MERCOLEDI’ XXXII^ SETT. T.O. 10.11.2021 S LEONE MAGNO – Luca 17,11-19 “…non si è trovato nessuno che tornasse indietro e rendere gloria a Dio”

… il VECCHIO FARISEO COMMENTA….

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Dal Vangelo secondo Luca 17,11-19

Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samarìa e la Galilea. Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza e dissero ad alta voce «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». Appena li vide, Gesù disse loro «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono purificati. Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano. Ma Gesù osservò «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?». E gli disse «Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!». Parola del Signore

 

Mediti…AMO

LA VITA E IL PENSIERO DEL SANTO

Leone I, detto anche Leone Magno (390 – 461), è stato il 45 vescovo di Roma e Papa della Chiesa cattolica. È venerato come santo dalla Chiesa cattolica e dalla Chiesa ortodossa. Il suo pontificato va dal 29 settembre 440 alla sua morte.

Il pontificato di Leone, come quello di Gregorio I, fu il più significativo e importante dell’antichità cristiana. In un periodo in cui la Chiesa stava sperimentando grandi ostacoli al suo progresso in conseguenza della rapida disintegrazione dell’Impero romano d’Occidente, e grandi eresie, mentre l’oriente era profondamente agitato da controversie dogmatiche, questo papa guidò il destino della Chiesa romana.

Ma fu soprattutto nelle sue prese di posizione sulla confusione cristologica, che in seguito avrebbero agitato così profondamente la Cristianità Orientale, che Leone si rivelò un saggio, colto, ed energico pastore della Chiesa.

Dalla sua prima lettera sul Monofisismo (il monofisismo sosteneva che la natura divina di Cristo prevaleva su quella umana), scritta ad Eutiche (fondatore del monofisismo. Epistola XX, 1º giugno 448), fino alla sua ultima lettera indirizzata al nuovo Patriarca di Alessandria, Timoteo Salofaciolo (ep. CLXXI del 18 agosto 460), si rileva l’approccio chiaro, positivo e sistematico con cui Leone, fortificato dal primato della Santa Sede, superò questo difficile ostacolo.

Dopo la scomunica da parte di Flaviano, Patriarca di Costantinopoli, a causa delle sue concezioni e delle sue predicazioni monofisite, il monaco Eutiche si appellò al papa il quale, dopo aver esaminato il nocciolo della disputa, inviò una lettera dogmatica a Flaviano (epistola XXVIII, Tomus ad Flavianum), esponendo concisamente e confermando la dottrina dell’Incarnazione e dell’unione della natura divina ed umana nella Persona unica di Cristo.

Il monofisismo, infatti, assumendo una dottrina praticamente inversa all’arianesimo, tendeva a sottolineare con tanta forza la natura divina del Cristo, da giungere quasi a non riconoscere più quella umana.

San Leone Magno affermò con fede luminosa la divinità di Cristo e la sua umanità: Cristo, Figlio del Dio vivente e figlio di Maria, uomo come noi. Non ha accettato, per esprimerci così, che si abbreviasse il mistero, né in una direzione né nell’altra, e il Concilio di Calcedonia ha cercato una formula che preserva tutta la rivelazione.

Dio si è rivelato a noi nel Figlio, e il Figlio è un uomo che è vissuto in mezzo a noi, ha sofferto, è morto, è risorto.

Dio dice la lettera agli Ebrei aveva già parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti“. E parlando per mezzo dei profeti Dio aveva fatto desiderare la sua presenza “Se tu squarciassi i cieli e scendessi!” esclamava Isaia.

E Dio amando l’uomo, LO HA FATTO!

È disceso, si è reso presente nel Figlio. E “…a noi, Dio ha parlato per mezzo del Figlio”, ci ricorda la Lettera agli Ebrei al capitolo 1,1-6.

ESAME DEL TESTO EVANGELICO

Gesù è in cammino verso Gerusalemme ed è costretto ad attraversare la regione della Samaria.

La Samaria era un territorio ostile. Tra i giudei e samaritani non vi erano buone relazioni sia per ragioni storiche che religiose.

Con la conquista assira nel 722 a.C. e la distruzione del regno del Nord si era creata una popolazione semi-pagana.

I giudei consideravano la fede dei samaritani corrotta e quindi erano esclusi dal popolo di Dio.

In questo racconto il viaggio di Gesù non è soltanto geografico, egli percorre un itinerario di fede che sa accogliere gli altri come fratelli e sorelle, senza curarsi delle barriere etniche e dei contrasti religiosi che avevano segnato i rapporti tra giudei e samaritani.

L’accoglienza di cui parla Gesù in questo testo si manifesta nella guarigione dei dieci lebbrosi. I lebbrosi erano considerati impuri a motivo della loro malattia e quindi relegati a vivere ai margini della società civile ed esclusi dalla comunità religiosa, oltre a sostare lontano dai centri abitati per evitare il contagio.

I lebbrosi scorgono Gesù da lontano e invocano il suo aiuto. Lo chiamano per nome. Sono fiduciosi che Gesù possa offrire loro il suo aiuto.

Gesù non è mai insensibile alla sofferenza altrui, soprattutto di coloro che vivono maggiori disagi e difficoltà.

Anche questa volta Gesù incarna l’amore di Dio verso i piccoli, gli ultimi, tanto preziosi al vangelo di Luca.

Gesù non tocca i lebbrosi, come spesso era avvenuto (Luca 5,12-14), bensì li invia dai sacerdoti preposti a certificarne la guarigione.

Ciò che restituisce una bellezza da togliere il respiro a questo brano è il fatto che essi sono solo lebbrosi, non samaritani o ebrei.

Nella malattia non esiste distinzione, perché il dolore ci rende uguali, elimina le differenze e la disperazione.

Questi poveretti urlano, chiedono salvezza, chiedono di essere riammessi nel mondo dei vivi.

Gesù li ascolta ma ordina loro di andare dai sacerdoti del tempio. Ecco il simbolismo che si mette a brillare: la guarigione è in un percorso, un cammino nella vita. È progressiva, non è mai data tutta di colpo.

Questi poveretti debbono credere in Gesù e fare ciò che apparentemente non ha senso. MA FARLO PER FEDE!

Ci vogliono degli anni per convertirsi, degli anni per diventare veramente discepoli.

Essi sono banditi dalla società dei vivi, e sanno bene che non possono andare dai sacerdoti perché non li riceverebbero, anzi, li metterebbero a morte.

Ma in questo andare, in questa obbedienza che si fa cammino, mi risuonano nella mente le parole di Gesù “…la tua Fede ti ha salvato”.

E si mettono in strada e scoprono con meraviglia di essere stati TUTTI GUARITI!

Ma anche qui, ecco la miseria umana. Anch’essa si mette a brillare….

i nove ebrei vanno al tempio

ma il samaritano non ha un tempio, il suo è stato raso al suolo un secolo prima, proprio dagli ebrei e allora comprende che deve rivolgersi a Colui che è IL VERO TEMPIO… Gesù, la presenza di Dio incarnato che si è fatto compagno di viaggio, nel cammino della vita dell’uomo peccatore.

Ed ecco la grande tristezza del Nazzareno!

Lo accoglie… ironia della sorte… è un samaritano… un eretico… ma vive nel proprio cuore l’urgenza del grazie che torna da Gesù glorificando Dio.

Così, fa l’esperienza di una Parola INCARNATA che è totalmente rigeneratrice “…Alzati e va, la tua fede ti ha salvato“.

Triste nel cuore, Gesù commenta amareggiato: tutti dieci sono guariti. Ma uno solo sa che ha ricevuto un Dono ed è tronato a ringraziare…. Il samaritano sa che è stato salvato.

Non è vero che basta la salute. Come hanno pensato gli altri nove!

C’è in gioco molto di più della salute: LA SALVEZZA.

La salvezza diventa allora la consapevolezza di sapersi amati, di essere nel cuore di Dio.

Ma la tristezza di Gesù deriva dall’ingratitudine umana, che è più difficile da guarire della lebbra.

Ovviamente non è perché il Signore che ha bisogno della loro riconoscenza.

Ma sono loro, quei nove che dovrebbero sentire urgere in cuore questo sentimento così umano e umanizzante.

Il Maestro solo al Samaritano che torna indietro a ringraziarlo dice «…la tua fede ti ha salvato!»

Perché rivolge queste parole soltanto ad uno dei dieci?

Perché Gesù si aspetta qualcosa da parte loro. Ma i nove lebbrosi pensano che la guarigione spetta loro di diritto, perché sono membri del popolo eletto.

Perciò non considerano l’attenzione che era stata loro rivolta da Gesù.

Invece l’eretico samaritano, con umiltà, riconosce che la sua purificazione è stata un dono gratuito di Dio, ricevuto per mezzo di Gesù.

E noi, oggi, grazie a questo samaritano scopriamo una dimensione di gratuità della vita che noi spesso dimentichiamo, Fratelli e Sorelle: LA SALVEZZA CHE DIO CI OFFRE IN GESÙ È PURO DONO E NON DIPENDE DAI NOSTRI MERITI O DALLE NOSTRE QUALITÀ.

Perché il miracolo PRESUPPONE SEMPRE UN LEGAME PERSONALE CON LUI.

Egli guarisce, non perché gli si venga a dire una parola di ringraziamento, ma perché, tornando si instauri un rapporto personale con Lui.

Il suo gettarsi ai piedi di Gesù non indica un gesto di sudditanza, MA UN SEGNO DI RICONOSCENZA, che diventa “riconoscimento di un Dio che ci può sempre salvare e accogliere”.

Il samaritano ci aiuta a comprendere che noi, esseri umani, non abbiamo meriti o diritti davanti a Dio.

Che lezione meravigliosa, ci viene ancora una volta da un eretico: egli ci insegna che tutto ci è dato per grazia, tutto ci è dato come dono, cominciando dal dono della propria vita.

Anche qui la simbologia. Questa guarigione strabiliante (ancora oggi la Lebbra è un male senza cura… terribile), avviene a distanza.

Affinché i dieci lebbrosi tornino sui loro passi, e non scompaiano definitivamente, tornando nel loro desolante anonimato.

E se tornano, il miracolo si compie veramente in tutta la sua pienezza, e la salute gli viene restituita sia al corpo, che allo spirito.

Gli altri nove non sono che dei miracolati imperfetti, solo a metà. La loro guarigione è rimasta solo esteriore e sterile, quasi come se non fosse avvenuta, perché il loro cuore non è stato guarito, non si è aperto alla riconoscenza per Gesù e all’azione della sua Grazia.

È il rendimento di grazie che “chiude” il circuito della nostra relazione con Dio.

E se ci pensate bene, ricevere il beneficio diventa una cosa secondaria, perché ciò che è fondamentale è entrare in relazione con Colui che ci salva, perché vuole darci molto, ma molto, di più: vuole donarci sé stesso.

La Liturgia ci ricorda il nostro impegno per la lode al Signore. Nel Prefazio COMUNE IV, della Messa, il celebrante eleva al Padre la seguente preghiera, che noi, PURTROPPO ASCOLTIAMO SEMPRE DISTRATTAMENTE, SENZA RIFLETTERE SULLE PAROLE che vengono pronunziate:

  • «È veramente cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza, lodarti e ringraziarti sempre per i tuoi benefici, Dio Onnipotente ed eterno. Tu non hai bisogno della nostra lode, ma per un dono del tuo amore ci chiami a renderti grazie; i nostri inni di benedizione non accrescono la tua grandezza, ma ci ottengono la grazia che ci salva»

E noi, con il nostro cuore sclerotizzato e secolarizzato siamo pronti ad accoglierlo?

Siamo in grado di chiamarlo per nome come hanno fatto i dieci lebbrosi e gridarGli “…Gesù, Maestro, abbi pietà di noi!”.

Una cosa che mi rattrista “del nostro cristianesimo della domenica”, è CHE NON CONOSCIAMO AFFATTO LA POTENZA DELL’INVOCAZIONE DEL NOME DI GESU’.

Non lo sappiamo, né ci interessano le parole che l’apostolo Paolo, accoratamente, rivolge ai cristiani che vivono a Roma, nella sua Lettera:

“CHIUNQUE INVOCHERÀ IL NOME DEL SIGNORE SARÀ SALVATO” (ROMANI 10.13).

Ciò che noi possiamo offrire agli altri è il nome di Gesù.

Dovremmo imparare a riconoscere il nostro male, il nostro peccato e confessarlo a Gesù per guarire.

Dinanzi a lui dobbiamo raccontarci, dirgli ciò che ci fa male dentro e ciò che ci impedisce di essere sereni, in pace e riconciliati con i nostri fratelli e le nostre sorelle.

Gesù ci invita a fare come il lebbroso, a tornare indietro, a correre da lui lodando e ringraziando Dio a gran voce.

In questo percorso che Dio traccia, ognuno di noi riceve l’invito di Gesù “…Alzati e mettiti in viaggio”.

DOPO L’ESPERIENZA DELLA SALVEZZA, NON POSSIAMO PIÙ RINCHIUDERCI NEL NOSTRO MONDO, NELLA NOSTRA TRANQUILLA BEATITUDINE E DIMENTICARCI DI TUTTO E DI TUTTI.

La gioia dell’incontro con Gesù e la salvezza che egli offre non saranno mai vere se non le condividiamo e le mettiamo al servizio degli altri.

È nell’amore e nella condivisione che riscopriamo la bellezza e la gioia di avere Gesù come fratello e come salvatore.

L’uomo che cammina sulle strade del tempo ha sempre più bisogno di incontrare Gesù, e la salvezza che Egli ci dona.

La testimonianza della fede va proposta però in una dimensione di chiarezza e di misericordia, di accoglienza e di pazienza, rispettando sempre la libertà e la dignità di coloro che Dio pone sul nostro cammino.

Ma, RIPETO, DOBBIAMO USCIRE DALL’ISOLAMENTO DEL NOSTRO EGOISMO E DELLA NOSTRA ARROGANZA.

Ben lo diceva Eckhart von Hochheim, meglio conosciuto come Meister Eckhart (1260–1327/1328) religioso tedesco. È stato uno dei più importanti teologi, filosofi e mistici renani del Medioevo cristiano e ha segnato profondamente la storia del pensiero tedesco.

  • «Tutto sarebbe donato a chi rinunciasse a sé stesso assolutamente, anche per un solo istante
  • Se la sola preghiera che dirai mai nella tua intera vita è “grazie”, quella sarà sufficiente”.

Ragioniamoci sopra…

Sia Lodato Gesù, il Cristo!