SAN BONAVENTURA – GIOVEDI’ XV^ SETTIMANA T.O. – Mt 11,28-30 Io sono mite e umile di cuore.

… il VECCHIO FARISEO COMMENTA….

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Dal Vangelo secondo Matteo 11,28-30

In quel tempo, Gesù disse «Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero». Parola del Signore

 

Mediti…AMO

Oggi la Liturgia fa Memoria Obbligatoria di un discepolo del Fraticello di Assisi, San Bonaventura da Bagnoregio (1218 – Lione 15 luglio 1274), filosofo, mistico e pensatore medievale, insegnò alla Sorbona a Parigi, diede forma di sintesi sapienziale alla teologia scolastica sulle orme di Agostino. Fu amico di San Tommaso D’Aquino. Papa Sisto V’ nel 1588 lo nomina DOTTORE DELLA CHIESA.

Discepolo di san Francesco guidò con superiore saggezza il suo ordine, come FRATE MINORE, per 17 anni, dal 1257 al 1273, tanto da essere chiamato «secondo fondatore e padre».

Scrisse numerose opere di carattere teologico e mistico ed importante fu la «Legenda Major», BIOGRAFIA UFFICIALE DI SAN FRANCESCO, A CUI SI ISPIRÒ GIOTTO PER IL CICLO DELLE STORIE DI SAN FRANCESCO.

Fu nominato vescovo di Albano e cardinale. Partecipò al II’ Concilio di Lione che, grazie anche al suo contributo, segnò un riavvicinamento fra Chiesa latina e Chiesa greca. Proprio durante il Concilio, morì a Lione, il 15 luglio 1274.

San Bonaventura, venti giorni dopo l’indizione della festa del Corpus Domini predicò il SERMO DE SANCTISSIMO CORPORE CHRISTI alla presenza di papa Urbano IV e del concistoro generale. Bonaventura, con Tommaso d’Aquino, è stato tra i protagonisti di quell’evento rilevante nella storia religiosa ma anche nella storia della cultura: veniva istituita, infatti, una nuova festa per la Chiesa latina, incentrata sul mistero dell’eucaristia. Bonaventura e Tommaso, i dottori “seraphicus” ed “angelicus”, furono due protagonisti del pensiero filosofico e teologico del tempo: erano stati entrambi cattedratici presso lo Studium orvietano, l’antica università della città.

Bonaventura è considerato uno dei pensatori maggiori della tradizione francescana, che anche grazie a lui si avviò a diventare una vera e propria scuola di pensiero, sia dal punto di vista teologico che da quello filosofico. Difese e ripropose la tradizione patristica, in particolare il pensiero e l’impostazione di sant’Agostino.

Nelle sue opere ricorre continuamente l’idea del primato della sapienza, come alternativa ad una razionalità filosofica isolata dalle altre facoltà dell’uomo. Egli sostiene, infatti, che «(…) la scienza filosofica è una via verso altre scienze. Chi si ferma resta immerso nelle tenebre.»

SECONDO BONAVENTURA È IL CRISTO LA VIA A TUTTE LE SCIENZE, SIA PER LA FILOSOFIA CHE PER LA TEOLOGIA.

Bonaventura elaborò una teologia trinitaria di derivazione agostiniana, in quanto volle evidenziare l’unità del Dio-Trino, come forza, che unisce le tre persone. Ma tale unità è conciliabile con la pluralità delle persone: unità e trinità sono sempre insieme.

I dati presenti nella Scrittura presentano all’uomo la verità rivelata:

  • in Dio vi sono tre persone.

Due sono le fasi dell’auto-rivelazione di Dio:

  • la prima nella creazione,
  • la seconda in Cristo.

Il mondo, per Bonaventura, è come un libro da cui traspare la Trinità che l’ha creato. Noi possiamo ritrovare la Trinità:

  • extra nos (cioè “fuori di noi”),
  • intra nos (“in noi”)
  • e super nos (“sopra di noi”).

Infatti, la Trinità si rivela in 3 modi:

  • COME IMPRONTA DI DIO, che si manifesta in ogni essere, animato o inanimato che sia;
  • COME IMMAGINE DI DIO, che si trova solo nelle creature dotate d’intelletto, in cui risplendono memoria, intelligenza e volontà;
  • COME SIMILITUDINE DI DIO, che è qualità propria delle creature giuste e sante, toccate dalla Grazia e animate da fede, speranza e carità; quindi, quest’ultima è ciò che ci rende “figli di Dio”.

La Creazione dunque è ordinata secondo una scala gerarchica trinitaria e la natura non ha sua consistenza, ma si rivela come segno visibile del principio divino che l’ha creata; solo in questo, quindi, trova il suo significato.

Bonaventura trae questo principio anche da un passo evangelico (Lc, 19,38-40), in cui i discepoli di Gesù dissero:

««Benedetto colui che viene, il re, nel nome del Signore. Pace in cielo e gloria nel più alto dei cieli!» Alcuni farisei tra la folla gli dissero: «Maestro, rimprovera i tuoi discepoli.» Ma egli rispose: «Vi dico che, se questi taceranno, grideranno le pietre.»»

Le creature, dunque, sono impronte, immagini, similitudini di Dio, e persino le pietre “gridano” tale loro legame col divino.

Ma veniamo al testo dell’Evangelo.

Il Signore Gesù ha appena esultato davanti all’inattesa opera di Dio che svela i suoi segreti ai piccoli, agli affaticati, agli oppressi e subito, si occupa di loro per dar ristoro.

Il Maestro non si gloria della propria scoperta, non mette sé stesso al centro della sua relazione con Dio ma è rivolto ai piccoli e ai poveri, che invita a seguirlo sulla strada che conduce al Regno, caricandosi sulle spalle le loro sofferenze.

E oggi Gesù rivolge queste parole ad ogni uomo “Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò”. È l’antico grido che elevava accorato il Dio di Israele, rivolto al suo popolo e all’intera umanità, che realizza la profezia di Isaia 55,1-5:

  • “O voi tutti assetati, venite all’acqua, voi che non avete denaro, venite, comprate e mangiate; venite, comprate senza denaro, senza pagare, vino e latte. Perché spendete denaro per ciò che non è pane, il vostro guadagno per ciò che non sazia? Su, ascoltatemi e mangerete cose buone e gusterete cibi succulenti. Porgete l’orecchio e venite a me, ascoltate e vivrete. Io stabilirò per voi un’alleanza eterna, i favori assicurati a Davide. Ecco, l’ho costituito testimone fra i popoli, principe e sovrano sulle nazioni. Ecco, tu chiamerai gente che non conoscevi; accorreranno a te nazioni che non ti conoscevano a causa del Signore, tuo Dio, del Santo d’Israele, che ti onora”.

E quell’acqua che disseta è LA PAROLA DI CRISTO! IL RISTORO CHE CI OFFRE È IL DONO DI SÉ STESSO PRESENTE NELL’EUCARISTIA.

Il suo ristoro è la liberazione dalla carne, PERCHÉ L’UOMO SPIRITUALE PRENDA VITA IN NOI. Solo quando ci si accosta a Cristo, e lo si sceglie come nostra via, verità e vita e VITA DI GRAZIA, L’UOMO SPIRITUALE VIENE ALLA LUCE. Solo allora finisce la stanchezza, la fatica, quel sudore che sa già di morte e che attanaglia l’uomo. Questo parto nella Grazia, avviene solo grazie a Cristo. Solo Lui lo può fare e solo Lui lo fa. Perché solo LUI, FINO ALLA FINE DEI SECOLI, CONTINUA A PARLARE AL CUORE DELL’UOMO DAL Golgota, dalla Croce.

E da quel Trono di Grazia, chiede non solo di ascoltare Lui, MA DI IMPARARE DA LUI, esempio di perfetta obbedienza. È questa la sua umiltà e questo il luogo eletto dal quale la esercita.

Ed è nell’umiltà della croce che si manifesta la sua mitezza: sopportare, vivere, offrendo sulla croce la propria vita come vero olocausto, come vero sacrificio offerto al Signore per la propria redenzione e quella di ogni altro uomo.

Cristo Signore è la Sapienza eterna Incarnata e Crocifissa solo per purissimo amore, in una perfetta obbedienza al Padre suo. Essendo Sapienza Visibile e Crocifissa possiamo imparare da Lui come essere, a nostra volta, sapienza incarnata, crocifissa, visibile per obbedienza.

Questa stessa legge vale anche per il corpo di Cristo che è la Chiesa. Anch’essa deve, nella voce e nel cuore di ogni suo figlio, gridare al mondo “Imparate da che sono che mite e umile di cuore”. Imparate da me che sono crocifissa con Cristo nel più perfetto compimento della volontà del mio Signore.

San Paolo così parlava alla sua amata Comunità della Galazia, possedendo nel proprio cuore, il cuore di Cristo e l’accettazione del mistero della sua croce nel suo corpo.

Paolo quindi parlava da crocifisso con Cristo, e per Cristo:

  • Sono stato crocifisso con Cristo, e non vivo più io, ma Cristo vive in me. E questa vita, che io vivo nel corpo, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me. Quanto a me invece non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo. D’ora innanzi nessuno mi procuri fastidi: io porto le stigmate di Gesù sul mio corpo (Gal 2,19-20; 6,14. 17).”

Se un figlio della Chiesa non può gridare, come Paolo, al mondo intero “Impara da me che sono mite e umile di cuore“, mai potrà annunziare il Vangelo. Perché manca la croce e l’obbedienza che sono la certezza che il figlio della Chiesa, parla per mezzo della volontà di Cristo e dalla sua croce.

Ma vediamo anche tre aspetti che mi piacciono particolarmente, che sono tre aspetti di Gesù: ristoro, cuore e giogo:

  • Cuore. Gesù indica una parte di sé: IL CUORE, ORGANO VITALE E CENTRALE PER ECCELLENZA. Il cuore di Gesù è anzitutto il cuore di Dio, OVVERO LA PRESENZA AMOREVOLE DEL SIGNORE CHE CONTINUAMENTE GUARDA L’UOMO:
    • si addolora per il male (Gen 6,6),
    • agisce per amore (2Sam 7,21//1Cr 17,19),
    • è nel Tempio, luogo di incontro con la misericordia (1Re 9,3//2Cr 7,16),
    • prova gioia per il bene dei figli (Ger 32,41)
    • e si commuove pensandoli (Os 11,8).
    • Il cuore di Gesù è anche cuore di un uomo: egli è mite e umile (v. 29) come i poveri di YHWH (Dn 3,87; Sof 2,3) e i puri di cuore (Mt 5,8), gli unici abili a vedere Dio perché intimamente simili a Lui.
  • Ristoro. Offrendosi come il riposo dell’anima, Gesù richiama l’invito che la Sapienza rivolge agli affaticati (Sir 24,19). Richiama il giogo dell’istruzione e della misericordia preparato per chi ne ha bisogno (Sir 51,23-30) e la rinnovazione dell’alleanza dopo il peccato che schiaccia l’anima (Is 55,1-5). GESÙ È LA RICONCILIAZIONE CON IL PADRE, UNICO RIPOSO DI OGNI ANIMA A LUI FEDELE. Il tono è sapienziale e lo comprendiamo alla luce della rivelazione che Gesù ha fatto di sé: è LUI la sapienza da riconoscere (Mt 11,19). Il ristoro che offre è la pace dall’affanno, dalle fatiche e dai pesi della legge senza amore.
  • Giogo. Il giogo è quello di una legge che non solleva verso il Cielo, ma si limita a schiacciare. Ma attenzione: non è malata la Legge; Gesù non la rinnega, ANZI, la porta a compimento (Mt 5,17). Ciò che pesa sono i fardelli difficili e pesanti che i sapienti hanno caricato sulle spalle della povera gente, ma che essi non muovono neppure con un dito (Mt 23,4). Sono i fardelli di coloro che usano la legge a proprio esclusivo vantaggio (Mc 7,11) piuttosto che liberarne la carica d’amore divino e fraterno, CHE LA LEGGE CONTIENE. Il giogo è lo strumento di legno che univa i buoi per il collo, costringendoli allo stesso passo. IL GIOGO DI GESÙ non È il peso dei falsi profeti (Ger 23,30-40) o dei dominatori del mondo (Is 10,27), ma LA LIBERTÀ DELL’AMORE (Gc 2,12). È dolce perché si condivide allo stesso modo del passo degli amanti: L’AMORE DEL PADRE E DEL FIGLIO È L’AMORE TRA DIO E NOI. QUANDO L’AMORE È COME DIO, DIVENTA CARITÀ. QUELLA CARITA’ CHE TUTTO AMA, TUTTO RENDE NELLA GIOIA, TUTTO CONDIVIDE. QUELLA CARITA’ CHE NON TOGLIE SPAZIO O VITA, MA SI REALIZZA NELLA COMUNIONE.

Ma allora, che cosa fa riposare davvero il nostro cuore se non qualcuno che ci faccia sentire amati teneramente?

Il giogo dell’amore non opprime, ma ristora, come accadde per i due di Emmaus, amareggiati e delusi, che sentirono ardere di nuovo il cuore alla presenza del Risorto (Lc 24,32). Può accadere ANCORA, anche per noi, se facciamo sì che il nostro cuore palpiti come quello di Cristo (Gv 13,34).

 

Sia Lodato Gesù, il Cristo!