LUNEDI’ XXVI^ SETTIMANA T.O. SAN VINCENZO DE PAOLI – Lc 9,46-50 chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato
… il VECCHIO FARISEO COMMENTA….
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Dal Vangelo secondo Lc 9,46-50
In quel tempo, nacque una discussione tra i discepoli, chi di loro fosse più grande. Allora Gesù, conoscendo il pensiero del loro cuore, prese un bambino, se lo mise vicino e disse loro «Chi accoglierà questo bambino nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato. Chi infatti è il più piccolo fra tutti voi, questi è grande». Giovanni prese la parola dicendo «Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demòni nel tuo nome e glielo abbiamo impedito, perché non ti segue insieme con noi». Ma Gesù gli rispose «Non lo impedite, perché chi non è contro di voi, è per voi». Parola del Signore
Mediti…AMO
Vincenzo (Francia, 1581 – Francia, 1660), a 16 anni riceve la tonsura, il che significava entrare nel clero e indossare la tonaca. Grazie a un ricco avvocato della zona riesce a studiare teologia a Tolosa e viene ordinato sacerdote il 23 settembre 1600, dapprima come secolare, poi nella Compagnia del Santissimo Sacramento.
Diventa quindi il sacerdote di Saint-Sauveur Saint-Médard, dove ha ricostruito la chiesa della comunità dal 1622 al 1630. Nel 1623 ha fondato la Compagnia delle Dame della carità, che hanno poi preso il nome di “Figlie della carità di San Vincenzo de ‘Paoli.”
Questo ordine ha avuto sede a Clichy fino al 1970.
Da sacerdote e parroco si dedicò dapprima all’evangelizzazione delle popolazioni rurali, fu cappellano delle galere e apostolo della carità in mezzo ai poveri, i malati e i sofferenti.
Alla sua scuola si formarono sacerdoti, religiosi e laici che furono gli animatori della Chiesa di Francia, e la sua voce si rese interprete dei diritti degli umili presso i potenti.
Promosse una forma semplice e popolare di evangelizzazione. Fondò i Preti della Missione (Lazzaristi – 1625) e insieme a santa Luisa de Marillac, le Dame della carità e, poco più tardi, anche le Figlie della carità, di estrazione sociale più bassa rispetto alle Dame (1633).
È stato proclamato santo il 16 giugno 1737 da papa Clemente XII. È considerato il più importante riformatore della carità della Chiesa cattolica.
La sua opera ispirò Giuseppe Benedetto Cottolengo, fondatore della Piccola casa della Divina Provvidenza.
La missione apostolica, secondo san Vincenzo, non era un semplice corso di prediche, ma un’azione pastorale destinata a risolvere i problemi spirituali e materiali delle popolazioni depresse. La metodologia procedeva secondo le seguenti fasi: un missionario interveniva in un villaggio povero, dove era istituita, “in loco”, un’équipe chiamata la “Carità”, formata perlopiù da madri di famiglia o vedove, in seguito erano “ordinati” dei sacerdoti affinché nascesse una nuova parrocchia.
Ogni missione si caratterizzava per flessibilità e mobilità. Flessibilità nel senso di adattare le proprie capacità di soccorso ai bisogni nuovi con personale permanente, ad esempio, nel fornire medicinali in famiglia o nel garantire un’istruzione ai figli; mobilità nel senso di non rimanere legati al proprio territorio, ma conoscere e scoprire sacche di povertà altrove. In questo senso la missione procedeva attraverso un ciclo dinamico.
La distribuzione delle provvidenze era resa più abbondante mediante la pubblicazione e la diffusione ovunque di un bollettino mensile, le Relations, che descriveva i bisogni degli assistiti e forniva una relazione particolareggiata di quanto svolto.
Le Figlie della carità di San Vincenzo de’ Paoli rappresentano la più originale e caratteristica innovazione di San Vincenzo, che aprì una nuova strada alle donne consacrate. Non più chiuse in un convento, ma sparse nelle vie del mondo a servizio dei bisognosi dovunque si trovassero: case private, ospedali, ospizi, carceri, asili, scuole. Attualmente vi sono nel mondo circa 37.000 in 3.600 case. In Italia sono circa 5.000.
Oltre ai tradizionali voti di povertà, castità e obbedienza introdusse il voto di stabilità ovvero la perseveranza nel servizio ai poveri.
San Vincenzo, in tal senso, era preoccupato che i missionari si adagiassero a rimanere in un posto anziché partire per una nuova missione.
Tale precarietà residenziale era, comunque, fonte di diversi disagi e un profondo senso di stress per i membri della compagnia.
A volte li supplicava di restare o di tornare: «Quando passiamo per un altro paese, vediamo soltanto quello che ha di piacevole; ma quando ci viviamo, sperimentiamo ciò che ha di penoso e di contrario alla natura».
Secondo Bruno Bortoli, sociologo e assistente sociale, Vincenzo ebbe un fondamentale ruolo nell’introdurre nuovi metodi di assistenza, primo fra tutti la visita domiciliare:
«Il principio assistenziale di San Vincenzo si reggeva sulla divisione dei poveri in tre categorie:
- i fanciulli, i vecchi, gli storpi e gli infermi;
- coloro che col lavoro si guadagnavano solo la metà del necessario;
- coloro che potevano guadagnare solo il quarto del necessario.
Le sue umili origini sociali influenzavano le sue proposte per trovare i mezzi proporzionati all’entità della povertà da sovvenire, mentre faceva in modo che l’assistenza non limitasse il dovere di lavorare che spettava a chiunque secondo le sue possibilità.
Fu così il primo a sostituire al tradizionale sistema dell’elemosina indiscriminata, saltuaria e spesso socialmente dannosa, quella del “soccorso ordinato”, selezionato e rispondente alla natura e all’entità del bisogno. Inoltre, anziché un funzionario ligio al regolamento ma indifferente alle condizioni di indigenza, era una persona sensibilizzata ai bisogni del singolo individuo».
Un’ulteriore iniziativa da lui intrapresa fu tesa a migliorare le condizioni di vita dei condannati alle galere e, grazie alla sua posizione, riuscì effettivamente a ottenere un notevole miglioramento dei detenuti, soprattutto per gli inabili al lavoro.
Per tali motivi san Vincenzo è considerato da tutti il santo patrono delle carceri e un grande riformatore del servizio penitenziario.
Ma ora veniamo alla Parola, che continua ad insistere sul tema di ieri!
E chiarisce ancora una volta, che Gesù è una delle Persone della Santissima Trinità.
Il mistero della Santissima Trinità è il mistero centrale della fede e della vita cristiana. Soltanto Dio può darcene la conoscenza rivelandosi come Padre, Figlio e Spirito Santo (CCC 261).
Il Padre manda il suo Figlio unigenito nella potenza dello Spirito Santo.
Il Figlio accoglie tutto il Padre e lo Spirito nel suo cuore, nella sua mente, nei suoi desideri nella sua volontà.
Viene a noi con la Parola del Padre e la verità, sapienza, intelletto, consiglio, fortezza dello Spirito Santo. Viene pieno di Dio e del suo Santo Spirito.
Dopo aver rivelato il Padre nello Spirito Santo e compiuta la redenzione per la salvezza dell’umanità, affida la sua missione ai suoi Apostoli.
Gesù spiega ancora e parla dell’accoglienza riservata all’inviato, ricollegandosi ad una realtà già presente nel giudaismo, dove si diceva dell’inviato (lo “shaliah” ebraico) “Chi è inviato è come colui che lo invia“.
Infatti un principio giuridico riconosciuto nel giudaismo e non ignoto al diritto romano (anzi AL “DIRITTO DELLE GENTI”, lo “IUS GENTIUM“, nome ufficiale del DIRITTO INTERNAZIONALE UMANITARIO, vigente) era che il mandante considerava come fatto a sé stesso il trattamento riservato al suo delegato.
Esisteva poi un aforisma rabbinico che diceva “Chi accoglie il discepolo è come se ospitasse il maestro”
E così, precisa Gesù “chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha inviato“. È evidente che, rispetto al contesto giudaico, qui c’è un “salto” considerevole; COLUI CHE MANDA NON È UN ESSERE UMANO, TITOLATO FIN CHE SI VOGLIA, BENSÌ DIO STESSO!
Questa consapevolezza è di grande conforto per noi, apostoli inviati che camminano sulle strade del tempo, e che abbiamo personalmente sperimentato l’amicizia con Gesù.
Davvero interessante poi è la prospettiva del bambino, che Gesù ci invita ad analizzare.
Prende un bambino lo pone in mezzo e a dice “Chi accoglierà questo bambino nel mio nome, accoglie me; chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato”.
L’atteggiamento e la nuova sentenza di Gesù sono stupendi e rivoluzionari per quel tempo e quella mentalità.
I bambini infatti non godevano di alcun diritto: interessarsi di loro non era cosa normale.
Per cui ben si comprende la portata assolutamente rivoluzionaria dell’affermazione di Gesù “Chi accoglie uno di questi bambini nel mio nome, accoglie me; chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato”.
Parole sconvolgenti che vogliono dirci due cose:
- Anzitutto il desiderio di essere i primi di per sé non è cattivo. Anzi, è un desiderio è lecito. Ciò che Gesù cambia radicalmente è la motivazione di questo desiderio, il modo di realizzarlo. In merito vanno ricordate le sue parole “I re delle nazioni le governano e coloro che hanno il potere su di esse si fanno chiamare benefattori. Per voi però non sia così: ma chi è più grande tra voi diventi come il più piccolo e chi governa come colui che serve” (Lc 22,25-). Gesù cambia il consueto concetto dell’autorità e del potere, del modo di governare. La vera autorità sta nel servire gli altri e non nello spadroneggiare sugli altri. Gesù per primo ci ha dato il suo esempio. Sono significative le sue parole riportate nel vangelo di
- Luca al capitolo 22,27 “…Io sto in mezzo a voi come colui che serve”. “
- Marco al capitolo 10,45 “Il figlio dell’uomo non è venuto per essere servito ma per servire”. Egli che è Dio si è fatto il servo.
- Ciò che il Signore condanna è la sete di potere, una delle leve amate da satana per tentare l’uomo e da cui nessuno di noi è immune. Purtroppo non è soltanto ogni singolo uomo, ad avere sete di potere per dominare, e mettersi al di sopra degli altri! Interi popoli hanno queste aspirazioni. Che cosa sono le guerre, se non l’espressione tragica della volontà, da parte di alcuni, di essere più potenti dei fratelli più deboli?
- I piccoli, quelli amati da Gesù sono vittime delle aspirazioni effimere e prepotenti dei forti, i quali se non si convertono, SARANNO ROVESCIATI dai troni.
- La seconda cosa che Gesù vuole dirci è il valore immenso e la dignità di ogni bambino. In ognuno di essi è misteriosamente presente Gesù “chi accogli i bambini accoglie lui”. Ed è presente per affermarne la dignità, il rispetto, per proteggerne la debolezza. Gesù mette in relazione l’accoglienza dei bambini con l’accoglienza che il Padre ha nei suoi confronti. Chi li accoglie, accoglie Cristo, e con lui il Padre.
Ma analizziamo, Fratelli e Sorelle, più approfonditamente, nel mondo semita, il significato del temine “piccoli”.
Era facile che gli apostoli chiamassero «piccoli» i discepoli, perché i maestri erano chiamati Rabbi, cioè “grandi”, dall’ebraico “rab” = grande.
Essi erano considerati persone umili e poco significative agli occhi del mondo, perché privi di prestigio e di potere.
Ma anche il missionario è un “piccolo“, cioè un uomo comune, debole e bisognoso, che ha lasciato la sua casa per essere un “nomade” a servizio della Parola.
Proprio per le suddette ragioni tutti costoro vanno assistiti con premurosa sollecitudine nella chiesa a imitazione di Gesù, che è sempre solidale con le persone semplici ed emarginate.
Dato il clima torrido d’estate e la scarsità d’acqua in Palestina, un bicchiere d’acqua costituiva un gesto prezioso e anche generoso, che Dio avrebbe compensato largamente.
Oggi, in un diverso contesto, il “bicchiere d’acqua fresca” può essere il nostro sorriso, un cenno di saluto, una stretta di mano, una battuta.
Ma i discepoli parlano tra loro sui posti del potere e a chi debbano essere attribuiti.
È il desiderio di poter “essere il più grande”. Gesù invece sta spiegando loro che nell’abbraccio di un Dio fatto uomo è possibile dire alla persona amata: “Tu non morirai mai!”.
Papa Francesco, nell’omelia a Plaza de la Revolución (L’Avana), disse: “Chi è il più grande? Gesù è semplice nella sua risposta: Chi vuole essere grande, serva gli altri, e non si serva degli altri! … Servire significa, in gran parte, avere cura della fragilità. Servire significa avere cura di coloro che sono fragili nelle nostre famiglie, nella nostra società, nel nostro popolo … Questo farci carico per amore non punta verso un atteggiamento di servilismo, ma al contrario, pone al centro la questione del fratello: il servizio guarda sempre il volto del fratello, tocca la sua carne, sente la sua prossimità fino in alcuni casi a “soffrirla”, e cerca la promozione del fratello. Per tale ragione il servizio non è mai ideologico, dal momento che non serve idee, ma persone”. E concluse: “Chi non vive per servire, non serve per vivere”.
MA VEDIAMO ANCHE LA SECONDA PARTE DELLA PERICOPE DI OGGI CHE CI ILLUSTRA L’ATTEGGIAMENTO DA ASSUMERE VERSO CHI NON È “DEI NOSTRI”, CIOÈ IL DIRITTO DI ADOPERARE IL NOME DI CRISTO ANCHE SENZA ESSER SUO DISCEPOLO.
Gesù aveva una mentalità ecumenica: cioè gli interessava che le persone – ebraiche o pagane – facessero del bene, anche se non facevano parte del suo gruppo.
E questo vale anche per ogni comunità cristiana.
In tutti brilla il lumicino del BENE. E chi fa il bene con cuore sincero appartiene già alla comunità dei credenti in Cristo.
C’è un legame, segreto ma autentico, che unisce a Gesù e alla sua salvezza tutti coloro che operano per sostenere, confortare, guarire, far vivere e far sperare il prossimo.
Tutti qui siamo esortati ad avere un animo grande e accogliente, per accettare tutti quelli che hanno un qualche amore per la VERITÀ, siano essi pur militanti al di fuori del gregge di Cristo “Chi non è contro di voi, è per voi“.
La fede infatti, se non è ben capita, rischia di diventare un elemento di “discriminazione” fra gli uomini, e crea contrapposizioni fra di essi.
Gesù, invece, insegna a superare gli steccati e ad accogliere tutti i “semi di verità” sparsi nel mondo: ogni “verità“, sia pure parziale, È SEMPRE UN INIZIO DI FEDE, o quanto meno, una predisposizione alla fede!
Soprattutto chi annuncia il Vangelo deve saper scoprire i punti di contatto con gli altri per aiutarli a crescere nella Fede, insegnando loro:
- a) il messaggio della salvezza
- b) l’obbedienza all’amore del Dio Uno e Trino.
È così che la loro Fede non diventerà mai “polemica ed emarginante”, ma solo ed essenzialmente “aggregante e caritativa“, e perciò sempre aperta al dialogo ED ALL’INCLUSIONE.
C’è un antico bellissimo brano del Primo testamento, nel Libro dei Numeri al Capitolo 11 che AMO PARTICOLARMENTE, e che dice “…Fossero tutti profeti nel popolo del Signore!”
Per invito di Dio stesso, Mosè si era scelto settanta uomini, fra gli “anziani” d’Israele, perché lo coadiuvassero nella direzione del popolo (Nm 11,16-24).
A tale scopo, però, essi avevano bisogno dello “spirito” che Dio aveva concesso abbondantemente a Mosè.
Nel giorno stabilito essi si radunarono attorno alla “tenda del convegno” ed ottennero lo “spirito” di profezia (Nm 11,25).
Due “anziani“, Eldàd e Medàd, che non erano stati scelti per far parte dei settanta e perciò non erano andati alla tenda dell’alleanza, furono anch’essi improvvisamente presi dallo “spirito” e “si misero a profetizzare nell’accampamento“.
Di qui lo stupore della gente: tanto che un “giovane“, un po’ troppo zelante, Giosuè, figlio di Nun, corse subito a riferire la cosa a Mosè.
Ma Mosè gli rispose “Sei tu geloso per me? Fossero tutti profeti nel popolo del Signore e volesse il Signore dare loro il suo spirito!” (11,28-29).
È meravigliosa la risposta di Mosè alla troppo zelante richiesta del giovane Giosuè. Mai dovremmo dimenticarla: non bisogna imprigionare lo “spirito“, pensando quasi di poterlo dominare e farlo camminare solo su quei binari che abbiamo deciso NOI!
Il Concilio Ecumenico Vaticano II ha riscoperto la fondamentale vocazione “profetica” di “tutto” il popolo cristiano sulla base dell’unica fede e dell’unico battesimo “Il popolo santo di Dio partecipa pure dell’ufficio profetico di Cristo col diffondere dovunque la viva testimonianza di lui, soprattutto per mezzo di una vita di fede e di carità; e coll’offrire a Dio un sacrificio di lode, cioè frutto di labbra acclamanti al nome di lui (Eb 13,15)”.
C’è solo da augurarsi che ogni battezzato si lasci veramente guidare dallo “spirito di profezia” e, in comunione con tutti gli altri fratelli di fede, annunci al mondo, con la voce e con la vita, le “meraviglie” del Signore.
E vorrei chiudere con le parole di un grande, umile, sacerdote, che ho avuto il privilegio di conoscere, Don Oreste Benzi, (1925-2007, fondatore della Comunità PAPA GIOVANNI XXIII’) nei confronti del quale si è conclusa la prima fase diocesana della causa di beatificazione:
“L’uomo è maturo quando arriva a capire che c’è il MISTERO, cioè CHE TUTTO NON SI RIDUCE A QUELLO CHE LUI VEDE E CAPISCE. NESSUNA SAPIENZA UMANA POTRÀ CATTURARE DIO E IL PENSIERO DI DIO NON PUÒ ESSERE PENSIERO DELL’UOMO“.
Ragioniamoci sopra…
Sia Lodato Gesù, il Cristo!