SANTA TERESA DELLA CROCE – LUNEDI’ 19^ SETTIMANA T.O. – MATTEO 25,1-13

… il VECCHIO FARISEO COMMENTA….

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Dal Vangelo secondo Matteo 25,1-13

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola «Il regno dei cieli sarà simile a dieci vergini che presero le loro lampade e uscirono incontro allo sposo. Cinque di esse erano stolte e cinque sagge; le stolte presero le loro lampade, ma non presero con sé l’olio; le sagge invece, insieme alle loro lampade, presero anche l’olio in piccoli vasi. Poiché lo sposo tardava, si assopirono tutte e si addormentarono. A mezzanotte si alzò un grido “Ecco lo sposo! Andategli incontro!”. Allora tutte quelle vergini si destarono e prepararono le loro lampade. Le stolte dissero alle sagge: “Dateci un po’ del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono”. Le sagge risposero “No, perché non venga a mancare a noi e a voi; andate piuttosto dai venditori e compratevene”. Ora, mentre quelle andavano a comprare l’olio, arrivò lo sposo e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze, e la porta fu chiusa. Più tardi arrivarono anche le altre vergini e incominciarono a dire “Signore, signore, aprici!”. Ma egli rispose “In verità io vi dico: non vi conosco”. Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora». Parola del Signore

 

Mediti…AMO

Edith Stein (in seguito diventerà monaca cattolica e prenderà il nome di Teresa Benedetta della Croce nasce a Breslavia il 12 ottobre 1891 – muore nel campo di concentramento di Auschwitz, il 9 agosto 1942) filosofa e mistica tedesca dell’Ordine delle Carmelitane Scalze, vittima della Shoah.

Di origine ebraica, si convertì al cattolicesimo dopo un periodo di ateismo che durava dall’adolescenza.

Accolse la vita nuova in Cristo attraverso il sacramento del Battesimo e, preso il nome di Teresa Benedetta della Croce, fece il suo ingresso tra le Carmelitane scalze di Colonia, dove si ritirò nella clausura. Durante la persecuzione nazista, esule in Olanda, venne catturata e nel 1942 deportata nel campo di concentramento di Oswiecim – Auschwitz presso Cracovia in Polonia, dove venne uccisa nella camera a gas.

Con la sua beatificazione nel Duomo di Colonia da parte di papa Giovanni Paolo II, il 1º maggio del 1987, la Chiesa cattolica volle onorare, per esprimerlo con le parole dello stesso pontefice, “una figlia d’Israele, che durante le persecuzioni dei nazisti è rimasta unita con fede ed amore al Signore Crocifisso, Gesù Cristo, quale cattolica ed al suo popolo quale ebrea”.

La decisa volontà di Giovanni Paolo II – che in gioventù era appartenuto a quella componente del cattolicesimo polacco che aveva ereditato dalla dominazione austriaca di Cracovia le tradizioni di tolleranza asburgica verso la minoranza ebraica, e che indicò sempre lo sterminio antisemita come un abisso dell’umanità – sormontò anche l’ostacolo canonico a dichiararla santa, cioè la ricerca di un miracolo compiuto in vita ovvero la dichiarazione del martirio per la fede.

Con l’affermazione che la persecuzione subita nel campo di sterminio – che portò alla sua morte – era patita per la sua testimonianza della fede (affermazione dalle conseguenze teoriche assai ampie, sulla natura anticristiana del nazismo e sul fatto che si può affermare la fede cattolica anche rifiutando di sottrarsi ad una persecuzione razziale), Edith Stein fu canonizzata dallo stesso Giovanni Paolo II l’11 ottobre 1998.

Il 1º ottobre 1999 il papa la nominò anche “compatrona” d’Europa (assieme a Francesco, Benedetto, Cirillo e Metodio e alle sante Caterina da Siena e Brigida di Svezia) affermando che «Teresa Benedetta della Croce … non solo trascorse la propria esistenza in diversi paesi d’Europa, ma con tutta la sua vita di pensatrice, di mistica, di martire, gettò come un ponte tra le sue radici ebraiche e l’adesione a Cristo, muovendosi con sicuro intuito nel dialogo col pensiero filosofico contemporaneo e, infine, gridando col martirio le ragioni di Dio e dell’uomo nell’immane vergogna della “shoah”.

Ella è divenuta così l’espressione di un pellegrinaggio umano, culturale e religioso, che incarna il nucleo profondo della tragedia e delle speranze del Continente europeo»

Francesco ci richiama alla povertà e alla gioia, Benedetto all’interiorità come metro di giudizio delle cose, i fratelli dell’est Cirillo e Metodio alla cultura come forma di evangelizzazione.

Edith Stein, figlia dell’orribile ventesimo secolo, ebrea di nascita, vittima della furia nazista che la venne a cercare, una volta convertita e fattasi monaca, ricercata fin dentro il monastero per essere uccisa, insieme ad altri milioni di esseri umani, nelle camere a gas, propone ai popoli rissosi un percorso di riconciliazione e di pace.

La Chiesa vuole dire a tutti gli europei che attraverso i secoli, nelle tenebre che furono le guerre mondiali ci furono uomini e donne che riuscirono ad essere testimoni di luce. E fra essi moltissimi cristiani, molti discepoli che ancora oggi brillano come modello.

Ma ora veniamo al testo evangelico, che ci riporta uno strano racconto. E lo facciamo vedendo cosa dice San Girolamo:

  • Questa parabola o similitudine delle dieci vergini stolte e prudenti alcuni la riferiscono soltanto allo stato di verginità. Alcune vergini, come dice l’Apostolo, sono tali nel corpo e nell’anima, mentre altre, pur conservando la verginità del corpo, non la possiedono nelle restanti loro opere; oppure, mantenute nello stato di verginità dai loro genitori, col cuore si sono per 64 loro conto sposate. A me sembra però che queste parole possano avere anche un altro significato, cioè che non si riferiscano soltanto allo stato della verginità, ma alla condizione generale dell’uomo. Come infatti i due uomini che stanno nel campo e le due donne che stanno alla macina significano i due popoli, quello dei cristiani e quello dei giudei, cioè il popolo dei santi e quello dei peccatori, i quali ultimi, essendo anch’essi nella Chiesa, sembrano anch’essi arare e macinare mentre ogni cosa compiono ipocritamente, così anche qui le dieci vergini rappresentano tutti gli uomini che sembrano credere in Dio e tenere in onore le Sante Scritture, siano essi uomini di Chiesa, giudei o eretici. Sono pertanto chiamate tutte vergini perché si gloriano nella conoscenza dell’unico Dio e le loro anime non sono travolte dalla tempesta dell’idolatria. Hanno però con sé l’olio quelle vergini che adornano con le opere la loro fede; non lo hanno quelle che, pur sembrando nutrire un’identica fede in Dio, trascurano l’esercizio delle virtù…

Stiamo iniziando il capitolo 25 che conclude il discorso finale di Gesù fatto due giorni prima della sua passione. È costituito da tre parabole graduali, cioè si fanno tre passi per farci capire una cosa sola fondamentale.

All’inizio i discepoli avevano chiesto a Gesù:

  • Quando verrà la fine del mondo?
  • Quando tornerai e quale il segno?

In queste tre parabole risponde quando torna, ovvero durante la nostra vita; è il senso della parabola di oggi delle vergini stolte e sagge.

È la più bella metafora che ci sia sulla vita umana. La vita umana è vista come una lunga attesa al termine di un lungo cammino, per andare incontro allo sposo.

E IL FINE DELLA VITA NON È IL FALLIMENTO DI TUTTO CIÒ CHE C’È DI BUONO, DI BELLO NELLA VITA, MA È IL COMPIMENTO DI TUTTO CIÒ CHE DESIDERIAMO DI PIÙ BELLO CHE CI POSSA ESSERE.

Il credente vive in questa luce nell’attesa del Signore “….Vieni Signore Gesù, maranathà”. Nel Libro dell’Apocalisse di Giovanni, lo Spirito e la sposa dicono “…Vieni!” Ecco il grande desiderio di incontro che vive nel cuore dell’uomo.

Se non c’è questo desiderio di per sé è inutile vivere. Viviamo per uscire incontro allo sposo che viene. Ecco il tema dominante della nostra esistenza: perché viviamo? Per andare incontro al Signore che viene.

Simbolicamente tutta l’esistenza terrena è una uscita incontro allo sposo:

  1. c’è una prima uscita dalla madre per venire alla luce della vita;
  2. c’è una seconda uscita che dura tutta la vita: l’uscita dal proprio egoismo; l’uscita da sé verso l’altro
  3. c’è alla fine l’uscita definitiva dalla madre terra per andare incontro al Signore.

Questa parabola è presentata come manifestazione del Regno di Dio: è un richiamo alla conversione del cuore e a non considerare IL GIUDIZIO COME L’ULTIMO ATTO FINALE DELLA STORIA, ma a ricordarci che:

  • il Regno è già in atto
  • ALLA FINE DEI TEMPI AVVERRÀ SOLO LA PROCLAMAZIONE DI CIÒ CHE NOI, GIORNO PER GIORNO, SCEGLIAMO NELLA NOSTRA VITA RISPETTO ALL’OLIO PER LE NOSTRE LAMPADE, AI TALENTI RICEVUTI, AL PROSSIMO CHE CI È AFFIDATO…

È una parabola incentrata su un argomento in verità molto semplice: L’ATTESA. Ma ostico per noi.

Scrive a questo proposito, con una spietata, ma realistica riflessione, Dietrich Bonhoeffer (1906-trucidato nel 1945 nel Campo di concentramento di Flossemburg), teologo e pastore luterano. Una delle più alte voci del secolo scorso contro il nazismo:

  • ATTENDERE È UN’ARTE CHE, IL NOSTRO TEMPO IMPAZIENTE, HA DIMENTICATO. Il nostro tempo vorrebbe cogliere il frutto appena il germoglio è piantato; così, gli occhi avidi, sono ingannati in continuazione, perché il frutto, all’apparenza così bello, al suo interno è ancora aspro, e, mani impietose, gettano via, ciò che le ha deluse. Chi non conosce l’aspra beatitudine dell’attesa, che è mancanza di ciò che si spera, non sperimenterà mai, nella sua interezza, la benedizione dell’adempimento”.

Su Bonhoeffer vi invito a leggere il suo pensiero e la sua vita sul nostro sito: www.insaeculasaeculorum.org.

Ebbene il brano ha come sfondo un banchetto di nozze il cui protagonista è Cristo, lo sposo, e le dieci vergini, che sono IMMAGINI DELLA CHIESA, che sono chiamate a uscire incontro allo Sposo. Esse rappresentano il corteo della sposa e ne sono rappresentate:

  • da cinque vergini “sconsiderate”. perché non hanno previsto il ritardo dello sposo, non hanno preso abbastanza olio e durante l’attesa, invece di andare a provvederne, si sono addormentate
  • e cinque “che sanno vivere”, perchè portano con loro l’olio, ma a prima vista non sono diverse da quelle stolte, perché anch’esse si addormentano.

Ad ognuna delle fanciulle è data la GRAZIA, che dovrà essere rendicontata. La lampada è il segno della fede vigile mentre l’olio nei vasi è espressione di ospitalità e intimità, ma anche simbolo messianico, in quanto utilizzato per ungere il Re-Messia ed anche di perseveranza fino all’arrivo dello Sposo.

Ma è anche il segno delle opere giuste, che permettono di avere accesso al Regno di Dio.

Non basta essere invitati al banchetto dell’Agnello, ma occorre anche essere sapienti attingendo ALL’OLIO DELL’IMPEGNO, in un tempo che non sappiamo, ne’ possiamo quantizzare, perché il ritorno del Signora sarà una sorpresa causata da una venuta imprevedibile.

Indistintamente tutte le vergini “si assopiscono”, (questo assopirsi simboleggia la morte), ma esse vengono destate DAL GRIDO, AL TERMINE DELLA NOTTE, CHE ANNUNCIA FINALMENTE L’ARRIVO DELLO SPOSO.

Questo “destarsi” ha un chiarissimo riferimento AL VERBO DELLA RESURREZIONE DI CRISTO, e le vergini sagge preparano le lampade.

È nella resurrezione che diviene così determinante la separazione delle vergini:

  • le stolte chiedono l’olio a quelle sapienti, che rispondono con un NO, che suona, ad un primo esame, come mancanza di carità. In realtà rappresenta l’impossibilità di prestare ciò che l’olio rappresenta, ovvero l’amore, la passione, il desiderio, la perseveranza, l’attesa che non ha spento l’Amore vero, la Fede.

L’olio è stato dato a tutte, ma la stoltezza delle vergini è nella loro incapacità di amare e di attendere l’amato, tenendo insieme presente e futuro.

L’arrivo dello Sposo e la chiusura delle porte determina una situazione definitiva, con la sentenza già pronunciata dallo sposo “Io non vi conosco”.

Ed ecco la conclusione che riprende tutto il discorso escatologico: “vigilate perché non conoscete né il giorno né l’ora”, per questo occorre lavorare con impegno instancabile, come se la venuta avvenisse adesso e sempre.

Un’ultima bella immagine simbolica:

IL SIGNORE È CHIAMATO LO SPOSO, che è la più bella definizione di Dio.

Se uno vuol capire chi è Dio pensi a una relazione riuscita tra un uomo e una donna. Quando in Genesi 1,27 si dice che: “Dio ha creato l’uomo a sua immagine e somiglianza, maschio e femmina”, intende dire non che la femmina o il maschio è somiglianza di Dio, MA LA RELAZIONE TRA I DUE.

E LA RELAZIONE È AMORE, DONO, GIOIA, FEDELTÀ, FECONDITÀ, VITA, PIENEZZA; QUESTO È DIO.

Per questo Dio è chiamato lo sposo.

E lo stesso uomo nella sua totalità NON È ALTRO CHE IMMAGINE DI DIO CHE È LO SPOSO, e noi siamo fatti per unirci a Dio. E nell’umanità di Gesù, UOMO E DIO, si sono messi effettivamente sposati e ognuno di noi è chiamato a unirsi a Gesù il Figlio e a diventare figlio, avere lo stesso Spirito del Padre, la vita di Dio.

Ed è questa unione il senso della nostra vita.

L’UOMO CREATO AL SESTO GIORNO È CHIAMATO A PASSARE AL SETTIMO GIORNO, CIOÈ LA VITA STESSA DI DIO.

Ragioniamoci sopra….

Sia Lodato Gesù, il Cristo!