Massimo il Confessore (in greco antico: Μάξιμος ὁ ῾Ομολογητής, Máximos ho Homologētḗs; 580 circa–662) monaco cristiano e teologo bizantino, è venerato come santo dalle Chiese cattolica e ortodossa che lo ricordano il 13 agosto.
È chiamato il Confessore perché i fautori del monotelismo, senza martirizzarlo, gli tagliarono la lingua e la mano destra con le quali egli aveva per parola e per iscritto difeso l’ortodossia della fede cattolica.
Biografia
La biografia ufficiale di Massimo risale al X secolo. L’autore ha fonti certe della vita solo dal Concilio Lateranense del 649.
Non sappiamo donde egli attinga le notizie precedenti. Egli dichiara che Massimo è di origine nobile, e che ha fatto gli studi propri degli uomini avviati alla carriera sia di corte che ecclesiastica.
È stato primo segretario dell’imperatore Eraclio fino al 613/614, per poi entrare nel monastero di Crisopoli, e nel 624/625 in quello di Cizico.
Si è inserito nelle discussioni della Chiesa (monofisismo e soprattutto monotelismo e monoergetismo).
Fuggito in Africa da Costantinopoli nel 626, qui egli visse la vita monastica accanto a Sofronio, futuro patriarca di Gerusalemme, per poi passare momentaneamente a Cartagine.
Dall’Africa andò a Roma e partecipò al Concilio lateranense per la condanna del monotelismo, sostenuta dall’imperatore Eraclio.
Nel 626 abbandonò Costantinopoli sotto la minaccia persiana e andò in Africa. A questo punto le due vite si assomigliano.
Incontrò Sofronio e da questo momento iniziò la battaglia molto forte contro il monotelismo e il monoenergismo.
In questo periodo africano Massimo completò le sue opere spirituali. Dal 641 egli fu molto impegnato nella lotta contro il monotelismo: nel 646 giunse a Roma e partecipò al sinodo romano in cui questa dottrina venne condannata.
Ma la corte imperiale aveva emesso un decreto a vantaggio del monotelismo e, di conseguenza, aveva condannato il ditelismo.
Per cui, il 17 giugno del 653, il papa Martino e Massimo vennero arrestati e condotti a Costantinopoli, per cui secondo la leggenda gli venne tagliata la lingua e la mano destra. Massimo subì un primo esilio a Bizja in Tracia.
Due emissari della corte tentarono inutilmente di ottenere da Massimo una dichiarazione di compromesso. Poi venne esiliato a Lazica, in Armenia, dove morì all’età di 80 anni il 13 agosto 662.[3]
Nel 1973 è stato pubblicato un testodi Giorgio di Reshaina sulla vita siriaca di san Massimo. Questo testo non nutre simpatia per Massimo: l’intento è quello di umiliare il Confessore, cosa che la biografia bizantina evita. Sembrano tuttavia verosimili le notizie che esso ci dà della sua giovinezza.
Massimo è nato nel Golan, nel villaggio di Hasfin, da padre samaritano e madre di origine persiana (origine umile). Orfano a 9 anni egli, che si chiamava Moschion, fu presentato dal prete Martyrios all’igumeno (abate) Pantaleone del monastero di San Caritone, detto “la vecchia laura”.
Massimo sarebbe quindi cresciuto nell’ambiente monastico palestinese impregnato dalla conoscenza di Origene e dei padri greci.
Egli abbandonò la Palestina nel 614 con l’invasione persiana e, giunto a Costantinopoli, conobbe Anastasio, che diverrà suo compagno inseparabile e suo discepolo; questi conosceva bene l’ambiente di corte, noto anche a Massimo.
A Costantinopoli Massimo fu ospite nel monastero di Filippico a Crisopoli.
Il monotelismo si basa sul discorso della volontà. Chi considera l’operazione nel suo termine vede una sola operazione, ma in Cristo l’operazione è duplice perché legata alla sua natura umana e divina.
Allo stesso modo lo è la sua volontà. In Gesù sia la natura divina che quella umana rimangono integre nelle loro operazioni.
Pirro, patriarca di Costantinopoli, nella sua disputa con Massimo, attribuisce tutte le sofferenze e la Passione all’umanità del Cristo soltanto, e di conseguenza tutte le operazioni alla sua divinità.
Massimo sembra avere tale pensiero in mente quando in questa lettera enfatizza con eccezionale vigore lo scambio di proprietà (communicatio idiomatum), scrivendo:
«Egli opera umanamente ciò che è divino… e divinamente ciò che è umano (Ep. 19-593 A. 2f.)» |
Sergio, patriarca di Costantinopoli, scrive nel suo giudizio: «Alcuni sono scandalizzati perché parlare di un’operazione sembra implicare il rifiuto delle due nature che il nostro Signore possiede – un’obiezione di scarsa rilevanza – dall’altro, molti si scandalizzano perché la frase “due operazioni” non si trova nei padri e implica due distinte volontà nel Nostro Signore».
Massimo venne riportato a Costantinopoli per un ultimo tentativo di riconciliazione davanti al patriarca, perché sembrava che il papa Vitaliano avesse accettato una formula che avvicinasse a Costantinopoli (18 aprile 658).
Massimo rispose: «Il Dio dell’universo proclamando Pietro beato perché lo ha confessato come si conviene (Matteo 16,18) ha mostrato che la Chiesa cattolica è la giusta e salvifica confessione di lui medesimo (Cristo).»
Sono le ultime parole di Massimo. Dopo un esilio di altri 4 anni, nel 662, all’età di 82 anni, fu condannato da un sinodo monotelita alla flagellazione, poi gli tagliarono la lingua e la mano destra.
Deportato in una località con Anastasio e con un messo papale, il 18 giugno del 662 furono separati e Massimo fu rinchiuso nella fortezza di Schemaris presso Lazica, dove morì il 13 agosto 662.
Il Concilio Costantinopolitano III riabilitò la sua persona e dichiarò la dottrina delle due volontà in Cristo come dottrina cattolica.
Nella sua lettera enciclica Spe Salvi (2007), Papa Benedetto XVI ha fatto riferimento a Massimo di Costantinopoli come al ‘grande dottore greco della Chiesa’, sebbene non sia chiaro se, con questa definizione, il pontefice volesse nominare Massimo ‘Dottore della Chiesa’.
Le fonti del pensiero
La formazione spirituale di san Massimo affonda nell’ampio terreno della cultura greca, da quella filosofica (neoplatonismo, ma soprattutto Aristotele) a quella patristica (i Cappadoci, in particolare Gregorio di Nazianzo).
Vi è pure un rapporto con lo pseudo-Dionigi e Origene.
L’approccio a Origene viene mediato da un altro grande pensatore che si chiama Evagrio Pontico, una delle grandi menti del cristianesimo antico del IV secolo.
Pertanto il rapporto di Massimo con Origene è mediato, oltre che dai Cappadoci, anche da Evagrio.
Queste sono le fonti spirituali: ovviamente sono fonti che sono sotto un certo giudizio ecclesiastico, ma il genio di Massimo e il suo senso ecclesiale gli impediscono di prendere vie laterali del pensiero di Origene quali l’origenismo aveva preso (questo fenomeno sorgerà proprio in Palestina nel IV-V secolo).
Massimo rimane in un rapporto forte con Origene, mediato dall’insegnamento essenziale della dottrina cristiana.
Opere
- Quaestiones et dubia(626); prima opera di Massimo, scritta in Africa.
- Liber asceticus(Diaologo ascetico)
- Expositio in Psalmum LIX(626); commento al salmo 59.
- Capita de caritate; 400 capitoli
- Orationis Dominicae brevis expositio; esposizione sulla liturgia.
- Opuscula theologica et polemica
- Quaestiones ad Thalassium(630-633); 65 risposte a dubbi del monaco Talassio di Libia sulle Sacre Scritture.
- Ambiguorum liber(Ambigua ad Johannem, Ambigua ad Thomam, Epistula secunda ad Thomam)
- Mystagogia; interpretazione simbolica dei riti litugici.
- Capita theologica et oeconomica(o 200 capitoli gnostici); pensieri derivati da Origene, Filone ed Evagrio.
- Diversa capita ad theologiam et oeconomiam spectantia
- Epistulae XLV
- Disputatio cum Pyrrho(645); dispute teologiche con il patriarca Pirro
- Vita della Vergine
- Opere non autentiche:
- Scholia in Dionysii libros
- Loci communes