È ricordato soprattutto per la difesa intransigente dell’ortodossia della dottrina cattolica, concretizzatasi nella condanna e lotta al modernismo teologico (con l’enciclica Pascendi Dominici Gregis del 1907), e per la redazione del Catechismo Maggiore detto comunemente, appunto, “di Pio X”.
Giuseppe Melchiorre Sarto nacque a Riese – comune che dal 1952 ha assunto la denominazione di Riese Pio X, in provincia di Treviso – secondo di dieci figli in una famiglia modesta. Suo padre Giovanni Battista (1792–1852) era, oltre che fattore, cursore dell’amministrazione asburgica (assimilabile alle odierne funzioni di messo comunale) e sua madre, Margherita Sanson (1813–1894), una modesta sarta di campagna. Egli si distinse da molti suoi predecessori e successori proprio per il fatto che il suo cursus honorum fu esclusivamente pastorale senza alcun impegno presso la curia o nell’attività diplomatica della Santa Sede.
Ricevette la tonsura nel 1850 ed entrò nel seminario di Padova, grazie a una borsa di studio ottenuta tramite il patriarca di Venezia Jacopo Monico, suo compaesano. Fu ordinato prete nel 1858 dal vescovo di Treviso, Giovanni Antonio Farina, e divenne cappellano della parrocchia di Tombolo. Nel 1867 fu promosso arciprete di Salzano e poi, nel 1875, canonico della cattedrale di Treviso e cancelliere vescovile, fungendo nel contempo da direttore spirituale nel seminario diocesano, esperienza della quale serberà sempre un ottimo ricordo.
Il 10 novembre 1884 fu nominato vescovo di Mantova; ricevette la consacrazione episcopale sei giorni dopo nella basilica di Sant’Apollinare in Roma dal cardinale Lucido Maria Parocchi. Come vescovo di Mantova partecipò al primo Congresso catechistico nazionale tenutosi a Piacenza tra il 24 e il 26 settembre 1889 e presentò un voto a favore di
«…un catechismo popolare storico-dogmatico-morale redatto in domande brevi e risposte brevissime» |
comune per tutta Italia poiché riteneva che il catechismo del Bellarmino
«…tornasse molto difficile alle menti rozze non solo dei bambini, ma anche degli adulti che in questa parte sono quasi geniti infantes>> |
Successivamente ricoprì la carica di patriarca di Venezia. Il governo italiano rifiutò peraltro inizialmente il proprio exequatur, asserendo che la nomina del patriarca di Venezia spettava al Re e che, inoltre, Sarto era stato scelto su pressione del governo dell’Impero austro-ungarico. Giuseppe Sarto dovette quindi attendere ben 18 mesi prima di poter assumere la guida pastorale del patriarcato di Venezia. Con la nomina a patriarca egli ricevette pure la berretta cardinalizia nel concistoro del 12 giugno 1893.
Il conclave
Alla morte di papa Leone XIII il candidato più probabile al soglio di Pietro era considerato il segretario di Stato Rampolla. All’apertura del conclave il 1º agosto 1903, la sorpresa: il cardinale Puzyna, arcivescovo di Cracovia, comunica che l’imperatore austro-ungarico Francesco Giuseppe, usando un suo antico privilegio quale sovrano di un impero cattolico, pone il veto all’elezione del cardinale Rampolla.
I motivi del veto sarebbero non soltanto politici, in particolare la vicinanza del Rampolla alla Francia e le sue idee più aperte, ma anche personali; il Rampolla, quale segretario di Stato, avrebbe infatti cercato di influenzare Leone XIII a negare una sepoltura cristiana all’arciduca Rodolfo d’Asburgo-Lorena, figlio del sovrano, suicidatosi durante i fatti di Mayerling.
Nonostante l’indignazione di molti cardinali il conclave decise comunque di obbedire alla volontà dell’imperatore, così la candidatura di Rampolla sfumò e i suffragi si orientarono sul patriarca di Venezia, che fu eletto il 4 agosto e incoronato il 9. Prese il nome pontificale di Pio X in onore dei suoi ultimi predecessori Pio VI, Pio VII, Pio VIII e Pio IX. Scelse come motto del suo pontificato Instaurare omnia in Christo (Efesini 1,10) e lo attuò con coraggio e fermezza.
A Roma lo seguirono le sorelle Rosa, Anna e Maria, oltre a mons. Giovanni Battista Parolin (1870-1935), figlio della sorella Teresa e unico nipote del Sommo Pontefice, che presenziò all’incoronazione e, già arciprete della Cattedrale di Treviso il giorno stesso fu nominato Canonico Vaticano, su proposta del cardinale Merry del Val.
La famiglia si trasferì in un appartamento in piazza Rusticucci.
Una delle prime decisioni di Pio X fu proprio l’abolizione, con la costituzione apostolica Commissum Nobis, del cosiddetto jus exclusivae (o veto laicale), una forma di veto che spettava ad alcuni sovrani cattolici e grazie al quale egli era divenuto pontefice.
Il nuovo Papa, consapevole di non avere alcuna esperienza diplomatica né una vera e propria formazione universitaria, seppe scegliere dei collaboratori competenti come il giovane monsignore Rafael Merry del Val, di soli 37 anni, poliglotta e direttore della Pontificia accademia ecclesiastica, oltre che segretario del conclave del 1903, nominandolo proprio segretario personale e, poi, segretario di Stato e prefetto del Palazzo Apostolico, ancora prima di crearlo cardinale con il titolo di Santa Prassede nel concistoro del 9 novembre 1903.
Sostituì in tal modo proprio il cardinale Rampolla, sostanzialmente messo a riposo, assumendo la carica di segretario di Stato il 12 novembre 1903 e ricoprendola fino al 20 agosto 1914. Dal 1911 Merry del Val fu pure camerlengo. Stante la propria inesperienza, Pio X lasciò a Merry del Val sostanzialmente campo libero nella conduzione della diplomazia vaticana.
Papa Pio X visse parcamente, assistito dalle sorelle, in un appartamento fatto allestire appositamente.
Caratteristico e storicamente importante fu l’indirizzo teologico che diede alla Chiesa cattolica durante tutto il suo pontificato, la cui linea può essere definita sinteticamente come tradizionalista, in particolare per la lotta ingaggiata contro il modernismo attraverso il decreto del Sant’Uffizio, Lamentabili Sane Exitu (3 luglio 1907) e l’enciclica Pascendi Dominici Gregis (8 settembre 1907), a cui seguì l’approvazione personale del Sodalitium Pianum, una rete di informazione che indagava su teologi e docenti sospettati di modernismo. Si stava infatti diffondendo all’interno del mondo cattolico e in ampi settori della stessa gerarchia ecclesiale, una sorta di rivisitazione filosofica della teologia cattolica sotto l’effetto dello scientismo di fine Ottocento. In risposta al modernismo teologico, Pio X introdusse dal 1º settembre 1910 il giuramento della fede per tutti i membri del clero.
Fu Pio X ad avviare la riforma del diritto canonico, che culminerà nel 1917 con la promulgazione del Codice di diritto canonico, e a redigere il Catechismo che porta il suo nome (Catechismo di Pio X, 1905). Anche sul piano della gestione patrimoniale fu lui a unificare i redditi dell’obolo di San Pietro e quelli del patrimonio del Vaticano.
Ma, soprattutto, riformò la Curia romana con la costituzione Sapienti consilio del 29 giugno 1908, sopprimendo vari dicasteri divenuti inutili. Raccomandò ai paesi cattolici l’uso della pronuncia ecclesiastica latina nelle scuole. Poco prima di morire era intento a completare gli studi preparatori di un documento (poi abbandonato dai successori) relativo alle condizioni di liceità dell’esercizio del diritto di sciopero.
Il nome di Pio X è legato anche alla riforma del canto gregoriano. Con il Motu proprio Inter pastoralis officii sollicitudines (22 novembre 1903), il pontefice impose il canto gregoriano nella liturgia e fornì precise istruzioni circa l’uso della musica nelle funzioni religiose.
Pio X creò il primo cardinale sudamericano della storia della Chiesa. L’11 dicembre 1905 elevò a questa dignità ecclesiastica il vescovo brasiliano Joaquim Arcoverde Cavalcanti.
L’8 agosto 1910 il pontefice emanò il decreto Quam singulari Christus amore con il quale ripristinò l’età della prima comunione e della prima confessione dei bambini all’età dell’uso della ragione, cioè intorno ai sette anni.
Tale età era stata fissata dai concili Lateranense IV (1215) e Tridentino (13ª Sessione, 1551-1552); successivamente era stata modificata per influsso del giansenismo.
Il 1º novembre 1911 Pio X promulgò il nuovo Breviario con la bolla Divino Afflatu.
Il Breviario romano approvato da Pio V nel 1568 venne riformato: in particolare fu ripristinando l’antico uso di recitare ogni settimana i 150 salmi, cambiando interamente la disposizione del salterio.
Ai primi del Novecento il tango, ballo sensuale importato dall’Argentina, cominciava a sottrarre spazio in Europa al valzer e alla polka. Di fronte alle interdizioni richieste dalle autorità ecclesiastiche parigine, si narra che Pio X desse disposizioni affinché una coppia di ballerini di tango gli fornisse un’idea precisa del nuovo ballo, per valutarne direttamente, di persona, gli aspetti scandalosi. Avvenuta l’esibizione riservata di danza, il sommo Pontefice avrebbe detto:
«Mi me pàr che sia più bèo el bàeo a ‘ea furlana; ma no vedo che gran pecài ghe sia in stò novo bàeo!» |
(A me sembra che sia più bello il ballo della furlana; ma non vedo che grandi peccati vi siano in questo nuovo ballo!) |
Dispose perciò la revoca della sanzione ecclesiastica prevista per chi lo avesse praticato. L’episodio ha ispirato anche una nota poesia (Tango e Furlana) di Trilussa.
Con l’enciclica Il Fermo Proposito dell’11 giugno 1905 il pontefice allenta le restrizioni del Non expedit (ossia il fermo divieto per tutti i cattolici italiani di partecipare alla vita politica) di papa Pio IX, soprattutto per arginare i consensi verso le forze socialiste. Pio X, nel testo dell’enciclica, elargisce la “benigna concessione” di dispensarli da tale divieto, specialmente nei “casi particolari” in cui essi ne riconoscano “la stretta necessità pel bene delle anime e per la salvezza delle loro chiese”; e li invita anzi a perseguire la seria attività “già lodevolmente spiegata dai cattolici per prepararsi con una buona organizzazione elettorale alla vita amministrativa dei Comuni e dei Consigli provinciali”, così da favorire e promuovere “quelle istituzioni che si propongono di ben disciplinare le moltitudini contro l’invadenza predominante del socialismo”.
Pio X ebbe a confrontarsi con il problema della separazione tra Stato e Chiesa, che emerse in Francia con l’entrata in vigore della legge del 9 dicembre 1905, nella quale si concentravano gli intenti fondamentali della politica antireligiosa e massonica della terza Repubblica e in particolare del governo di Émile Combes. A partire dal 1880 si erano registrati in Francia una serie di provvedimenti antireligiosi tendenti alla dissoluzione delle congregazioni religiose, di espulsione dei religiosi regolari: insegnanti, personale infermieristico e così via.
Pio X si mostrò assai meno conciliante verso questa politica fortemente anticlericale rispetto al proprio predecessore, nonostante la maggioranza dei vescovi francesi gli consigliasse di piegarsi alla nuova legge. La legge emanata dal governo francese segnò il culmine di tale politica, decretando unilateralmente l’abrogazione del concordato del 1801.
Nel 1906 Pio X con l’enciclica Vehementer Nos dell’11 febbraio, l’allocuzione concistoriale Gravissimum del 21 febbraio e l’enciclica Gravissimo Officii Munere del 10 agosto, proibì ogni attività collaborativa all’applicazione della nuova legge.
L’ostilità del Pontefice alla nuova normativa francese compromise la creazione delle associations culturelles, previste dalla legge del 1905, alle quali avrebbe dovuto essere trasferito il patrimonio della Chiesa. Prendendo a pretesto tale opposizione lo Stato francese incamerò gli ingenti beni immobili ecclesiastici. La situazione sarebbe mutata soltanto nel 1923 con la creazione delle “associations diocésaines”.
Analoghe tensioni si registrarono con il Portogallo, dopo l’avvento in quel Paese, nel 1910, della repubblica guidata da gruppi di potere anticlericali massonici. Pio X rispose con l’enciclica Iamdudum.
In occasione della guerra italo-turca, la Santa Sede mantenne un atteggiamento neutrale, preoccupata e infastidita soprattutto dall’utilizzo della religione come giustificazione dell’impresa coloniale italiana. Mentre in Italia veniva condotta una politica anticlericale in cui la religione era esclusa dalla vita pubblica e dall’istruzione, come notò L’Osservatore Romano, nel proclama indirizzato agli arabi di Libia il generale Carlo Caneva aveva presentato l’intervento italiano come un intervento di liberazione dei libici dalla dominazione, con cui l’Italia si ergeva a protettore dei musulmani, con numerosi richiami a Dio e la citazione di un versetto del Corano.
Il proclama fu criticato duramente da La Civiltà Cattolica, secondo cui i sentimenti religiosi in bocca alle autorità italiane erano «una finzione e una brutta azione di politica obliqua».
In particolare la posizione della Santa Sede deprecò in modo energico l’utilizzo della religione per fini esclusivamente politici e papa Pio X non desiderava che l’impresa coloniale italiana assumesse i connotati di una guerra di religione fra musulmani e cristiani. Questa posizione neutrale e a favore della pace gettò le basi per l’atteggiamento che la Santa Sede manterrà in occasione dei due conflitti mondiali con Benedetto XV e Pio XII, che faranno del principio di neutralità della Santa Sede il cardine della politica della Santa Sede nel conflitto tra potenze belligeranti.
La posizione vaticana affrontava un difficile equilibrio tra le spinte dei cattolici italiani convinti dalla propaganda nazionalista e ricattati dagli anticlericali che li giudicavano refrattari agli interessi nazionali. Numerosi vescovi si espressero in modo entusiastico in occasione della benedizione dei soldati che partivano per la Libia e furono richiamati dalla Segreteria di Stato, che raccomandò confidenzialmente atteggiamenti sobri e moderati. In difficoltà si trovò pure il delegato apostolico presso l’Impero ottomano, mons. Vincenzo Sardi, che doveva difendere la pericolosa posizione dei cristiani d’Oriente e dei religiosi presenti soprattutto in Terra Santa, che dovette subire schermaglie diplomatiche da parte del governo turco, fra cui la proibizione di inviare telegrammi cifrati in Vaticano.[22]
Proprio nei primi giorni della prima guerra mondiale, Pio X morì per una cardiopatia (probabilmente di pericardite) il 20 agosto 1914 alle ore 1:15. Si dice anche che qualche tempo prima della morte abbia detto più volte sconsolato: “Verrà il guerrone” ossia la Grande Guerra.
Secondo le norme del diritto canonico, il 19 maggio 1944 fu effettuata la prima ricognizione delle spoglie mortali, trascorse tre decadi dalla data di morte. Il corpo era intatto in assenza di trattamenti post-mortem, quali l’imbalsamazione, secondo le volontà espresse dal Sommo Pontefice, che aveva esplicitamente rifiutato tali pratiche, e in conformità alla legge e all’uso ebraico. I resti erano conservati in una teca di bronzo fusa dalla Fonderia Artistica Ferdinando Marinelli di Firenze, esposta in san Pietro.
All’evento erano presenti l’allora mons. Alfredo Ottaviani e il cardinale Nicola Canali.
Nel giugno del 1951, le sue reliquie furono trasferite presso la porta prospiciente il pronao della Basilica di san Pietro ed esposte alla venerazione dei fedeli, in vista della sua proclamazione a beato.
Pio X fu beatificato il 3 giugno 1951 e canonizzato il 29 maggio 1954 durante il pontificato di Pio XII, la festa fu fissata al 3 settembre e coloro che seguono il calendario del Vetus Ordo Missae lo festeggiano dunque in tale data. Il calendario del Novus Ordo Missae la prevede il 21 agosto. La sua salma è tumulata all’interno della Basilica di San Pietro in Vaticano. È il patrono della Fraternità sacerdotale San Pio X ed è anche compatrono secondario della città di Venezia in ricordo di quegli anni trascorsi come Patriarca.
La prima Messa nella festa di San Pio X fu celebrata il 3 settembre 1955 a Trieste, in occasione del Congresso Nazionale della Federazione Universitaria Cattolica Italiana.
Encicliche di Pio X
- E Supremi(4 ottobre 1903): sulla restaurazione di tutte le cose in Cristo.
- Ad Diem Illum Laetissimum(2 febbraio 1904): sull’Immacolata Concezione di Maria.
- Iucunda Sane(12 marzo 1904): su papa Gregorio I.
- Acerbo Nimis(15 aprile 1905): sull’insegnamento della dottrina cristiana.
- Il Fermo Proposito(11 giugno 1905): sull’istituzione e lo sviluppo dell’Azione Cattolica.
- Vehementer Nos(11 febbraio 1906): sulla laicità dello Stato in Francia.
- Tribus Circiter(5 aprile 1906): sui mariaviti o preti mistici della Polonia.
- Pieni l’Animo(28 luglio 1906): sul clero in Italia.
- Gravissimo Officii Munere(10 agosto 1906): sulle associazioni di culto in Francia.
- Une Fois Encore(6 gennaio 1907): sulla separazione tra Chiesa e Stato.
- Pascendi Dominici Gregis(8 settembre 1907): sugli errori del modernismo.
- Communium Rerum(21 aprile 1909): su sant’Anselmo d’Aosta.
- Editae Saepe(26 maggio 1910): su san Carlo Borromeo.
- Iamdudum(24 maggio 1911): sulla legge di separazione fra Chiesa e Stato in Portogallo.
- Lacrimabili Statu(7 giugno 1912): sugli indigeni del Sudamerica.
- Singulari Quadam(24 settembre 1912): sulle organizzazioni dei lavoratori.