Smirne (attuale Turchia), anno 69 d.C. – 23 febbraio 155
Etimologia: Policarpo = che dà molti frutti, dal greco
Emblema: Bastone pastorale, Palma
Nato a Smirne nell’anno 69 «fu discepolo dell’Apostolo Giovanni e dagli Apostoli stessi posto vescovo per l’Asia nella Chiesa di Smirne». Così scrive di lui IRENEO, SUO DISCEPOLO E VESCOVO DI LIONE IN GALLIA.
Dei suoi numerosi scritti, sono pervenute solo una Lettera di Policarpo ai Filippesi, scritta alla comunità di Filippi (tra il 107 e il 140), in cui riferisce del viaggio di Ignazio di Antiochia a Smirne e dalla quale si ricavano numerose informazioni sugli usi e la fede dei primi cristiani. FU MAESTRO DI IRENEO DI LIONE, fondatore di chiese nelle Gallie E SUO BIOGRAFO.
Secondo la tradizione, sarebbe stato lui ad inviare in Gallia Benigno di Digione, Andochio, Andeolo del Vivarais e Tirso (venerati come santi dalla Chiesa Cattolica) per evangelizzare il Paese.
Dalla sua celebre passio (comunemente nota come Martirio di san Policarpo), redatta sotto forma di lettera circolare inviata alla comunità cristiana di Filomelio (attuale Akşehir), città della Frigia posta tra Licaonia e Antiochia di Pisidia, si deduce che nacque nella seconda metà del I secolo: figlio di genitori cristiani, fu discepolo, con PAPIA DI IERAPOLI, di “GIOVANNI IL PRESBITERO” (per la tradizione Giovanni apostolo), e fu consacrato vescovo della città di Smirne dagli apostoli.
Divenne uno dei più autorevoli e stimati vescovi del suo tempo, tanto che fu scelto come rappresentante della Chiesa d’Asia e inviato a Roma a discutere con papa Aniceto la questione della data di celebrazione della Pasqua: Policarpo e numerosi vescovi d’Asia seguivano l’osservanza quartodecimana, che preveda la celebrazione della Pasqua il 14 Nisan, mentre la chiesa di Roma celebrava la Pasqua di domenica. Secondo la testimonianza di Ireneo di Lione, l’incontro non portò ad un accordo sulla data della Pasqua, tuttavia Policarpo e Aniceto si congedarono fraternamente.
A Roma e a Smirne contrastò la diffusione delle dottrine docetiche di Marcione e Valentino. Secondo Ireneo, che era stato discepolo di Policarpo, Marcione incontrò Policarpo e chiedendogli se lo riconosceva, si sentì rispondere dal vescovo: “Ti riconosco come il primogenito di Satana”.
Catturato per ordine del proconsole Stazio Quadrato e rifiutatosi di sacrificare per l’imperatore, fu condannato ad essere arso vivo nello stadio della sua città e, visto che miracolosamente le fiamme non lo consumavano, fu ucciso con un colpo di pugnale. La data del martirio non è certa: alcuni studiosi propendono per il 23 febbraio
Policarpo viene messo a capo dei cristiani dell’Asia verso il 100. Nel 107 è testimone del passaggio per Smirne di SANT’IGNAZIO, VESCOVO DI ANTIOCHIA, che va sotto scorta a Roma dove subirà il martirio.
Policarpo lo ospita e più tardi Ignazio gli scriverà una lettera divenuta poi famosa. Nel 154 Policarpo va a Roma per discutere con papa Aniceto sulla data della Pasqua.
Dopo il suo ritorno a Smirne scoppia una persecuzione. L’anziano vescovo (ha 86 anni) viene portato nello stadio, perché il governatore romano Quadrato lo condanni.
Policarpo rifiuta di difendersi davanti al governatore, che vuole risparmiarlo, e alla folla, dichiarandosi cristiano. Verrà ucciso con la spada. Sono circa le due del pomeriggio del 23 febbraio 155.
Martirologio Romano: Memoria di san Policarpo, vescovo e martire, che è venerato come discepolo del beato apostolo Giovanni e ultimo testimone dell’epoca apostolica; sotto gli imperatori Marco Antonino e Lucio Aurelio Commodo, a Smirne in Asia, nell’odierna Turchia, nell’anfiteatro al cospetto del proconsole e di tutto il popolo, quasi nonagenario, fu dato al rogo, mentre rendeva grazie a Dio Padre per averlo ritenuto degno di essere annoverato tra i martiri e di prendere parte al calice di Cristo.
È stato istruito nella fede da “molti che avevano visto il Signore“, e “fu dagli Apostoli stessi posto vescovo per l’Asia nella Chiesa di Smirne”. Così scrive di lui Ireneo, suo discepolo e vescovo di Lione in Gallia. Policarpo, nato da una famiglia benestante di Smirne, viene messo a capo dei cristiani del luogo verso l’anno 100.
Nel 107 è testimone di un evento straordinario: il passaggio per Smirne di Ignazio, vescovo di Antiochia, che va sotto scorta a Roma dove subirà il martirio, decretato in una persecuzione locale. Policarpo lo ospita durante la sosta, e più tardi Ignazio gli scrive una lettera che tutte le generazioni cristiane conosceranno, lodandolo come buon pastore e combattente per la causa di Cristo.
Nel 154 Policarpo dall’Asia Minore va a Roma in tutta tranquillità, per discutere con papa Aniceto (di origine probabilmente siriana) sulla data della Pasqua. E da Lione un altro figlio dell’Asia Minore, Ireneo, li esorta a non rompere la pace fra i cristiani su questo problema. Roma celebra la Pasqua sempre di domenica, e gli orientali sempre il 14 del mese ebraico di Nisan, in qualunque giorno della settimana cada. Aniceto e Policarpo non riescono a mettersi d’accordo, ma trattano e si separano in amicizia.
Periodi di piena tranquillità per i cristiani sono a volte interrotti da persecuzioni anticristiane, per lo più di carattere locale. Come quella che appunto scoppia a Smirne, dopo il ritorno di Policarpo da Roma, regnando l’imperatore Antonino Pio.
Undici cristiani sono già stati uccisi nello stadio quando un gruppo di facinorosi vi porta anche il vecchio vescovo (ha 86 anni), perché il governatore romano Quadrato lo condanni. Quadrato vuole invece risparmiarlo e gli chiede di dichiararsi non cristiano, fingendo di non conoscerlo.
Ma Policarpo gli risponde tranquillo “Tu fingi di ignorare chi io sia. Ebbene, ascolta francamente: io sono cristiano“. Rifiuta poi di difendersi di fronte alla folla, e si arrampica da solo sulla catasta pronta per il rogo. Non vuole che lo leghino. Verrà poi ucciso con la spada.
È il 23 febbraio 155, verso le due del pomeriggio. Lo sappiamo dal Martyrium Polycarpi, scritto da un testimone oculare in quello stesso anno.
È la prima opera cristiana dedicata unicamente al racconto del supplizio di un martire. E anzi è la prima a chiamare “martire” (testimone) chi muore per la fede.
Tra le lettere di Policarpo alle comunità cristiane vicine alla sua, si conserverà quella indirizzata ai Filippesi, in cui il vescovo ricorda la Passione di Cristo “Egli sofferse per noi, affinché noi vivessimo in Lui. Dobbiamo quindi imitare la sua pazienza… Egli ci ha lasciato un modello nella sua persona”.
Policarpo quella pazienza l’ha imitata. Ed ha accolto e realizzato pure l’esortazione di Ignazio, che nella sua lettera prima del martirio gli scriveva “Sta’ saldo come incudine sotto i colpi“.