… il VECCHIO FARISEO COMMENTA….
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Dal Vangelo secondo Matteo 5,1-12
In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo:
«Beati i poveri in spirito,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati quelli che sono nel pianto,
perché saranno consolati.
Beati i miti,
perché avranno in eredità la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,
perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi,
perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore,
perché vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace,
perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati per la giustizia,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia.
Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli». Parola del Signore
Mediti…AMO
Oggi la Chiesa ci invita a contemplare la festa di tutti i santi, specialmente di quelli che non sono elencati nei calendari, ma che noi abbiamo avuto la fortuna di conoscere e amare.
Ignoti a miliardi di persone, perché non canonizzati, hanno tracciato un cammino fatto di sequela a Cristo nella verità della Fede e compiendo opere di misericordia, ed ora guardano ugualmente Dio “faccia a faccia”.
Perché il giudizio di Dio – A CUI NULLA SFUGGE- è il solo in grado di scoprire la santità là dove l’uomo non è capace di poterla trovare.
Santità è una parola poco usata ai nostri giorni mentre negli anni passati era considerata una vocazione, alla quale ogni cristiano veniva chiamato e per la quale era stato, da Dio, creato.
Questa vocazione alla santità è prescritta, da Dio, nel libro del Levitico, in cui leggiamo “siate santi perché io sono santo”.
La santità allora è una vocazione che investe TUTTI i fedeli.
Essa non riguarda pochi privilegiati, ma costituisce l’approdo alla fede e all’Amore per coloro che credono:
- in Dio Padre,
- nel suo figlio diletto, Gesù Cristo,
- nello Spirito Santo,
- nella santa Chiesa,
- nella comunione dei Santi.
Se ricordate, potete convenire con me che è meraviglioso ciò che Giovanni, al capitolo 7,2-4.9-14, descrive a proposito di questo argomento nel libro dell’Apocalisse.
Egli “in visione” ci descrive la “grande festa del cielo” dei “segnati”, ovvero la festa di una moltitudine immensa, di uomini e donne, che nessuno poteva contare, di ogni lingua, popolo, nazione e razza.
Essi sono quei nostri fratelli, credenti, che “hanno lavato le loro vesti” nel sangue dell’Agnello, rendendole candide, perché si sono affidati alla morte santificatrice di Gesù Cristo.
Festeggiare allora la festa di “tutti i santi” è guardare coloro che già posseggono l’eredità della gloria eterna.
Quelli che hanno voluto vivere della loro grazia di figli adottivi, NEL FIGLIO, come dice Paolo e hanno fatto sì, che la misericordia del Padre, vivificasse ogni istante della loro vita.
Sono quei nostri fratelli maggiori che la Chiesa ci propone come modelli perché, pur essendo peccatori come i noi, hanno incontrato Gesù, pur attraverso le loro debolezze, le loro sofferenze, e anche le loro tristezze.
Questa beatitudine che dà loro il condividere in questo momento la vita stessa della Santa Trinità è un frutto di sovrabbondanza che il sangue di Cristo ha loro acquistato.
Una parola meritano coloro che Paolo nelle sue lettere chiama “i santi”.
Paolo nelle sue Epistole, parla sempre di “santi”, come quando cita:
- i “santi che sono in Efeso“
- o la vedova che, fra tutte le opere degne di nota, “lava i piedi ai santi“.
L’apostolo ovviamente non si riferisce ai particolari personaggi che noi veneriamo oggi nelle nostre chiese e raffigurati sotto forma di icone e sculture, ma si riferisce semplicemente a tutti i fratelli in Cristo.
IL TERMINE “SANTO” ERA INFATTI UTILIZZATO NEI PRIMI SECOLI DELLA CRISTIANITÀ PER INDICARE QUALSIASI CREDENTE AVESSE RICEVUTO LA CONSACRAZIONE BATTESIMALE E SI FOSSE DISPOSTO A VIVERE LA RADICALITÀ DELLA PROPRIA DONAZIONE A CRISTO E AI FRATELLI.
In parole povere, il “santo” dei primi secoli altri non è che il cristiano che si sforza con tutti i mezzi e disinteressatamente di vivere la pienezza del vangelo, rendendosi sempre più conforme a Cristo Salvatore, essendo il Redentore, il suo unico modello.
TUTTI SIAMO STATI INFATTI PREDESTINATI AD ESSERE CONFORMI ALL’IMMAGINE DEL FIGLIO SUO (Ef 1, 5; Rm 8, 20) e la perfezione è nostro obiettivo comune da coltivare con costanza.
LA SANTITÀ È, E DEVE ESSERE, LA VOCAZIONE COMUNE DI TUTTI I BATTEZZATI, prescindendo dai doni e dai carismi di ciascuno.
È un esercizio continuo di CARITÀ sincera e operosa, costruita su quella FEDE che poggia sulla SPERANZA e che va eseguito con costanza e perseveranza in un mondo che purtroppo procede in senso opposto.
La santità non è un’ideologia, ma scaturisce da un Evento singolare e irripetibile che è quello della RIVELAZIONE DI DIO E DELLA SUA INCARNAZIONE.
Dio che è Santo e Ineffabile, ci ha chiamati ad essere santi ciascuno nella propria dimensione personale e comunitaria, nella sua Chiesa, e l’impegno costante di tutti i redenti è l’esercizio effettivo di questa CARITÀ sincera e operosa, costruita su quella FEDE, che poggia sulla SPERANZA nonostante le insidie del peccato.
Ad esempio, Pietro, ci esorta in una sua Lettera ad una vita irreprensibile e ben disposta ad una testimonianza chiara, che metta a tacere quanti denigrano la parola del Signore. E ci invita ad essere “santi nella nostra condotta ad immagine del Santo che vi ha chiamati“, mentre Paolo parla di predestinazione universale alla salvezza e quindi di vocazione comune alla santità alla sequela del Risorto.
I Santi, allora, sono coloro che hanno vissuto con radicalità la realtà del Regno di Dio nelle parole e nelle opere di Cristo e che si sono conformati a lui in tutto e adesso, mentre godono il premio definitivo del banchetto dei giusti, intercedono a nostro favore e con la loro esemplarità di vita ci spronano alle virtù e alla perfezione.
Papa Francesco, in una delle sue omelie a Santa Marta lo scorso mese di maggio, diceva che “i santi non sono eroi, ma umili peccatori che si lasciano santificare da Gesù, nella storia di ogni giorno”.
E per comprendere meglio questo, torno ad affermare quanto ho detto prima: per essere Santi, occorrono dei doni straordinari. Non eroici: straordinari, ossia che “escono dall’ordinario”, dal nostro quotidiano modo di fare.
Ma entriamo nel dettaglio di una sola frase riportata dal vangelo di Matteo 5,4. Non abbiamo il tempo per esaminarle tutte:
- “Beati quelli che sono afflitti, perché saranno consolati”.
Le uniche persone che sono veramente felici sono coloro che piangono! Sembra un’assurdità eppure è così.
Il mondo dice che coloro che hanno motivo di essere felici sono i ricchi, coloro che hanno successo, coloro per i quali il cielo è sempre azzurro e che sembrano che non conoscano nulla di cosa siano i problemi, le responsabilità, le pressioni, le angosce e le lacrime con cui molti hanno familiarità.
La società oggi ci dice che il cordoglio, l’afflizione è qualcosa da evitare, ci dice di dimenticare i problemi, di non fissarci, di non pensarci, ma di goderci la vita!
Così per la ricerca effimera del piacere si fa di tutto, si spendono molti soldi e tante energie.
Ecco perché dire agli occhi del mondo che i beati sono coloro che sono afflitti appare una cosa ridicola!
Ma sorge una domanda. Ci può essere un collegamento tra il cordoglio e l’essere beato?
Se beato significa semplicemente felice, nel senso usuale del termine, la frase è un controsenso, una contraddizione in termini, come può uno essere felice e triste allo stesso tempo?
Allora forse occorrerà esaminare il secondo termine della frase, ovvero “essere afflitti”.
La parola “afflitti” (pentheō) significa sentirsi completamente e tristemente senza speranza.
Pentheō è la parola greca più forte tra le nove parole greche del Nuovo Testamento per esprimere il dolore.
Tanto è vero che viene usata per indicare il lutto, quel piangere addolorati per la perdita di una persona molto cara.
Infatti troviamo questa parola:
- nella traduzione greca dell’Antico Testamento quando Abramo piange Sara che era morta (Genesi 23,2);
- il cordoglio del popolo dopo la morte degli esploratori della terra promessa Numeri 14,39.
Nel Nuovo Testamento è riferito a coloro che facevano cordoglio e piangevano per Gesù che era morto (Marco 16,10).
Nel contesto del discorso o sermone sul monte, significa lutto vero, non artificiale come il lutto che veniva visto spesso in quei giorni in occasione di funerali in cui vi erano coloro che facevano scena, gli afflitti di professione, i cosiddetti “piagnoni”.
Il lutto di cui parla Gesù è un dolore profondo e sincero. E questo è l’atteggiamento corretto per essere beati (Salmi 34,18; 51,17; Isaia 29,13; Geremia 29,12-13; Ebrei 10,22).
Ma di che tipo di afflizione si tratta?
È un’afflizione fisica, morale o spirituale?
Sono i mali che affliggono gli uomini sulla terra: violenze, ingiustizie, oppressioni o è il cordoglio dei peccatori che segue il povero in spirito?
Oppure coloro che soffrono per la loro fedeltà a Dio o ancora perché il nome del Signore non è onorato?
Di quale afflizione si tratta? SI TRATTA DEL CORDOGLIO PER IL PECCATO. Dunque l’afflizione è causata dal peccato. E quindi si tratta di una afflizione interamente spirituale nel suo significato.
Il peccato deve avere le lacrime, e queste lacrime devono scorrere prima che una persona possa entrare, redenta, nel regno dei cieli.
L’afflitto riconosce che la legge di Dio è la norma da seguire per la sua vita morale, ed è consapevole che essa esprime la volontà di Dio e sarà la luce guida del nostro carattere e dei pensieri, delle nostre parole e azioni.
Quando una persona è consapevole della santità e della giustizia di Dio, e quindi del tipo o dello stile di vita che deve vivere, e poi esamina la realtà della propria vita, fa cordoglio!
Quindi quando noi pecchiamo, trasgrediamo la legge di Dio che è la norma del nostro stile di vita.
Perciò noi faremo cordoglio se riconosciamo che la Sua legge è santa, e la sua volontà santa, gradita e perfetta!
Ben lo evidenzia Paolo nella lettera ai:
- Romani 7,12 “Così la legge è santa e santo e giusto e buono è il comandamento”
- Romani 12,2 “Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto”.
Perciò:
L’afflitto riconosce che non si può trattare con indifferenza il peccato.
È consapevole che il peccato non è una semplice leggerezza, né una debolezza, ma in essenza è una ribellione voluta contro la volontà di Dio e la Sua santa legge, perciò farà cordoglio dei propri peccati!
L’afflitto non giustifica il Suo peccato, non lo sminuisce; non lo ignora; lui si esamina in relazione alla trasgressione della legge e quindi a quanto è grave il peccato che ha commesso, per Dio.
Ecco perché è beato: ha raggiunto la santità.
Ragioniamoci sopra…
Sia Lodato Gesù, il Cristo!