Sabato seconda settimana PA – Mc 3,20-21
Il Vecchio Fariseo… Pietro Saltarelli
Leggi….AMO
Dal Vangelo secondo Marco 3,20-21
In quel tempo, Gesù entrò in una casa e si radunò di nuovo attorno a lui molta folla, al punto che non poteva neppure mettersi a tavola per mangiare qualcosa. Allora i suoi, sentito questo, uscirono per andare a prenderlo; poiché dicevano: “È fuori di sé”. Parola del Signore
Mediti…AMO
Oggi è davvero difficile da commentare… solo due versetti.
Parla di due cose:
(a) della grande attività di Gesù che non gli lascia tempo nemmeno per mangiare
(b) la reazione contraria della famiglia di Gesù, fino a pensare che era diventato pazzo. Gesù aveva problemi con la famiglia.
La famiglia, a volte, aiuta ed altre volte, rende difficile il cammino. Avvenne con Gesù ed avviene con noi.
Marco, il vangelo più antico, ci permette qui di avvicinarci a quella storia di fratture, incomprensioni che Gesù ha vissuto, e a tutte quelle difficoltà che Gesù ha attraversato e che lo hanno poi rapidamente portato alla sua condanna a morte, di croce.
Anche se i vangeli non sono storia e cronaca come noi la intendiamo, credo che nei due versetti odierni, ma anche in quelli successivi, si inizia a vedere la drammatica, terribile, vicenda che Gesù ha vissuto e affrontato con amore per noi.
Secondo i «suoi», Gesù dovrebbe avere un po’ più di buon senso (vedi Pietro nella pericope evangelica di Mc 8,31ss).
Dovrebbe investire meglio le sue qualità per avere di più, potere di più e valere di più.
Secondo i «suoi», questi sono i mezzi utili per il trionfo del bene, per togliere il potere ai cattivi, per orientare tutto «a fin di bene» e, soprattutto, per la gloria di Dio.
Gesù invece è di parere diverso: simpatizza con i cattivi e trascura i propri interessi. Ma questa sua pazzia COSTITUISCE LA SAPIENZA DI DIO:
- Dirà Paolo alla comunità dei cristiani che ha costituito a Corinto «Mentre i giudei chiedono miracoli e i greci cercano la sapienza, noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i giudei, stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia giudei che greci, predichiamo Cristo potenza di Dio e sapienza di Dio. Perché ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini» (1Cor 1,22–25).
«Essere con Gesù» richiede allora il cambiamento dal pensiero dell’uomo AL PENSIERO DI DIO.
Senza questa conversione radicale della mente e del cuore si rimane fuori della sua famiglia, anche se ci sembra di volergli bene.
Senza una conversione radicale, in realtà, non si ama lui, ma se stessi. Questo non è amore, ma egoismo, è il tentativo di assimilare lui a noi. Anche nella preghiera, c’è la tentazione costante di chiedere a Dio di fare la nostra volontà invece della sua.
Inoltre mi chiedo cosa avessero potuto intendere i parenti di Gesù, quando dicevano di Lui: “È fuori di sé!” Si potrebbe ipotizzare:
- Gesù ha lasciato un lavoro onorevole e discretamente retribuito al suo villaggio (era artigiano, falegname), per incominciare a vagare di villaggio in villaggio senza una sua dimora, né sicurezza economica per il suo domani;
- che si è scelto come amici persone non tutte ben viste dalla società, o di basso livello: alcuni pescatori, un esattore delle tasse collaboratore degli occupanti, un probabile partigiano anti-romano, rivoltoso e zelota, come Simone il Cananeo;
- che ostinatamente si pone in contrasto con i detentori del potere religioso, come i racconti delle guarigioni in giorno di sabato hanno mostrato.
Il loro intento è quello di farlo rientrare nella normalità (quella che intendevano loro, forse incentrata sul perbenismo umano), salvaguardando così la sua “sicurezza” e il “buon nome” suo e del proprio parentado.
Teniamo comunque presente la situazione della famiglia al tempo di Gesù.
Nell’antico Israele, IL CLAN, in pratica la grande famiglia, era alla base della convivenza sociale. COSTITUIVA LA PROTEZIONE DELLE PICCOLE FAMIGLIE E DELLE PERSONE, LA GARANZIA DEL POSSEDIMENTO DELLA TERRA, IL VEICOLO PRINCIPALE DELLA TRADIZIONE, LA DIFESA DELL’IDENTITÀ.
Difendere il clan era lo stesso che difendere l’Alleanza.
Ma in Galilea, al tempo di Gesù, a causa del sistema romano, impiantato nei lunghi anni di governo di Erode Magno e di suo figlio Erode Antipa (dal 39 aC a 39 dC), tutto ciò non esisteva più, o esisteva sempre meno. Il clan ormai stava scomparendo. Le imposte da pagare sia al governo che al tempio, l’indebitamento crescente, la mentalità individualista dell’ideologia ellenista, le frequenti minacce di repressione violenta da parte dei romani, l’obbligo di accogliere i soldati e dare loro ospitalità, i problemi sempre maggiori di sopravvivenza, tutto questo portava le famiglie a rinchiudersi in sé stesse e nelle proprie necessità.
Non si praticava più l’ospitalità, la condivisione, la comunione attorno al tavolo, l’accoglienza agli esclusi. Questa chiusura era rafforzata dalla religione dell’epoca.
L’osservanza delle norme di purezza era il fattore che causava l’emarginazione di molte persone: donne, bambini, samaritani, stranieri, gente posseduta dal demonio, pubblicani, malati, mutilati, paralitici.
Invece di promuovere l’accoglienza e la comunione, queste norme favorivano la separazione e l’esclusione.
Così, sia la struttura politica, sociale ed economica, come pure l’ideologia religiosa dell’epoca, tutto cospirava a favore dell’indebolimento dei valori centrali del clan, della comunità. Orbene, affinché il regno di Dio potesse manifestarsi di nuovo nella convivenza comunitaria della gente. OCCORREVA UNA INVERSIONE DI TENDENZA.
Le persone dovevano superare i limiti stretti della piccola famiglia ed aprirsi di nuovo alla grande famiglia, alla Comunità.
Ed è quello che anche oggi ci viene chiesto di fare….
E inoltre, non dobbiamo mai dimenticare che la vita di Gesù è motivata e animata da un amore che non può essere misurato con la ragione, perché è una vita che incarna l’amore folle di Dio. Chi non conosce questo amore non può neppure comprendere neppure tali scelte. Ed è quello che accade a Gesù: non deve fare i conti solo con l’accanita ostinazione dei farisei ma anche con le legittime paure dei parenti. Questi ultimi hanno certamente buone intenzioni, sono spinti dall’affetto sincero.
Probabilmente sono preoccupati per lui oltre che per il buon nome della famiglia. Decidono dunque di intervenire e, stando al racconto, lo fanno con autorità, sono pronti anche a usare la forza per costringere Gesù a ritornare sui suoi passi.
È un passaggio significativo perché ci fa capire che a volte, nonostante abbiamo le migliori intenzioni, e spesso proprio a causa di esse, impediamo a Dio di compiere la sua opera.
Ci sono situazioni in cui, senza accorgercene, diventiamo oggettivamente un ostacolo.
Dobbiamo ricordare che le ispirazioni di Dio non collimano necessariamente con le nostre ragionevoli attese. Anzi spesso scardinano il nostro modo ordinario di vivere. Dobbiamo fare della volontà di Dio l’unica norma di vita e imparare a verificare ogni scelta alla luce della Parola di Dio e della tradizione della Chiesa. È questa la via che hanno percorso i santi.
Sia Lodato Gesù Cristo!
Diacono Pietro Saltarelli