TRASFIGURAZIONE DEL SIGNORE – VENERDI’ XVIII^ – Marco 9,2-10 Questi è il Figlio mio, l’agapethòs, l’amato

… il VECCHIO FARISEO COMMENTA….

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Dal Vangelo secondo Marco 9,2-10

In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro soli. Fu trasfigurato davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. E apparve loro Elia con Mosè e conversavano con Gesù. Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù «Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano spaventati. Venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una voce «Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!». E improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro. Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti. Ed essi tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse dire risorgere dai morti. Parola del Signore

 

Mediti…AMO

La trasfigurazione di Gesù è un episodio della vita di Gesù, descritto nei vangeli sinottici Matteo 17,1-8; Marco 9,2-8 e Luca 9,28-36. La festa viene celebrata il 6 agosto dalla Chiesa cattolica, dalla chiesa ortodossa e da altre confessioni cristiane in ricordo dell’episodio biblico.

Gesù rivela ai tre discepoli DILETTI IL CORPO DEL VERO UOMO E VERO DIO, CHE TUTTI I DODICI VEDRANNO DOPO LA RESURREZIONE DI GESÙ DALLA MORTE DI CROCE.

L’episodio della trasfigurazione, abbiamo detto, è narrato nei tre vangeli sinottici (Marco 9:2-8, Matteo 17:1-8, Luca 9:28-36), DOPO LA CONFESSIONE DI PIETRO. La collocazione del racconto dopo la Confessione di Pietro e il primo annuncio della passione fa di essa una riaffermazione della messianicità di Gesù e della gloria messianica nella quale egli sarà rivelato. Egli non è meno Messia di quando la sua gloria messianica è nascosta NELL’INCARNAZIONE E NELLA PASSIONE.

Per un istante i discepoli percepirono la verità della rivelazione fatta a Cesarea di Filippo: benché la messianicità di Gesù comportasse sofferenza, egli era veramente il glorioso Figlio dell’Uomo.

Un altro particolare: questo racconto è quindi una delle pericopi messianiche centrali, e ha delle somiglianze con:

  • il Battesimo di Gesù (la voce da cielo),
  • ma anche con il racconto del Getsemani:
    • i tre discepoli,
    • la montagna,
    • il grido Abbà (Padre), che corrisponde alla voce dal cielo,
    • Questi è il mio Figlio diletto,
    • nonché la preminenza di Pietro.

Il tema della trasfigurazione, era un tema apocalittico, ESPRIMENTE L’ATTESA DEL PROFONDO CAMBIAMENTO NELL’ASPETTO DEI GIUSTI NEL MONDO FUTURO, ed è testimoniato in

  • Geremia 51,3-10
  • in Daniele 12,3.
  • San Paolo lo riprenderà in 1Cor 15,40-44 e in 2Cor 3,18.

L’accenno ai sei giorni dopo con cui Matteo e Marco aprono la pericope (Luca ha otto giorni dopo) è visto come un richiamo al Libro dell’Esodo 24,16: la nube che viene a dimorare sul monte Sinai e lo copre per sei giorni; ma il richiamo non è stretto. Nel racconto serve a connettere la pericope con gli eventi di Cesarea di Filippo (Mc 8,27-9,1; Mt 16,13-28; Lc 9,18-27), e a confermare in modo drammatico la rivelazione messianica e l’istruzione ivi impartita.

Secondo questi testi sinottici, Gesù, dopo essersi appartato con i discepoli Pietro, Giacomo e Giovanni, cambiò aspetto mostrandosi ai tre discepoli con uno straordinario splendore della persona e uno stupefacente candore delle vesti.

In questo contesto si verifica anche l’apparizione di Mosè ed Elia che conversano con Gesù e si ode una voce, proveniente da una nube, che dichiara la figliolanza divina di Gesù. Ecco gli elementi simbolici:

  1. Lo splendore di Cristo richiama la sua trascendenza. Rispetto allo spirito, il corpo è come un vestito che si indossa. Dio è Luce increata e il corpo assunto dal Verbo, secondo Adamo, proviene dalla creazione (dalla santissima Vergine) per essere innestato in questa Luce divina. Nel corpo di Cristo e nella sua veste bianca come la luce è adombrato il grande mistero dell’Immacolata, una terra vergine che ha dato un corpo al Verbo di Dio e c’è il mistero della divinizzazione dell’uomo: la sua partecipazione alla luce increata.
  2. la presenza di Mosè ed Elia simboleggia la legge e i profeti che hanno annunciato sia la venuta del Messia che la sua passione e glorificazione;
  3. la nube si riferisce a teofanie già documentate nell’Antico Testamento. L’iconografo conosce bene questo simbolo che rappresenta solitamente come una successione di cerchi concentrici, alcuni luminosi, altri di un blu profondo, arricchiti di raggi e stelle d’oro. La buona pittura riesce a conferire anche al colore scuro una trasparenza come un cielo nelle notti d’oriente o come un’acqua profonda. È quel simbolo che avvolge il Cristo che scende agli inferi, che viene a prendere l’anima di Maria nella Dormizione, oppure quando è seduto nel suo trono di Gloria. La nube è il segno rivelatore di una presenza, quella dello Spirito Santo nel suo duplice ruolo di adombrare e illuminare, rinfrescare e scaldare, accogliere e irraggiare doni. Il suo colore è il blu profondo o il bianco, l’oro o il rosso incandescente: i colori della pienezza della beatitudine di un luogo d’arrivo, di un traguardo nuziale e forse la parola nube nasconde questo segreto.

 

Secondo la visione di Eliseo riferita in 2 Re 1.15-18;2:1-6, Elia era stato rapito al cielo senza morte; secondo il Libro del Deuteronomio, al capitolo 32:49 e 34, invece, Mosè era morto prima di giungere alla Terra Promessa, perché come Aronne non aveva glorificato Dio dopo la scoperta della sorgente sita a Meriba, nel deserto di Kades.

Una tradizione -attestata già nel IV secolo da San Cirillo di Gerusalemme e da San Girolamo- identifica il luogo dove sarebbe avvenuta la trasfigurazione con il monte Tabor, in arabo Gebel et-Tur (“la montagna“). Un colle rotondeggiante e isolato, alto 588 m s.l.m. In questo caso è più appropriato dire, circa 400 metri sul livello delle valli circostanti.

Un secolo dopo Arculfo vi troverà un gran numero di monaci, e il Commemoratorium de Casis Dei (secolo IX) menzionerà il vescovado del Tabor con diciotto monaci al servizio di quattro chiese. Successivamente ci saranno i Benedettini che costruiranno anche un’abbazia, circondando gli edifici di una cinta fortificata.

Distrutto tutto dal sultano al-Malik al-‘Ādil (1211-12) per costruirvi una fortezza, i cristiani vi torneranno nuovamente, costruendovi un santuario. Anche questo sarà distrutto per ordine del sultano Baybars (1263), lasciando il monte desolatamente abbandonato per oltre quattro secoli.

Solo nel 1631 i francescani col Custode di Terra Santa Diego Campanile potranno prendere il possesso del monte Tabor. Due secoli dopo, nel 1854, essi cominceranno a studiare le rovine del passato, iniziando nuove costruzioni che culmineranno con l’attuale basilica a tre navate, su disegno ed esecuzione dell’architetto Antonio Barluzzi, che sarà inaugurata nel 1924.

In alternativa al monte Tabor, si presume che l'”alto monte” di cui parlano i vangeli sia il monte Hermon. Le ragioni addotte a favore di quest’ultimo monte risiedono nel fatto che alcune rovine sul monte Tabor indicano che una città fortificata era fiorente già prima del I secolo, infatti la cima del Tabor costituiva una posizione strategica e assai adatta per una città del genere.

Da qui il dubbio che la trasfigurazione di Gesù sarebbe avvenuta sul monte Tabor, dato che i Vangeli dicono invece che Gesù e i suoi tre compagni erano sul monte “in disparte”, “da soli”, “in un luogo solitario”. Inoltre poco prima della trasfigurazione Gesù si trovava dalle parti di Cesarea di Filippo presso le sorgenti del fiume Giordano, città situata alla base sud ovest dell’alto monte Hermon. — Matteo 16,13; 17,1, 2; Marco 8,27; 9,2.

Veniamo al testo evangelico… La Trasfigurazione non era destinata agli occhi di chiunque.

Solo a Pietro, Giacomo e Giovanni, ovvero ai tre discepoli a cui Gesù aveva permesso, in precedenza, di rimanere con lui mentre ridava la vita ad una fanciulla (la risurrezione della figlia di Giairo – Mc.5,37). Solo essi poterono contemplare lo splendore glorioso di Cristo.

Proprio loro stavano per sapere, così, che il Figlio di Dio sarebbe risorto dai morti, proprio loro sarebbero stati scelti, più tardi, da Gesù per essere con lui al Getsemani (Mt.26,37).

PER QUESTI DISCEPOLI LA LUCE SI INFIAMMÒ PERCHÉ FOSSERO TOLLERABILI LE TENEBRE DELLA SOFFERENZA E DELLA MORTE.

Breve fu la loro visione della gloria e poco compresa: non poteva certo essere celebrata e prolungata perché fossero installate le tende! Apparvero anche Elia e Mosè, che avevano incontrato Dio su una montagna, a significare il legame dei profeti e della Legge con Gesù.

La gloria e lo splendore di Gesù, visti dai discepoli, provengono dal suo essere ed esprimono chi egli è e quale sarà il suo destino. Non si trattava solo di un manto esterno di splendore, ma della gloria di Dio che aspettava di essere rivelata nell’uomo sofferente che era il Figlio unigenito di Dio.

Ma vorrei regalarvi ancora un poco di simbolismo, pregandoVi di non maltrattarmi a causa della “pesantezza”. Ma è un argomento stupendo.

  • L’accenno degli evangelisti al fatto che Pietro non sapeva cosa dire rivela che l’apostolo si trova di fronte al Mistero di Cristo. L’affermazione di Pietro è ingenua, Gesù non ha alcun bisogno di tende terrene, perché egli è la celeste Sapienza incarnata (Sir.24,28; Sap.9,7-8), e la sua gloria è quella che riempì la Tenda del Convegno nel deserto (Es.40,35).
  • La nube è la Shekinah, la presenza di JHWH, e a livello letterario è un richiamo alle teofanie dell’Antico Testamento:
  • Nel cammino dell’Esodo fu in una nube che JHWH si rivelò a Mosè (Es.16,6; 19,9; 24,15-16; 32,9);
  • Una nube accompagnava i movimenti del popolo (Es.13,21; 40,34-45);
  • Una nube riempì il Tempio di Salomone nel momento in cui fu consacrato (1Re.8,10-12);
  • Il misterioso Figlio dell’Uomo, figura divina che simboleggiava il “popolo dei Santi dell’Altissimo”, apparve “sulle nubi del cielo” (Dn 7,8.10.13).
  • Una nube avrebbe rivelato l’apparizione escatologica di Dio (2Mac.2,7-8).
  • L’ombra della nube è ancora un’immagine dell’Antico Testamento che descrive la dimora di Dio in mezzo al suo popolo (Es.40,35). Il fatto che la nube copre anche i discepoli significa che essi non sono solo spettatori, ma vengono coinvolti profondamente nel mistero della glorificazione di Cristo in quanto rappresentanti del nuovo popolo di Dio.
  • La voce che si ode dal cielo, che parla del mio figlio diletto, esprime una rivelazione della figliolanza divina di Gesù. Come nel racconto del Battesimo di Gesù, la voce allude a Is.42,1 e designa Gesù come il profeta-servo del Signore.
  • Tuttavia in questo contesto le parole, rivolte ai discepoli ai quali era stato fatto da Gesù il primo annuncio della passione, costituiscono l’approvazione divina del ruolo di Gesù come Messia-Servo. Con l’aggiunta “Ascoltatelo”, non presente nella rivelazione al Giordano, Gesù viene designato come il profeta uguale a Mosè, il cui insegnamento va ascoltato sotto pena di esclusione dal popolo di Dio (Dt.18,15).
  • E difatti subito dopo la voce Mosè ed Elia scompaiono, cedendo il loro posto a Gesù, che rimane solo. Ascoltare Gesù significa comprendere che il cammino della sofferenza è l’unico che porta alla gloria.
  • La discesa dal monte che segue e l’obbligo del segreto sono elementi appartenenti al modello delle teofanie dell’Antico Testamento (Es.32,15; 34,29; Dn.12,4.9).

Un testo di Padre Raniero Cantalamessa ci fa cogliere tutta la portata del mistero della Trasfigurazione nella sua duplice dimensione di eccezionalità e di estrema quotidianità:

“spesso si sente dire che …In quel giorno il Signore andò in estasi!

Quella dell’estasi sembra essere la categoria meno adeguata a descrivere ciò che il Signore ha vissuto sul Tabor.

Si tratta, infatti, di un’estasi particolare perché, di fatto, Gesù è l’unica persona che non ha bisogno di “uscire da sé” per entrare in Dio. Si potrebbe dire che si tratti di una sorta di cortocircuito interiore tra divinità e umanità. L’”isolante” che era la sua carne umana, per così dire, si è fuso tanto da diventare energia e luce. […] Tutto il torrente di gioia debordò allora dal vaso che è l’umanità di Cristo» (R. CANTALAMESSA, Le Christ de la Transfiguration, St Augustin, Paris 2000, pp. 30-31).

L’estasi di Adamo nella creazione di Eva raggiungerà il suo compimento nell’estasi del Crocifisso, che ricrea la nostra umanità in un’estasi amorosa in cui piacere e dolore si mescolano senza negarsi, e indicando così la strada per ciascuno di noi, che siamo chiamati a entrare nel medesimo dinamismo pasquale di trasfigurazione senza temere nessuna defigurazione necessaria. La festa della Trasfigurazione è un tripudio dei sensi che ci rendono capaci, attraverso il corpo, di percepire la forza dell’elemento spirituale che ci abita e ci anima. Dalla vista all’udito, fino al “tocco” finale di una strabiliante intimità:

«E improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro» (Mc 9,8).

Proprio in forza di questa esperienza di intimità siamo chiamati a essere «testimoni oculari della sua grandezza» (2Pt 1, 16) attraverso una vita capace di farsi illuminare dalla grandezza di Dio, che vuole manifestarsi attraverso la pienezza del nostro essere «a sua immagine» (Gn 1,26).

Il Padre proclama il Figlio come «l’amato» (Mc 9,7) e, con questo incontenibile bisogno di esprimersi, Dio manifesta la sua essenza che è l’amore, che lo rende eternamente innamorato e per questo capace di trasfigurare in ammirazione tutto ciò che vede e tutto ciò che – col suo sguardo creatore – tocca.

Avere occhi illuminati significa avere un cuore innamorato che trasfigura ogni cosa, riportando ogni frammento di creazione e, soprattutto, di umanità al suo originale divino splendore. Anche noi siamo invitati, come il profeta Daniele, a continuare a «guardare» (Dn 7,9) proprio perché, «tenendo fisso lo sguardo su Gesù» (Eb 12,2), il nostro modo di vedere si muti nel modo di vedere di Dio. Come scrive Lev Gillet, facendo eco a tutta la tradizione «Se sei stato per molto tempo a fissare il sole, la tua retina si è bruciata, e ovunque guardi vedi una macchia nera. Se sul monte della trasfigurazione hai contemplato immerso nella grande Luce, quando scendi a valle sei diverso: dovunque lasci cadere i tuoi occhi, vedi lui, il Riflesso dell’uno, riverberato in ogni creatura, in ogni volto, in ogni altro uomo».

Ma questo cammino non è facile ed esige tutta una conversione del nostro essere, per cui non ci resta che affinare i nostri sensi per poter aprire gli occhi del nostro cuore sul mistero di Cristo Signore, per imparare a sentire – a occhi chiusi e senza vedere – il profumo delle sue «vesti» e saper affrontare le notti della nostra vita senza sentirci mai troppo soli”.

Sia Lodato Gesù, il Cristo!