MARTEDI’ XXVI^ SETTIMANA T.O. – Lc 9,51-56 “ma essi non vollero riceverlo…”

… il VECCHIO FARISEO COMMENTA….

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Dal Vangelo secondo Lc 9,51-56

Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto, Gesù prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme e mandò messaggeri davanti a sé. Questi si incamminarono ed entrarono in un villaggio di Samaritani per preparargli l’ingresso. Ma essi non vollero riceverlo, perché era chiaramente in cammino verso Gerusalemme. Quando videro ciò, i discepoli Giacomo e Giovanni dissero: «Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?». Si voltò e li rimproverò. E si misero in cammino verso un altro villaggio. Parola del Signore

 

Mediti…AMO

Con questo brano si apre la seconda parte del vangelo secondo Luca, quella che ci testimonia il viaggio di Gesù a Gerusalemme, dove sarà arrestato, condannato e crocifisso.

È solenne l’inizio del brano. Secondo la vecchia traduzione “…Ora, avvenne che, mentre stavano per compiersi i giorno della sua elevazione, egli indurì il suo volto per camminare verso Gerusalemme”.

Oggi purtroppo sostituita con “Gesù prese la ferma decisione di mettersi in cammino”.

Stanno per compiersi i giorni, sta per avvenire nella vita di Gesù l’evento della sua elevazione, ed egli lo sente dentro di sé come una necessità innanzitutto umana, nella quale è inscritta la necessitas divina (il profeta non può non essere perseguitato e ucciso proprio a Gerusalemme, ci dice Luca al capitolo 13,34-35 “34Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi coloro che ti sono mandati, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli, come la chioccia raccoglie i suoi pulcini sotto le ali; e voi non avete voluto! 35Ecco, la vostra casa sta per esservi lasciata deserta. Io vi dico che non mi vedrete più, fino al giorno in cui direte: “Benedetto colui che viene nel nome del Signore!”).

E se Gesù obbedirà alla vocazione e non si sottrarrà ai nemici, difendendosi o fuggendo, allora sarà elevato da questa terra verso il Padre.

Come ci dice Luca al Capitolo 9,31, sarà l’ora del suo esodo, e per descrivere questa dipartita Luca si ispira al racconto della fine di Elia (2Re 2,8-11), usando i termini: elevazione, ascensione, rapimento. Luca usa lo stesso termine (un passivo divino, per l’esattezza il verbo elevare) per parlare dell’ascensione di Gesù al cielo (At 1,2.11.22).

Gesù allora “indurì il suo volto per camminare verso Gerusalemme”, cioè, diremmo noi, serrò i denti, mostrando un volto severo e determinato perché, sapendo di andare incontro a una fine tragica, doveva anche lui sconfiggere la paura che lo assaliva.

Ma donde proviene questa espressione (“indurì il suo volto”)?

Gesù come sempre, realizza l’Antico Testamento, Isaia 50,7, “leggendosi” in esso come quel Servo che si sente sicuro perché sa che il Signore è con lui. Perciò “rese il suo volto duro come pietra, sapendo di non restare confuso”.

Questa esperienza dell’indurire il volto è tipica del profeta che a volte sperimenta che è il Signore a rendergli il volto duro, per aiutarlo contro i nemici, altre volte è lui stesso a dover indurire la faccia per poter accettare il destino di persecuzione.

Profezia a caro prezzo, a costo di dover stringere i denti e predicare ciò che non si vorrebbe, operare come non si vorrebbe (come dice anche Ez 3,8-9 “8 Ecco io rendo dura la tua faccia, perché tu possa opporla alla faccia loro; rendo dura la tua fronte, perché tu possa opporla alla fronte loro; 9 io rendo la tua fronte come un diamante, più dura della selce; non li temere, non ti sgomentare davanti a loro, perché sono una casa ribelle».”).

Spesso non pensiamo alla fatica, alla paura e all’angoscia vissute da Gesù, e facciamo male. Perché proprio nella sua fragile condizione umana, svuotatosi di sé stesso, Egli ha potuto assumere su di sé la nostra disgraziata condizione umana.

MA GUAI SE COSÌ NON FOSSE STATO.

Perché se avesse fatto ricorso alla sua divinità, quello stesso percorso sul Calvario della nostra vita, noi non lo avremmo mai potuto percorrere.

Ma la sua condizione di piena umanità non lo ha preservato da questi sentimenti di fronte a ciò che si profilava davanti a sé: rigetto, condanna religiosa e politica, morte violenta.

Per edificare la nuova umanità egli discende nella estrema povertà di questa condizione e cammina verso Gerusalemme e verso quella morte in croce che è riscatto, liberazione e vita nuova per tutti e per tutto.

Umanamente Gesù:

  • ha provato lo sconforto di Elia davanti alla persecuzione di Gezabele, riportata nel 1’ Libro dei Re 19,1-8:
    • 1 Acab raccontò a Izebel tutto quello che Elia aveva fatto, e come aveva ucciso con la spada tutti i profeti. 2 Allora Izebel mandò un messaggero a Elia per dirgli: «Gli dèi mi trattino con tutto il loro rigore, se domani a quest’ora non farò della vita tua quel che tu hai fatto della vita di ognuno di quelli». 3 Elia, vedendo questo, si alzò, e se ne andò per salvarsi la vita; giunse a Beer-Sceba, che appartiene a Giuda, e vi lasciò il suo servo; 4 ma egli s’inoltrò nel deserto una giornata di cammino, andò a mettersi seduto sotto una ginestra, ed espresse il desiderio di morire, dicendo: «Basta! Prendi la mia anima, o SIGNORE, poiché io non valgo più dei miei padri!» 5 Poi si coricò, e si addormentò sotto la ginestra. Allora un angelo lo toccò, e gli disse: «Àlzati e mangia». 6 Egli guardò, e vide vicino alla sua testa una focaccia cotta su pietre calde, e una brocca d’acqua. Egli mangiò e bevve, poi si coricò di nuovo. 7 L’angelo del SIGNORE tornò una seconda volta, lo toccò, e disse: «Àlzati e mangia, perché il cammino è troppo lungo per te». 8 Egli si alzò, mangiò e bevve; e per la forza che quel cibo gli aveva dato, camminò quaranta giorni e quaranta notti fino a Oreb, il monte di Dio”.
  • ha provato l’angoscia di Geremia quale agnello condotto al macello (Ger 11,19):
    • “Io ero come un docile agnello che si conduce al macello; io non sapevo che tramavano macchinazioni contro di me dicendo: «Distruggiamo l’albero con il suo frutto, sterminiamolo dalla terra dei viventi; affinché il suo nome non sia più ricordato»”.
  • ha faticato come il Servo ad accettare di dare la sua vita per i peccatori (Is 53,12):
    • “Perciò io gli darò in premio le moltitudini, egli dividerà il bottino con i molti, perché ha dato sé stesso alla morte ed è stato contato fra i malfattori; perché egli ha portato i peccati di molti e ha interceduto per i colpevoli”.
  • e voca anche un ordine che il profeta Ezechiele ricevette da Dio “…Volgi la faccia verso Gerusalemme!” (Ez 21,7).

E tutto questo perché ormai l’apparente intesa con Israele è ormai finita: la folla si è stufata di questo strano profeta che non sembra intenzionato a scatenare quella rivoluzione che tanto sognavano.

E i capi religiosi del popolo temono che i romani possano attuare una rappresaglia togliendo loro l’autonomia appena riconquistata.

Gesù decide quindi in cuor suo di salire a Gerusalemme: nella città santa si deciderà il suo destino, perciò decide di giocare tutte le sue carte.

Una lunga camminata lo aspetta. Ed essa è simbolo di quel viaggio che vedrà la tensione del passaggio tra il Nuovo e l’Antico che si chiudeva sempre più in sé stesso.

Ma al contempo simbolizza anche la conversione che ognuno di noi deve vivere, cercando di seguire Gesù di Nazareth.

Durante quel viaggio, i discepoli e le discepole cercano di seguire Gesù, senza tornare indietro, spesso senza riuscirci. E Gesù ne approfitta per istruire coloro che lo seguono da vicino.

Un esempio concreto di questa istruzione lo abbiamo nel vangelo di oggi. All’inizio del viaggio, Gesù esce dalla Galilea e porta con sé i discepoli verso il territorio dei samaritani.

Cerca di formarli affinché siano in grado di capire l’apertura verso ciò che è nuovo, verso l’“altro”, il differente.

Ma nel gesto “di indurire il volto” già si illumina la croce, somma manifestazione della volontà di Cristo di svelare il vero volto di Dio di Israele.

Quanto è triste e fuori luogo l’arrabbiatura di Giacomo e Giovanni, che vistisi rifiutati dai samaritani, storici avversari degli ebrei, vogliono scatenare una terribile pioggia di fuoco su di essi, per punire questi scellerati.

Ma d’altronde essi sono detti “boanèrghes, cioè “figli del tuono” (Mc 3,17). Ma rimangono pur sempre sciocchi e tardi di cuore nel credere alla Parola del Signore! Ad una Parola che mai è violenta, mai impositiva.

Ma anche questa proposta infausta dei “figli del tuono” discende dall’Antico Testamento, sempre dal 1 Libro dei Re al capitolo 18,36-40:

  • 36All’ora in cui si offriva l’offerta, il profeta Elia si avvicinò e disse: «SIGNORE, Dio d’Abraamo, d’Isacco e d’Israele, fa’ che oggi si conosca che tu sei Dio in Israele, che io sono tuo servo, e che ho fatto tutte queste cose per ordine tuo. 37 Rispondimi, SIGNORE, rispondimi, affinché questo popolo riconosca che tu, o SIGNORE, sei Dio, e che tu sei colui che converte il loro cuore!» 38 Allora cadde il fuoco del SIGNORE, e consumò l’olocausto, la legna, le pietre e la polvere, e prosciugò l’acqua che era nel fosso. 39 Tutto il popolo, veduto ciò, si gettò con la faccia a terra, e disse: «Il SIGNORE è Dio! Il SIGNORE è Dio!» 40 Elia disse loro: «Prendete i profeti di Baal; neppure uno ne scampi!» Quelli li presero, ed Elia li fece scendere al torrente Chison, e laggiù li sgozzò.”

È come se Giacomo e Giovanni avessero detto “…vuoi che facciamo come Elia, il quale invocò il fuoco dal cielo che divorò i suoi nemici”?

Era un’azione compiuta da un profeta grande come Elia, dunque poteva, a loro parere, essere ripetuta a causa della presenza di Gesù, profeta più grande di Elia.

Giovanni e Giacomo non vanno condannati troppo facilmente: comprendere che la via di Gesù non è quella della condanna ma della misericordia, non era facile per loro, ebrei osservanti e zelanti!

D’altronde, non erano i più vicini a Gesù, interpreti della sua volontà? Accettare la sua debolezza, la possibilità del fallimento della sua missione, accogliere il suo ministero non di condanna ma di salvezza del peccatore, non era facile…

E questo la dice lunga ad ognuno di noi. Me per primo, che non sono affatto meglio di Giacomo e Giovanni. Dobbiamo essere decisi si, ed irremovibili, nel testimoniare il Cristo, ma sempre con mitezza.

Nella storia purtroppo succederà spesso che i discepoli di Gesù, ma anche noi, discepoli che camminiamo sulle strade del tempo, proprio credendo di eseguire la volontà e il desiderio del Signore, in realtà lo contraddiranno e gli daranno il volto di un giudice venuto per castigare e distruggere i malvagi…

Bellissimo il ricorso a due verbi, solo a due verbi che rendono bene la netta posizione di Cristo Signore:

  1. si voltò
  2. e li rimproverò.

Il fatto che “si avviarono verso un altro villaggio” sta a confermare l’imperturbabilità di Gesù.

Sì, quel Gesù che prova grande compassione per tanta povera gente (come alla Cananea, ad esempio), qui non è per nulla scosso dal cattivo comportamento dei Samaritani. Ciò che non intacca la gloria del Padre non lo turba affatto.

Un’altra cosa vorrei sottolineare per ben comprendere il rimprovero di Gesù a Giacomo e Giovanni.

Terminata l’attività in Galilea, il viaggio verso Gerusalemme, in Giudea, comportava il passaggio per la Samaria come tappa obbligata e qui Gesù incontra il rifiuto dei samaritani.

Ma anche la fase in Galilea della vita di Gesù era iniziata con il rifiuto dei suoi concittadini nella sinagoga di Nazaret. Il cammino di Gesù è segnato costantemente dal rigetto.

Il motivo del rifiuto è legato a un profondo e antico dissidio etnico e religioso legato soprattutto alla legittimità del culto prestato a Dio in Samaria.

La cosa che MAI DOBBIAMO DIMENTICARE, SE DAVVERO SIAMO DISCEPOLI DEL CRISTO, È CHE LA VITA È LIBERTÀ:

  • i Samaritani non capiscono, non accolgono, e Gesù cammina.
  • I suoi discepoli non capiscono, non accolgono, vogliono annientare il nemico: e Gesù si ferma.

LA PAROLA È UNA PROPOSTA, PUOI RIFIUTARLA MA L’UOMO NO, L’UOMO È SACRAMENTO, SEMPRE, È VOLTO VISIBILE DI DIO. L’UOMO NON PUOI RIFIUTARLO, MAI.

Ecco perché Gesù si ferma, si volta, e rimprovera. Ecco perché poi continua il viaggio, con gli stessi discepoli.

Pur essendo Dio, Gesù non si sostituisce alla libertà dei Samaritani, e davanti a Lui essi rimangono, come ognuno di noi, talmente tanto liberi da potergli dire no.

E l’inevitabile sofferenza che questo suscita, non deve mai sfociare in un fanatismo religioso integralista che in particolar modo stona sentendolo pronunciare da Giacomo e Giovanni, due tra i migliori della Sua compagnia:

  • “Quando videro ciò, i discepoli Giacomo e Giovanni dissero: «Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?». Ma Gesù si voltò e li rimproverò. E si avviarono verso un altro villaggio”.

Se Dio rispetta la libertà di ogni uomo fino all’estreme conseguenze, chi sono essi e chi siamo noi, per sentirci autorizzati a vendicare una simile libertà di chi si mette contro il Signore?

Dio è amante dell’amore, e l’amore per funzionare ha bisogno di libertà, per questo è morto affinché ognuno potesse essere libero fino in fondo.

E si è liberi talmente tanto da poter andare all’inferno con le proprie gambe.

Ecco perché è un’eresia affermare che siccome Dio è buono allora l’inferno non esiste. Perché se non esiste la possibilità contraria al Suo Amore allora noi non siamo liberi.

E se non siamo liberi allora non è possibile nemmeno l’Amore.

L’amore autentico desidera il bene dell’amato, per questo conosce il dolore del rifiuto. CHI AMA, INFATTI, È LIBERO E LASCIA LIBERI: ACCETTA CHE L’ALTRO NON LO ACCOLGA. MA QUI COMINCIANO I PROBLEMI.

È più forte di noi, non tolleriamo che l’altro non ci capisca, non ci ascolti, e ci rifiuti. E ognuno di noi vorrebbe sempre poter “dire che scenda un fuoco dal Cielo e distrugga” il male, le idee diverse, la freddezza e le incomprensioni degli altri.

NOI -E IO PER PRIMO, SEMPRE FRAINTENDIAMO IL SEGNO DI ELIA, che non ha bruciato gli idoli per vincere una partita con i profeti di Baal, MA PER ANNUNCIARE CHE ESISTE UN SOLO DIO CHE AMA L’UOMO, RISPONDE AL SUO GRIDO E SI FA CARICO DELLE SUE VICENDE.

E restiamo sordi all’annuncio di questo amore.

Rifiutiamo la pretesa della Croce di essere l’unico “luogo” dove fare giustizia della menzogna del demonio e dove incontrare e adorare Dio.

I samaritani che non accolgono il Signore sono immagine di quell’eresia che cova nel nostro cuore, quella che rifiuta l’amore perché legato al Monte Garizim, dove essi credevano si dovesse esclusivamente adorare Dio.

 

Ogni eresia, infatti, sbuccia la verità per attaccarsi a un pezzo di scorza, pretendendo di farne l’assoluto.

Non possiamo accettare il Legno della Croce che brucia il nostro orgoglio e rivela l’amore di Dio perché siamo attaccati ai fatti nella vita nei quali crediamo di avere patito delle ingiustizie.

In verità ognuno di noi adora se stesso e non accetta chi ci annuncia che la vera sofferenza è per i nostri peccati e non a causa degli altri.

Per questo rifiutiamo chi ci profetizza che è nella Gerusalemme del Mistero Pasquale DOVE SI IMPARA IL NUOVO CULTO IN SPIRITO E VERITÀ.

E vorrei chiudere questa lunga riflessione, sella quale imploro da voi venia, con la voce di un Santo amato Papa, che tutti abbiamo conosciuto e ascoltato, mentre tuonava con la Scrittura Santa, Karol Wojtyla Giovanni Paolo II:

Dammi, Signore d’essere uomo di pace, così come Tu sei stato. Non sono al mondo per raccogliere e rendere trattamenti offensivi, ma per seminare bontà e poi cogliere gioia per tutti. La pace non può regnare tra gli uomini se prima non regna nel cuore di ciascuno di loro“.

Iddio vi Benedica!

Ragioniamoci sopra…

Sia Lodato Gesù, il Cristo!