San Francesco d’Assisi
Religioso, Patrono d’Italia. | |
Nascita | Assisi, 1181 o 1182 |
Morte | Assisi, 3 ottobre 1226 |
Venerato da | Chiesa cattolica, Comunione anglicana |
Canonizzazione | Assisi, 16 luglio 1228, da papa Gregorio IX |
Santuario principale | Basilica di San Francesco, Assisi |
Ricorrenza | 4 ottobre, 17 settembre (le stigmate) |
Attributi | Crocefisso, teschio, stigmate, saio, animali, croce a Tau |
Patrono di | Italia, Umbria, animali, poeti, commercianti, Ordine dei frati minori cappuccini, Lupetti/Coccinelle, ecologisti |
Francesco d’Assisi, nato Giovanni di Pietro di Bernardone (Assisi, 1181/1182– Assisi, 3 ottobre 1226), è stato un religioso e poeta italiano. Diacono e fondatore dell’ordine che da lui poi prese il nome (Ordine Francescano), è venerato come santo dalla Chiesa cattolica e dalla Comunione anglicana; proclamato, assieme a santa Caterina da Siena, patrono principale d’Italia il 18 giugno 1939 da papa Pio XII, il 4 ottobre ne viene celebrata la memoria liturgica in tutta la Chiesa cattolica (festa in Italia; solennità per la Famiglia francescana).
Profondamente ascetico, era conosciuto anche come “il poverello d’Assisi” per via della sua scelta di spogliarsi di ogni bene materiale e condurre una vita minimale, in totale armonia di spirito.
Oltre all’opera spirituale, Francesco, grazie al Cantico delle creature, è riconosciuto come uno degli iniziatori della tradizione letteraria italiana.
Il cardinale Jorge Mario Bergoglio, eletto Papa nel conclave del 2013, ha assunto, primo nella storia della Chiesa, il nome pontificale Francesco proprio in onore del santo di Assisi.
La città di Assisi, a motivo del suo illustre cittadino, è assurta a simbolo di pace, soprattutto dopo aver ospitato i quattro grandi incontri tra gli esponenti delle maggiori religioni del mondo, promossi da papa Giovanni Paolo II nel 1986 e nel 2002, da papa Benedetto XVI nel 2011 e da papa Francesco nel 2016.
L’infanzia
Francesco, che aveva almeno un fratello di nome Angelo, nacque nel 1181 o nel 1182 da Pietro di Bernardone e, secondo testimonianze molto tardive, dalla nobile provenzale Madonna Pica, in una famiglia della borghesia emergente della città di Assisi che, grazie all’attività di commercio di stoffe, aveva raggiunto ricchezza e benessere. Sua madre lo fece battezzare con il nome di Giovanni (dal nome di Giovanni Battista) nella chiesa costruita in onore del patrono della città, il vescovo e martire Rufino, cattedrale dal 1036.
Tuttavia il padre decise di cambiargli il nome in Francesco, insolito per quel tempo, probabilmente in onore della Francia che aveva fatto la sua fortuna.
La sua casa, situata al centro della città, era provvista di un fondaco, utilizzato come negozio e magazzino per lo stoccaggio e l’esposizione delle stoffe che il mercante si procurava con i suoi frequenti viaggi in Provenza.
Il padre Pietro vendeva la sua pregiata merce in tutto il territorio del Ducato di Spoleto di cui, all’epoca, faceva parte anche la città di Assisi.
Le varie agiografie del santo non parlano molto della sua infanzia e della sua giovinezza: è comunque ragionevole ritenere che egli fosse stato indirizzato dal padre a prendere il suo posto negli affari della famiglia.
Dopo aver frequentato la scuola presso i canonici della cattedrale, nella chiesa di San Giorgio (dove, a partire dal 1257, venne costruita l’attuale basilica di Santa Chiara), a 14 anni Francesco si dedicò a pieno titolo all’attività del commercio.
Egli trascorreva la sua giovinezza tra le liete brigate degli aristocratici assisani e la cura degli affari paterni, riguardanti l’attività di commercio dei tessuti.
La guerra
Si ha memoria di una guerra che nel 1202 contrappose Assisi a Perugia. Tra le due città esisteva una rivalità irriducibile che si protrasse per secoli.
L’odio aumentò a causa dell’alleanza di Perugia con i guelfi, mentre Assisi parteggiò per la fazione dei ghibellini. Non fu una scelta felice quella degli assisani in quanto nel 1202 subirono una sconfitta e una cospicua perdita di uomini a Collestrada, vicino a Perugia.
Tra i giovani che parteciparono al conflitto, venne catturato e rinchiuso in carcere pure Francesco. L’esperienza della guerra e della prigionia lo sconvolse a tal punto da indurlo a un totale ripensamento della sua vita: da lì ebbe inizio un cammino di conversione, che col tempo lo portò «a vivere nella gioia di poter custodire Gesù Cristo nell’intimità del cuore».
Francesco, gravemente malato, dopo un anno di prigionia ottenne la libertà dietro il pagamento di un riscatto, a cui provvide il padre. Tornato a casa, recuperò gradatamente la salute trascorrendo molto tempo nei possedimenti del padre.
Secondo Tommaso da Celano furono questi luoghi appartati che contribuirono a risvegliare in lui un assoluto e totale amore per la natura, che vedeva come opera mirabile di Dio.
La conversione
Da un punto di vista storico le circostanze della conversione di San Francesco non sono state chiarite e si hanno notizie solo attraverso le agiografie e il testamento del Santo. Sembra che la sua volontà frustrata di farsi cavaliere e di partire per la crociata abbia avuto un ruolo importante, ma anche e soprattutto un crescente senso di compassione che gli ispiravano i deboli, gli ammalati e gli emarginati: questa compassione si sarebbe trasformata poi in una vera e propria “febbre d’amore” verso il prossimo.
Nel 1203-1204 Francesco pianificò di partecipare alla quarta crociata e quindi provò a raggiungere a Lecce la corte di Gualtieri III di Brienne, per poi muovere con gli altri cavalieri alla volta di Gerusalemme.
Partecipare come cavaliere a una crociata era a quel tempo considerato uno dei massimi onori per i cristiani d’Occidente. Tuttavia, giunto a Spoleto, si ammalò nuovamente; passò la notte nella chiesa di San Sabino e qui ebbe un profondo ravvedimento.
Avrebbe raccontato in seguito di essere stato persuaso da due rivelazioni notturne: nella prima egli scorse un castello pieno d’armi e udì una voce promettergli che tutto quello sarebbe stato suo.
Nella seconda sentì nuovamente la stessa voce chiedergli se gli fosse stato «più utile seguire il servo o il padrone»: alla risposta: «Il padrone», la voce rispose:
«Allora perché hai abbandonato il padrone, per seguire il servo?» |
Francesco rinunciò al proprio progetto e tornò ad Assisi; da allora egli non fu più lo stesso uomo. Si ritirava molto spesso in luoghi solitari a pregare.
Un giorno a Roma, dove venne mandato dal padre a vendere una partita di merce, non solo distribuì il denaro ricavato ai poveri, ma scambiò le sue vesti con un mendicante e si mise a chiedere l’elemosina davanti alla porta di San Pietro.
Pure il suo atteggiamento nei confronti delle altre persone mutò radicalmente: un giorno incontrò un lebbroso e, oltre a dargli l’elemosina, lo abbracciò e lo baciò.
Come racconterà lo stesso Francesco, prima di quel giorno non poteva sopportare nemmeno la vista di un lebbroso: dopo questo episodio, scrisse che
«ciò che mi sembrava amaro, mi fu cambiato in dolcezza d’anima e di corpo» |
(dal Testamento di san Francesco, 1226) |
Ma è nel 1205 che avvenne l’episodio più significativo della sua conversione: mentre pregava nella chiesa di San Damiano, raccontò di aver sentito parlare il Crocifisso, che per tre volte gli disse: «Francesco, va’ e ripara la mia casa che, come vedi, è tutta in rovina».
Dopo quell’episodio, le “stranezze” del giovane si fecero ancora più frequenti: fece incetta di stoffe nel negozio del padre e le vendette a Foligno assieme al suo cavallo; tornò a casa a piedi e offrì il denaro ricavato al sacerdote di San Damiano, affinché riparasse quella piccola chiesa in rovina; costui però, conoscendo il padre e temendo la sua ira, rifiutò la generosa offerta.
Pietro di Bernardone, forte della solidarietà della comunità d’Assisi, riteneva tradite non solo le sue aspettative di padre, ma giudicava il figlio, per la sua eccessiva generosità, in preda a uno squilibrio mentale.
Il processo davanti al vescovo
Bernardone cercò, all’inizio, di allontanare Francesco per nasconderlo ai pettegolezzi della gente, ma poi, di fronte all’irriducibile “testardaggine” del figlio nel non mutare il suo comportamento, decise di denunciarlo ai consoli per farlo arrestare, non tanto per il danno oneroso subito, quanto piuttosto per la segreta speranza che, sotto la pressione della punizione e della condanna dalla città, il ragazzo cambiasse atteggiamento.
Il giovane, però, si appellò a un’altra autorità: fece ricorso al vescovo. Il processo si svolse così nel mese di gennaio (o febbraio) del 1206, nel Palazzo Vescovile; «tutta Assisi» fu presente al giudizio.
Francesco, non appena il padre ebbe finito di parlare,
«non sopportò indugi o esitazioni, non aspettò né fece parole; ma immediatamente, depose tutti i vestiti e li restituì al padre […] e si denudò totalmente davanti a tutti dicendo al padre: “Finora ho chiamato te, mio padre sulla terra; d’ora in poi posso dire con tutta sicurezza: Padre nostro che sei nei cieli, perché in lui ho riposto ogni mio tesoro e ho collocato tutta la mia fiducia e la mia speranza”.» |
Francesco dava così inizio a un nuovo percorso di vita e il vescovo Guido, che lo coprì pudicamente agli sguardi della folla, manifestava simbolicamente la protezione e l’accoglienza di Francesco nella Chiesa.
Il soggiorno a Gubbio
Da uomo nuovo Francesco cominciò il suo viaggio: nell’inverno 1206 partì per Gubbio, dove il giovane aveva da sempre diversi amici, tra cui Federico Spadalonga, il quale aveva condiviso con Francesco anche la prigionia nelle carceri di Perugia.
Federico lo accolse benevolmente nella sua casa (laddove oggi sorge una chiesa dedicata a San Francesco), lo sfamò e, a quanto pare, fu qui che Francesco si vestì del saio, rifiutando vestiti ben più lussuosi offerti dall’amico.
Ospite degli Spadalonga, Francesco «amante di ogni forma di umiltà, si trasferì dopo pochi mesi presso i lebbrosi restando con loro e servendo a loro tutti con somma cura.» Si trattava del lebbrosario di Gubbio, che era intitolato a san Lazzaro di Betania.
Nel suo Testamento Francesco disse chiaramente che la vera svolta verso la piena conversione ebbe inizio per lui a Gubbio, quando si era accostato a queste persone bisognose.
Francesco non vi ebbe mai una fissa dimora, ma era solito predicare nelle campagne tra il comune umbro e Assisi.
Proprio nel contado eugubino, laddove sorgeva la chiesetta di Santa Maria della Vittoria, detta della Vittorina, e l’omonimo parco, San Francesco ammansì il famoso lupo di Gubbio. Sette anni dopo la conversione di Francesco (nel 1213), il beato Villano, Vescovo di Gubbio, già abate benedettino dell’abbazia di San Pietro, concesse ai frati di stabilire una loro sede nel comune.
I primi compagni e la predicazione
Arrivata l’estate e placatosi lo scandalo sollevato dalla rinuncia ai beni paterni, Francesco ritornò ad Assisi.
Per un certo periodo se ne stette solo, impegnato a riparare alcune chiese in rovina, come quella di San Pietro (al tempo, fuori dalle mura), la Porziuncola a Santa Maria degli Angeli e San Damiano.
I primi anni della conversione furono caratterizzati dalla preghiera, dal servizio ai lebbrosi, dal lavoro manuale e dall’elemosina.
Francesco scelse di vivere nella povertà volontaria e, ispirandosi all’esempio di Cristo, lanciò un messaggio di segno opposto a quello della società duecentesca, dalle facili ricchezze.
Francesco rinunciò alle attrattive mondane, vivendo gioiosamente come un “ignorante”, un “pazzo”, dimostrando come la sua obiezione ai valori egemoni della società secolare di allora potesse generare una perfetta letizia. In questo senso il suo esempio aveva un che di sovversivo rispetto alla mentalità del tempo.
Il 24 febbraio 1208, giorno di san Mattia, dopo aver ascoltato il passo del Vangelo secondo Matteo nella chiesetta Porziuncola, nella campagna di Assisi, Francesco sentì fermamente di dover portare la Parola di Dio per le strade del mondo. Incominciò così la sua predicazione, dapprima nei dintorni di Assisi.
Ben presto altre persone si aggregarono a lui e, con le prime adesioni, si formò il primo nucleo della comunità di frati. Il primo di essi fu Bernardo di Quintavalle, suo amico d’infanzia.
Tra gli altri si ricordano Senso III di Giotto Sensi, Pietro Cattani, Filippo Longo di Atri, frate Egidio, frate Leone, frate Masseo, frate Elia da Cortona, frate Ginepro. Insieme con i suoi compagni, Francesco cominciò a portare le sue predicazioni fuori dall’Umbria.
L’approvazione del Papa
Nel 1209, o secondo altri storici l’anno successivo, quando Francesco ebbe raccolto intorno a sé dodici compagni, si recò a Roma per ottenere l’autorizzazione della regola di vita, per sé e per i suoi frati, da parte di papa Innocenzo III.
Dopo alcune esitazioni iniziali, il Pontefice concesse a Francesco la propria approvazione orale per il suo «Ordo fratrum minorum»: a differenza degli altri ordini pauperistici, Francesco non contestava l’autorità della Chiesa, ma la considerava come “madre” e le offriva sincera obbedienza.
Francesco era la personalità necessaria, che poteva finalmente incanalare le inquietudini e il bisogno di partecipazione dei ceti più umili all’interno della Chiesa, senza porsi come antagonista a essa, quindi senza scivolare nella deriva dell’eresia.
Del testo presentato al Papa non è rimasta traccia. Gli studiosi pensano, tuttavia, che esso consistesse principalmente in brani tratti dal Vangelo che, col passare degli anni, insieme con alcune aggiunte, confluirono nella «Regola non bollata», che Francesco scrisse alla Porziuncola nel 1221.
Fondazione dei primi Conventi
Di ritorno da Roma, i frati si installarono in un “tugurio” presso Rivotorto, sulla strada verso Foligno, luogo scelto perché vicino a un ospedale di lebbrosi.
Tale posto, tuttavia, era umido e malsano, e i frati dovettero abbandonarlo l’anno successivo, stabilendosi presso la piccola badia di Santa Maria degli Angeli, sulla pianura del Tescio, in località Porziuncola.
Abbandonata in mezzo a un bosco di cerri, la badia venne concessa a Francesco e ai suoi frati dall’Abate della chiesa di San Benedetto del Subasio.
Vocazione di Chiara e fondazione dell’Ordine femminile
Questa nuova «forma di vita» attirò anche le donne: la prima fu Chiara Scifi, figlia del nobile assisiate Favarone di Offreduccio degli Scifi.
Fuggita dalla casa paterna la notte della Domenica delle Palme del 28 marzo del 1211 (o del 18 marzo del 1212), giunse il 29 marzo 1211 (o il 19 marzo 1212) a Santa Maria degli Angeli, dove chiese a Francesco di poter entrare a far parte del suo ordine, e dove all’alba ricevette l’abito religioso dal santo.
Francesco la sistemò per un po’ di tempo prima presso il monastero benedettino di Bastia Umbra, poi in quello di Assisi.
In seguito, quando altre ragazze (fra cui anche la sorella di Chiara, Agnese) seguirono il suo esempio, presero dimora nella chiesa di San Damiano e diedero inizio a quello che in futuro sarebbero state le clarisse, tra le quali si distinsero sante come Caterina da Bologna, Camilla Battista da Varano, Eustochia Calafato.
Negli stessi anni diede vita al convento di Montecasale, dove insediò una piccola comunità di seguaci e dove ripetutamente avrebbe fatto poi sosta nei suoi viaggi.
Confronto con il catarismo
Ben viva era all’epoca la vicenda dei catari, dichiarati eretici dalla Chiesa cattolica, i quali predicavano un dualismo Bene/Male portato alle estreme conseguenze.
Essi avevano avuto numerosi focolai nella vicina Toscana e si erano ridotti alla clandestinità dopo la sanguinosa crociata albigese del 1209.
Francesco avrebbe potuto essere scambiato per un cataro per la sua povertà e la predicazione ai ceti subalterni. Ma Francesco e i suoi seguaci si distinguevano in molteplici aspetti: innanzitutto essi non mettevano in dubbio la gerarchia della Chiesa. Francesco stesso infatti insisteva sulla necessità che si amassero e si rispettassero i sacerdoti.
Portato una volta davanti a un prete che viveva notoriamente in peccato, forse affinché cadesse in contraddizione (se egli non lo avesse denunziato si sarebbe potuto dire che era suo complice, se egli lo avesse fatto si sarebbe detto che Francesco non rispettava la gerarchia), Francesco si limitò a baciare le mani di quel sacerdote, “che toccano il corpo di Gesù Cristo”.
Infine la differenza tra l’avversione al “mondo della Materia” (il Creato) dei catari e l’amore per tutte le manifestazioni di vita di Francesco non poteva essere più stridente.
Lo stesso Cantico delle creature può essere letto come un perfetto trattato di teologia anti-catara, nonostante sia difficile da dimostrare quanto Francesco, sospettoso della sapienza dei libri, possa aver conosciuto la dottrina catara.
Uno dei valori da attribuire alla preposizione “per” sarebbe quello di “complemento d’agente” (Laudato sii mi’ Signore per (da) tutte le creature).
Il suo amore per la natura e gli animali (come la leggendaria predica agli uccelli in località Piandarca sulla strada che da Cannara si dirige a Bevagna) erano superati solo dall’amore verso gli esseri umani: la pace interiore per Francesco non era una semplice serenità, che implicava capacità di amore e di perdono, ma una naturale gioia di vivere:
«La sua carità si estendeva, con cuore di fratello, non solo agli uomini provati dal bisogno, ma anche agli animali senza favella, ai rettili, agli uccelli, a tutte le creature sensibili e insensibili. Aveva però una tenerezza particolare per gli agnelli, perché nella Scrittura Gesù Cristo è paragonato, spesso e a ragione, per la sua umiltà al mansueto agnello. Per lo stesso motivo, il suo amore e la sua simpatia si volgevano in modo particolare a tutte quelle cose che potevano meglio raffigurare o riflettere l’immagine di Dio» |
(Tommaso da Celano, Vita prima 77, in FF 455[35]) |
Crescita dell’ordine e viaggio in Egitto
Col tempo la fama di Francesco crebbe enormemente e crebbe notevolmente anche la schiera dei frati francescani.
Nel 1217 Francesco presiedette il primo dei capitoli generali dell’Ordine, che si tenne alla Porziuncola: questi sorsero con l’esigenza di impostare la vita comunitaria, di organizzare l’attività di preghiera, di rinsaldare l’unità interna ed esterna, di decidere nuove missioni, e si tenevano ogni due anni.
Con il primo fu organizzata la grande espansione dell’ordine in Italia e furono inviate missioni in Germania, Francia e Spagna.
Nel 1219, si recò verosimilmente ad Ancona per imbarcarsi per l’Egitto e la Palestina, dove da due anni era in corso la quinta crociata.
Durante questo viaggio, in occasione dell’assedio crociato alla città egiziana di Damietta, insieme con frate Illuminato ottenne dal legato pontificio (il benedettino portoghese Pelagio Galvani, cardinale vescovo di Albano), il permesso di passare nel campo saraceno e incontrare, disarmati, a loro rischio e responsabilità, lo stesso sultano ayyubide al-Malik al-Kāmil, nipote di Saladino.
Varie ipotesi sono state proposte per motivare lo scopo dell’incontro, secondo molti Francesco intendeva predicare al sultano il Vangelo, al fine di convertirlo e quindi mettere fine alle ostilità, per altri la sua volontà era solo quella di testimoniare senza finalità concrete.
Ricevuto con grande cortesia dal Sultano, ebbe con lui un lungo colloquio, al termine del quale Francesco dovette tornare nel campo crociato. Intorno a questo evento storico sono fiorite diverse leggende riguardanti il santo e la sua straordinaria capacità di convincere e convertire, anche se al-Malik al-Kāmil rimase musulmano, pur apprezzando Francesco ed elargendogli dei doni in segno di stima.
L’interpretazione del rapporto tra Francesco, l’Islam e le crociate non è facile ed è ancora oggetto di discussione, in quanto c’è contrapposizione tra chi vede la sua azione come un sostegno alle crociate o, al contrario, come una loro sconfessione.
La narrazione dell’incontro ci è pervenuta, oltre che tramite le opere di biografi francescani, anche attraverso altre testimonianze non tardive, sia cristiane sia arabe.
La versione fornitaci da San Bonaventura cita maltrattamenti subiti ad opera dei soldati saraceni e la difesa, da parte di Francesco, dell’operato dei crociati e la giustificazione della guerra agli islamici infedeli.
Nel racconto di Tommaso da Celano, Francesco suscitò profonda ammirazione nel sultano, che lo trattò con rispetto e gli offrì numerose ricchezze. Secondo la narrazione agiografica, Francesco subì anche la prova del fuoco, raffigurata in numerosi cicli dipinti.
La pacifica rivoluzione che il nuovo Ordine stava compiendo cominciò a essere palese a tutti. Incominciarono però anche i primi problemi: Francesco temeva che, ingrandendosi senza controllo, la fraternità dei Minori deviasse dai propositi iniziali.
Sia per le cattive condizioni di salite, sia per dare l’esempio e per potersi dedicare completamente alla sua missione, nel 1220 Francesco rinunciò al governo dell’Ordine in favore dell’amico e seguace Pietro Cattani, che però morì l’anno seguente.
Al successivo Capitolo Generale (detto «delle Stuoie», giugno 1221) venne scelto come vicario frate Elia.
Nel 1223, con la bolla Solet annuere, papa Onorio III approvò definitivamente la «Regola seconda» (che rispetto alla prima è più corta e contiene meno citazioni evangeliche), che fu redatta con l’aiuto del cardinale Ugolino d’Ostia (il futuro papa Gregorio IX).
La doppia stesura della regola a distanza ravvicinata testimonia un ripensamento a fronte di difficoltà nel progetto; Francesco, pur non condannando in sé né la ricchezza, né la sapienza, né il potere, si rendeva conto che i frati che liberamente avevano deciso di seguirlo e di seguire la sua regola di vita stavano diventando colti e accettavano doni e ricchezze (anche se formalmente questi erano incamerati dalla Santa Sede).
Non è difficile immaginare che qualcuno, magari usando la scusa di poter meglio servire il prossimo, avesse richiesto più volte una limatura della regola del 1221 e alla fine Francesco cedette, pretendendo però questa volta una fedeltà assoluta, accettandola “senza commento”, cioè senza interpretazioni.
Il primo presepe vivente
Durante la notte di Natale del 1223, a Greccio (sulla strada che da Stroncone prosegue verso il reatino), Francesco rievocò la nascita di Gesù, facendo una rappresentazione vivente di quell’evento.
Secondo le agiografie, durante la Messa, il putto raffigurante il Bambinello avrebbe preso vita più volte tra le braccia di Francesco.Da questo episodio ebbe origine la tradizione del presepe.
Oltre alla vita attiva Francesco, forse ammalato, sentiva continuamente l’esigenza di ritirarsi in posti solitari per ritemprarsi e pregare (come, ad esempio, l’Eremo delle Carceri di Assisi, sulle pendici del monte Subasio; l’Isola Maggiore sul lago Trasimeno; l’Eremo delle Celle a Cortona). Tali posti offrivano al frate il silenzio e la pace che gli consentivano una più intima preghiera.
Tra il 1224 e il 1226, ormai malato gravemente agli occhi (si suppone un tracoma), compose il Cantico delle creature.
Le stigmate
«Nel crudo sasso intra Tevere ed Arno da Cristo prese l’ultimo sigillo che le sue membra due anni portarno.» |
(Dante Alighieri, Divina Commedia, Paradiso, canto XI, vv. 106-108) |
Secondo le agiografie, il 14 settembre 1224, due anni prima della morte, mentre si trovava a pregare sul monte della Verna (luogo su cui in futuro sorgerà l’omonimo santuario) e dopo 40 giorni di digiuno, Francesco avrebbe visto un Serafino crocifisso.
Al termine della visione gli sarebbero comparse le stigmate: «sulle mani e sui piedi presenta delle ferite e delle escrescenze carnose, che ricordano dei chiodi e dai quali sanguina spesso».
Tali agiografie raccontano inoltre che sul fianco destro aveva una ferita, come quella di un colpo di lancia.
Fino alla sua morte, comunque, Francesco cercò sempre di tenere nascoste queste sue ferite.
Nell’iconografia tradizionale successiva alla sua morte, Francesco è stato sempre raffigurato con i segni delle stigmate: per questa caratteristica è stato definito anche «alter Christus».
La condivisione fisica delle pene di Cristo offriva un nuovo volto al cristianesimo, partecipe non più solo del Suo trionfo, simboleggiato dal Cristo in gloria.
Ultimi anni di vita e la morte
Negli anni seguenti Francesco fu sempre più oggetto di varie malattie (soffriva infatti di disturbi al fegato oltre che alla vista).
Varie volte gli furono tentati degli interventi medici per lenirgli le sofferenze, ma inutilmente.
Nel giugno 1226, mentre si trovava alle Celle di Cortona, dopo una notte molto tormentata dettò il “Testamento”, che volle fosse sempre legato alla “Regola”, in cui esortava l’ordine a non allontanarsi dallo spirito originario.
Nel 1226 si trovava alle sorgenti del Topino, presso Nocera Umbra; egli però chiese e ottenne di poter tornare a morire nel suo “luogo santo” preferito: la Porziuncola. Qui la morte lo colse la sera del 3 ottobre.[N 15][N 16][55]
Il suo corpo, dopo aver attraversato Assisi ed essere stato portato perfino in San Damiano, per essere mostrato un’ultima volta a Chiara e alle sue consorelle, venne sepolto nella chiesa di San Giorgio. Da qui la sua salma venne trasferita nell’attuale basilica nel 1230 (quattro anni dopo la sua morte, due anni dopo la canonizzazione).
«Laudate et benedicite mi Signore, et rengratiatelo et serviatelo cum grande humilitate.» |
(Cantico delle creature) |
Spiritualità francescana
Il francescanesimo si inserisce in quel vasto movimento pauperistico del XIII secolo, in uno spirito di riforma volto contro la corruzione dei costumi degli ecclesiastici del tempo, troppo coinvolti negli interessi materiali e politici, nella sanguinosa Lotta per le investiture.
A questo si deve aggiungere la fioritura del comune medioevale: la nascita delle ricche città-stato, se da un lato arricchì una parte del popolo, determinò la formazione di quei ricchi ceti mercantili, il cosiddetto popolo grasso, che acquistava potere a scapito della vecchia nobiltà feudale, facendo della vita metropolitana il centro della civiltà, pur lasciandovi dentro larghissime fette del ceto contadino più indigente, dall’altro causò una forte disuguaglianza sociale e anche crisi dell’assetto sociale medievale che dovette coinvolgere Francesco in prima persona mentre esercitava la professione di mercante.
“Povertà”, “obbedienza” e “castità” sono aspetti fondamentali della vita di Francesco e dei suoi discepoli. Dopo un primo periodo passato in solitudine, Francesco iniziò a vivere la propria vocazione insieme a dei compagni che volevano imitare il suo esempio.
L’umiltà e l’ascetismo al quale si accompagnò l’opera del santo gli valse il nome di Imitator Christi (“Imitatore di Cristo”): da qui inizia l’esperienza della “fraternità”, nella quale ciascun membro è dunque un imitator Francisci (“Imitatore di Francesco”), e dunque un imitator Christi.
Secondo la regola dettata da Francesco, la vita comunitaria deve cercare di conformarsi a questi principi:
- Fraternità: i frati non devono vivere soli, ma devono prendersi cura dei propri fratelli (e in generale di tutti) con amore e dedizione. La stessa cura si estende incondizionatamente non solo alle creature umane, ma a tutto il creato in quanto opera di Dio e dunque sacro, vivendo in questo modo la fraternità universale.
- Umiltà: porsi al di sotto di tutto e di tutti, al servizio dell’ultimo per essere davvero al servizio di Dio, liberarsi dai desideri terreni che allontanano l’uomo dal bene e dalla giustizia.
- Povertà: rinuncia a possedere qualsiasi bene condividendo tutto ciò che ci è dato con tutti i fratelli, partendo dai più bisognosi.
Alla preghiera e alla meditazione, la Regola francescana aggiunge lo “spirito missionario“, in conformità ai precetti evangelici, assumendo una condotta completamente diversa rispetto alla norma seguita fino ad allora.
È chiaro come a San Francesco interessassero soprattutto i ceti sociali più deboli, tendesse con amore fraterno verso quel “prossimo” spesso respinto e disprezzato dalla società, cioè verso il povero, il malato, il perdente, l’ultimo.
Francesco vuole essere il «minore tra i minori» (umile tra gli umili). Si sostiene che egli applicò ai compagni l’appellativo minores, dato in spregio ai popolani dai ricchi, perché lui stesso voleva incarnare la figura di “uomo del popolo”.
Assisi e Santa Maria degli Angeli furono e sono tuttora il cuore pulsante da cui parte e a cui ritorna l’attività missionaria di questo nuovo Ordine dei minori, come da allora in poi furono chiamati tutti coloro che seguirono (e che seguono) il santo fondatore assisano. In questo modo, lo spirito di condivisione è esempio concreto della comunione dell’anima con Dio, Gesù il Cristo, testimonianza di fede e di amore cristiano.
A imitazione dei poveri e dei mendicanti, è l’aspetto itinerante dei francescani, secondo il principio di portare il proprio sostegno materiale e spirituale al prossimo andandogli incontro là dove egli si trova: applicando questa regola in prima persona, Francesco visse e scontò un incessante vagare, portandosi fino ai confini dell’Europa, sostentandosi del frutto del lavoro che gli veniva offerto per strada e dove questo non fosse possibile, attraverso l’elemosina.
Francescanesimo
All’interno dell’ordine francescano, tra il XIII e il XIV secolo si sviluppò la scuola filosofica e teologica fondata dal francescano Alessandro di Hales quando nel 1232 ricoprì la cattedra di teologia presso l’università di Parigi. La filosofia francescana, opponendosi all’aristotelismo e al tomismo, s’ispirava al pensiero di Sant’Agostino da cui riprendeva la dottrina dell’illuminazione e la teoria dell’ilemorfismo universale.
In opposizione al tomismo, la scuola francescana dichiarava il primato della volontà sull’intelletto non solo per quanto riguardava il comportamento umano, ma anche per l’azione divina che esigeva il dovere dell’obbedienza, e il primato della fede sia nel campo della morale sia in quello della conoscenza.
I più importanti filosofi del francescanesimo furono Giovanni de la Rochelle, San Bonaventura, Duns Scoto, Giovanni Peckham.
I maestri francescani dell’università di Oxford, Roberto Grossatesta, Ruggero Bacone e Guglielmo di Occam confermarono l’indipendenza della fede dalla ragione e svilupparono quindi il francescanesimo soprattutto nell’ambito scientifico.
Una vita tra storia e teologia
Francesco d’Assisi e la sua vita sono stati continuamente oggetto di interesse, ispirazione, imitazione, studio, confronto.
Questo ha fatto sì che la narrazione biografica della sua vita sia stata connotata — fin dalle prime espressioni all’indomani della sua morte — da una grande varietà di significati e intenzioni, che inevitabilmente hanno indirizzato e influenzato la redazione della sua Vita.
Le notizie sulla vita di Francesco derivano infatti in gran parte dalle prime biografie del santo, dove la narrazione storica e quella teologica sono strettamente legate.
Nel XVII secolo con Frate Luca Wadding si mossero i primi tentativi di raccogliere documentazione storica su Francesco d’Assisi, cercando di distinguere tra storia e veneranda tradizione.
Un momento di svolta in questo processo arrivò nel corso del XIX secolo, quando lo storico francese Paul Sabatier avanzò la teoria che tutte le biografie francescane “ufficiali” (quelle di Tommaso da Celano e, in modo particolare, quella di Bonaventura da Bagnoregio) sarebbero irrimediabilmente compromesse dall’intenzione “politica” degli autori, mentre più fedeli al “vero Francesco” sarebbero le biografie “ufficiose”.
In particolare nello Speculum perfectionis, da lui riscoperto, si potrebbe rintracciare la narrazione più affidabile sul santo di Assisi. Tale posizione ha scatenato nel tempo accesi dibattiti, stimolando nel contempo un approfondimento straordinario della ricerca storica su san Francesco.
Secondo lo storico Franco Cardini è infatti in alcuni casi difficile distinguere tra verità storica e amplificazioni simboliche: è il caso, ad esempio, degli episodi della predica agli uccelli e dell’incontro con il lupo di Gubbio. Questi ultimi potrebbero, secondo lo studioso, essere anche intesi come rielaborazioni dell’incontro, storicamente meglio documentato, con il sultano al-Malik al-Kamil, e riproporre il tema dell’incontro con l’“Altro”.
La predica agli uccelli
La predica agli uccelli è uno degli episodi più famosi de I fioretti di san Francesco. Secondo la tradizione, la predica agli uccelli ebbe luogo sull’antica strada che congiungeva il castello di Cannara a quello di Bevagna, nei pressi di Assisi. Oggi il punto dove San Francesco d’Assisi fece il miracolo è segnalato da una pietra sita in località Piandarca nel Comune di Cannara in un’area ancora oggi incontaminata, raggiungibile attraverso un sentiero che inizia appena fuori dal paese e si snoda attraverso i campi. Nei pressi della pietra e lungo l’attuale strada che porta a Bevagna (la SP403) è edificata anche una piccola edicola a ricordo del miracolo. Più che la cronaca di un avvenimento, le agiografie descrivono un passo di vera poesia:
«…et venne fra Cannaia et Bevagni. E passando oltre con quello fervore, levò gli occhi e vide alquanti arbori allato alla via, in su’ quali era quasi infinita moltitudine d’uccelli. E entrò nel campo e cominciò a predicare alli uccelli ch’erano in terra; e subitamente quelli ch’erano in su gli arbori se ne vennono a lui insieme tutti quanti e stettono fermi, mentre che santo Francesco compié di predicare (…) Finalmente compiuta la predicazione, santo Francesco fece loro il segno della croce e diè loro licenza di partirsi; e allora tutti quelli uccelli si levarono in aria con maravigliosi canti, e poi secondo la croce c’aveva fatta loro santo Francesco si divisoro in quattro parti (…) e ciascuna schiera n’andava cantando maravigliosi canti» |
(da I fioretti cap. XVI di San Francesco d’Assisi secondo la versione in Umbro volgare del XIV secolo conservati negli Archivi del Sacro convento di Assisi) |
Il lupo di Gubbio
Fra gli svariati racconti che accompagnano e descrivono da secoli la vita e le gesta del frate, spicca senza dubbio l’episodio del lupo di Gubbio. La vicenda narra di un grosso lupo che da tempo terrorizzava gli abitanti delle campagne eugubine, nelle quali Francesco era solito andare a predicare; l’animale selvaggio, affamato e feroce, da anni occupava il territorio boschivo alle porte della città e, secondo alcuni racconti dell’epoca, non disdegnava avvicinarsi a ridosso delle mura per procurarsi il cibo. Gli abitanti allora, disperati e impauriti, si rivolsero a San Francesco. Il frate, venuto a conoscenza della situazione, si inoltrò nel bosco per incontrare il lupo. La sua mediazione fece sì che il lupo smettesse di terrorizzare gli abitanti di Gubbio, a patto che questi ultimi si impegnassero a sfamare l’animale quotidianamente.
La leggenda narra che anni dopo, quando il lupo morì di vecchiaia, gli abitanti del paese se ne dispiacquero fortemente.
«…nel contado d’Agobio apparì un lupo grandissimo, terribile e feroce, il quale non solamente divorava gli animali, ma eziandio gli uomini; intantoché tutti i cittadini istavano in gran paura, perocché spesse volte s’appressava alla cittade. E andavano armati quando uscivano della cittade, come se eglino andassono a combattere……”. (…….) ” E poi il detto lupo vivette due anni in Agobio; ed entrava dimesticamente per le case, a uscio a uscio, sanza fare male a persona e sanza esserne fatto a lui; e fu nutricato cortesemente dalla gente: e andandosi così per la terra e per le case, giammai nessuno cane gli abbaiava drieto. Finalmente, dopo due anni, frate lupo si morì di vecchiaia; di che li cittadini molto si dolevano, imperrocché, veggendolo andare così mansueto per la cittade, si raccordavano meglio della virtù e santitade di Santo Francesco”.» |
(da i fioretti di san Francesco, cap. XXI.) |
Tuttavia secondo alcuni, il lupo di Gubbio non era altro che un brigante, che proprio come un lupo era solito derubare gli abitanti del contado eugubino, il quale fu “ammansito” da Francesco e reintegrato nella società eugubina grazie anche all’aiuto degli abitanti.
L’Ordine francescano
Francesco d’Assisi realizzò tre ordini riconosciuti dalla Chiesa cattolica esistenti tutt’oggi e aventi Costituzioni proprie.
- Il primo ordine è quello dei frati minori. La loro vita è ancora oggi ispirata dalla Regola bollata approvata dal papa Onorio III nel 1223.
- In seguito a ottocento anni di una storia molto complessa, al giorno d’oggi l’originario Ordo Minorum si divide in tre rami principali:
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- Frati minori (originati dagli Osservanti e altre riforme, ma che comunque mantengono il sigillo dell’OFM),
- I Frati Minori Conventuali
- i Frati Minori Cappuccini (detti un tempo Frati Minori della Vita Eremitica). Oltre a queste tre diramazioni storiche, vi sono oggi altre fondazioni minori che si ispirano a san Francesco e alla sua Regola. Ciascuno dei tre Ordini ha la sua propria organizzazione e struttura legale, ma tutti hanno in comune san Francesco come loro “padre” e fondatore.
- Il secondo ordine è quello delle Monache clarisse fondato da Chiara d’Assisi, la quale ha redatto una Regola propria. È costituito da suore di clausura e attualmente è presente in tutto il mondo. Analogamente al primo ordine, anche le discepole di santa Chiara hanno subìto un percorso storico piuttosto articolato e oggi i monasteri clariani sono raccolti in diverse “obbedienze”.
- Il terzo ordine nacque per i laici, o meglio per i secolari, cioè coloro che, pur non entrando in convento, vivono nelle loro famiglie la spiritualità francescana. Oggi è chiamato Ordine francescano secolare (OFS).
- Parte integrante di esso è la Gioventù Francescana (Gi.Fra.): un’associazione, riconosciuta dalla Chiesa (o, come si definiscono, «fraternità»), di giovani cattolici che condividono e vivono il Vangelo e il loro essere francescani nel mondo di oggi, sul posto di lavoro o nello studio.
- Oltre a questi, abbiamo anche il Terzo Ordine Regolare (T.O.R.), costituito appunto da “regolari”, cioè religiosi che, nel corso della storia, sono divenuti tali a partire da fraternità di laici intenzionati a condurre una vita di consacrazione totale.
- Mentre nei primi secoli l’Ordine è fortemente caratterizzato da un’incidenza della fraternità, nei secoli successivi sarà più la testimonianza di singoli importanti personaggi a esprimere il valore del vivere la penitenza nel secolo.
- Questo non significa che l’incidenza della fraternità sia minore; ne è la prova il fatto che ogni regime oppressivo, fino a oggi, ha visto sempre con grande preoccupazione questa sorta di ordine “religioso” presente nel mondo.
- Basti pensare anche a tempi vicini a noi, alla soppressione delle Fraternità del Terz’Ordine Francescano operata da Napoleone, alla proibizione durante il regime nazista di riunirsi in Fraternità, simile a quella vigente fino a pochi anni fa in tutti i paesi dell’Est.
Per interpretare le intenzioni di san Francesco e adattare il suo ideale alle mutevoli realtà dei tempi, a partire dal Duecento la Chiesa ha continuamente emesso documenti relativi alla vita della fraternità francescana, da Onorio III fino a Paolo VI, che ha approvato l’ultima regola dell’OFS (1978) attualmente in vigore.
Papa Gregorio IX lo canonizzò il 16 luglio 1228, attraverso la bolla Mira circa nos, soltanto due anni dopo la morte.
Per questo motivo, il processo di canonizzazione è stato uno dei più rapidi della storia della Chiesa cattolica. La canonizzazione di Francesco è riportata in modo molto dettagliato nella “Vita Prima” di Tommaso da Celano.
San Francesco è stato ed è tutt’oggi uno dei santi più amati dalla gente, specialmente per il suo spirito di umiltà e povertà.
IL PENSIERO
Il pensiero di Francesco si presenta molto variegato e di difficile sintesi organica e sistematica. Attraverso l’analisi tematica della frequenza di parole chiavi nei suoi Scritti, emerge un corpus di idee essenziali che contengono una sicura Weltanschauung (concezione del mondo e della vita) originale e geniale insieme. Questa concezione della vita e del mondo spazia dalla teologia alla filosofia, dalla valutazione positiva della natura alla necessità di un impegno sociale, dalla necessità del lavoro come mezzo normale di sussistenza alla scelta della povertà volontaria come ideale di umanesimo e al proposito della pace fondata più sul dialogo che sulla forza. Questo corpus di idee può essere raggruppato in quattro istanze: teocentrinche cristologiche ecclesiali e filosofiche.
Istanze teocentriche
Le idee teologiche sono facilmente catalizzabili intorno ai misteri principali della fede cristiana: Dio, Cristo, Maria, Chiesa, Eucaristia. Il pensiero di Francesco in queste verità è espresso in uno stile piano e semplice, più intuitivo che dimostrativo, spesso anche poetico: si snoda senza seguire alcun modello precostituito, né si organizza intorno a schemi prestabiliti. Del poeta, manifesta sensibilità, intuizione e immaginazione, riuscendo a trasformare i sentimenti veri e profondi in immagini vive ed efficaci; del mistico, invece, vive l’esperienza meravigliosa della paternità di Dio in tutte le sue implicanze spirituali.
Dall’uso dei titoli divini, si ricavano utili indicazioni su Dio in rapporto all’essere (unità semplicità incorporeità perfezione eternità santità), all’intelletto (onnipotenza, onniscienza, sapienza) e alla volontà (giustizia amore e misericordia). Come linguaggio, Francesco utilizza sia quello catafatico o positivo sia quello apofatico o negativo: con il primo esprime la vasta gamma dei sentimenti verso Dio; con l’altro, i limiti nel parlare di Dio, in quanto “è misterioso” (Giud 13, 18), ossia ineffabile per eccellenza. I titoli più suffragati: Pater, Dominus Deus, Omnipotens, Altissimus.
Francesco ha di Dio una visione unitaria e originale ben marcata, che investe la sua semplicità radicale, percepibile solo nella visione mistica della vita. La realtà empirica è considerata meno naturalisticamente che teologicamente, nel senso che l’incanto del mistero di Dio illumina l’essere in tutti i suoi spessori. Francesco è come “incantato” da questa luce ineffabile di Dio. Il suo linguaggio più positivo che negativo spiega anche il senso metaforico dell’uso dei nomi divini, che si riferiscono quasi sempre all’agire di Dio ad extra, e mai in quello ad intra. La visione teocentrica che emerge è rappresentabile nello schema: la fede in Dio Padre conduce alla scoperta del Figlio di Dio Incarnato, la cui sequela riconduce a Dio Padre attraverso l’opera dello Spirito Santo.
Istanze cristologiche
Dai titoli e dai relativi contesti in cui vengono utilizzati, si evince che Francesco è conquiso e affascinato dal mistero della divinità di Cristo. I titoli più utilizzati: Dominus, Filius Dei, Deus verus, Corpus et sanguinis Domini. Dalla visione d’insieme, si evince che Francesco ha una conoscenza del mistero cristologico, come rivelazione del mistero trinitario che si realizza storicamente in Cristo e continua nella Chiesa, fino al termine del tempo. La centralità del Cristo è considerata più nella luce della divinità e dell’uguaglianza con il Padre nello Spirito Santo, che in quello dell’Incarnazione.
L’idea principale che si deduce è quella di una visione dell’amore divino verso l’uomo che fa aprire Francesco al sentimento di riconoscenza e ringraziamento, di adorazione e benedizione verso Colui che solo piace a Dio, perché lo ama come Dio. Interessante notare: il titolo di Sapientia, che, benché usato una sola volta, costituisce come il fondamento a tutti gli altri titoli nella costruzione della vita cristiana e religiosa. La sua mancanza, infatti, è la causa di chi non si converte, di chi non crede, di chi non segue il Cristo, di chi si allontana dalla retta via, di chi non osserva ciò che ha promesso, perché non ha conosciuto l’amore, ossia “il Figlio di Dio, che è la vera Sapienza del Padre” (Epistola ai Fedeli II, 67). L’esperienza religiosa di Francesco appare, perciò, come immersa nell’oceano dell’altissimo e ineffabile mistero di Dio, dal quale trae alimento, vita e gioia.
Istanze ecclesiali
Dagli Scritti di Francesco emerge con evidenza l’unità teologica del suo pensiero. Anche nei titoli “ecclesiali” o del “Regno di Cristo”, attraverso la trilogia dei misteri – Chiesa, Eucaristia e Vergine Maria – ne è una testimonianza eloquente. Questa trilogia è considerata da Francesco meno come verità isolate che estensione nel tempo dell’azione di Cristo. Per quanto riguarda, per esempio, il mistero della Chiesa, messa in discussione da alcuni movimenti pauperistici ed ereticali, Francesco manifesta il suo modo di sentire la Chiesa, attraverso l’uso e la frequenza di titoli – santità e romanità – che denotano profonda fede sia alla gerarchia costituita e sia alla realtà misterica insegnata.
L’Eucaristia rappresenta per Francesco meno un mistero di devozione e di adorazione che la sintesi efficace del disegno di Dio sull’umanità. L’utilizzo dei titoli nell’esprimere questo mistero fondamentale rispecchia il clima di confusione che regnava all’epoca. Come per i titoli ecclesiali, così anche per quelli eucaristici, la preoccupazione di Francesco è di ordine teologico e disciplinare, perché intende salvaguardare il suo movimento da ogni ingerenza estranea all’ortodossia, e proteggere i suoi frati da eventuali abusi in una materia così delicata.
Da uno sguardo generale ai titoli e alla varietà degli Scritti, in cui vengono utilizzati, si evince che per Francesco l’importanza dell’Eucaristia consiste meno nell’elemento cultuale che nel mistero della presenza reale del Signore, come cuore del disegno di salvezza voluto da Dio. Da ciò, scaturisce anche la venerazione verso il “sacerdote”, visto come colui che confeziona e amministra l’Eucaristia.
Dai due testi mariani, il Saluto alla Vergine e l’Antifona all’Ufficio della passione, si ricava l’impressione che le idee di Francesco derivino più da un atteggiamento di fede vissuta nella dottrina insegnata dalla Chiesa, che da uno studio sull’argomento. Nella loro composizione, Francesco evita di parlare della Vergine Maria come realtà a sé stante, ma sempre in contesto teologico, perché il suo mistero non può essere compreso se non da chi appartiene già a Cristo: è presentata sempre come “dono” di Dio all’umanità. E come tale, Francesco sente irrompente il bisogno di elevare inni di ringraziamento; ed ebbro di gioia invita la stessa Vergine a cantare, insieme alla corte celeste, l’inno di lode a Dio, Uno e Trino. Le due composizioni sono principalmente delle preghiere contemplative, in cui la fede si effonde in esclamazioni di lode, ammirazione e ringraziamento a Dio, da non lasciare spazio al pensiero umano di pensare. Dei titoli, tre sono di natura mariana (Virgo, Domina e Regina), uno ecclesiale (Virgo ecclesia facta), uno cristologico (Mater Domini), e gli altri di carattere trinitario. Tutti ruotano intorno alla “maternità divina”.
Anche intorno al mistero della Madonna, Francesco è attratto dalla sublimità del mistero di Dio, Uno e Trino, e in lui contempla tutta la pienezza della divinità realizzata nel Cristo storico e nel Cristo della fede. Il contesto cristologico, pur essendo meno appariscente, è profondamente presente, tanto da costituire il centro della vita di Francesco. Interessante è l’aspetto ecclesiale dei titoli mariani, specialmente attraverso la bella espressione “Maria, quae es Virgo ecclesia facta” (Maria è la Vergine fatta Chiesa), come a dire: Maria è venerata come la prima Chiesa consacrata da Dio, e in senso storico e in senso spirituale. Oggi, potrebbe corrispondere al titolo di “Madre della Chiesa”.
Istanze filosofiche
Di fronte al mistero di Dio, Francesco tiene ben distinta la conoscenza dalla dimostrazione della sua esistenza. L’idea di Dio nasce in lui da un’esperienza originaria, che si chiarisce e definisce in atteggiamento religioso. Lo conferma il suo linguaggio, la cui caratteristica fondamentale conserva ancora una mentalità simbolico-mitica e mistico-poetica. In diversi luoghi dei suoi Scritti, si parla di una conoscenza di Dio, in cui si possono distinguere tre aspetti diversi e complementari: conoscenza di Dio in sé, conoscenza di Dio nell’uomo e conoscenza di Dio nel mondo. Brevemente.
Conoscenza di Dio in sé
Il leit-motiv della conoscenza di Dio in Francesco è la fede nella “creazione”, che, da un lato, manifesta la sua indiscussa certezza nella potenza creatrice divina, e, dall’altro, rivela il limite ontologico della natura umana. Pensiero espresso chiaramente nella Regola non bollata (Rnb): “I frati annuncino agli increduli la parola di Dio, perché credano in Dio onnipotente Padre Figlio e Spirito Santo come creatore di tutte le cose” (Rnb 16, 7); “Temete e onorate, lodate e benedite, ringraziate e adorate il Signore Iddio onnipotente, nella trinità e unità, Padre Figlio e Spirito Santo, creatore di tutte le cose” (Rnb 21, 2); “Onnipotente, santissimo, altissimo e sommo Iddio, Padre santo e giusto, Signore e Re dell’universo, per te stesso ti rendiamo grazie, perché, per la tua santa volontà e mediante l’unico Figlio tuo nello Spirito Santo, hai creato tutte le cose spirituali e materiali, e noi, fatti a immagine e somiglianza tua…” (Rnb 23, 1ss).
Quale il fondamento filosofico di questa conoscenza?
La risposta di Francesco impressiona per semplicità e profondità, ma anche per difficoltà ermeneutica: “Considera, uomo, in quale condizione ti ha innalzato il Signore Iddio: ti creò formandoti a immagine del suo diletto Figlio per il corpo, e a sua immagine per l’anima” (Ammonizione, 5, 1). Come l’immagine tende per sua natura a ritornare alla propria origine, così anche l’essere umano diventa uomo, quando, trascendendo sé stesso, tende a identificarsi con la realtà di cui è immagine.
Conoscenza di Dio nell’uomo
Nell’aspetto della conoscenza di Dio nell’uomo, Francesco rivela anche la sua visione antropologica: “Tanto vale l’uomo quanto vale davanti a Dio, e non di più” (Ammonizione, 19, 3); “Lo Spirito del Signore abita nel cuore dei suoi fedeli” (Ammonizione, 1, 12); “Costruiamo sempre nei nostri cuori una stabile dimora al Signore Iddio onnipotente” (Rnb 22, 27); “Coloro che vivono nella conversione continua e si nutrono con fede dell’Eucaristia, sono benedetti e beati, perché lo Spirito del Signore riposerà su di essi e nei loro cuori costruirà la sua stabile dimora” (Epistola ai Fedeli, I, 3-6); “Lo Spirito del Signore riposerà su di essi e nei loro cuori costruirà la sua stabile dimora” (Epistola ai Fedeli, II, 48). L’idea principale emergente da questi testi è la certezza che Dio abita nel cuore dell’uomo, come dono, del quale l’uomo non può aver alcun motivo per gloriarsi, come lui stesso ricorda: “Anche se fossi così intelligente e sapiente, da possedere ogni scienza ed essere in grado d’interpretare ogni lingua e di penetrare nei misteri celesti, non potresti vantarti di queste qualità” (Ammonizione, 5, 5). Riconoscere questo rapporto creaturale significa essere di Dio, appartenere a Dio, ascoltare Dio e ricambiare tale amore.
Conoscenza di Dio nelle cose
Il riconoscimento di Di in sé stesso orienta l’attenzione di Francesco, quasi naturalmente, verso la sapienza divina presente nella realtà dell’universo, come si evince dal Cantico delle creature, che sviluppo è in tre tempi: apertura intuitiva al trascendente teologico, intuizione del trascendente immanente nel mondo, e ritorno laudativo e contemplativo al trascendente teologico. Ogni tempo scandisce un preciso attributo divino: l’Onnipotenza di Dio che ha chiamato all’esistenza ogni creatura; la Sapienza di Dio che conserva nell’ordine le cose create; e l’Amore di benevolenza con cui Dio assiste l’essere creato. Come i tre attributi esprimono la medesima realtà, così anche i tre tempi del Cantico vanno considerati nella loro unità, come l’invocazione iniziale esprime “Altissimu onnipotente bon Signore”: con il termine “Altissimu” viene esprime l’assoluta trascendenza; con l’“onnipotente”, la potenza creatrice; e con il “bon Signore”, l’amore di benevolenza.
In sintonia con la mentalità simbolica del XII secolo, Francesco afferma poeticamente che all’uomo è impedito ontologicamente di parlare in modo positivo e affermativo di Dio: “et nullu homo ene dignu te mentovare”; e ringrazia lo stesso Dio per la consapevolezza che gli ha dato della sua immanenza anche nell’universo: “laudato sie, mi signore, cum tucte le tue creature”. Di fronte all’umana impossibilità di penetrare la trascendenza di Dio, Francesco si concentra sul vestigium Dei, espresso bellamente dal verso: “de te, altissimo, porta significatione”, che richiama la tradizione fondata su Isaia: “se non crederai, non potrai comprendere” (Is 7, 9); cui fa Alano di Lilla (1120-1203): “La lira poetica nella corteccia superficiale della lettera risuona falsamente, ma interiormente manifesta agli uditori il segreto di un significato più elevato, affinché gettata via la scorza della falsità esteriore, il lettore trovi internamente il nucleo più dolce della riposta verità” (De planctu naturae, cit. in Henri De Lubac, Esegesi medievale, ed. Paoline, Roma 1972, II, p. 1340; M.D. Chenu, La teologia nel medio evo, Jaca Book, Milano 1972, p. 175); “ogni creatura dell’universo è per noi quasi un libro, un quadro e uno specchio [di Dio]” (Rytmus, cit. in M. D. Chenu, Op. cit., pp. 184-185); e Ugo di San Vittore che considera il mondo come un “libro scritto dalla mano di Dio” (Didascalicon, cit. in M. D. Chenu, Op. cit., p. 185).
Lo sviluppo dell’immagine della natura-libro porta a considerare non solo l’invisibile sapienza di Dio, anche la diversità dei lettori: chi crede e chi non crede. La chiave di lettura, perciò, è la fede che riesce a leggere il valore ontologico delle cose e a fare il salto di qualità verso la sapienza di Dio; chi non crede, l’“insipiens”, si ferma soltanto all’aspetto esteriore delle cose. La lettura della natura di Francesco è da “sapiens”, cioè non limitata all’essere che appare, ma trascende la dimensione percettiva per penetrare all’interno dell’essere fino a cogliere l’aspetto ontologico delle cose sottraendole ai limiti del linguaggio puramente esperienziale e scientifico.
IL CULTO
Nella famosa opera Del primato morale e civile degli italiani (1843), V. Gioberti, per celebrare la grandezza di Francesco d’Assisi lo chiama “il più amabile, il più poetico e il più italiano de’ nostri santi”! Solo successivamente, il giornalista Enrico Filiziani, nell’articolo “Per san Francesco d’Assisi”, pubblicato sul giornale La Vera Roma, il 18 gennaio 1903, completò la frase giobertiana in: “il più santo fra gli Italiani, il più Italiano fra i santi”.
Lo storico e scrittore, Enrico Pepe, definiva Francesco “Patrimonio dell’umanità”. Da Pio XII è stato riconosciuto come il “più italiano dei santi e più santo degli italiani” e il 18 giugno 1939, e lo proclamava Patrono principale d’Italia. E Giovanni Paolo II lo eleggeva a “Patrono dell’ecologia” con la Lettera Apostolica Inter sanctos del 29 novembre 1979.
Francesco è uno dei santi più conosciuto nel mondo sia occidentale che orientale, sia dai cattolici che dai non credenti; è anche il più amato dal popolo, specialmente per il suo spirito di umiltà e povertà. Nei luoghi dove trascorse la sua vita sono nati dei santuari. Assisi, dopo Roma, è il luogo più gettonato dal turismo spirituale mondiale.
La festa liturgica è il 4 ottobre.