SULLA NECESSITA’ DI PERSEVERARE QUANDO SCRIVIAMO DELLE COSE DI DIO
S. Ambrogio
Poiché molti – dice Luca – hanno intrapreso. Evidentemente, hanno intrapreso coloro che poi non riuscirono a condurre a termine l’opera. In tal modo anche san Luca, dicendo che molti hanno intrapreso, dal canto suo dimostra esaurientemente che molti hanno cominciato senza poter finire. Chi infatti si è sforzato di ripartire la materia, lo ha fatto secondo le sue forze, senza però riuscirvi. Invece i doni e la grazia di Dio si ottengono senza alcuno sforzo, e, quando vengono infusi, hanno l’effetto di irrigare l’ingegno dello scrittore, tanto che esso non scarseggi, ma abbondi rigogliosamente. Non si è sforzato Matteo, non si è sforzato Marco, non si è sforzato Giovanni, non si è sforzato Luca, ma provvisti dallo Spirito divino dell’abbondanza di tutto, parole e argomenti, terminarono senza alcuna fatica quanto avevano cominciato. Per questo dice giustamente: Perché molti hanno intrapreso a stendere una narrazione degli avvenimenti, che si sono compiuti tra noi, o anche che abbondano in noi.
Ora, ciò che abbonda non viene a mancare per nessuno e nessuno può dubitare di ciò che si è compiuto, poiché l’esito ne garantisce la verità, e le conseguenze la proclamano. Pertanto il Vangelo è compiuto, e abbonda in tutti i fedeli del mondo intero e irriga la mente, e fortifica il cuore di tutti. Perciò Luca fondato sulla roccia, come colui che ha attinto tutta la pienezza della fede e il sostegno della perseveranza, può dire giustamente ciò che in noi si è compiuto; infatti sia coloro che narrano le azioni salvifiche del Signore, sia coloro che considerano la sua vita mirabile, distinguono il vero dal falso non in base a segni e a prodigi, ma alla parola. Quando leggi di azioni superiori alle umani possibilità, c’è forse metodo più ragionevole che attribuirle alla natura superiore, e riferire invece alle debolezze del corpo assunto da Cristo ciò che leggi circa le azioni della sua natura mortale? In tal modo la nostra fede non si fonda su prodigi, ma su la parola e l’intelligenza.
E continua: Come ce li hanno trasmessi quelli che videro da principio e divennero ministri della Parola. … Poiché si parla non di una parola pronunziata, ma della Parola sostanziale che si fece carne e ha dimorato fra noi, dobbiamo qui intendere non una qualsiasi, ma quella celeste Parola, a cui servirono gli apostoli. …
Questo Vangelo è stato scritto per Teofilo, cioè per colui che Dio ama. Se ami Iddio, è stato scritto anche per te, e, se è stato scritto per te, prendi il regalo che l’evangelista ti fa. Conserva con cura il pegno dell’amico nel segreto del cuore, custodisci il buon deposito con l’aiuto dello Spirito Santo, che ci è stato dato, studialo frequentemente, interrogalo spesso. A un pegno devi serbarti anzitutto fedele, alla fedeltà deve seguire diligenza, perché tignola e ruggine non distruggano i pegni a te dati: può darsi infatti che si rovini ciò che ti è stato affidato. Il vangelo è un pegno che rende bene, bada però che tignola e ruggine non lo corrodono perfino nel tuo cuore. Lo corrode la tignola, se tu credi male quanto hai letto bene. …
C’è anche una ruggine dell’anima, quando l’acutezza dell’intenzione religiosa si attutisce macchiandosi delle passioni mondane, oppure quando la trasparenza della fede viene intorbidata dalla nebbia dell’eresia. Ruggine dell’anima è la cura smodata del patrimonio, ruggine dell’anima è l’indolenza, ruggine dell’anima è l’arrivismo, se in queste cose si ripone ogni speranza della vita presente. Perciò, volgendoci alle cose di Dio, aguzziamo l’ingegno, manteniamo desto l’affetto, affinché possiamo conservare riposta nella guaina dell’animo nostro, sempre pronta e affilata, quella spada che il Signore ci comanda di comperare, vendendo il mantello. I soldati di Cristo, infatti, devono sempre avere a disposizione le armi spirituali, che da Dio hanno la potenza di debellare le fortezze, perché non avvenga che il condottiero dell’esercito celeste, alla sua venuta, disgustato dalla ruggine delle nostre armi, ci allontani dalle sue legioni.
(Dall’Esposizione del Vangelo secondo Luca I, 3-5. 12. 14)
S. Bruno di Segni
Gesù tornò in Galilea con la potenza dello Spirito Santo e la sua fama si diffuse in tutta la regione. Il Signore aveva predicato in Giudea e aveva mostrato con segni e miracoli la sua potenza e di là è tornato in Galilea. Ma come vi è tornato? Con la potenza dello Spirito. Sempre infatti il Figlio è nel Padre e il Padre è nel Figlio e lo Spirito Santo in entrambi. Benché dunque Gesù sempre fosse nella potenza dello Spirito Santo, sembrava agire così particolarmente quando dimostrava con la parola e l’opera la forza della sua potenza. Per cui aggiunge anche: Insegnava nelle loro sinagoghe e tutti ne facevano grandi lodi. Per questo infatti era magnificato, perché predicava con la potenza dello Spirito Santo.
E si recò a Nazaret, dove era stato allevato ed entrò secondo il suo solito, di sabato, nella sinagoga, e si alzò a leggere. Gli fu dato il rotolo del profeta Isaia. A Nazaret era stato allevato ma non aveva studiato. Tuttavia si alzò a leggere, al fine di operare, leggendo, un miracolo per coloro tra i quali era stato allevato. Infatti non leggiamo che abbia mai fatto questo altrove. Se lo avesse fatto da un’altra parte, si sarebbe potuto pensare che aveva studiato presso un maestro. Ma non potevano supporre questo coloro che lo avevano conosciuto dall’infanzia e non lo avevano mai visto frequentare le scuole e non lo avevano mai udito leggere tanto ampiamente. Ma nota ciò che dice: Entrò secondo la sua consuetudine nella sinagoga. I cristiani infatti devono avere questa consuetudine di venire ogni giorno alla chiesa e ogni giorno di leggere loro stessi oppure, se non ne sono capaci, di ascoltare leggere gli altri.
E apertolo, trovò il passo dove era scritto: Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione … Non si meravigliavano perché leggeva, se non forse per il fatto che non aveva studiato, ma perché esponeva mirabilmente ciò che leggeva. Le sue parole infatti erano piene di grazia e dolci per tutti ad ascoltarsi, secondo quanto sta scritto: Tu sei il più bello tra i figli dell’uomo: sulle tue labbra è diffusa la grazia (Sal 44, 3). E ancora: Come sono dolci al mio palato le tue parole, più del miele alla mia bocca (Sal 118, 103). E non tanto la lettura in sé dava questa grazia e questa dolcezza, quanto la spiegazione della lettura.
Vediamo pertanto che cosa significa questa lettura del profeta Isaia, anzi del nostro Signore. Egli ha compreso che essa parlava di lui stesso e l’ha proclamata adempiuta in lui. Lo spirito del Signore – dice – è su di me. È lui infatti il fiore della radice di Iesse, sul quale riposa lo Spirito del Signore, Spirito di sapienza e di intelletto, di consiglio e di fortezza, Spirito di scienza e di pietà, e Spirito di timore del Signore. È lui di cui è stato scritto: Hai amato la giustizia e odiato l’empietà: perciò ti ha unto Dio, il tuo Dio, con olio di letizia a preferenza dei tuoi compagni (Sal 44, 8). Conviene infatti e molto giova che sia eletto uno così, e sia eletto re colui che ha odiato l’iniquità e amato la giustizia. Dica pure dunque: Lo Spirito del Signore è su di me, per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato ad annunziare ai poveri il lieto messaggio. Certo a quei poveri di cui è detto: Beati i poveri in spirito (Mt 5, 3). Un ricco venne da lui e, ascoltate le sue parole, se ne andò via triste perché aveva molti beni. Giustamente dunque il Signore predica non ai ricchi, ma ai poveri. E sana i contriti di cuore, perché facilmente la sua dottrina li soccorre. Di loro dice il Salmista: Un cuore contrito è sacrificio a Dio, un cuore affranto e umiliato, o Dio, tu non disprezzi (Sal 50, 19). Abbia dunque il cuore contrito chi desidera essere sanato da Dio. Predica anche la libertà ai prigionieri, non quella per cui siamo affrancati da Babilonia, ma quella per cui siamo liberati dai demoni. Predica anche la vista ai ciechi, privi della luce interiore. Di questa cecità certo parla l’Apostolo: Israele in parte è stato accecato (Rm 11, 25). Rimanda in libertà gli oppressi perché chiama al suo perdono, risanando lui stesso e rimettendo i peccati, coloro che il diavolo aveva ferito con i suoi colpi. Predica anche l’anno di grazia del Signore e il giorno della retribuzione dicendo: Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino (Mt 3, 2). E ancora: Molti profeti e re vollero vedere quello che voi vedete e non lo videro, e udire quello che voi udite e non lo udirono (Mt 8, 17). Di questo anno di grazia, di questo giorno di retribuzione l’Apostolo dice: Ecco il tempo favorevole, ecco ora il giorno della salvezza (1 Cor 6, 2).
(Dal Commento a Luca I, V, 15)
San Cirillo di Alessandria
Cristo, volendo restaurare il mondo e ricondurre tutti gli uomini al Padre, trasformare in meglio tutte le cose e rinnovare la faccia della terra, assunse la condizione di servo (cfr. Fil 2, 7) – egli Signore dell’universo – e annunziò la buona novella ai poveri, affermando che proprio per questo era stato mandato. Per poveri si possono intendere quelli che soffrono nella totale indigenza, ma anche, come dice la Scrittura, tutti quelli che non posseggono la speranza e che nel mondo sono privi di Dio.
Arrivati a Cristo dal paganesimo, arricchiti dalla fede in lui, hanno conseguito un tesoro divino venuto dal cielo, la predicazione del Vangelo della salvezza, resi partecipi in tal modo del regno dei cieli e consorti dei santi, eredi di quei beni che non si possono né immaginare, né domandare: cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo; queste ha preparato Dio per coloro che lo amano (1 Cor 2, 9).
O forse qui s’intende che ai poveri in spirito è stato donato nel Cristo abbondante ministero di carismi. Egli chiama coloro che hanno il cuore smarrito, e l’animo debole e fiacco, quelli che sono incapaci di resistere agli assalti delle tentazioni, talmente soggetti alle passioni da sembrarne schiavi. Ebbene proprio a questi egli promette guarigione e aiuto, così come ai ciechi dona la vista. Infatti quelli che adorano una creatura e dicono a un pezzo di legno: tu sei mio padre; e a una pietra: tu mi hai generato (Ger 2, 27) certo non hanno conosciuto Dio. Che cosa sono se non dei ciechi nel cuore, privi della luce divina per intendere? A costoro il Padre infonde la luce di una vera conoscenza di Dio.
Chiamati per mezzo della fede lo hanno conosciuto; anzi, più ancora sono stati conosciuti da Lui. Mentre erano figli della notte e delle tenebre, son diventati figli della luce. Il giorno è spuntato ad illuminarli, ed è sorto per loro il sole di giustizia; per loro si è levata lucente la stella del mattino.
Nulla ci vieta di applicare tutto questo anche ai fratelli venuti dal giudaismo. Anch’essi erano poveri, col cuore spezzato, come schiavi e nelle tenebre. Ma venne Cristo, e a Israele prima che agli altri si annunziò con le benefiche e fulgide manifestazioni della sua potenza, proclamò l’anno di misericordia del Signore e il giorno della salvezza. Anno della misericordia era quello in cui Cristo fu crocifisso per noi. Allora davvero noi siamo diventati cari a Dio Padre, e per mezzo di Cristo abbiamo dato frutto. Ce lo ha insegnato egli stesso: In verità vi dico: se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; ma se invece muore produce molto frutto (Gv 12, 24). A coloro che piangevano su Sion venne offerta in Cristo la consolazione, e la gloria invece della cenere. Cessarono infatti di piangerla, e cominciarono a predicare e annunziare il vangelo della gioia.
(Dal Commento sul profeta Isaia 5, 5)