… il VECCHIO FARISEO COMMENTA….
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Dal Vangelo secondo Luca 7,1-10
In quel tempo, Gesù, quando ebbe terminato di rivolgere tutte le sue parole al popolo che stava in ascolto, entrò in Cafàrnao. Il servo di un centurione era ammalato e stava per morire. Il centurione l’aveva molto caro. Perciò, avendo udito parlare di Gesù, gli mandò alcuni anziani dei Giudei a pregarlo di venire e di salvare il suo servo. Costoro, giunti da Gesù, lo supplicavano con insistenza «Egli merita che tu gli conceda quello che chiede – dicevano –, perché ama il nostro popolo ed è stato lui a costruirci la sinagoga». Gesù si incamminò con loro. Non era ormai molto distante dalla casa, quando il centurione mandò alcuni amici a dirgli «Signore, non disturbarti! Io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto; per questo io stesso non mi sono ritenuto degno di venire da te; ma di’ una parola e il mio servo sarà guarito. Anch’io infatti sono nella condizione di subalterno e ho dei soldati sotto di me e dico a uno “Va’!”, ed egli va; e a un altro “Vieni!”, ed egli viene; e al mio servo “Fa’ questo!”, ed egli lo fa». All’udire questo, Gesù lo ammirò e, volgendosi alla folla che lo seguiva, disse «Io vi dico che neanche in Israele ho trovato una fede così grande!». E gli inviati, quando tornarono a casa, trovarono il servo guarito. Parola del Signore
Mediti…AMO
Giovanni Crisostomo (Antiochia di Siria, 344/354 – Comana Pontica, 14 settembre 407) teologo greco antico. Fu arcivescovo di Costantinopoli.
È commemorato come santo dalla Chiesa cattolica, dalla Chiesa ortodossa e dalle Chiese ortodosse orientali; è uno dei 36 Dottori della Chiesa Cattolica.
Fu annunziatore fedele della parola di Dio, come presbitero ad Antiochia (386-397) e come vescovo a Costantinopoli (397-404).
Qui si dedicò all’evangelizzazione e alla catechesi, all’opera liturgica, caritativa e missionaria.
L’anafora (preghiera) eucaristica da lui rielaborata in forma definitiva sull’antico schema antiocheno è ancor oggi la più diffusa in tutto l’Oriente.
Nella sua opera di maestro e dottore ha rilievo il commento alle Scritture, specialmente alle lettere paoline, e il suo contributo alla dottrina eucaristica.
La sua eloquenza, le sue doti retoriche nell’omiletica gli valsero successivamente l’epiteto “chrysóstomos” (in greco antico χρυσόστομος), letteralmente «bocca d’oro».
Il suo zelo e il suo rigore furono causa di forti opposizioni alla sua persona. Dovette subire un doppio esilio e durante un trasferimento morì.
Come filosofo e teologo, Giovanni è poco originale ma riecheggia – e trasferisce efficacemente nell’omiletica – temi della tradizione patristica greca e soprattutto della scuola antiochena. La sua personalità è quella di un uomo innamorato della morale, vissuta come “amore in atto”, desideroso di riformare la vita cristiana, secondo l’ideale delle primitive comunità cristiane concepite nello schema del cenobitismo.
Giovanni morì il 14 settembre del 407 a Comana, nel Ponto, durante il viaggio di trasferimento. Secondo la tradizione, le sue ultime parole furono:
(EL)
«Δόξα τῷ θεῷ πάντων ἕνεκα.» |
(IT)
«gloria a Dio in tutte le cose» |
Nel 438, sotto l’imperatore Teodosio II, dietro iniziativa dell’arcivescovo Proclo, le sue spoglie furono portate solennemente a Costantinopoli e sepolte nella chiesa dei Santi Apostoli.
Secondo una tradizione, non confermata dalle fonti, le reliquie di san Giovanni sarebbero giunte a Roma all’epoca della quarta crociata, dopo il sacco di Costantinopoli del 1204, e furono collocate nella basilica vaticana, in cui tuttora sono conservate.
Nel 1568 fu proclamato Dottore della Chiesa da papa Pio V, che lo inserì nel Breviario Piano insieme a san Basilio, Sant’Atanasio, san Gregorio Nazianzeno.
Oltre a questi quattro santi delle Chiese Orientali, nel 1567 lo stesso Pontefice aveva proclamato anche Tommaso D’Aquino quale Dottore della Chiesa.
Nel novembre 2004 papa Giovanni Paolo II fece dono al patriarca di Costantinopoli Bartolomeo I di una parte delle reliquie di san Giovanni Crisostomo venerate in Vaticano.
Ma veniamo al testo evangelico di Luca.
Siamo a Cafàrnao, nella Palestina settentrionale, in una città di confine del piccolo regno di Erode Antipa, intorno agli anni trenta. Piccola ma ben organizzata:
- C’è l’ufficio doganale, a cui era preposto il pubblicano Levi (Mc 2,13ss);
- ci sono varie aziende familiari dedite alla pesca, come quella di Simone e Andrea o quella di Giacomo e Giovanni, figli di Zebedeo;
- c’è acquartierata a Cafàrnao, in pianta stabile, una guarnigione di soldati comandata da un centurione, appartenente alla Legio X’ “Fretensis”, di Augusto, voluta da Ottaviano e annomata “Decima” per ricordare e celebrare l’invincibile Legio X di Giulio Cesare.
Essa giocò un ruolo importante nella crocifissione di Gesù, nella prima guerra giudaica (66–70. Anche se continuò con strascichi fino al 73 con la presa della fortezza di Masada) e nell’assedio di Gerusalemme e la conseguente distruzione del tempio di Gerusalemme, avvenuta il 9 agosto 70, e il vessillo della “Fretensis” venne alzato sulla Porta Orientale.
Una guerra che costò 1.100.000 morti, anche a causa della peste e della fame, CAUSATE DALL’ASSEDIO.
In questa guarnigione della X^ Legione, è inquadrato un centurione, del quale ci parla l’episodio odierno. Non conosciamo le sue origini, se non che forse si chiamava “Decio”. Probabilmente era un veterano valoroso che era inquadrato nell’esercito romano e che aveva alle sue dipendenze una centuria, circa duecento-trecento uomini, con la quale presidiava il territorio di Cafarnao.
Di questo centurione ci è detto che ha un servo che è come un figlio per lui, e che questo figlio, si è ammalato gravemente.
L’episodio biblico non è legato innanzitutto alla guarigione miracolosa di un uomo, ma dalla straordinaria fede e umanità di un centurione romano, non credente, PAGANO, esperto della struttura imperiale, che ben conosceva l’autorità che conferiva il potere di comandare e farsi obbedire e che rendeva possibile non controllare l’avvenuta esecuzione di ciò che era stato ordinato.
Ed ecco la mia tristezza… anche leggendo il vangelo possiamo cadere nella grande tentazione di pensare che da una parte ci sono i buoni e dall’altra parte i cattivi.
Certamente i romani, soprattutto nella narrazione evangelica, non sono personaggi che collocheremmo tra i buoni, fosse anche soltanto per il fatto che è per mano loro, ed in particolare, per quelli di questa Legione X’, che Gesù viene crocifisso.
Ma come al solito, fortunatamente, il vangelo ci sbaraglia perché ci dice che possiamo trovare buoni lì dove siamo abituati a trovare cattivi, e cattivi lì dove siamo abituati a trovare i buoni. Basti pensare alla storia del tradimento di Giuda o al rinnegamento di Pietro.
E il vangelo ci mette davanti alla meravigliosa delicatezza e alla tenera fede di un centurione romano, che non solo ha a cuore un suo servo, ma si affida all’intercessione di alcuni anziani dei Giudei per ottenere la guarigione di questo suo inserviente.
Gesù raccoglie l’umiltà e la premura di quest’uomo e si mette in cammino verso la sua casa:
“Non era ormai molto distante dalla casa quando il centurione mandò alcuni amici a dirgli: «Signore, non stare a disturbarti, io non son degno che tu entri sotto il mio tetto; per questo non mi sono neanche ritenuto degno di venire da te, ma comanda con una parola e il mio servo sarà guarito»”.
Meraviglioso esempio, questo centurione romano: ha una fede così grande nell’autorità di Gesù che non vuole da Lui nemmeno un segno esterno per essere rassicurato nel fatto che sarà ascoltato nella sua preghiera.
Mi torna alla mente e mi scendono le lacrime quando ripenso a quel meraviglioso colossal di Franco Zeffirelli, il “Gesù di Nazareth”, dove è descritta in modo magisteriale, quasi come una pennellata di poesia la scena di quest’incontro, ove il centurione è meravigliosamente interpretato da Ernest Borgnine e Gesù dal grande Robert Powell. Mi piace l’espressione del volto che ci regala Ernest Borgnine, dall’incontro con Gesù ed al momento in cui apprende della guarigione del suo amato servo\figlio (ovviamente nel brano parallelo di Matteo al capitolo 8,8).
A QUESTO SCONOSCIUTO CENTURIONE, SBALZATO SUL PALCOSCENICO DELL’ETERNITÀ, Gesù regala uno dei complimenti più grandi di tutto il vangelo «Io vi dico che neanche in Israele ho trovato una fede così grande!».
Ecco perché è la fede di quest’uomo che è il centro del miracolo.
Ma voglio evidenziare anche la grande differenza che c’è fra l’atteggiamento dei notabili di Cafarnao che “raccomandano” il centurione romano e lo stesso centurione!
- I primi cercano di convincere Gesù perché l’ufficiale è un buon benefattore e va accontentato,
- il secondo chiede aiuto al Maestro non per sé, ma per un suo subalterno che non conta nulla!
- I primi mettono il calcolo e il tornaconto al centro delle loro scelte,
- il secondo, pagano, ha colto l’essenziale del vangelo mostrando come la preghiera sia anzitutto dono di sé a Dio per chi ci sta accanto.
E Gesù, mostrando uno sguardo stupito loda pubblicamente la fede del centurione romano e del suo atteggiamento gentile e timoroso di disturbare.
Ma che manifesta una FEDE INCROLLABILE, e LA FIDUCIA -GRANITICA- CHE, QUALUNQUE COSA ACCADA, CERTAMENTE IL SUO SERVO SARÀ GUARITO.
IMMAGINATE QUANTO È GRANDE L’ESEMPIO CHE CI REGALA QUESTO CENTURIONE, che ha il privilegio di entrare, con le sue parole e la sua fede, addirittura all’interno dei RITI DI COMUNIONE, SUBITO DOPO LA PREGHIERA EUCARISTICA, PER I SECOLI ETERNI, e che costituisce la preparazione ultima prima di ricevere sacramentalmente il corpo ed il sangue di Cristo nella Messa.
Infatti subito dopo la preghiera eucaristica, CON LA PRESENZA DI GESÙ SULL’ALTARE:
- ci rivolgiamo insieme a Dio chiamandolo Padre;
- poi riceviamo e ci scambiamo il dono della pace, primo dono del Risorto;
- dopo avviene la frazione del pane eucaristico accompagnata dal canto dell’“Agnus Dei”;
- infine arriviamo alle parole, recitate prima dal solo sacerdote durante l’ostensione dell’ostia consacrata spezzata:
- «Ecco l’Agnello di Dio, ecco colui che toglie i peccati del mondo. Beati gli invitati alla cena dell’Agnello.
- E insieme al popolo, il sacerdote ripete le parole del Centurione: O SIGNORE, IO NON SONO DEGNO DI PARTECIPARE ALLA TUA MENSA: MA DÌ SOLTANTO UNA PAROLA ED IO SARÒ SALVATO».
L’Ordinamento Generale del Messale Romano, parlando dei riti di comunione, al numero 84 indica il senso preciso di queste parole «…il sacerdote mostra ai fedeli il pane eucaristico… li invita al banchetto di Cristo… insieme con loro esprime sentimenti di umiltà, servendosi delle prescritte parole evangeliche».
LA CHIESA HA SCELTO, COME ULTIMO MOMENTO IN PREPARAZIONE AL RICEVIMENTO DELL’EUCARISTIA, DI RIPRENDERE LE PAROLE DEL CENTURIONE ROMANO DI CAFARNAO QUANDO CHIESE A GESÙ DI GUARIRE IL SUO SERVO FEDELE, PURTROPPO PARALIZZATO E MOLTO SOFFERENTE: «SIGNORE, IO NON SONO DEGNO CHE TU ENTRI SOTTO IL MIO TETTO, MA DÌ SOLTANTO UNA PAROLA E IL MIO SERVO SARÀ GUARITO» (Mt 8,8).
L’atteggiamento di estrema umiltà e di profonda fiducia che caratterizzò la domanda di questo ufficiale pagano nel richiedere l’intervento salvifico di Cristo nella sua casa – una vera e propria professione di fede – VUOLE E DEVE ESSERE L’ATTEGGIAMENTO DI TUTTI NOI, SACERDOTI E FEDELI (infatti queste parole vengono dette insieme dal sacerdote e dal popolo di Dio) nel momento in cui si sta per ricevere il Signore nel nostro cuore.
Il Centurione, con grande convinzione ci insegna che nessuno di noi è «degno» di Gesù. Nessuno di noi è degno della sua presenza e del suo amore. Ma TUTTI SAPPIAMO, GRAZIE ALLA FEDE, che ci basta anche solo un suo cenno, una parola, un solo sguardo ed Egli ci può salvare.
Formule simili, immediatamente prima della comunione, appaiono già dal X secolo; gradualmente si afferma, dall’XI secolo in poi – anche se con diverse varianti – la preghiera del centurione romano, solitamente recitata tre volte.
Dopo la riforma liturgica, il Messale di Paolo VI del 1970 HA CONSERVATO QUESTE PAROLE, MA PRONUNCIANDOLE UNA SOLA VOLTA ED OMETTENDO LA PERCUSSIONE DEL PETTO ED IL SEGNO DI CROCE CON L’OSTIA, GESTI USATI SICURAMENTE DAL XV SECOLO.
Ancora oggi, dopo tantissimo tempo, tutti noi ci affidiamo alle parole evangeliche di quest’uomo per rinnovare il nostro atteggiamento di umiltà e di FEDE sperando di poter ottenere, come lui, il miracolo della salvezza.
La FEDE allora è questa verifica. È il nostro riconoscersi, NELLA FEDE, in un cammino nella storia della nostra vita, DOVE SI REALIZZA LA PAROLA.
E QUESTO PERCHÉ LA FEDE È UN CAMMINO AL VERO APPOGGIATO AD UNA PAROLA, pur spesso umanamente assurda e in contrasto con l’evidenza.
L’ANNUNCIO DELL’EVANGELO SVELA SEMPRE UN IMPOSSIBILE CHE SI FA POSSIBILE, un figlio nato da una carne sterile, il concepimento in un seno vergine, la guarigione di chi è ormai senza speranza, il perdono dei peccati e la possibilità reale d’una vita nuova nella sequela del Signore.
Nell’annuncio appare sempre la vita trionfante sulla morte. LA PAROLA È LA VITA E IL SUO ANNUNCIO NE ATTESTA IL COMPIMENTO.
Ascoltare e credere è andare a vedere il prodigio operato dalla Parola e verificarlo, per poi testimoniarlo:
- Abramo esce dalla sua terra e spera contro ogni speranza.
- Mosè lancia il popolo nel mare,
- Maria corre da Elisabetta, i discepoli lasciano tutto e seguono il Signore,
- il centurione va forte della Parola del Cristo, e riceve la guarigione del servo, da sempre figlio.
Vi è dunque un cammino in discesa da percorrere, che è COME UNA SCALA CHE CONDUCE ALLE ACQUE DEL NOSTRO BATTESIMO; UNA NOTTE DA ATTRAVERSARE, nella TREPIDAZIONE, nella SPERANZA, nel DESIDERIO, nella STANCHEZZA, nello SCORAMENTO…. PER INCONTRARE LA LUCE DELLA RISURREZIONE, LA VITA NUOVA IN CRISTO.
E questo deve avvenire in un tempo ben preciso che ci è donato: questa giornata che si dischiude dinanzi ai nostri occhi, ove risuonano cristalline le Sue orme, la Sua Parola, ascoltata, SERBATA NEL CUORE, meditata, pregata E POI OBBLIGATORIAMENTE PROCLAMATA.
Un crinale di morte si spalanca ogni giorno davanti a noi, caratterizzato da una reale situazione di preoccupazione, di precarietà, di solitudine, di angoscia:
- quel letto d’ospedale,
- quelle analisi,
- quel fidanzato che se n’è andato,
- quel figlio che sembra perduto,
- quel lavoro stressante,
- il timore nell’aprirsi alla vita dopo cinque parti cesarei,
- le angherie sul lavoro,
- la fatica dei pomeriggi sui libri mentre fuori sboccia la primavera.
- Il genitore o il figlio che sì è suicidato…
PERCHÉ È SOLO SCENDENDO NELLA FRAGILITÀ DELLA NOSTRA UMANITÀ, CHE IMPARIAMO AD ASCOLTARE, AD OBBEDIRE, NELLA LIBERTÀ. SE LO FACCIAMO ALLORA NON SIAMO PIÙ DISPERATI, PERCHÉ SAPPIAMO CHE POSSIAMO SCENDERE NELLE TENEBRE DELLA STORIA PIÙ BUIA, PERCHÉ NON SIAMO SOLI, MA BEN AGGRAPPATI ALLA SUA PAROLA CHE SCENDE CON NOI.
San Massimo il Confessore (580-662 d.C., monaco cristiano e teologo bizantino, venerato come santo dalle Chiese cattolica e ortodossa che lo ricordano il 13 agosto. È chiamato il Confessore perché i fautori del monotelismo, senza martirizzarlo, gli tagliarono la lingua e la mano destra con le quali egli aveva per parola e per iscritto difeso l’ortodossia della fede cattolica), nella sua opera “La vita di Maria”, al n.89 ci dice
- Anche quando la Parola non si ode più: “È senza parola la Parola del Padre, che ha fatto ogni creatura che parla; senza vita sono gli occhi spenti di colui alla cui parola e al cui cenno si muove tutto ciò che ha vita”.
Il futuro Papa Benedetto XVI’, allora Cardinal Joseph Ratzinger, nella sua “Meditazione sul sabato santo” dice:
- Entrare nella notte oscura della vita per sperimentare il potere straordinario della Parola che si è fatta silenzio per dare una Parola di vita al silenzio delle speranze umane. “Il mistero più oscuro della fede è nello stesso tempo il segno più chiaro di una speranza che non ha confini. Solo attraverso il silenzio di morte del Sabato santo, i discepoli poterono essere portati alla comprensione di ciò che era veramente Gesù. Dio doveva morire per essi perché potesse realmente vivere in essi. Noi abbiamo bisogno del silenzio di Dio per sperimentare nuovamente l’abisso della sua grandezza e l’abisso del nostro nulla che verrebbe a spalancarsi se non ci fosse lui… C’è un’angoscia che non può essere superata mediante la ragione, ma solo con la presenza di una persona che ci ama. La solitudine insuperabile dell’uomo è stata superata dal momento che Egli si è trovato in essa. A partire dal momento in cui nello spazio della morte si dà la presenza dell’amore, allora nella morte penetra la vita.
Sì, l’odore di morte, la sofferenza, le delusioni, non ci sono estranee. Questa nostra vita scorre in una “valle di lacrime”, ed è inutile ogni alienazione. Eppure ad ogni lacrima è data una Parola. Tutte sono raccolte nelle Sue mani, in ciascuna v’è un seme di vita. Anche laddove sembra impossibile. Scendere oggi dove Lui è già sceso, quel sepolcro che ci spaventa ci consegna la vita invece della morte. “Cristo ha oltrepassato la porta della solitudine, è disceso nel fondo irraggiungibile e insuperabile della nostra condizione di solitudine. Nella notte estrema nella quale non penetra alcuna parola, nella quale noi tutti siamo come bambini cacciati via, piangenti, si dà una voce che ci chiama, una mano che ci prende e ci conduce”.
Allora, Fratelli e Sorelle, comprendete bene che scendere e riconoscere che proprio nell’istante in cui ci era stata annunciata la parola ed avevamo ascoltato l’invito a scendere nella storia di dolore e morte che ci attendeva, IN QUEL MOMENTO LA PAROLA AVEVA GIÀ OPERATO IL PRODIGIO: DOVE LA CARNE AVEVA VISTO LA MORTE, LO SPIRITO AVEVA DISCHIUSO LA VITA.
E di conseguenza il matrimonio che credevamo fallito, il lavoro senza senso, la malattia ormai terminale, l’amicizia tradita, la malattia preludio ormai di morte, ci portano a verificare il potere della Parola predicata dalla Chiesa, CHE È SPIRITO E VITA.
SE CI CREDIAMO… sigh…
Ragioniamoci sopra…
Sia Lodato Gesù, il Cristo!