso hanno fame, quelli che ora piangono e quelli che vengono odiati dagli uomini.
Poi, Gesù, suggella il suo insegnamento con la Parola, quella dell’amore incondizionato: «amate i vostri nemici; fate del bene a quelli che vi odiano, benedite quelli che vi maledicono, pregate per quelli che vi calunniano» (Lc 6,27-28).
La “ragione” del comportamento richiesto A COLORO CHE CREDONO NELLA PAROLA CHE HA CAMMINATO FRA GLI UOMINI è quella di cercare di realizzare l’immagine di Dio nell’uomo «siate misericordiosi come anche il Padre vostro è misericordioso»” (Lc 6,36).
Questo il contesto della parabola del cieco che guida un altro cieco, della narrazione della similitudine della pagliuzza nell’occhio e del racconto dell’albero che si conosce dal frutto.
Dietro all’immagine del cieco come guida si intravede la figura del fariseo inteso come colui che fissa la sua salvezza, all’osservazione di precetti in termini legalistici, ALLONTANANDO IL PROPRIO CUORE DAL CUORE DALLA RIVELAZIONE, DALLE VISCERE DI DIO.
Ma oggi voglio chiedere un contributo alla sapienza orientale, in particolare a quella indiana, riportata in un bellissimo apologo:
- «Un discepolo si era macchiato di una grave colpa. Tutti gli altri reagirono con durezza condannandolo. Il maestro, invece, taceva e non reagiva. Uno dei discepoli non seppe trattenersi e sbottò: “Non si può far finta di niente dopo quello che è accaduto! Dio ci ha dato gli occhi!” Il maestro, allora, replicò: “Sì, è vero, MA CI HA DATO ANCHE LE PALPEBRE!”».
Lo stesso Gesù suggerisce di «ammonire il fratello se commette una colpa contro di te» (Matteo 18,15-18).
MA È INESORABILE CONTRO GLI IPOCRITI CHE CORREGGONO IL PROSSIMO PER ESALTARE SÉ STESSI. A questo proposito ci ricordo che è difficile trovare una più incisiva lezione rispetto a quella che ci è offerta dalla parabola del fariseo e del pubblicano (Luca 18,9-14).
In tutti gli ambienti, anche in quelli ecclesiali, ci imbattiamo spesso in farisaici censori del prossimo, ai quali non sfugge la benché minima pagliuzza altrui, sdegnati forse perché la Chiesa è troppo misericordiosa e, a loro modo di vedere, troppo corriva, DIMENTICANDO CHE ESSI SONO MINISTRI DI MISERICORDIA E DI RICONCILIAZIONE.
In realtà tutti ci crogioliamo nel gusto perverso di sparlare degli altri.
Ecco, allora, l’accusa netta di Gesù: GUARDA PIUTTOSTO ALLA TRAVE CHE TI ACCECA! «Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio di tuo fratello» (6,42).
E poche righe prima, in questo che gli studiosi hanno denominato il “Discorso della pianura” (parallelo al “Discorso della montagna” di Matteo), egli aveva ammonito «Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati!» (6,37).
L’apologo indiano, che ho citato poc’anzi, è accompagnato da un paio di versi di un celebre e sterminato poema epico indiano, il MAHABHARATA, che affermano «L’uomo giusto si addolora nel biasimare gli errori altrui, il malvagio invece ne gode».
Come ribadiva il mantovano Baldesar Castiglione (1478-1529 umanista letterato, diplomatico e militare italiano, al servizio dello Stato della Chiesa, del Marchesato di Mantova e del Ducato di Urbino e NUNZIO APOSTOLICO DI PAPA CLEMENTE VII°) nel suo trattato IL CORTEGIANO, bisogna riconoscere che «tutti di natura siamo pronti più a biasimare gli errori che a laudar le cose bene fatte».
Ma è una problematica che è sempre esistita, anche al di fuori dell’ambito religioso. DEMOCRITO, filosofo del V sec. a.C., uno dei maggiori rappresentanti della più antica filosofia greca, soprannominato “la sapienza”, scriveva: «Meglio correggere i propri errori, che quelli degli altri».
Nel mondo ebraico, di RABBI TARFON, (rabbino del 100 d.C. circa, che apparteneva alla terza generazione dei saggi della Mishnah, che vissero nel periodo tra l’assedio di Gerusalemme anno 70 e.v., con la distruzione del Secondo Tempio e la caduta della fortezza di Betar 135 dell’e.v.), ci rimane un detto simile a quello di Gesù: «Sarei sorpreso di trovare qualcuno in questa generazione che accetta la correzione. Se qualcuno dice ad un altro “Togli la pagliuzza dal tuo occhio”, questi risponderebbe “Tu prima togli la trave dal tuo”». Come si vede, tante similitudini con il detto di Gesù, che però ha una sua originalità: invita a convertirsi, per poter poi aiutare l’altro a fare altrettanto.
Ritorniamo, allora, Fratelli e Sorelle, a far nostro come stile di vita, quel discorso di Gesù proposto dal Vangelo di Luca per attingere un’altra frase che sia da suggello a questa nostra riflessione sull’ipocrisia «Siate misericordiosi come il Padre vostro è misericordioso» (6,36).
TUTTI SIAMO CHIAMATI IN VIRTU’ DEL NOSTRO BATTESIMO AD ESSERE “MINISTRI” (ovviamente non in senso Ordinato) DI UNA PAROLA DI MISERICORDIA.
Gesù ci chiede un grande passo di responsabilità e consapevolezza, per:
- guidare gli altri al bene,
- per correggere i fratelli rispetto al male,
- per subentrare ai propri maestri nell’insegnare la verità, compito di enorme delicatezza che richiede un’altissima cura.
IL COMPITO DI CERCARE, PRATICARE, INSEGNARE IL BENE NON È UN GIOCO PER BAMBINI INGENUI, BENSÌ UN GRANDE COMPITO DA UOMINI E DONNE PIENAMENTE RESPONSABILI.
Perciò è decisiva la consapevolezza di sé stessi e del proprio ESSERE CRISTIANI. È l’unica posizione da cui muovere perché l’opera del bene sia autentica.
La coscienza umile, paziente e benevola di quello che si è, nel bene e nel male, nel giusto e nell’ingiusto, nel bello e nel brutto è la condizione irrinunciabile perché si possa pensare di praticare una carità davvero evangelica.
Questo Vangelo è un invito deciso e senza sconti a guardarsi allo specchio per riconoscersi per ciò che si è.
Qui il registro non è affatto moralistico. Gesù ci sollecita, dapprima, una sorta di autoguarigione.
Questo è una parola carica di speranza, perché è un invito che discende direttamente:
- da Colui che non giudica e che non condanna.
- Da Colui che guarisce le cecità e libera dalle sordità.
- Da Colui che rimette i peccati e sana le ferite.
- Da Colui che fa risorgere ciò che non ha più vita.
C’è da prendersi del tempo per osservare con serenità, benevolenza e onestà di che tipo sono i frutti che traboccano dal nostro cuore. Perché è da questi che ci riconosceranno come FIGLI DI DIO.
Non si tratta di fare l’ennesimo esame di coscienza su cui far penitenze lasciando proliferare i sensi di colpa. Ci è chiesto di più. Ci è chiesto di prendere il coraggio affrontare IL MISTERO DI CIÒ CHE SIAMO, accogliendolo, penetrandolo, contemplandolo, ammirandolo, custodendolo, guarendolo, incentivandolo.
Ricordando sempre che non serve a nulla, in questo campo, un esame “una tantum”. Occorre invece un impegno stabile, costante, CHE MAI SI CONCLUDE, FINCHE’ ABBIAMO VITA.
COSICCHÉ MAI CI SI SENTA ARROGANTEMENTE ARRIVATI.
In questa ricerca umile di consapevolezza si maturano la libertà, la responsabilità e l’umiltà necessarie perché la nostra vita diventi ABITATA DALLA PAROLA CHE CAMMINA CON NOI.
La povertà di spirito sta tutta qui. Con la sua beatitudine.
Sì, il fratello cristiano, nella vita quotidiana può e deve essere chiamato a correggere il fratello perché questa è una necessità della vita comune: e questo perché il camminare insieme comporta l’aiutarsi a vicenda.
Ma proprio in riferimento a questa correzione, Gesù si fa esigente: La caratteristica della correzione è che essa non può essere mai come una denuncia delle debolezze dell’altro; non può essere mai una pretesa manifestazione di una verità che lo umilia; non può e non deve mai anche solo sembrare un giudizio, né l’anticamera di una condanna già pronunciata nel cuore.
Luca significativamente fa risuonare a più riprese il termine “fratello”, lo intende in senso cristiano e lo applica a tutte le dimensioni della vita ecclesiale.
Il Vangelo di Luca delinea un cammino affinché la correzione sia secondo il Vangelo: si tratta di riconoscersi peccatore e solidale con i peccatori per la comune salvezza, di correggere con umiltà seguendo in tutto l’esempio del Maestro.
COSE DIFFICILI DA METTERE IN PRATICA, MA CHE – come scrive anche GÉRARD ROSSÉ (scrittore contemporaneo, nato nel 1937, che ha scritto il bel commento esegetico-teologico sul Vangelo di Luca) – SONO PRESENTI ANCHE NELLA LETTERATURA GIUDAICA E MONDIALE, E POSSONO FONDARE LA SOCIETÀ: RISPONDERE AL MALE COL BENE, TRATTARE L’ALTRO CON LA REGOLA D’ORO (COME VORREMMO ESSERE TRATTATI NOI), PREGARE PER L’ALTRO E CORREGGERE SÉ STESSI PRIMA DI CORREGGERE GLI ALTRI.
Far parte della Chiesa significa allora, RICONOSCERE DI AVER RICEVUTO DA DIO IL MANDATO DI ESSERE LA COMUNITÀ RAPPRESENTATIVA DEL REGNO, formata da peccatori desiderosi di intraprendere costantemente la via della riconciliazione.
E la Chiesa deve far crescere la comunità, non per fare qualcosa, che faccia essere tutti siano operativi al massimo grado, ma PER ESSERE IL LUOGO DELL’ACCOGLIENZA DELLA COMUNIONE DI DIO.
Ragioniamoci sopra…
Sia Lodato Gesù, il Cristo!