Lettera apostolica “Dies Domini” di S.S. il Papa Giovanni Paolo II’
LETTERA APOSTOLICA
DIES DOMINI
DEL SANTO PADRE
GIOVANNI PAOLO II
ALL’EPISCOPATO, AL CLERO E AI FEDELI
SULLA SANTIFICAZIONE DELLA DOMENICA
INDICE
Introduzione
Capitolo I
DIES DOMINI
La celebrazione dell’opera del Creatore
«Tutto è stato fatto per mezzo di lui» (Gv 1, 3)
«In principio Dio creò il cielo e la terra» (Gn 1, 1)
Lo «shabbat»: il gioioso riposo del Creatore
«Dio benedisse il settimo giorno e lo santificò» (Gn 2, 3)
«Ricordare» per «santificare»
Dal sabato alla domenica
Capitolo II
DIES CHRISTI
Il giorno del Signore risorto e del dono dello Spirito
La Pasqua settimanale
Il primo giorno della settimana
Progressiva distinzione dal sabato
Il giorno della nuova creazione
L’ottavo giorno, figura dell’eternità
Il giorno di Cristo-luce
Il giorno del dono dello Spirito
Il giorno della fede
Un giorno irrinunciabile!
Capitolo III
DIES ECCLESIAE
L’assemblea eucaristica cuore della domenica
La presenza del Risorto
L’assemblea eucaristica
L’Eucaristia domenicale
Il giorno della Chiesa
Popolo pellegrinante
Giorno della speranza
La mensa della Parola
La mensa del Corpo di Cristo
Convito pasquale e incontro fraterno
Dalla Messa alla «missione»
Il precetto domenicale
Celebrazione gioiosa e canora
Celebrazione coinvolgente e partecipata
Altri momenti della domenica cristiana
Assemblee domenicali in assenza del sacerdote
Trasmissioni radiofoniche e televisive
Capitolo IV
DIES HOMINIS
La domenica giorno di gioia, riposo e solidarietà
La «gioia piena» di Cristo
Il compimento del sabato
Il giorno del riposo
Giorno di solidarietà
Capitolo V
DIES DIERUM
La domenica festa primordiale, rivelatrice del senso del tempo
Cristo Alfa ed Omega del tempo
La domenica nell’anno liturgico
Conclusione
Venerati Fratelli nell’episcopato e nel sacerdozio,
Carissimi Fratelli e Sorelle!
- Il giorno del Signore — come fu definita la domenica fin dai tempi apostolici (1) — ha avuto sempre, nella storia della Chiesa, una considerazione privilegiata per la sua stretta connessione col nucleo stesso del mistero cristiano. La domenica infatti richiama, nella scansione settimanale del tempo, il giorno della risurrezione di Cristo. È la Pasqua della settimana, in cui si celebra la vittoria di Cristo sul peccato e sulla morte, il compimento in lui della prima creazione, e l’inizio della «nuova creazione» (cfr 2 Cor5, 17). È il giorno dell’evocazione adorante e grata del primo giorno del mondo, ed insieme la prefigurazione, nella speranza operosa, dell’«ultimo giorno», quando Cristo verrà nella gloria (cfr At1, 11; 1 Ts 4, 13-17) e saranno fatte «nuove tutte le cose» (cfr Ap 21, 5).
Alla domenica, pertanto, ben s’addice l’esclamazione del Salmista: «Questo è il giorno che ha fatto il Signore: rallegriamoci ed esultiamo in esso» (Sal 118 [117], 24). Questo invito alla gioia, che la liturgia di Pasqua fa proprio, porta il segno dello stupore da cui furono investite le donne che avevano assistito alla crocifissione di Cristo quando, recatesi al sepolcro «di buon mattino, il primo giorno dopo il sabato» (Mc 16, 2), lo trovarono vuoto. È invito a rivivere, in qualche modo, l’esperienza dei due discepoli di Emmaus, che sentirono «ardere il cuore nel petto» mentre il Risorto si affiancava a loro lungo il cammino, spiegando le Scritture e rivelandosi nello «spezzare il pane» (cfr Lc 24, 32.35). È l’eco della gioia, prima esitante e poi travolgente, che gli Apostoli provarono la sera di quello stesso giorno, quando furono visitati da Gesù risorto e ricevettero il dono della sua pace e del suo Spirito (cfr Gv 20, 19-23).
- La risurrezione di Gesù è il dato originario su cui poggia la fede cristiana (cfr 1 Cor15, 14): stupenda realtà, colta pienamente nella luce della fede, ma storicamente attestata da coloro che ebbero il privilegio di vedere il Signore risorto; evento mirabile che non solo si distingue in modo assolutamente singolare nella storia degli uomini, ma si colloca al centro del mistero del tempo. A Cristo, infatti, come ricorda, nella suggestiva liturgia della notte di Pasqua, il rito di preparazione del cero pasquale, «appartengono il tempo e i secoli». Per questo, commemorando non solo una volta all’anno, ma ogni domenica, il giorno della risurrezione di Cristo, la Chiesa intende additare ad ogni generazione ciò che costituisce l’asse portante della storia, al quale si riconducono il mistero delle origini e quello del destino finale del mondo.
C’è ragione dunque per dire, come suggerisce l’omelia di un autore del IV secolo, che il «giorno del Signore» è il «signore dei giorni».(2) Quanti hanno ricevuto la grazia di credere nel Signore risorto non possono non cogliere il significato di questo giorno settimanale con l’emozione vibrante che faceva dire a san Girolamo: «La domenica è il giorno della risurrezione, è il giorno dei cristiani, è il nostro giorno».(3) Essa è in effetti per i cristiani la «festa primordiale»,(4) posta non solo a scandire il succedersi del tempo, ma a rivelarne il senso profondo.
- La sua importanza fondamentale, sempre riconosciuta in duemila anni di storia, è stata ribadita con forza dal Concilio Vaticano II: «Secondo la tradizione apostolica, che ha origine dal giorno stesso della risurrezione di Cristo, la Chiesa celebra il mistero pasquale ogni otto giorni, in quello che si chiama giustamente giorno del Signore o domenica».(5) Paolo VI ha sottolineato nuovamente tale importanza nell’approvare il nuovo Calendario romano generale e le Norme universali che regolano l’ordinamento dell’Anno liturgico.(6) L’imminenza del terzo millennio, sollecitando i credenti a riflettere, alla luce di Cristo, sul cammino della storia, li invita a riscoprire con nuovo vigore il senso della domenica: il suo «mistero», il valore della sua celebrazione, il suo significato per l’esistenza cristiana ed umana.
Prendo atto volentieri dei molteplici interventi magisteriali e delle iniziative pastorali che, in questi anni del post-Concilio, voi, venerati Fratelli nell’episcopato, sia come singoli sia congiuntamente — ben coadiuvati dal vostro clero —, avete sviluppato su questo importante tema. Alle soglie del Grande Giubileo dell’anno 2000, ho voluto offrirvi questa Lettera apostolica per sostenere il vostro impegno pastorale in un settore tanto vitale. Ma insieme desidero rivolgermi a voi tutti, carissimi fedeli, quasi rendendomi presente spiritualmente nelle singole comunità dove ogni domenica vi raccogliete coi vostri Pastori per celebrare l’Eucaristia e il «giorno del Signore». Molte delle riflessioni e dei sentimenti che animano questa Lettera apostolica sono maturati durante il mio servizio episcopale a Cracovia e poi, dopo l’assunzione del ministero di Vescovo di Roma e Successore di Pietro, nelle visite alle parrocchie romane, effettuate regolarmente proprio nelle domeniche dei diversi periodi dell’anno liturgico. In questa Lettera mi sembra così di continuare il dialogo vivo che amo intrattenere con i fedeli, riflettendo con voi sul senso della domenica, e sottolineando le ragioni per viverla come vero «giorno del Signore» anche nelle nuove circostanze del nostro tempo.
- A nessuno sfugge infatti che, fino ad un passato relativamente recente, la «santificazione» della domenica era facilitata, nei Paesi di tradizione cristiana, da una larga partecipazione popolare e quasi dall’organizzazione stessa della società civile, che prevedeva il riposo domenicale come punto fermo nella normativa concernente le varie attività lavorative. Ma oggi, negli stessi Paesi in cui le leggi sanciscono il carattere festivo di questo giorno, l’evoluzione delle condizioni socio-economiche ha finito spesso per modificare profondamente i comportamenti collettivi e conseguentemente la fisionomia della domenica. Si è affermata largamente la pratica del «week-end», inteso come tempo settimanale di sollievo, da trascorrere magari lontano dalla dimora abituale, e spesso caratterizzato dalla partecipazione ad attività culturali, politiche, sportive, il cui svolgimento coincide in genere proprio coi giorni festivi. Si tratta di un fenomeno sociale e culturale che non manca certo di elementi positivi nella misura in cui può contribuire, nel rispetto di valori autentici, allo sviluppo umano e al progresso della vita sociale nel suo insieme. Esso risponde non solo alla necessità del riposo, ma anche all’esigenza di «far festa» che è insita nell’essere umano. Purtroppo, quando la domenica perde il significato originario e si riduce a puro «fine settimana», può capitare che l’uomo rimanga chiuso in un orizzonte tanto ristretto che non gli consente più di vedere il «cielo». Allora, per quanto vestito a festa, diventa intimamente incapace di «far festa».(7)
Ai discepoli di Cristo è comunque chiesto di non confondere la celebrazione della domenica, che dev’essere una vera santificazione del giorno del Signore, col «fine settimana», inteso fondamentalmente come tempo di semplice riposo o di evasione. È urgente a tal proposito un’autentica maturità spirituale, che aiuti i cristiani ad «essere se stessi», in piena coerenza con il dono della fede, sempre pronti a rendere conto della speranza che è in loro (cfr 1 Pt 3, 15). Ciò non può non comportare anche una comprensione più profonda della domenica, per poterla vivere, pure in situazioni difficili, con piena docilità allo Spirito Santo.
- La situazione, da questo punto di vista, si presenta piuttosto variegata. C’è, da una parte, l’esempio di alcune giovani Chiese, le quali mostrano con quanto fervore si possa animare la celebrazione domenicale, sia nelle città che nei villaggi più dispersi. Al contrario, in altre regioni, a causa delle menzionate difficoltà sociologiche, e forse della mancanza di forti motivazioni di fede, si registra una percentuale singolarmente bassa di partecipanti alla liturgia domenicale. Nella coscienza di molti fedeli sembra attenuarsi non soltanto il senso della centralità dell’Eucaristia, ma persino quello del dovere di rendere grazie al Signore, pregandolo insieme con gli altri in seno alla comunità ecclesiale.
A tutto ciò si aggiunge che, non solo nei Paesi di missione, ma anche in quelli di antica evangelizzazione, per l’insufficienza dei sacerdoti non si può talvolta assicurare la celebrazione eucaristica domenicale nelle singole comunità.
- Di fronte a questo scenario di nuove situazioni e conseguenti interrogativi, sembra più che mai necessario ricuperare le motivazioni dottrinali profondeche stanno alla base del precetto ecclesiale, perché a tutti i fedeli risulti ben chiaro il valore irrinunciabile della domenica nella vita cristiana. Così facendo, ci muoviamo sulle tracce della perenne tradizione della Chiesa, vigorosamente richiamata dal Concilio Vaticano II quando ha insegnato che, nel giorno della domenica, «i fedeli devono riunirsi in assemblea perché, ascoltando la parola di Dio e partecipando all’Eucaristia, facciano memoria della passione, della risurrezione e della gloria del Signore Gesù e rendano grazie a Dio che li ha rigenerati per una speranza viva per mezzo della risurrezione di Gesù Cristo dai morti (cfr 1 Pt1, 3)».(8)
- In effetti, il dovere di santificare la domenica, soprattutto con la partecipazione all’Eucaristia e con un riposo ricco di gioia cristiana e di fraternità, ben si comprende se si considerano le molteplici dimensioni di questa giornata, a cui porteremo attenzione nella presente Lettera.
Essa è un giorno che sta nel cuore stesso della vita cristiana. Se, fin dall’inizio del mio Pontificato, non mi sono stancato di ripetere: «Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo!»,(9) in questa stessa linea vorrei oggi invitare tutti con forza a riscoprire la domenica: Non abbiate paura di dare il vostro tempo a Cristo! Sì, apriamo a Cristo il nostro tempo, perché egli lo possa illuminare e indirizzare. Egli è Colui che conosce il segreto del tempo e il segreto dell’eterno, e ci consegna il «suo giorno» come un dono sempre nuovo del suo amore. La riscoperta di questo giorno è grazia da implorare, non solo per vivere in pienezza le esigenze proprie della fede, ma anche per dare concreta risposta ad aneliti intimi e veri che sono in ogni essere umano. Il tempo donato a Cristo non è mai tempo perduto, ma piuttosto tempo guadagnato per l’umanizzazione profonda dei nostri rapporti e della nostra vita.
CAPITOLO PRIMO
DIES DOMINI
La celebrazione
dell’opera del Creatore
«Tutto è stato fatto per mezzo di lui» (Gv 1, 3)
- Nell’esperienza cristiana, la domenica è prima di tutto una festa pasquale, totalmente illuminata dalla gloria del Cristo risorto. È la celebrazione della «nuova creazione». Ma proprio questo suo carattere, se compreso in profondità, appare inscindibile dal messaggio che la Scrittura, fin dalle prime sue pagine, ci offre sul disegno di Dio nella creazione del mondo. Se è vero, infatti, che il Verbo si è fatto carne nella «pienezza del tempo» (Gal4, 4), non è meno vero che, in forza del suo stesso mistero di Figlio eterno del Padre, egli è origine e fine dell’universo. Lo afferma Giovanni, nel prologo del suo Vangelo: «Tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste» (1, 3). Lo sottolinea ugualmente Paolo scrivendo ai Colossesi: «Per mezzo di lui sono state create tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili […]. Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui» (1, 16). Questa presenza attiva del Figlio nell’opera creatrice di Dio si è rivelata pienamente nel mistero pasquale, in cui Cristo, risorgendo come «primizia di coloro che sono morti» (1 Cor15, 20), ha inaugurato la nuova creazione ed ha avviato il processo che egli stesso porterà a compimento al momento del suo ritorno glorioso, «quando consegnerà il regno a Dio Padre […], perché Dio sia tutto in tutti» (1 Cor 15, 24.28).
Già nel mattino della creazione, quindi, il progetto di Dio implicava questo «compito cosmico» di Cristo. Questa prospettiva cristocentrica, proiettata su tutto l’arco del tempo, era presente nello sguardo compiaciuto di Dio quando, cessando da ogni suo lavoro, «benedisse il settimo giorno e lo santificò» (Gn 2, 3). Nasceva allora — secondo l’autore sacerdotale del primo racconto biblico della creazione — il «sabato», che tanto caratterizza la prima Alleanza, ed in qualche modo preannuncia il giorno sacro della nuova e definitiva Alleanza. Lo stesso tema del «riposo di Dio» (cfr Gn 2, 2) e del riposo da lui offerto al popolo dell’Esodo con l’ingresso nella terra promessa (cfr Es 33, 14; Dt 3, 20; 12, 9; Gs 21, 44; Sal 95 [94], 11) è riletto nel Nuovo Testamento in una luce nuova, quella del definitivo «riposo sabbatico» (Eb 4, 9) in cui Cristo stesso è entrato con la sua risurrezione e in cui è chiamato ad entrare il popolo di Dio, perseverando sulle orme della sua obbedienza filiale (cfr Eb 4, 3-16). È necessario pertanto rileggere la grande pagina della creazione e approfondire la teologia del «sabato», per introdursi alla piena comprensione della domenica.
«In principio Dio creò il cielo e la terra» (Gn 1, 1)
- Lo stile poetico del racconto genesiaco della creazione rende bene lo stupore che l’uomo avverte di fronte all’immensità del creato e il sentimento di adorazione che ne deriva verso Colui che ha tratto dal nulla tutte le cose. È una pagina di intenso significato religioso, un inno al Creatore dell’universo, additato come l’unico Signore di fronte alle ricorrenti tentazioni di divinizzare il mondo stesso. È insieme un inno alla bontà del creato, tutto plasmato dalla mano potente e misericordiosa di Dio.
«Dio vide che era cosa buona» (Gn 1, 10.12, ecc.). Questo ritornello che scandisce il racconto proietta una luce positiva su ogni elemento dell’universo, lasciando al tempo stesso intravedere il segreto per la sua appropriata comprensione e per la sua possibile rigenerazione: il mondo è buono nella misura in cui rimane ancorato alla sua origine e, dopo che il peccato lo ha deturpato, ridiventa buono, se torna, con l’aiuto della grazia, a Colui che lo ha fatto. Questa dialettica, ovviamente, non riguarda direttamente le cose inanimate e gli animali, ma gli esseri umani, ai quali è stato concesso il dono incomparabile, ma anche il rischio, della libertà. La Bibbia, subito dopo i racconti della creazione, mette appunto in evidenza il drammatico contrasto tra la grandezza dell’uomo, creato ad immagine e somiglianza di Dio, e la sua caduta, che apre nel mondo l’oscuro scenario del peccato e della morte (cfr Gn 3).
- Uscito com’è dalle mani di Dio, il cosmo porta l’impronta della sua bontà. È un mondo bello, degno di essere ammirato e goduto, ma destinato anche ad essere coltivato e sviluppato. Il «completamento» dell’opera di Dio apre il mondo al lavoro dell’uomo. «Allora Dio nel settimo giorno portò a termine il lavoro che aveva fatto» (Gn2, 2). Attraverso questa evocazione antropomorfica del «lavoro» divino, la Bibbia non soltanto ci apre uno spiraglio sul misterioso rapporto tra il Creatore e il mondo creato, ma proietta luce anche sul compito che l’uomo ha verso il cosmo. Il «lavoro» di Dio è in qualche modo esemplare per l’uomo. Questi infatti non è solo chiamato ad abitare, ma anche a «costruire» il mondo, facendosi così «collaboratore» di Dio. I primi capitoli della Genesi, come scrivevo nell’Enciclica Laborem exercens, costituiscono in certo senso il primo «vangelo del lavoro».(10) È una verità sottolineata anche dal Concilio Vaticano II: «L’uomo, creato a immagine di Dio, ha ricevuto il comando di sottomettere a sé la terra con tutto quanto essa contiene, e di governare il mondo nella giustizia e nella santità, e così pure di riportare a Dio se stesso e l’universo intero, riconoscendo in lui il Creatore di tutte le cose, in modo che, nella subordinazione di tutte le realtà all’uomo sia glorificato il nome di Dio su tutta la terra».(11)
La vicenda esaltante dello sviluppo della scienza, della tecnica, della cultura nelle loro varie espressioni — sviluppo sempre più rapido, ed oggi addirittura vertiginoso — è il frutto, nella storia del mondo, della missione con la quale Dio ha affidato all’uomo e alla donna il compito e la responsabilità di riempire la terra e di soggiogarla attraverso il lavoro, nell’osservanza della sua Legge.
Lo «shabbat»: il gioioso riposo del Creatore
- Se è esemplare per l’uomo, nella prima pagina della Genesi, il «lavoro» di Dio, altrettanto lo è il suo «riposo»: «Cessò nel settimo giorno da ogni suo lavoro«(Gn2, 2). Anche qui siamo di fronte ad un antropomorfismo ricco di un fecondo messaggio.
Il «riposo» di Dio non può essere banalmente interpretato come una sorta di «inattività» di Dio. L’atto creatore che è a fondamento del mondo è infatti di sua natura permanente e Dio non cessa mai di operare, come Gesù stesso si preoccupa di ricordare proprio in riferimento al precetto del sabato: «Il Padre mio opera sempre e anch’io opero» (Gv 5, 17). Il riposo divino del settimo giorno non allude a un Dio inoperoso, ma sottolinea la pienezza della realizzazione compiuta e quasi esprime la sosta di Dio di fronte all’opera «molto buona» (Gn 1, 31) uscita dalle sue mani, per volgere ad essa uno sguardo colmo di gioioso compiacimento: uno sguardo «contemplativo», che non mira più a nuove realizzazioni, ma piuttosto a godere la bellezza di quanto è stato compiuto; uno sguardo portato su tutte le cose, ma in modo particolare sull’uomo, vertice della creazione. È uno sguardo in cui si può in qualche modo già intuire la dinamica «sponsale» del rapporto che Dio vuole stabilire con la creatura fatta a sua immagine, chiamandola ad impegnarsi in un patto di amore. È ciò che egli realizzerà progressivamente, nella prospettiva della salvezza offerta all’intera umanità, mediante l’alleanza salvifica stabilita con Israele e culminata poi in Cristo: sarà proprio il Verbo incarnato, attraverso il dono escatologico dello Spirito Santo e la costituzione della Chiesa come suo corpo e sua sposa, ad estendere l’offerta di misericordia e la proposta dell’amore del Padre all’intera umanità.
- Nel disegno del Creatore c’è una distinzione, ma anche un intimo nesso tra l’ordine della creazione e l’ordine della salvezza. Già l’Antico Testamento lo sottolinea, quando pone il comandamento concernente lo «shabbat» in rapporto non soltanto col misterioso «riposo» di Dio dopo i giorni dell’attività creatrice (cfr Es20, 8-11), ma anche con la salvezza da lui offerta ad Israele nella liberazione dalla schiavitù dell’Egitto(cfr Dt 5, 12-15). Il Dio che riposa il settimo giorno rallegrandosi per la sua creazione, è lo stesso che mostra la sua gloria liberando i suoi figli dall’oppressione del faraone. Nell’uno e nell’altro caso si potrebbe dire, secondo un’immagine cara ai profeti, che egli si manifesta come lo sposo di fronte alla sposa (cfr Os 2, 16-24; Ger 2, 2; Is 54, 4-8).
Per andare infatti al cuore dello «shabbat», del «riposo» di Dio, come alcuni elementi della stessa tradizione ebraica suggeriscono,(12) occorre cogliere l’intensità sponsale che caratterizza, dall’Antico al Nuovo Testamento, il rapporto di Dio con il suo popolo. Così la esprime, ad esempio, questa meravigliosa pagina di Osea: «In quel tempo farò per loro un’alleanza con le bestie della terra e gli uccelli del cielo e con i rettili del suolo; arco e spada e guerra eliminerò dal paese; e li farò riposare tranquilli. Ti farò mia sposa per sempre, ti farò mia sposa nella giustizia e nel diritto, nella benevolenza e nell’amore, ti fidanzerò con me nella fedeltà e tu conoscerai il Signore» (2, 20-22).
«Dio benedisse il settimo giorno e lo santificò» (Gn 2, 3)
- Il precetto del sabato, che nella prima Alleanza prepara la domenica della nuova ed eterna Alleanza, si radica dunque nella profondità del disegno di Dio. Proprio per questo esso non è collocato accanto ad ordinamenti semplicemente cultuali, come è il caso di tanti altri precetti, ma all’interno del Decalogo, le «dieci parole» che delineano i pilastri della vita morale, inscritta universalmente nel cuore dell’uomo. Cogliendo questo comandamento nell’orizzonte delle strutture fondamentali dell’etica, Israele e poi la Chiesa mostrano di non considerarlo una semplice disposizione di disciplina religiosa comunitaria, ma un’espressione qualificante e irrinunciabile del rapporto con Dioannunciato e proposto dalla rivelazione biblica. È in questa prospettiva che tale precetto va anche oggi riscoperto da parte dei cristiani. Se esso ha pure una naturale convergenza con il bisogno umano del riposo, è tuttavia alla fede che bisogna far capo per coglierne il senso profondo, e non rischiare di banalizzarlo e tradirlo.
- Il giorno del riposo è dunque tale innanzitutto perché è il giorno «benedetto» da Dio e da lui «santificato», ossia separato dagli altri giorni per essere, tra tutti, il «giorno del Signore».
Per comprendere appieno il senso di questa «santificazione» del sabato nel primo racconto biblico della creazione, occorre guardare all’insieme del testo, dal quale emerge con chiarezza come ogni realtà, senza eccezioni, vada ricondotta a Dio. Il tempo e lo spazio gli appartengono. Egli non è il Dio di un solo giorno, ma il Dio di tutti i giorni dell’uomo.
Se dunque egli «santifica» il settimo giorno con una speciale benedizione e ne fa il «suo giorno» per eccellenza, ciò va inteso proprio nella dinamica profonda del dialogo di alleanza, anzi del dialogo «sponsale». È un dialogo di amore che non conosce interruzioni, e che tuttavia non è monocorde: si svolge infatti adoperando i diversi registri dell’amore, dalle manifestazioni ordinarie e indirette a quelle più intense che le parole della Scrittura e poi le testimonianze di tanti mistici non temono di descrivere con immagini tratte dall’esperienza dell’amore nuziale.
- In realtà, tutta la vita dell’uomo e tutto il tempo dell’uomo, devono essere vissuti come lode e ringraziamento nei confronti del Creatore. Ma il rapporto dell’uomo con Dio ha bisogno anche di momenti di esplicita preghiera, in cui il rapporto si fa dialogo intenso, coinvolgente ogni dimensione della persona. Il «giorno del Signore» è, per eccellenza, il giorno di questo rapporto, in cui l’uomo eleva a Dio il suo canto, facendosi voce dell’intera creazione.
Proprio per questo è anche il giorno del riposo: l’interruzione del ritmo spesso opprimente delle occupazioni esprime, con il linguaggio plastico della «novità» e del «distacco», il riconoscimento della dipendenza propria e del cosmo da Dio. Tutto è di Dio! Il giorno del Signore torna continuamente ad affermare questo principio. Il «sabato» è stato perciò suggestivamente interpretato come un elemento qualificante in quella sorta di «architettura sacra» del tempo che caratterizza la rivelazione biblica.(13) Esso sta a ricordare che a Dio appartengono il cosmo e la storia, e l’uomo non può dedicarsi alla sua opera di collaboratore del Creatore nel mondo, senza prendere costantemente coscienza di questa verità.
«Ricordare» per «santificare»
- Il comandamento del Decalogo con cui Dio impone l’osservanza del sabato ha, nel Libro dell’Esodo, una formulazione caratteristica: «Ricordati del giorno di sabato per santificarlo» (20, 8). E più oltre il testo ispirato ne dà la motivazione richiamando l’opera di Dio: «perché in sei giorni il Signore ha fatto il cielo e la terra e il mare e quanto è in essi, ma si è riposato il giorno settimo. Perché il Signore ha benedetto il giorno di sabato e lo ha dichiarato sacro» (v. 11). Prima di imporre qualcosa da fare, il comandamento segnala qualcosa da ricordare. Invita a risvegliare la memoria di quella grande e fondamentale opera di Dio che è la creazione. E memoria che deve animare tutta la vita religiosa dell’uomo, per confluire poi nel giorno in cui l’uomo è chiamato a riposare. Il riposo assume così una tipica valenza sacra: il fedele è invitato a riposare non solo comeDio ha riposato, ma a riposare nelSignore, riportando a lui tutta la creazione, nella lode, nel rendimento di grazie, nell’intimità filiale e nell’amicizia sponsale.
- Il tema del «ricordo» delle meraviglie compiute da Dio, in rapporto al riposo sabbatico, emerge anche nel testo del Deuteronomio (5, 12-15), dove il fondamento del precetto è colto non tanto nell’opera della creazione, quanto in quella della liberazione operata da Dio nell’Esodo: «Ricordati che sei stato schiavo nel paese d’Egitto e che il Signore tuo Dio ti ha fatto uscire di là con mano potente e braccio teso; perciò il Signore tuo Dio ti ordina di osservare il giorno di sabato» (Dt5, 15).
Questa formulazione appare complementare alla precedente: considerate insieme, esse svelano il senso del «giorno del Signore» all’interno di una prospettiva unitaria di teologia della creazione e della salvezza. Il contenuto del precetto non è dunque primariamente una qualunque interruzione del lavoro, ma la celebrazione delle meraviglie operate da Dio.
Nella misura in cui questo «ricordo», colmo di gratitudine e di lode verso Dio, è vivo, il riposo dell’uomo, nel giorno del Signore, assume il suo pieno significato. Con esso, l’uomo entra nella dimensione del «riposo» di Dio e ne partecipa profondamente, diventando così capace di provare un fremito di quella gioia che il Creatore stesso provò dopo la creazione, vedendo che tutto quello che aveva fatto «era cosa molto buona» (Gn 1, 31).
Dal sabato alla domenica
- Per questa essenziale dipendenza del terzo comandamento dalla memoria delle opere salvifiche di Dio, i cristiani, percependo l’originalità del tempo nuovo e definitivo inaugurato da Cristo, hanno assunto come festivo il primo giorno dopo il sabato, perché in esso è avvenuta la risurrezione del Signore. Il mistero pasquale di Cristo costituisce, infatti, la rivelazione piena del mistero delle origini, il vertice della storia della salvezza e l’anticipazione del compimento escatologico del mondo. Ciò che Dio ha operato nella creazione e ciò che ha attuato per il suo popolo nell’Esodo ha trovato nella morte e risurrezione di Cristo il suo compimento, anche se questo avrà la sua espressione definitiva solo nella parusia, con la venuta gloriosa di Cristo. In lui si realizza pienamente il senso «spirituale» del sabato, come sottolinea san Gregorio Magno: «Noi consideriamo vero sabato la persona del nostro Redentore, il Signore nostro Gesù Cristo».(14) Per questo la gioia con cui Dio, nel primo sabato dell’umanità, contempla la creazione tratta dal nulla è ormai espressa da quella gioia con cui Cristo, nella domenica di Pasqua è apparso ai suoi, portando il dono della pace e dello Spirito (cfr Gv 20, 19-23). Nel mistero pasquale, infatti, la condizione umana, e con essa l’intera creazione, «che geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto» (Rm8, 22), ha conosciuto il suo nuovo «esodo» verso la libertà dei figli di Dio che possono gridare, con Cristo, «Abbà, Padre» (Rm8, 15; Gal 4, 6). Alla luce di questo mistero, il senso del precetto antico-testamentario sul giorno del Signore viene ricuperato, integrato e pienamente svelato nella gloria che rifulge sul volto di Cristo Risorto (cfr 2 Cor 4, 6). Dal «sabato» si passa al «primo giorno dopo il sabato», dal settimo giorno al primo giorno: il dies Domini diventa il dies Christi !
CAPITOLO SECONDO
DIES CHRISTI
Il giorno del Signore risorto
e del dono dello Spirito
La Pasqua settimanale
- «Noi celebriamo la domenica a causa della venerabile risurrezione del nostro Signore Gesù Cristo, non soltanto a Pasqua, ma anche a ogni ciclo settimanale»: così scriveva, agli inizi del V° secolo, Papa Innocenzo I,(15) testimoniando una prassi ormai consolidata, che era andata sviluppandosi a partire già dai primi anni successivi alla risurrezione del Signore. San Basilio parla della «santa domenica, onorata dalla risurrezione del Signore, primizia di tutti gli altri giorni».(16) Sant’Agostino chiama la domenica «sacramento della Pasqua».(17)
Questo intimo legame della domenica con la risurrezione del Signore è sottolineato fortemente da tutte le Chiese, in Occidente come in Oriente. Nella tradizione delle Chiese orientali, in particolare, ogni domenica è la anastàsimos hemèra, il giorno della risurrezione,(18) e proprio per questo suo carattere è il centro di tutto il culto.
Alla luce di questa ininterrotta ed universale tradizione, si vede chiaramente che, per quanto il giorno del Signore affondi le radici, come s’è detto, nell’opera stessa della creazione, e più direttamente nel mistero del biblico «riposo» di Dio, è tuttavia alla risurrezione di Cristo che bisogna far specifico riferimento per coglierne appieno il significato. È quanto avviene nella domenica cristiana, la quale ripropone ogni settimana alla considerazione e alla vita dei fedeli l’evento pasquale, da cui sgorga la salvezza del mondo.
- Secondo la concorde testimonianza evangelica, la risurrezione di Gesù Cristo dai morti avvenne nel «primo giorno dopo il sabato» (Mc16, 2.9; Lc24, 1; Gv 20, 1). In quello stesso giorno, il Risorto si manifestò ai due discepoli di Emmaus (cfr Lc 24, 13-35) ed apparve agli undici Apostoli riuniti insieme (cfr Lc 24, 36; Gv 20, 19). Otto giorni dopo — come testimonia il Vangelo di Giovanni (cfr 20, 26) — i discepoli si trovavano nuovamente riuniti, quando Gesù apparve loro e si fece riconoscere da Tommaso, mostrando i segni della sua passione. Era domenica il giorno della Pentecoste, primo giorno dell’ottava settimana dopo la pasqua giudaica (cfr At 2, 1), quando con l’effusione dello Spirito Santo si realizzò la promessa fatta da Gesù agli Apostoli dopo la risurrezione (cfr Lc 24, 49; At 1, 4-5). Fu quello il giorno del primo annuncio e dei primi battesimi: Pietro proclamò alla folla riunita che il Cristo era risuscitato e «quelli che accolsero la sua parola furono battezzati» (At 2, 41). Fu l’epifania della Chiesa, manifestata come popolo nel quale confluiscono in unità, al di là di tutte le diversità, i figli di Dio dispersi.
Il primo giorno della settimana
- È su questa base che, fin dai tempi apostolici, «il primo giorno dopo il sabato», primo della settimana, cominciò a caratterizzare il ritmo stesso della vita dei discepoli di Cristo (cfr 1 Cor16, 2). «Primo giorno dopo il sabato» era anche quello in cui i fedeli di Troade si trovavano riuniti «per la frazione del pane», quando Paolo rivolse loro il discorso di addio e compì un miracolo per rianimare il giovane Eutico (cfr At20, 7-12). Il Libro dell’Apocalisse testimonia l’uso di dare a questo primo giorno della settimana il nome di «giorno del Signore» (1, 10). Ormai ciò sarà una delle caratteristiche che distingueranno i cristiani dal mondo circostante. Lo notava, fin dall’inizio del secondo secolo, il governatore della Bitinia, Plinio il Giovane, constatando l’abitudine dei cristiani «di riunirsi a giorno fisso prima della levata del sole e di cantare tra di loro un inno a Cristo come a un dio».(19) E, in effetti, quando i cristiani dicevano «giorno del Signore», lo facevano dando a questo termine la pienezza di senso derivante dal messaggio pasquale: «Gesù Cristo è Signore» (Fil 2, 11; cfr At 2, 36; 1 Cor 12, 3). Si riconosceva con ciò a Cristo lo stesso titolo col quale i Settanta traducevano, nella rivelazione dell’Antico Testamento, il nome proprio di Dio, JHWH, che non era lecito pronunciare.
- In questi primi tempi della Chiesa, il ritmo settimanale dei giorni non era generalmente conosciuto nelle regioni in cui il Vangelo si diffondeva e i giorni festivi dei calendari greco e romano non coincidevano con la domenica cristiana. Ciò comportava per i cristiani una notevole difficoltà a osservare il giorno del Signore col suo carattere fisso settimanale. Si spiega così perché i fedeli fossero costretti a riunirsi prima del sorgere del sole.(20) La fedeltà al ritmo settimanale tuttavia si imponeva, in quanto fondata sul Nuovo Testamento e legata alla rivelazione dell’Antico Testamento. Lo sottolineano volentieri gli Apologisti ed i Padri della Chiesa nei loro scritti e nella loro predicazione. Il mistero pasquale veniva illustrato attraverso quei testi della Scrittura che, secondo la testimonianza di san Luca (cfr 24, 27.44-47), il Cristo risorto stesso doveva aver spiegato ai discepoli. Alla luce di tali testi, la celebrazione del giorno della risurrezione acquistava un valore dottrinale e simbolico capace di esprimere tutta la novità del mistero cristiano.
Progressiva distinzione dal sabato
- È proprio su questa novità che insiste la catechesi dei primi secoli, impegnata a caratterizzare la domenica rispetto al sabato ebraico. Di sabato cadeva per gli ebrei il dovere della riunione nella sinagoga e andava praticato il riposo prescritto dalla Legge. Gli Apostoli, e in particolare san Paolo, continuarono dapprima a frequentare la sinagoga per potervi annunciare Gesù Cristo commentando «le parole dei profeti che si leggono ogni sabato» (At13, 27). In alcune comunità si poteva registrare la coesistenza dell’osservanza del sabato con la celebrazione domenicale. Ben presto, però, si iniziò a distinguere i due giorni in modo sempre più netto, soprattutto per reagire alle insistenze di quei cristiani che, provenendo dal giudaismo, erano inclini a conservare l’obbligo dell’antica Legge. Sant’Ignazio di Antiochia scrive: «Se coloro che vivevano nell’antico ordine di cose sono venuti a una nuova speranza, non osservando più il sabato ma vivendo secondo il giorno del Signore, giorno in cui la nostra vita è sorta attraverso lui e la sua morte […], mistero dal quale abbiamo ricevuto la fede e nel quale perseveriamo per essere trovati discepoli di Cristo, nostro solo Maestro, come potremmo vivere senza di lui, che anche i profeti attendevano come maestro, essendo suoi discepoli nello Spirito?».(21) E sant’Agostino a sua volta osserva: «Perciò anche il Signore ha impresso il suo sigillo al suo giorno, che è il terzo dopo la passione. Esso però, nel ciclo settimanale, è l’ottavo dopo il settimo cioè dopo il sabato, e il primo della settimana».(22) La distinzione della domenica dal sabato ebraico si consolida sempre più nella coscienza ecclesiale, ma in certi periodi della storia, per l’enfasi data all’obbligo del riposo festivo, si registrerà una certa tendenza alla «sabbatizzazione» del giorno del Signore. Non sono mancati inoltre settori della cristianità in cui il sabato e la domenica sono stati osservati come «due giorni fratelli».(23)
Il giorno della nuova creazione
- Il confronto della domenica cristiana con la prospettiva sabbatica, propria dell’Antico Testamento, suscitò anche approfondimenti teologici di grande interesse. In particolare, fu posta in luce la singolare connessione esistente tra la risurrezione e la creazione. Fu infatti spontaneo per la riflessione cristiana collegare la risurrezione avvenuta «il primo giorno della settimana» con il primo giorno di quella settimana cosmica (cfr Gn1, 1-2.4) secondo cui il libro della Genesi scandisce l’evento della creazione: il giorno della creazione della luce (cfr 1, 3-5). Tale nesso invitava a comprendere la risurrezione come l’inizio di una nuova creazione, della quale il Cristo glorioso costituisce la primizia, essendo egli, «generato prima di ogni creatura» (Col1, 15), anche «il primogenito di coloro che risuscitano dai morti» (Col 1, 18).
- La domenica è, in effetti, il giorno in cui, più che in ogni altro, il cristiano è chiamato a ricordare la salvezza che gli è stata offerta nel battesimo e che lo ha reso uomo nuovo in Cristo. «Con lui infatti siete stati sepolti insieme nel battesimo, in lui siete anche stati insieme risuscitati per la fede nella potenza di Dio, che lo ha risuscitato dai morti» (Col2, 12; cfr Rm6, 4-6). La liturgia sottolinea questa dimensione battesimale della domenica, sia esortando a celebrare i battesimi, oltre che nella Veglia pasquale, anche in questo giorno settimanale «in cui la Chiesa commemora la risurrezione del Signore»,(24) sia suggerendo, quale opportuno rito penitenziale all’inizio della Messa, l’aspersione con l’acqua benedetta, che richiama appunto l’evento battesimale in cui nasce ogni esistenza cristiana.(25)
L’ottavo giorno, figura dell’eternità
- D’altra parte, il fatto che il sabato risulti settimo giorno della settimana fece considerare il giorno del Signore alla luce di un simbolismo complementare, molto caro ai Padri: la domenica, oltre che primo giorno, è anche «giorno ottavo», posto cioè, rispetto alla successione settenaria dei giorni, in una posizione unica e trascendente, evocatrice non solo dell’inizio del tempo, ma anche della sua fine nel «secolo futuro». San Basilio spiega che la domenica significa il giorno veramente unico che seguirà il tempo attuale, il giorno senza termine che non conoscerà né sera né mattino, il secolo imperituro che non potrà invecchiare; la domnenica è il preannuncio incessante della vita senza fine, che rianima la speranza dei cristiani e li incoraggia nel loro cammino.(26) Nella prospettiva del giorno ultimo, che invera pienamente il simbolismo anticipatore del sabato, sant’Agostino conclude le Confessioni parlando dell’eschatoncome «pace del riposo, pace del sabato, pace senza sera».(27) La celebrazione della domenica, giorno «primo» e insieme «ottavo», proietta il cristiano verso il traguardo della vita eterna.(28)
Il giorno di Cristo-luce
- In questa prospettiva cristocentrica, si comprende un’altra valenza simbolica che la riflessione credente e la pratica pastorale attribuirono al giorno del Signore. Un’accorta intuizione pastorale, infatti, suggerì alla Chiesa di cristianizzare, per la domenica, la connotazione di «giorno del sole», espressione con cui i romani denominavano questo giorno e che ancora emerge in alcune lingue contemporanee,(29) sottraendo i fedeli alle seduzioni di culti che divinizzavano il sole e indirizzando la celebrazione di questo giorno a Cristo, vero «sole» dell’umanità. San Giustino, scrivendo ai pagani, utilizza la terminologia corrente per annotare che i cristiani facevano la loro adunanza «nel giorno detto del sole»,(30) ma il riferimento a questa espressione assume ormai per i credenti un senso nuovo, perfettamente evangelico.(31) Cristo è infatti la luce del mondo (cfr Gv9, 5; cfr anche 1, 4-5.9), e il giorno commemorativo della sua risurrezione è il riflesso perenne, nella scansione settimanale del tempo, di questa epifania della sua gloria. Il tema della domenica come giorno illuminato dal trionfo di Cristo risorto trova spazio nella Liturgia delle Ore (32) ed ha una particolare enfasi nella veglia notturna che, nelle liturgie orientali, prepara e introduce la domenica. Radunandosi in questo giorno, la Chiesa fa suo, di generazione in generazione, lo stupore di Zaccaria, quando volge lo sguardo verso Cristo annunciandolo come «sole che sorge per rischiarare quelli che stanno nelle tenebre e nell’ombra della morte» (Lc1, 78-79), e vibra in sintonia con la gioia provata da Simeone nel prendere tra le braccia il Bimbo divino venuto come «luce per illuminare le genti» (Lc 2, 32).
Il giorno del dono dello Spirito
- Giorno di luce, la domenica potrebbe dirsi anche, in riferimento allo Spirito Santo, giorno del «fuoco». La luce di Cristo, infatti, è intimamente connessa col «fuoco» dello Spirito, e ambedue le immagini indicano il senso della domenica cristiana.(33) Apparendo agli Apostoli la sera di Pasqua, Gesù alitò su di loro e disse: «Ricevete lo Spirito Santo. A chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi» (Gv20, 22-23). L’effusione dello Spirito fu il grande dono del Risorto ai suoi discepoli la domenica di Pasqua. Era ancora domenica, quando, cinquanta giorni dopo la risurrezione, lo Spirito scese con potenza, come «vento gagliardo» e «fuoco» (At2, 23) sugli Apostoli riuniti con Maria. La Pentecoste non è solo evento originario, ma mistero che anima permanentemente la Chiesa.(34) Se tale evento ha il suo tempo liturgico forte nella celebrazione annuale con cui si chiude la «grande domenica»,(35) esso rimane inscritto, proprio per la sua intima connessione col mistero pasquale, anche nel senso profondo di ogni domenica. La «Pasqua della settimana» si fa così, in qualche modo, «Pentecoste della settimana», nella quale i cristiani rivivono l’esperienza gioiosa dell’incontro degli Apostoli col Risorto, lasciandosi vivificare dal soffio del suo Spirito.
Il giorno della fede
- Per tutte queste dimensioni che la contraddistinguono, la domenica appare il giorno della fede per eccellenza. In esso lo Spirito Santo, «memoria» viva della Chiesa (cfr Gv14, 26), fa della prima manifestazione del Risorto un evento che si rinnova nell’«oggi» di ciascuno dei discepoli di Cristo. Posti davanti a lui, nell’assemblea domenicale, i credenti si sentono interpellati come l’apostolo Tommaso: «Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano e mettila nel mio costato; e non essere più incredulo, ma credente!» (Gv20, 27). Sì, la domenica è il giorno della fede. Lo sottolinea il fatto che la liturgia eucaristica domenicale, come peraltro quella delle solennità liturgiche, prevede la professione di fede. Il «Credo», recitato o cantato, evidenzia il carattere battesimale e pasquale della domenica, facendone il giorno in cui, a titolo speciale, il battezzato rinnova la propria adesione a Cristo ed al suo Vangelo nella ravvivata consapevolezza delle promesse battesimali. Accogliendo la Parola e ricevendo il Corpo del Signore, egli contempla Gesù risorto presente nei «santi segni» e confessa con l’apostolo Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!» (Gv 20, 28).
Un giorno irrinunciabile!
- Si comprende allora perché, anche nel contesto delle difficoltà del nostro tempo, l’identità di questo giorno debba essere salvaguardata e soprattutto profondamente vissuta. Un autore orientale dell’inizio del III secolo riferisce che in ogni regione i fedeli già allora santificavano regolarmente la domenica.(36) La prassi spontanea è divenuta poi norma giuridicamente sancita: il giorno del Signore ha scandito la storia bimillenaria della Chiesa. Come potrebbe pensarsi che esso non continui a segnare il suo futuro? I problemi che, nel nostro tempo, possono rendere più difficile la pratica del dovere domenicale non mancano di trovare la Chiesa sensibile e maternamente attenta alle condizioni dei singoli suoi figli. In particolare, essa si sente chiamata ad un nuovo impegno catechetico e pastorale, perché nessuno di essi, nelle normali condizioni di vita, resti privo dell’abbondante flusso di grazia che la celebrazione del giorno del Signore porta con sé. Nello stesso spirito, prendendo posizione su ipotesi di riforma del calendario ecclesiale in rapporto a variazioni dei sistemi di calendario civile, il Concilio Ecumenico Vaticano II ha dichiarato che la Chiesa «non si oppone a quelli soltanto che conservano e tutelano la settimana di sette giorni con la domenica».(37) Alle soglie del terzo millennio, la celebrazione della domenica cristiana, per i significati che evoca e le dimensioni che implica, in rapporto ai fondamenti stessi della fede, rimane un elemento qualificante dell’identità cristiana.
CAPITOLO TERZO
DIES ECCLESIAE
L’assemblea eucaristica
cuore della domenica
La presenza del Risorto
- «Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt28, 20). Questa promessa di Cristo continua a risuonare nella Chiesa, che in essa coglie il segreto fecondo della sua vita e la sorgente della sua speranza. Se la domenica è il giorno della risurrezione, essa non è solo la memoria di un evento passato: è celebrazione della viva presenza del Risorto in mezzo ai suoi.
Perché tale presenza sia annunciata e vissuta in modo adeguato, non basta che i discepoli di Cristo preghino individualmente e ricordino interiormente, nel segreto del cuore, la morte e la risurrezione di Cristo. Quanti infatti hanno ricevuto la grazia del battesimo, non sono stati salvati solo a titolo individuale, ma come membra del Corpo mistico, entrati a far parte del Popolo di Dio.(38) È importante perciò che si radunino, per esprimere pienamente l’identità stessa della Chiesa, la ekklesía, l’assemblea convocata dal Signore risorto, il quale ha offerto la sua vita «per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi» (Gv 11, 52). Essi sono diventati «uno» in Cristo (cfr Gal 3, 28), attraverso il dono dello Spirito. Questa unità si manifesta esteriormente quando i cristiani si riuniscono: prendono allora viva coscienza e testimoniano al mondo di essere il popolo dei redenti composto da «uomini di ogni tribù, lingua, popolo, nazione» (Ap 5, 9). Nell’assemblea dei discepoli di Cristo si perpetua nel tempo l’immagine della prima comunità cristiana disegnata con intento esemplare da Luca negli Atti degli Apostoli, quando riferisce che i primi battezzati «erano assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli Apostoli e nell’unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere» (2, 42).
L’assemblea eucaristica
- Questa realtà della vita ecclesiale ha nell’Eucaristia non solo una particolare intensità espressiva, ma in certo senso il suo luogo «sorgivo».(39) L’Eucaristia nutre e plasma la Chiesa: «Poiché c’è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo: tutti infatti partecipiamo dell’unico pane» (1 Cor10, 17). Per tale suo rapporto vitale con il sacramento del Corpo e del Sangue del Signore, il mistero della Chiesa è in modo supremo annunciato, gustato e vissuto nell’Eucaristia.(40)
L’intrinseca dimensione ecclesiale dell’Eucaristia si realizza ogni volta che essa viene celebrata. Ma a maggior ragione si esprime nel giorno in cui tutta la comunità è convocata per fare memoria della risurrezione del Signore. Significativamente il Catechismo della Chiesa Cattolica insegna che «la celebrazione domenicale del Giorno e dell’Eucaristia del Signore sta al centro della vita della Chiesa».(41)
- È proprio nella Messa domenicale, infatti, che i cristiani rivivono in modo particolarmente intenso l’esperienza fatta dagli Apostoli la sera di Pasqua, quando il Risorto si manifestò ad essi riuniti insieme (cfr Gv20, 19). In quel piccolo nucleo di discepoli, primizia della Chiesa, era in qualche modo presente il Popolo di Dio di tutti i tempi. Attraverso la loro testimonianza, rimbalza su ogni generazione di credenti il saluto di Cristo, ricco del dono messianico della pace, acquistata col suo sangue e offerta insieme col suo Spirito: «Pace a voi!». Nel ritorno di Cristo tra loro «otto giorni dopo» (Gv20, 26) può vedersi raffigurato in radice l’uso della comunità cristiana di riunirsi ogni ottavo giorno, nel «giorno del Signore» o domenica, a professare la fede nella sua risurrezione ed a raccogliere i frutti della beatitudine da lui promessa: «Beati quelli che pur non avendo visto crederanno!» (Gv 20, 29). Quest’intima connessione tra la manifestazione del Risorto e l’Eucaristia è adombrata dal Vangelo di Luca nella narrazione riguardante i due discepoli di Emmaus, ai quali Cristo stesso si accompagnò, guidandoli alla comprensione della Parola e sedendosi infine a mensa con loro. Essi lo riconobbero quando egli «prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro» (24, 30). I gesti di Gesù in questo racconto sono i medesimi da lui compiuti nell’Ultima Cena, con la chiara allusione alla «frazione del pane», come è denominata l’Eucaristia nella prima generazione cristiana.
L’Eucaristia domenicale
- Certo, l’Eucaristia domenicale non ha, in sé, uno statuto diverso da quella celebrata in ogni altro giorno, né è separabile dall’intera vita liturgica e sacramentale. Questa è per sua natura una epifania della Chiesa,(42) che trova il suo momento più significativo quando la comunità diocesana si raduna in preghiera col proprio Pastore: «La principale manifestazione della Chiesa si ha nella partecipazione piena e attiva di tutto il popolo santo di Dio alle medesime celebrazioni liturgiche, soprattutto alla medesima Eucaristia, alla medesima preghiera, al medesimo altare cui presiede il Vescovo circondato dal suo presbiterio e dai ministri».(43) Il rapporto col Vescovo e con l’intera comunità ecclesiale è insito in ogni celebrazione eucaristica, anche non presieduta dal Vescovo, in qualunque giorno della settimana essa venga celebrata. Ne è espressione la menzione del Vescovo nella preghiera eucaristica.
L’Eucaristia domenicale, tuttavia, con l’obbligo della presenza comunitaria e la speciale solennità che la contraddistinguono proprio perché celebrata «nel giorno in cui Cristo ha vinto la morte e ci ha resi partecipi della sua vita immortale»,(44) manifesta con un’ulteriore enfasi la propria dimensione ecclesiale, ponendosi come paradigmatica rispetto alle altre celebrazioni eucaristiche. Ogni comunità, radunando tutti i suoi membri per la «frazione del pane», si sperimenta quale luogo in cui il mistero della Chiesa concretamente si attua. Nella stessa celebrazione la comunità si apre alla comunione con la Chiesa universale,(45) implorando il Padre perché si ricordi «della Chiesa diffusa su tutta la terra», e la faccia crescere, nell’unità di tutti i fedeli col Papa e coi Pastori delle singole Chiese, fino alla perfezione dell’amore.
Il giorno della Chiesa
- Il dies Domini si rivela così anche dies Ecclesiae. Si comprende allora perché la dimensione comunitaria della celebrazione domenicale debba essere, sul piano pastorale, particolarmente sottolineata. Come ho avuto modo, in altra occasione, di ricordare, tra le numerose attività che una parrocchia svolge, «nessuna è tanto vitale o formativa della comunità quanto la celebrazione domenicale del giorno del Signore e della sua Eucaristia».(46) In questo senso il Concilio Vaticano II ha richiamato la necessità di adoperarsi perché «il senso della comunità parrocchiale fiorisca soprattutto nella celebrazione comunitaria della Messa domenicale».(47) Nella stessa linea si pongono i successivi orientamenti liturgici, chiedendo che, nella domenica e nei giorni festivi, le celebrazioni eucaristiche fatte normalmente in altre chiese ed oratori siano coordinate con la celebrazione della chiesa parrocchiale, e ciò proprio per «fomentare il senso della comunità ecclesiale, che è alimentato ed espresso in modo speciale nella celebrazione comunitaria della domenica, sia intorno al Vescovo, soprattutto nella cattedrale, sia nell’assemblea parrocchiale, il cui pastore fa le veci del Vescovo».(48)
- L’assemblea domenicale è luogo privilegiato di unità: vi si celebra infatti il sacramentum unitatische caratterizza profondamente la Chiesa, popolo adunato «dalla» e «nella» unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.(49) In essa le famiglie cristiane vivono una delle espressioni più qualificate della loro identità e del loro «ministero» di «chiese domestiche», quando i genitori partecipano con i loro figli all’unica mensa della Parola e del Pane di vita.(50) Va ricordato a tal proposito che spetta innanzitutto ai genitori educare i loro figli alla partecipazione alla Messa domenicale, aiutati in ciò dai catechisti, che devono preoccuparsi di inserire l’iniziazione alla Messa nel cammino formativo dei ragazzi loro affidati, illustrando il motivo profondo dell’obbligatorietà del precetto. A questo contribuirà anche, quando le circostanze lo consiglino, la celebrazione di Messe per fanciulli, secondo le varie modalità previste dalle norme liturgiche.(51)
Nelle Messe domenicali della parrocchia, in quanto «comunità eucaristica»,(52) è normale poi che si ritrovino i vari gruppi, movimenti, associazioni, le stesse piccole comunità religiose in essa presenti. Questo consente loro di fare esperienza di ciò che è ad essi più profondamente comune, al di là delle specifiche vie spirituali che legittimamente li caratterizzano, in obbedienza al discernimento dell’autorità ecclesiale.(53) È per questo che di domenica, giorno dell’assemblea, le Messe dei piccoli gruppi non sono da incoraggiare: non si tratta solo di evitare che le assemblee parrocchiali manchino del necessario ministero dei sacerdoti, ma anche di fare in modo che la vita e l’unità della comunità ecclesiale vengano pienamente salvaguardate e promosse.(54) Spetta all’oculato discernimento dei Pastori delle Chiese particolari autorizzare eventuali e ben circoscritte deroghe a questo orientamento, in considerazione di specifiche esigenze formative e pastorali, tenendo conto del bene di singoli o di gruppi, e specialmente dei frutti che possono derivarne all’intera comunità cristiana.
Popolo pellegrinante
- Nella prospettiva poi del cammino della Chiesa nel tempo, il riferimento alla risurrezione di Cristo e la scadenza settimanale di tale solenne memoria aiutano a ricordare il carattere pellegrinante e la dimensione escatologica del Popolo di Dio. Di domenica in domenica, infatti, la Chiesa procede verso l’ultimo «giorno del Signore», la domenica senza fine. In realtà, l’attesa della venuta di Cristo è inscritta nel mistero stesso della Chiesa (55) ed emerge in ogni celebrazione eucaristica. Ma il giorno del Signore, con la sua specifica memoria della gloria del Cristo risorto, richiama con maggior intensità anche la gloria futura del suo «ritorno». Ciò fa della domenica il giorno in cui la Chiesa, manifestando più chiaramente il suo carattere «sponsale», anticipa in qualche modo la realtà escatologica della Gerusalemme celeste. Raccogliendo i suoi figli nell’assemblea eucaristica ed educandoli all’attesa dello «Sposo divino», essa fa come un «esercizio del desiderio»,(56) in cui pregusta la gioia dei cieli nuovi e della terra nuova, quando la città santa, la nuova Gerusalemme, scenderà dal cielo, da Dio, «pronta come una sposa adorna per il suo sposo» (Ap21, 2).
Giorno della speranza
- Da questo angolo visuale, se la domenica è il giorno della fede, essa non è meno il giorno della speranza cristiana. La partecipazione alla «cena del Signore» è infatti anticipazione del banchetto escatologico per le «nozze dell’Agnello» (Ap19, 9). Celebrando il memoriale di Cristo, risorto e asceso al cielo, la comunità cristiana si pone «nell’attesa che si compia la beata speranza e venga il nostro salvatore Gesù Cristo».(57) Vissuta e alimentata con questo intenso ritmo settimanale, la speranza cristiana si fa lievito e luce della stessa speranza umana. Per questo, nella preghiera «universale», si raccolgono i bisogni non della sola comunità cristiana, ma dell’intera umanità; la Chiesa, radunata per la Celebrazione eucaristica, testimonia in questo modo al mondo di far sue «le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono».(58) Coronando poi con l’offerta eucaristica domenicale la testimonianza che, in tutti i giorni della settimana, i suoi figli, immersi nel lavoro e nei vari impegni della vita, si sforzano di offrire con l’annuncio del Vangelo e la pratica della carità, la Chiesa manifesta in modo più evidente il suo essere «come sacramento, ossia segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano».(59)
La mensa della Parola
- Nell’assemblea domenicale, come del resto in ogni Celebrazione eucaristica, l’incontro col Risorto avviene mediante la partecipazione alla duplice mensa della Parola e del Pane di vita. La prima continua a dare quell’intelligenza della storia della salvezza e, in particolare, del mistero pasquale che lo stesso Gesù risorto procurò ai discepoli: è lui che parla, presente com’è nella sua parola «quando nella Chiesa si legge la Sacra Scrittura».(60) Nella seconda si attua la reale, sostanziale e duratura presenza del Signore risorto attraverso il memoriale della sua passione e della sua risurrezione, e viene offerto quel pane di vita che è pegno della gloria futura. Il Concilio Vaticano II ha ricordato che «la liturgia della parola e la liturgia eucaristica sono congiunte tra di loro così strettamente da formare un solo atto di culto».(61) Lo stesso Concilio ha anche stabilito che «la mensa della parola di Dio sia preparata ai fedeli con maggiore abbondanza, aprendo più largamente i tesori della Bibbia».(62) Ha poi ordinato che nelle Messe della domenica, come in quelle delle feste di precetto, l’omelia non sia omessa se non per grave causa.(63) Queste felici disposizioni hanno trovato fedele espressione nella riforma liturgica, a proposito della quale Paolo VI, commentando la più abbondante offerta di letture bibliche nelle domeniche e nei giorni festivi, scriveva: «Tutto ciò è stato ordinato in modo da far aumentare sempre più nei fedeli “quella fame di ascoltare la parola del Signore” (Am8, 11) che, sotto la guida dello Spirito Santo, spinga il popolo della nuova alleanza alla perfetta unità della Chiesa».(64)
- A distanza di oltre trent’anni dal Concilio, mentre riflettiamo sull’Eucaristia domenicale, è necessario verificare come la Parola di Dio venga proclamata, nonché l’effettiva crescita, nel Popolo di Dio, della conoscenza e dell’amore della Sacra Scrittura.(65) L’uno e l’altro aspetto, quello della celebrazionee quello dell’esperienza vissuta, stanno in intima relazione. Da una parte, la possibilità offerta dal Concilio di proclamare la Parola di Dio nella lingua propria della comunità partecipante deve portarci a sentire una «nuova responsabilità» verso di essa, facendo risplendere, «fin dal modo stesso di leggere o di cantare, il carattere peculiare del testo sacro».(66) Dall’altra, occorre che l’ascolto della Parola di Dio proclamata sia ben preparato nell’animo dei fedeli da una conoscenza appropriata della Scrittura e, ove pastoralmente possibile, da specifiche iniziative di approfondimento dei brani biblici, specie di quelli delle Messe festive. Se infatti la lettura del testo sacro, compiuta in spirito di preghiera e in docilità all’interpretazione ecclesiale,(67) non anima abitualmente la vita dei singoli e delle famiglie cristiane, è difficile che la sola proclamazione liturgica della Parola di Dio possa portare i frutti sperati. Sono dunque molto lodevoli quelle iniziative con cui le comunità parrocchiali, attraverso il coinvolgimento di quanti partecipano all’Eucaristia — sacerdote, ministri e fedeli — (68) preparano la liturgia domenicale già nel corso della settimana, riflettendo in anticipo sulla Parola di Dio che sarà proclamata. L’obiettivo a cui tendere è che tutta la celebrazione, in quanto preghiera, ascolto, canto, e non solo l’omelia, esprima in qualche modo il messaggio della liturgia domenicale, così che esso possa incidere più efficacemente su quanti vi prendono parte. Ovviamente molto è affidato alla responsabilità di coloro che esercitano il ministero della Parola. Ad essi incombe il dovere di preparare con particolare cura, nello studio del testo sacro e nella preghiera, il commento alla parola del Signore, esprimendone fedelmente i contenuti e attualizzandoli in rapporto agli interrogativi e alla vita degli uomini del nostro tempo.
- Occorre peraltro non dimenticare che la proclamazione liturgica della Parola di Dio, soprattutto nel contesto dell’assemblea eucaristica, non è tanto un momento di meditazione e di catechesi, ma è il dialogo di Dio col suo popolo, dialogo in cui vengono proclamate le meraviglie della salvezza e continuamente riproposte le esigenze dell’Alleanza. Da parte sua, il Popolo di Dio si sente chiamato a rispondere a questo dialogo di amore ringraziando e lodando, ma al tempo stesso verificando la propria fedeltà nello sforzo di una continua «conversione». L’assemblea domenicale si impegna così all’interiore rinnovamento delle promesse battesimali, che sono in qualche modo implicite nella recita del Credo, e che la liturgia espressamente prevede nella celebrazione della veglia pasquale o quando viene amministrato il battesimo durante la Messa. In questo quadro, la proclamazione della Parola nella Celebrazione eucaristica della domenica acquista il tono solenne che già l’Antico Testamento prevedeva per i momenti di rinnovamento dell’Alleanza, quando veniva proclamata la Legge e la comunità di Israele era chiamata, come il popolo del deserto ai piedi del Sinai (cfr Es19, 7-8; 24, 3.7), a ribadire il suo «sì», rinnovando la scelta di fedeltà a Dio e di adesione ai suoi precetti. Dio infatti, nel comunicare la sua Parola, attende la nostra risposta: risposta che Cristo ha già dato per noi con il suo «Amen» (cfr 2 Cor1, 20-22), e che lo Spirito Santo fa risuonare in noi in modo che ciò che si è udito coinvolga profondamente la nostra vita.(69)
La mensa del Corpo di Cristo
- La mensa della Parola sfocia naturalmente nella mensa del Pane eucaristico e prepara la comunità a viverne le molteplici dimensioni, che assumono nell’Eucaristia domenicale un carattere particolarmente solenne. Nel tono festoso del convenire di tutta la comunità nel «giorno del Signore», l’Eucaristia si propone in modo più visibile che negli altri giorni come la grande «azione di grazie», con cui la Chiesa, colma dello Spirito, si rivolge al Padre, unendosi a Cristo e facendosi voce dell’intera umanità. La scansione settimanale suggerisce di raccogliere in grata memoria gli eventi dei giorni appena trascorsi, per rileggerli alla luce di Dio, e rendergli grazie per i suoi innumerevoli doni, glorificandolo «per Cristo, con Cristo e in Cristo, nell’unità dello Spirito Santo». La comunità cristiana prende così rinnovata coscienza del fatto che tutte le cose sono state create per mezzo di Cristo (cfr Col1, 16; Gv1, 3) e in lui, venuto in forma di servo a condividere e redimere la nostra condizione umana, esse sono state ricapitolate (cfr Ef 1, 10), per essere offerte a Dio Padre, dal quale ogni cosa prende origine e vita. Aderendo infine con il suo «Amen» alla dossologia eucaristica, il Popolo di Dio si proietta nella fede e nella speranza verso il traguardo escatologico, quando Cristo «consegnerà il regno a Dio Padre […] perché Dio sia tutto in tutti» (1 Cor 15, 24.28).
- Questo movimento «ascendente» è insito in ogni celebrazione eucaristica e ne fa un evento gioioso, intriso di riconoscenza e di speranza, ma è particolarmente sottolineato, nella Messa domenicale, dalla sua speciale connessione con la memoria della risurrezione. D’altra parte, la gioia «eucaristica» che porta «in alto i nostri cuori» è frutto del «movimento discendente» che Dio ha operato verso di noi, e che resta perennemente inscritto nell’essenza sacrificale dell’Eucaristia, suprema espressione e celebrazione del mistero della kénosis, ossia dell’abbassamento mediante il quale Cristo «umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce» (Fil2, 8).
La Messa infatti è viva ripresentazione del sacrificio della Croce. Sotto le specie del pane e del vino, su cui è stata invocata l’effusione dello Spirito, operante con efficacia del tutto singolare nelle parole della consacrazione, Cristo si offre al Padre nel medesimo gesto di immolazione con cui si offrì sulla croce. «In questo divino sacrificio che si compie nella Messa, è contenuto e immolato in modo incruento lo stesso Cristo, che si offrì una sola volta in modo cruento sull’altare della croce».(70) Al suo sacrificio Cristo unisce quello della Chiesa: «Nell’Eucaristia il sacrificio di Cristo diviene pure il sacrificio delle membra del suo corpo. La vita dei fedeli, la loro lode, la loro sofferenza, la loro preghiera, il loro lavoro, sono uniti a quelli di Cristo e alla sua offerta totale, e in questo modo acquistano un valore nuovo».(71) Questa partecipazione dell’intera comunità assume una particolare evidenza nel convenire domenicale, che consente di portare all’altare la settimana trascorsa con l’intero carico umano che l’ha segnata.
Convito pasquale e incontro fraterno
- Questa coralità s’esprime poi specialmente nel carattere di convito pasquale che è proprio dell’Eucaristia, nella quale Cristo stesso si fa nutrimento. Infatti «a questo scopo Cristo affidò alla Chiesa questo sacrificio: perché i fedeli partecipassero ad esso, sia spiritualmente, con la fede e la carità, sia sacramentalmente, con il banchetto della santa comunione. La partecipazione alla cena del Signore è sempre comunione con il Cristo, che si offre per noi in sacrificio al Padre».(72) Per questo la Chiesa raccomanda ai fedeli di fare la comunione quando partecipano all’Eucaristia, purché siano nelle debite disposizioni e, se consapevoli di peccati gravi, abbiano ricevuto il perdono di Dio nel sacramento della Riconciliazione,(73) nello spirito di quanto san Paolo ricordava alla comunità di Corinto (cfr 1 Cor11, 27-32). L’invito alla comunione eucaristica si fa particolarmente insistente, com’è ovvio, in occasione della Messa in giorno di domenica e negli altri giorni festivi.
È importante inoltre che si prenda coscienza viva di quanto la comunione con Cristo sia profondamente legata alla comunione con i fratelli. L’assemblea eucaristica domenicale è un evento di fraternità, che la celebrazione deve mettere bene in evidenza, pur nel rispetto dello stile proprio dell’azione liturgica. A ciò contribuiscono il servizio dell’accoglienza e il tono della preghiera, attenta ai bisogni dell’intera comunità. Lo scambio del segno della pace, significativamente posto nel Rito romano prima della comunione eucaristica, è un gesto particolarmente espressivo, che i fedeli sono invitati a fare come manifestazione del consenso dato dal popolo di Dio a tutto ciò che si è compiuto nella celebrazione (74) e dell’impegno di vicendevole amore che si assume partecipando all’unico pane, nel ricordo dell’esigente parola di Cristo: «Se dunque presenti la tua offerta sull’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare e va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna ad offrire il tuo dono» (Mt 5, 23-24).
Dalla Messa alla «missione»
- Ricevendo il Pane di vita, i discepoli di Cristo si dispongono ad affrontare, con la forza del Risorto e del suo Spirito, i compiti che li attendono nella loro vita ordinaria. In effetti, per il fedele che ha compreso il senso di ciò che ha compiuto, la celebrazione eucaristica non può esaurirsi all’interno del tempio. Come i primi testimoni della risurrezione, i cristiani convocati ogni domenica per vivere e confessare la presenza del Risorto sono chiamati a farsi nella loro vita quotidiana evangelizzatori e testimoni. L’orazione dopo la comunione e il rito di conclusione — benedizione e congedo — vanno, sotto questo profilo, riscoperti e meglio valorizzati, perché quanti hanno partecipato all’Eucaristia sentano più profondamente la responsabilità ad essi affidata. Dopo lo scioglimento dell’assemblea, il discepolo di Cristo torna nel suo ambiente abituale con l’impegno di fare di tutta la sua vita un dono, un sacrificio spirituale gradito a Dio (cfr Rm12, 1). Egli si sente debitore verso i fratelli di ciò che nella celebrazione ha ricevuto, non diversamente dai discepoli di Emmaus i quali, dopo aver riconosciuto «alla frazione del pane» il Cristo risuscitato (cfr Lc24, 30-32), avvertirono l’esigenza di andare subito a condividere con i loro fratelli la gioia dell’incontro con il Signore (cfr Lc 24, 33-35).
Il precetto domenicale
- Essendo l’Eucaristia il vero cuore della domenica, si comprende perché, fin dai primi secoli, i Pastori non abbiano cessato di ricordare ai loro fedeli la necessità di partecipare all’assemblea liturgica. «Lasciate tutto nel giorno del Signore — dichiara per esempio il trattato del III° secolo intitolato Didascalia degli Apostoli— e correte con diligenza alla vostra assemblea, perché è la vostra lode verso Dio. Altrimenti, quale scusa avranno presso Dio quelli che non si riuniscono nel giorno del Signore per ascoltare la parola di vita e nutrirsi dell’alimento divino che rimane eterno?».(75) L’appello dei Pastori ha generalmente incontrato nell’anima dei fedeli un’adesione convinta e, se non sono mancati tempi e situazioni in cui è calata la tensione ideale nell’adempimento di questo dovere, non si può però non ricordare l’autentico eroismo con cui sacerdoti e fedeli hanno ottemperato a quest’obbligo in tante situazioni di pericolo e di restrizione della libertà religiosa, come è possibile costatare dai primi secoli della Chiesa fino al nostro tempo.
San Giustino, nella sua prima Apologia indirizzata all’imperatore Antonino e al Senato, poteva descrivere con fierezza la prassi cristiana dell’assemblea domenicale, che riuniva insieme nello stesso luogo i cristiani delle città e quelli delle campagne.(76) Quando, durante la persecuzione di Diocleziano, le loro assemblee furono interdette con la più grande severità, furono molti i coraggiosi che sfidarono l’editto imperiale e accettarono la morte pur di non mancare alla Eucaristia domenicale. E il caso di quei martiri di Abitine, in Africa proconsolare, che risposero ai loro accusatori: «È senza alcun timore che abbiamo celebrato la cena del Signore, perché non la si può tralasciare; è la nostra legge»; «Noi non possiamo stare senza la cena del Signore». E una delle martiri confessò: «Sì, sono andata all’assemblea e ho celebrato la cena del Signore con i miei fratelli, perché sono cristiana».(77)
- Quest’obbligo di coscienza, fondato in una esigenza interiore che i cristiani dei primi secoli sentivano con tanta forza, la Chiesa non ha cessato di affermarlo, anche se dapprima non ha ritenuto necessario prescriverlo. Solo più tardi, davanti alla tiepidezza o alla negligenza di alcuni, ha dovuto esplicitare il dovere di partecipare alla Messa domenicale: il più delle volte lo ha fatto sotto forma di esortazioni, ma talvolta ha dovuto ricorrere anche a precise disposizioni canoniche. È quanto ha fatto in diversi Concili particolari a partire dal IV secolo (così nel Concilio di Elvira del 300, che non parla di obbligo ma di conseguenze penali dopo tre assenze) (78) e soprattutto dal VI secolo in poi (come è avvenuto nel Concilio di Agde del 506).(79) Questi decreti di Concili particolari sono sfociati in una consuetudine universale di carattere obbligante, come cosa del tutto ovvia.(80)
Il Codice di Diritto Canonico del 1917 per la prima volta raccoglieva la tradizione in una legge universale.(81) L’attuale Codice la ribadisce, dicendo che «la domenica e le altre feste di precetto, i fedeli sono tenuti all’obbligo di partecipare alla Messa».(82) Una tale legge è stata normalmente intesa come implicante un obbligo grave: è quanto insegna anche il Catechismo della Chiesa Cattolica,(83) e ben se ne comprende il motivo, se si considera la rilevanza che la domenica ha per la vita cristiana.
- Oggi, come nei tempi eroici degli inizi, in molte regioni del mondo si ripropongono situazioni difficili per tanti che intendono vivere con coerenza la propria fede. L’ambiente è a volte dichiaratamente ostile, altre volte — e più spesso — indifferente e refrattario al messaggio evangelico. Il credente, se non vuole essere sopraffatto, deve poter contare sul sostegno della comunità cristiana. È perciò necessario che egli si convinca dell’importanza decisiva che per la sua vita di fede ha il riunirsi la domenica con gli altri fratelli per celebrare la Pasqua del Signore nel sacramento della Nuova Alleanza. Spetta, poi, in modo particolare ai Vescovi di adoperarsi «per far sì che la domenica venga da tutti i fedeli riconosciuta, santificata e celebrata come vero “giorno del Signore”, nel quale la Chiesa si raduna per rinnovare la memoria del suo mistero pasquale con l’ascolto della parola di Dio, con l’offerta del sacrificio del Signore, con la santificazione del giorno mediante la preghiera, le opere di carità e l’astensione dal lavoro».(84)
- E dal momento che per i fedeli partecipare alla Messa è un obbligo, a meno che non abbiano un impedimento grave, ai Pastori s’impone il corrispettivo dovere di offrire a tutti l’effettiva possibilità di soddisfare al precetto. In questa linea si muovono le disposizioni del diritto ecclesiastico, quali per esempio la facoltà per il sacerdote, previa autorizzazione del Vescovo diocesano, di celebrare più di una Messa di domenica e nei giorni festivi,(85) l’istituzione delle Messe vespertine (86) ed infine l’indicazione secondo cui il tempo utile per l’adempimento dell’obbligo comincia già il sabato sera, in coincidenza con i primi Vespri della domenica.(87) Dal punto di vista liturgico, infatti, il giorno festivo ha inizio con tali Vespri.(88) Conseguentemente la liturgia della Messa detta talvolta «prefestiva», ma che in realtà è a tutti gli effetti «festiva», è quella della domenica, con l’impegno per il celebrante di tenere l’omelia e di recitare con i fedeli la preghiera universale.
I pastori inoltre ricorderanno ai fedeli che, in caso di assenza dalla loro residenza abituale in giorno di domenica, essi devono preoccuparsi di partecipare alla Messa là dove si trovano, arricchendo così la comunità del luogo con la loro testimonianza personale. Allo stesso tempo, bisognerà che queste comunità esprimano un caldo senso di accoglienza per i fratelli venuti da fuori, particolarmente nei luoghi che attirano numerosi turisti e pellegrini, per i quali sarà spesso necessario prevedere iniziative particolari di assistenza religiosa.(89)
Celebrazione gioiosa e canora
- Dato il carattere proprio della Messa domenicale e l’importanza che essa riveste per la vita dei fedeli, è necessario prepararla con speciale cura. Nelle forme suggerite dalla saggezza pastorale e dagli usi locali in armonia con le norme liturgiche, bisogna assicurare alla celebrazione quel carattere festoso che s’addice al giorno commemorativo della Risurrezione del Signore. A tale scopo è importante dedicare attenzione al canto dell’assemblea, poiché esso è particolarmente adatto ad esprimere la gioia del cuore, sottolinea la solennità e favorisce la condivisione dell’unica fede e del medesimo amore. Ci si preoccupi pertanto della sua qualità, sia per quanto riguarda i testi che le melodie, affinché quanto si propone oggi di nuovo e creativo sia conforme alle disposizioni liturgiche e degno di quella tradizione ecclesiale che vanta, in materia di musica sacra, un patrimonio di inestimabile valore.
Celebrazione coinvolgente e partecipata
- È necessario inoltre fare ogni sforzo perché tutti i presenti — ragazzi e adulti — si sentano interessati, favorendo il loro coinvolgimento in quelle espressioni di partecipazione che la liturgia suggerisce e raccomanda.(90) Certo, spetta soltanto a quelli che esercitano il sacerdozio ministeriale a servizio dei loro fratelli di compiere il Sacrificio eucaristico e di offrirlo a Dio a nome dell’intero popolo.(91) Ha qui il suo fondamento la distinzione, che è ben più che disciplinare, tra il compito proprio del celebrante e quello che è attribuito ai diaconi e ai fedeli non ordinati.(92) I fedeli tuttavia devono essere consapevoli che, in virtù del sacerdozio comune ricevuto nel battesimo, «concorrono ad offrire l’Eucaristia».(93) Pur nella distinzione dei ruoli, essi «offrono a Dio la vittima divina e se stessi con essa. Offrendo il sacrificio e ricevendo la santa comunione, prendono parte attivamente all’azione liturgica»,(94) attingendovi luce e forza per vivere il loro sacerdozio battesimale con la testimonianza di una vita santa.
Altri momenti della domenica cristiana
- Se la partecipazione all’Eucaristia è il cuore della domenica, sarebbe tuttavia limitativo ridurre solo ad essa il dovere di «santificarla». Il giorno del Signore è infatti vissuto bene, se è tutto segnato dalla memoria grata ed operosa dei gesti salvifici di Dio. Questo impegna ciascuno dei discepoli di Cristo a dare anche agli altri momenti della giornata, vissuti al di fuori del contesto liturgico — vita di famiglia, relazioni sociali, occasioni di svago — uno stile che aiuti a far emergere la pace e la gioia del Risorto nel tessuto ordinario della vita. Il più tranquillo ritrovarsi dei genitori e dei figli può essere, ad esempio, occasione non solo per aprirsi all’ascolto reciproco, ma anche per vivere insieme qualche momento formativo e di maggior raccoglimento. E perché poi non mettere in programma, anche nella vita laicale, quando è possibile, speciali iniziative di preghiera — quali, in particolare, la celebrazione solenne dei Vespri —, come pure eventuali momenti di catechesi, che nella vigilia della domenica o nel pomeriggio di essa preparino e completino nell’animo cristiano il dono proprio dell’Eucaristia?
Questa forma abbastanza tradizionale di «santificazione della domenica» è diventata forse, in molti ambienti, più difficile; ma la Chiesa manifesta la sua fede nella forza del Risorto e nella potenza dello Spirito Santo mostrando, oggi più che mai, di non accontentarsi di proposte minimali o mediocri sul piano della fede, e aiutando i cristiani a compiere quanto è più perfetto e gradito al Signore. Del resto, accanto alle difficoltà, non mancano segnali positivi ed incoraggianti. Grazie al dono dello Spirito, in molti ambienti ecclesiali si avverte una nuova esigenza di preghiera nella molteplicità delle sue forme. Vengono riscoperte anche espressioni antiche della religiosità, come il pellegrinaggio, e spesso i fedeli approfittano del riposo domenicale per recarsi in Santuari dove vivere, magari con l’intera famiglia, qualche ora di più intensa esperienza di fede. Sono momenti di grazia che occorre nutrire con una adeguata evangelizzazione ed orientare con vera sapienza pastorale.
Assemblee domenicali in assenza del sacerdote
- Resta il problema delle parrocchie per le quali non è possibile godere del ministero di un sacerdote che celebri l’Eucaristia domenicale. Ciò avviene spesso nelle giovani Chiese, dove un solo sacerdote ha la responsabilità pastorale di fedeli dispersi su un vasto territorio. Situazioni di emergenza possono verificarsi anche nei Paesi di secolare tradizione cristiana, quando la rarefazione del clero impedisce di assicurare la presenza del sacerdote in ogni comunità parrocchiale. La Chiesa, considerando il caso di impossibilità della celebrazione eucaristica, raccomanda la convocazione di assemblee domenicali in assenza del sacerdote,(95) secondo le indicazioni e le direttive date dalla Santa Sede e affidate, per la loro applicazione, alle Conferenze Episcopali.(96) Tuttavia, l’obiettivo deve rimanere la celebrazione del sacrificio della Messa, sola vera attuazione della Pasqua del Signore, sola realizzazione completa dell’assemblea eucaristica che il sacerdote presiede in persona Christi, spezzando il pane della Parola e quello dell’Eucaristia. Si prenderanno dunque, a livello pastorale, tutte le misure necessarie perché i fedeli che ne sono abitualmente privi possano beneficiarne il più spesso possibile, sia favorendo la periodica presenza di un sacerdote, sia valorizzando tutte le opportunità per organizzare il raduno in un luogo centrale, accessibile a diversi gruppi lontani.
Trasmissioni radiofoniche e televisive
- Infine, i fedeli che, a causa di malattia, infermità o per qualche altra grave ragione, ne sono impediti, avranno a cuore di unirsi da lontano nel modo migliore alla celebrazione della Messa domenicale, preferibilmente con le letture e preghiere previste dal Messale per quel giorno, come pure attraverso il desiderio dell’Eucaristia.(97) In molti Paesi, la televisione e la radio offrono la possibilità di unirsi ad una Celebrazione eucaristica nel momento in cui essa si svolge in un luogo sacro.(98) Ovviamente questo genere di trasmissioni non permette in sé di soddisfare al precetto domenicale, che esige la partecipazione all’assemblea dei fratelli mediante la riunione in un medesimo luogo e la conseguente possibilità della comunione eucaristica. Ma per coloro che sono impediti dal partecipare all’Eucaristia e sono perciò scusati dall’adempiere il precetto, la trasmissione televisiva o radiofonica costituisce un aiuto prezioso, soprattutto se integrato dal generoso servizio dei ministri straordinari che portano l’Eucaristia ai malati, recando ad essi il saluto e la solidarietà dell’intera comunità. In tal modo, anche per questi cristiani, la Messa domenicale produce abbondanti frutti ed essi possono vivere la domenica come vero «giorno del Signore» e «giorno della Chiesa».
CAPITOLO QUARTO
DIES HOMINIS
La domenica giorno di gioia,
riposo e solidarietà
La «gioia piena» di Cristo
- «Sia benedetto Colui che ha elevato il grande giorno della domenica sopra tutti i giorni. Il cielo e la terra, gli angeli e gli uomini s’abbandonano alla gioia».(99) Questi accenti della liturgia maronita ben rappresentano le intense acclamazioni di gaudio che da sempre, nella liturgia occidentale e in quella orientale, hanno caratterizzato la domenica. Del resto, storicamente, prima ancora che come giorno di riposo — oltre tutto allora non previsto dal calendario civile — i cristiani vissero il giorno settimanale del Signore risorto soprattutto come giorno di gioia. «Il primo giorno della settimana, siate tutti lieti» si legge nella Didascalia degli Apostoli. (100) E questo era ben sottolineato anche nella prassi liturgica, attraverso la scelta di gesti appropriati. (101) Sant’Agostino, facendosi interprete della diffusa coscienza ecclesiale, mette appunto in evidenza tale carattere della Pasqua settimanale: «Si tralasciano i digiuni e si prega stando in piedi come segno della risurrezione; per questo inoltre tutte le domeniche si canta l’alleluia». (102)
- Al di là delle singole espressioni rituali, che possono variare nel tempo secondo la disciplina ecclesiale, rimane il dato che la domenica, eco settimanale della prima esperienza del Risorto, non può non portare il segno della gioia con cui i discepoli accolsero il Maestro: «I discepoli gioirono al vedere il Signore» (Gv20, 20). Si realizzava per loro, come poi si attuerà per tutte le generazioni cristiane, la parola detta da Gesù prima della passione: «Voi sarete afflitti, ma la vostra afflizione si cambierà in gioia» (Gv16, 20). Non aveva forse pregato egli stesso perché i discepoli avessero «la pienezza della sua gioia» (cfr Gv 17, 13)? Il carattere festoso dell’Eucaristia domenicale esprime la gioia che Cristo trasmette alla sua Chiesa attraverso il dono dello Spirito. La gioia è appunto uno dei frutti dello Spirito Santo (cfr Rm 14, 17; Gal 5, 22).
- Per cogliere dunque in pienezza il senso della domenica, occorre riscoprire questa dimensione dell’esistenza credente. Certamente, essa deve caratterizzare tutta la vita, e non solo un giorno della settimana. Ma la domenica, in forza del suo significato di giorno del Signore risorto, nel quale si celebra l’opera divina della creazione e della «nuova creazione», è giorno di gioia a titolo speciale, anzi giorno propizio per educarsi alla gioia, riscoprendone i tratti autentici e le radici profonde. Essa non va infatti confusa con fatui sentimenti di appagamento e di piacere, che inebriano la sensibilità e l’affettività per un momento, lasciando poi il cuore nell’insoddisfazione e magari nell’amarezza. Cristianamente intesa, è qualcosa di molto più duraturo e consolante; sa resistere persino, come attestano i santi, (103) alla notte oscura del dolore, e, in certo senso, è una «virtù» da coltivare.
- Non c’è tuttavia alcuna opposizione tra la gioia cristiana e le vere gioie umane. Queste anzi vengono esaltate e trovano il loro fondamento ultimo proprio nella gioia di Cristo glorificato (cfr At 2, 24-31), immagine perfetta e rivelazione dell’uomo secondo il disegno di Dio. Come scrisse nell’Esortazione sulla gioia cristiana il mio venerato predecessore Paolo VI, «per essenza, la gioia cristiana è partecipazione alla gioia insondabile, insieme divina e umana, che è nel cuore di Gesù Cristo glorificato». (104) E lo stesso Pontefice concludeva la sua Esortazione chiedendo che, nel giorno del Signore, la Chiesa testimoniasse fortemente la gioia provata dagli Apostoli nel vedere il Signore la sera di Pasqua. Invitava pertanto i Pastori ad insistere «sulla fedeltà dei battezzati a celebrare nella gioia l’Eucaristia domenicale. Come potrebbero essi trascurare questo incontro, questo banchetto che Cristo ci prepara nel suo amore? Che la partecipazione ad esso sia insieme degnissima e gioiosa! È il Cristo, crocifisso e glorificato, che passa in mezzo ai suoi discepoli, per trascinarli insieme nel rinnovamento della sua risurrezione. È il culmine, quaggiù, dell’alleanza d’amore tra Dio e il suo popolo: segno e sorgente di gioia cristiana, tappa per la festa eterna». (105) In questa prospettiva di fede, la domenica cristiana è un autentico «far festa», un giorno da Dio donato all’uomo per la sua piena crescita umana e spirituale.
Il compimento del sabato
- Questo aspetto della domenica cristiana ne evidenzia in modo speciale la dimensione di compimento del sabato veterotestamentario. Nel giorno del Signore, che l’Antico Testamento, come s’è detto, lega all’opera della creazione (cfr Gn2, 1-3; Es20, 8-11) e dell’Esodo (cfr Dt 5, 12-15), il cristiano è chiamato ad annunciare la nuova creazione e la nuova alleanza compiute nel mistero pasquale di Cristo. La celebrazione della creazione, lungi dall’essere annullata, è approfondita in prospettiva cristocentrica, ossia alla luce del disegno divino «di ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra» (Ef 1, 10). A sua volta, è dato senso pieno anche al memoriale della liberazione compiuta nell’Esodo, che diventa memoriale dell’universale redenzione compiuta da Cristo morto e risorto. La domenica, pertanto, più che una «sostituzione» del sabato, è la sua realizzazione compiuta, e in certo senso la sua espansione e la sua piena espressione, in ordine al cammino della storia della salvezza, che ha il suo culmine in Cristo.
- In quest’ottica la teologia biblica dello «shabbat», senza recare pregiudizio al carattere cristiano della domenica, può essere pienamente recuperata. Essa ci riconduce sempre nuovamente e con stupore mai attenuato a quel misterioso inizio, in cui l’eterna Parola di Dio, con libera decisione d’amore, trasse dal nulla il mondo. Sigillo dell’opera creatrice fu la benedizione e consacrazione del giorno in cui Dio cessò «da ogni lavoro che egli creando aveva fatto» (Gn2, 3). Da questo giorno del riposo di Dio prende senso il tempo, assumendo, nella successione delle settimane, non soltanto un ritmo cronologico, ma, per così dire, un respiro teologico. Il costante ritorno dello «shabbat» sottrae infatti il tempo al rischio del ripiegamento su di sé, perché resti aperto all’orizzonte dell’eterno, attraverso l’accoglienza di Dio e dei suoi kairoì, ossia dei tempi della sua grazia e dei suoi interventi di salvezza.
- Lo «shabbat», il giorno settimo benedetto e consacrato da Dio, mentre chiude l’intera opera della creazione, si lega immediatamente all’opera del sesto giorno, in cui Dio fece l’uomo «a sua immagine e somiglianza» (cfr Gn1, 26). Questa relazione più immediata tra il «giorno di Dio» e il «giorno dell’uomo» non sfuggì ai Padri nella loro meditazione sul racconto biblico della creazione. Dice a tal proposito Ambrogio: «Grazie dunque al Signore Dio nostro che fece un’opera ove egli potesse trovare riposo. Fece il cielo, ma non leggo che ivi abbia riposato; fece le stelle, la luna, il sole, e neppure qui leggo che abbia in essi riposato. Leggo invece che fece l’uomo e che allora si riposò, avendo in lui uno al quale poteva perdonare i peccati». (106) Il «giorno di Dio» avrà così per sempre un collegamento diretto con il «giorno dell’uomo». Quando il comandamento di Dio recita: «Ricordati del giorno di sabato per santificarlo» (Es20, 8), la sosta comandata per onorare il giorno a lui dedicato non è affatto, per l’uomo, un’imposizione onerosa, ma piuttosto un aiuto perché egli avverta la sua vitale e liberante dipendenza dal Creatore, e insieme la vocazione a collaborare alla sua opera e ad accogliere la sua grazia. Onorando il «riposo» di Dio, l’uomo ritrova pienamente se stesso, e così il giorno del Signore si manifesta profondamente segnato dalla benedizione divina (cfr Gn 2, 3) e si direbbe dotato, in forza di essa, al pari degli animali e degli uomini (cfr Gn 1, 22.28), di una sorta di «fecondità». Essa si esprime soprattutto nel ravvivare e, in certo senso, «moltiplicare» il tempo stesso, accrescendo nell’uomo, col ricordo del Dio vivente, la gioia di vivere e il desiderio di promuovere e donare la vita.
- Il cristiano dovrà allora ricordare che, se per lui sono cadute le modalità del sabato giudaico, superate dal «compimento» domenicale, restano validi i motivi di fondo che impongono la santificazione del «giorno del Signore», fissati nella solennità del Decalogo, ma da rileggere alla luce della teologia e della spiritualità della domenica: «Osserva il giorno di sabato per santificarlo, come il Signore Dio tuo ti ha comandato. Sei giorni faticherai e farai ogni lavoro, ma il settimo giorno è il sabato per il Signore tuo Dio: non fare lavoro alcuno né tu, né tuo figlio, né tua figlia, né il tuo schiavo, né la tua schiava, né il tuo bue, né il tuo asino, né alcuna delle tue bestie, né il forestiero, che sta entro le tue porte, perché il tuo schiavo e la tua schiava si riposino come te. Ricordati che sei stato schiavo nel paese d’Egitto e che il Signore tuo Dio ti ha fatto uscire di là con mano potente e braccio teso; perciò il Signore tuo Dio ti ordina di osservare il giorno di sabato» (Dt5, 12-15). L’osservanza del sabato appare qui intimamente legata all’opera di liberazione compiuta da Dio per il suo popolo.
- Cristo è venuto a realizzare un nuovo «esodo», a rendere la libertà agli oppressi. Egli ha operato molte guarigioni il giorno di sabato (cfr Mt12, 9-14 e paralleli), non certo per violare il giorno del Signore, ma per realizzarne il pieno significato: «Il sabato è stato fatto per l’uomo, e non l’uomo per il sabato» (Mc2, 27). Opponendosi all’interpretazione troppo legalistica di alcuni suoi contemporanei, e sviluppando l’autentico senso del sabato biblico, Gesù, «Signore del sabato» (Mc 2, 28), riconduce l’osservanza di questo giorno al suo carattere liberante, posto insieme a salvaguardia dei diritti di Dio e dei diritti dell’uomo. Si comprende così perché i cristiani, annunciatori della liberazione compiuta nel sangue di Cristo, si sentissero autorizzati a trasporre il senso del sabato nel giorno della risurrezione. La Pasqua di Cristo ha infatti liberato l’uomo da una schiavitù ben più radicale di quella gravante su un popolo oppresso: la schiavitù del peccato, che allontana l’uomo da Dio, lo allontana anche da se stesso e dagli altri, ponendo nella storia sempre nuovi germi di cattiveria e di violenza.
Il giorno del riposo
- Per alcuni secoli i cristiani vissero la domenica solo come giorno del culto, senza potervi annettere anche il significato specifico del riposo sabbatico. Solo nel IV secolo, la legge civile dell’Impero Romano riconobbe il ritmo settimanale, facendo in modo che nel «giorno del sole» i giudici, le popolazioni delle città e le corporazioni dei vari mestieri cessassero di lavorare. (107) I cristiani si rallegrarono di veder così tolti gli ostacoli che fino ad allora avevano reso talvolta eroica l’osservanza del giorno del Signore. Essi potevano ormai dedicarsi alla preghiera comune senza impedimenti. (108)
Sarebbe quindi un errore vedere nella legislazione rispettosa del ritmo settimanale una semplice circostanza storica senza valore per la Chiesa e che essa potrebbe abbandonare. I Concili non hanno cessato di conservare, anche dopo la fine dell’Impero, le disposizioni relative al riposo festivo. Nei Paesi poi dove i cristiani sono in piccolo numero e dove i giorni festivi del calendario non corrispondono alla domenica, quest’ultima rimane pur sempre il giorno del Signore, il giorno in cui i fedeli si riuniscono per l’assemblea eucaristica. Ciò però avviene a prezzo di non piccoli sacrifici. Per i cristiani non è normale che la domenica, giorno di festa e di gioia, non sia anche giorno di riposo e resta comunque per essi difficile «santificare» la domenica, non disponendo di un tempo libero sufficiente.
- D’altra parte, il legame tra il giorno del Signore e il giorno del riposo nella società civile ha una importanza e un significato che vanno al di là della prospettiva propriamente cristiana. L’alternanza infatti tra lavoro e riposo, inscritta nella natura umana, è voluta da Dio stesso, come si rileva dal brano della creazione nel Libro della Genesi (cfr 2, 2-3; Es20, 8-11): il riposo è cosa «sacra», essendo per l’uomo la condizione per sottrarsi al ciclo, talvolta eccessivamente assorbente, degli impegni terreni e riprendere coscienza che tutto è opera di Dio. Il potere prodigioso che Dio dà all’uomo sulla creazione rischierebbe di fargli dimenticare che Dio è il Creatore, dal quale tutto dipende. Tanto più urgente è questo riconoscimento nella nostra epoca, nella quale la scienza e la tecnica hanno incredibilmente esteso il potere che l’uomo esercita attraverso il suo lavoro.
- Infine, non bisogna perdere di vista che, anche nel nostro tempo, per molti il lavoro è una dura servitù, sia in ragione delle miserevoli condizioni in cui si svolge e degli orari che impone, specie nelle regioni più povere del mondo, sia perché sussistono, nelle stesse società economicamente più evolute, troppi casi di ingiustizia e di sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo. Quando la Chiesa nel corso dei secoli ha legiferato sul riposo domenicale, (109) ha considerato soprattutto il lavoro dei servi e degli operai, non certo perché esso fosse un lavoro meno dignitoso rispetto alle esigenze spirituali della pratica domenicale, ma piuttosto perché più bisognoso di una regolamentazione che ne alleggerisse il peso, e consentisse a tutti di santificare il giorno del Signore. In questa chiave il mio predecessore Leone XIII nell’Enciclica Rerum novarumadditava il riposo festivo come un diritto del lavoratore che lo Stato deve garantire. (110)
Resta anche nel nostro contesto storico l’obbligo di adoperarsi perché tutti possano conoscere la libertà, il riposo e la distensione che sono necessari alla loro dignità di uomini, con le connesse esigenze religiose, familiari, culturali, interpersonali, che difficilmente possono essere soddisfatte, se non viene salvaguardato almeno un giorno settimanale in cui godere insieme della possibilità di riposare e di far festa. Ovviamente, questo diritto del lavoratore al riposo presuppone il suo diritto al lavoro e, mentre riflettiamo su questa problematica connessa con la concezione cristiana della domenica, non possiamo non ricordare con intima partecipazione il disagio di tanti uomini e donne che, per la mancanza di posti di lavoro, sono costretti anche nei giorni lavorativi all’inattività.
- Attraverso il riposo domenicale, le preoccupazioni e i compiti quotidiani possono ritrovare la loro giusta dimensione: le cose materiali per le quali ci agitiamo lasciano posto ai valori dello spirito; le persone con le quali viviamo riprendono, nell’incontro e nel dialogo più pacato, il loro vero volto. Le stesse bellezze della natura — troppe volte sciupate da una logica di dominio che si ritorce contro l’uomo — possono essere riscoperte e profondamente gustate. Giorno di pace dell’uomo con Dio, con se stesso e con i propri simili, la domenica diviene così anche momento in cui l’uomo è invitato a gettare uno sguardo rigenerato sulle meraviglie della natura, lasciandosi coinvolgere in quella stupenda e misteriosa armonia che, al dire di sant’Ambrogio, per una «legge inviolabile di concordia e di amore», unisce i diversi elementi del cosmo in un «vincolo di unione e di pace». (111) L’uomo si fa allora più consapevole, secondo le parole dell’Apostolo, che «tutto ciò che è stato creato da Dio è buono e nulla è da scartarsi, quando lo si prende con rendimento di grazie, perché esso viene santificato dalla parola di Dio e dalla preghiera» (1 Tm4, 4-5). Se dunque, dopo sei giorni di lavoro — ridotti in verità già per molti a cinque — l’uomo cerca un tempo di distensione e di migliore cura di altri aspetti della propria vita, ciò risponde ad un bisogno autentico, in piena armonia con la prospettiva del messaggio evangelico. Il credente è chiamato perciò a soddisfare questa esigenza, armonizzandola con le espressioni della sua fede personale e comunitaria, manifestata nella celebrazione e santificazione del giorno del Signore.
Per questo è naturale che i cristiani si adoperino perché, anche nelle circostanze speciali del nostro tempo, la legislazione civile tenga conto del loro dovere di santificare la domenica. È comunque un loro obbligo di coscienza quello di organizzare il riposo domenicale in modo che sia loro possibile partecipare all’Eucaristia, astenendosi dai lavori ed affari incompatibili con la santificazione del giorno del Signore, con la sua tipica gioia e con il necessario riposo dello spirito e del corpo. (112)
- Dato poi che il riposo stesso, per non risolversi in vacuità o divenire fonte di noia, deve portare arricchimento spirituale, più grande libertà, possibilità di contemplazione e di comunione fraterna, i fedeli sceglieranno, tra i mezzi della cultura e i divertimenti che la società offre, quelli che si accordano meglio con una vita conforme ai precetti del Vangelo. In questa prospettiva, il riposo domenicale e festivo acquista una dimensione «profetica», affermando non solo il primato assoluto di Dio, ma anche il primato e la dignità della persona rispetto alle esigenze della vita sociale ed economica, e anticipando in certo modo i «cieli nuovi» e la «terra nuova», dove la liberazione dalla schiavitù dei bisogni sarà definitiva e totale. In breve, il giorno del Signore diventa così, nel modo più autentico, anche il giorno dell’uomo.
Giorno di solidarietà
- La domenica deve anche dare ai fedeli l’occasione di dedicarsi alle attività di misericordia, di carità e di apostolato. La partecipazione interiore alla gioia di Cristo risorto implica la condivisione piena dell’amore che pulsa nel suo cuore: non c’è gioia senza amore! Gesù stesso lo spiega, ponendo in rapporto il «comandamento nuovo» con il dono della gioia: «Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Questo vi ho detto perché la mia gioia sia con voi e la vostra gioia sia piena. Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati» (Gv15, 10-12).
L’Eucaristia domenicale, dunque, non solo non distoglie dai doveri di carità, ma al contrario impegna maggiormente i fedeli «a tutte le opere di carità, di pietà, di apostolato, attraverso le quali divenga manifesto che i fedeli di Cristo non sono di questo mondo e tuttavia sono luce del mondo e rendono gloria al Padre dinanzi agli uomini». (113)
- Di fatto, fin dai tempi apostolici, la riunione domenicale è stata per i cristiani un momento di condivisione fraterna nei confronti dei più poveri. «Ogni primo giorno della settimana ciascuno metta da parte ciò che gli è riuscito di risparmiare» (1 Cor16, 2). Qui si tratta della colletta organizzata da Paolo per le Chiese povere della Giudea: nell’Eucaristia domenicale il cuore credente si allarga alle dimensioni della Chiesa. Ma occorre cogliere in profondità l’invito dell’Apostolo, che lungi dal promuovere un’angusta mentalità dell’«obolo», fa piuttosto appello a una esigente cultura della condivisione, attuata sia tra i membri stessi della comunità che in rapporto all’intera società. (114) Sono più che mai da riascoltare i severi moniti che egli rivolge alla comunità di Corinto, colpevole di aver umiliato i poveri nell’agape fraterna che accompagnava la «cena del Signore»: «Quando dunque vi radunate insieme, il vostro non è più un mangiare la cena del Signore. Ciascuno infatti, quando partecipa alla cena, prende prima il proprio pasto e così uno ha fame, l’altro è ubriaco. Non avete forse le vostre case per mangiare e per bere? O volete gettare il disprezzo sulla Chiesa di Dio e far vergognare chi non ha niente?» (1 Cor11, 20-22). Altrettanto vigorosa è la parola di Giacomo: «Supponiamo che entri in una vostra adunanza qualcuno con un anello d’oro al dito, vestito splendidamente, e entri anche un povero con un vestito logoro. Se voi guardate a colui che è vestito splendidamente e gli dite: “Tu siediti qui comodamente” e al povero dite: “Tu mettiti in piedi lì”, oppure “Siediti qui ai piedi del mio sgabello”, non fate in voi stessi preferenze e non siete giudici dai giudizi perversi?» (2, 2-4).
- Le indicazioni degli Apostoli trovarono pronta eco fin dai primi secoli e suscitarono vibrati accenti nella predicazione dei Padri della Chiesa. Parole di fuoco rivolgeva sant’Ambrogio ai ricchi che presumevano di assolvere ai loro obblighi religiosi frequentando la chiesa senza condividere i loro beni con i poveri e magari opprimendoli: «Ascolti, o ricco, cosa dice il Signore? E tu vieni in chiesa non per dare qualcosa a chi è povero ma per prendere». (115) Non meno esigente san Giovanni Crisostomo: «Vuoi onorare il corpo di Cristo? Non trascurarlo quando si trova nudo. Non rendergli onore qui nel tempio con stoffe di seta, per poi trascurarlo fuori, dove patisce freddo e nudità. Colui che ha detto: “Questo è il mio corpo”, è il medesimo che ha detto: “Voi mi avete visto affamato e non mi avete nutrito”, e “Quello che avete fatto al più piccolo dei miei fratelli l’avete fatto a me” […]. A che serve che la tavola eucaristica sia sovraccarica di calici d’oro, quando lui muore di fame? Comincia a saziare lui affamato, poi con quello che resterà potrai ornare anche l’altare». (116)
Sono parole che ricordano efficacemente alla comunità cristiana il dovere di fare dell’Eucaristia il luogo dove la fraternità diventi concreta solidarietà, dove gli ultimi siano i primi nella considerazione e nell’affetto dei fratelli, dove Cristo stesso, attraverso il dono generoso fatto dai ricchi ai più poveri, possa in qualche modo continuare nel tempo il miracolo della moltiplicazione dei pani. (117)
- L’Eucaristia è evento e progetto di fraternità. Dalla Messa domenicale parte un’onda di carità, destinata ad espandersi in tutta la vita dei fedeli, iniziando ad animare il modo stesso di vivere il resto della domenica. Se essa è giorno di gioia, occorre che il cristiano dica con i suoi concreti atteggiamenti che non si può essere felici «da soli». Egli si guarda attorno, per individuare le persone che possono aver bisogno della sua solidarietà. Può accadere che nel suo vicinato o nel suo raggio di conoscenze vi siano ammalati, anziani, bambini, immigrati che proprio di domenica avvertono in modo ancora più cocente la loro solitudine, le loro necessità, la loro condizione di sofferenza. Certamente l’impegno per loro non può limitarsi ad una sporadica iniziativa domenicale. Ma posto un atteggiamento di impegno più globale, perché non dare al giorno del Signore un maggior tono di condivisione, attivando tutta l’inventiva di cui è capace la carità cristiana? Invitare a tavola con sé qualche persona sola, fare visita a degli ammalati, procurare da mangiare a qualche famiglia bisognosa, dedicare qualche ora a specifiche iniziative di volontariato e di solidarietà, sarebbe certamente un modo per portare nella vita la carità di Cristo attinta alla Mensa eucaristica.
- Vissuta così, non solo l’Eucaristia domenicale, ma l’intera domenica diventa una grande scuola di carità, di giustizia e di pace. La presenza del Risorto in mezzo ai suoi si fa progetto di solidarietà, urgenza di rinnovamento interiore, spinta a cambiare le strutture di peccato in cui i singoli, le comunità, talvolta i popoli interi sono irretiti. Lungi dall’essere evasione, la domenica cristiana è piuttosto «profezia» inscritta nel tempo, profezia che obbliga i credenti a seguire le orme di Colui che è venuto «per annunciare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi e predicare un anno di grazia del Signore» (Lc4, 18-19). Mettendosi alla sua scuola, nella memoria domenicale della Pasqua, e ricordando la sua promessa: «Vi lascio la pace, vi dò la mia pace» (Gv14, 27), il credente diventa a sua volta operatore di pace.
CAPITOLO QUINTO
DIES DIERUM
La domenica festa primordiale,
rivelatrice del senso del tempo
Cristo Alfa e Omega del tempo
- «Nel cristianesimo il tempo ha un’importanza fondamentale. Dentro la sua dimensione viene creato il mondo, al suo interno si svolge la storia della salvezza, che ha il suo culmine nella “pienezza del tempo” dell’Incarnazione e il suo traguardo nel ritorno glorioso del Figlio di Dio alla fine dei tempi. In Gesù Cristo, Verbo incarnato, il tempo diventa una dimensione di Dio, che in se stesso è eterno». (118)
Gli anni dell’esistenza terrena di Cristo, alla luce del Nuovo Testamento, costituiscono realmente il centro del tempo. Questo centro ha il suo culmine nella risurrezione. Se è vero, infatti, che egli è Dio fatto uomo fin dal primo istante del concepimento nel grembo della Vergine Santa, è anche vero che solo con la risurrezione la sua umanità è totalmente trasfigurata e glorificata, rivelando così pienamente la sua identità e gloria divina. Nel discorso tenuto nella sinagoga di Antiochia di Pisidia (cfr At 13, 33), Paolo applica appunto alla risurrezione di Cristo l’affermazione del Salmo 2: «Mio figlio sei tu, oggi ti ho generato» (v. 7). Proprio per questo, nella celebrazione della Veglia pasquale, la Chiesa presenta il Cristo risorto come «Principio e Fine, Alfa e Omega». Queste parole, pronunciate dal celebrante nella preparazione del cero pasquale, sul quale è incisa la cifra dell’anno in corso, mettono in evidenza il fatto che «Cristo è il Signore del tempo; è il suo principio e il suo compimento; ogni anno, ogni giorno ed ogni momento vengono abbracciati nella sua incarnazione e risurrezione, per ritrovarsi in questo modo nella “pienezza del tempo”». (119)
- Essendo la domenica la Pasqua settimanale, in cui è rievocato e reso presente il giorno nel quale Cristo risuscitò dai morti, essa è anche il giorno che rivela il senso del tempo. Non c’è parentela con i cicli cosmici, secondo cui la religione naturale e la cultura umana tendono a ritmare il tempo, indulgendo magari al mito dell’eterno ritorno. La domenica cristiana è altra cosa! Sgorgando dalla Risurrezione, essa fende i tempi dell’uomo, i mesi, gli anni, i secoli, come una freccia direzionale che li attraversa orientandoli al traguardo della seconda venuta di Cristo. La domenica prefigura il giorno finale, quello della Parusía, già in qualche modo anticipata dalla gloria di Cristo nell’evento della Risurrezione.
In effetti, tutto quanto avverrà, fino alla fine del mondo, non sarà che una espansione e una esplicitazione di ciò che è avvenuto nel giorno in cui il corpo martoriato del Crocifisso è risuscitato per la potenza dello Spirito ed è diventato a sua volta la sorgente dello Spirito per l’umanità. Il cristiano sa, perciò, di non dover attendere un altro tempo di salvezza, giacché il mondo, quale che sia la sua durata cronologica, vive già nell’ultimo tempo. Dal Cristo glorificato non solo la Chiesa, ma il cosmo stesso e la storia sono continuamente retti e guidati. E questa energia di vita a spingere la creazione, che «geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto» (Rm 8, 22), verso la meta del suo pieno riscatto. Di questo cammino l’uomo non può avere che un oscuro intuito; i cristiani ne hanno la cifra e la certezza, e la santificazione della domenica è una testimonianza significativa che essi sono chiamati a dare, perché i tempi dell’uomo siano sempre sorretti dalla speranza.
La domenica nell’anno liturgico
- Se il giorno del Signore, con la sua cadenza settimanale, è radicato nella tradizione più antica della Chiesa ed è di vitale importanza per il cristiano, un altro ritmo non ha tardato ad affermarsi: il ciclo annuale. Corrisponde in effetti alla psicologia umana celebrare gli anniversari, associando al ritorno delle date e delle stagioni il ricordo di avvenimenti passati. Quando poi si tratta di avvenimenti decisivi per la vita di un popolo, è normale che la loro ricorrenza susciti un clima di festa che viene a rompere la monotonia dei giorni.
Ora i principali eventi di salvezza su cui poggia la vita della Chiesa furono, per disegno di Dio, strettamente legati alla Pasqua e alla Pentecoste, feste annuali dei giudei, e in esse profeticamente prefigurati. Dal secondo secolo, la celebrazione da parte dei cristiani della Pasqua annuale, aggiungendosi a quella della Pasqua settimanale, ha permesso di dare più ampiezza alla meditazione del mistero di Cristo morto e risorto. Preceduta da un digiuno che la prepara, celebrata nel corso di una lunga veglia, prolungata con i cinquanta giorni che portano alla Pentecoste, la festa di Pasqua, «solennità delle solennità», è divenuta il giorno per eccellenza dell’iniziazione dei catecumeni. In effetti, se attraverso il battesimo essi muoiono al peccato e risuscitano a una vita nuova, è perché Gesù «è stato messo a morte per i nostri peccati ed è stato risuscitato per la nostra giustificazione» (Rm 4, 25; cfr 6, 3-11). Intimamente connessa col mistero pasquale, acquista rilievo speciale la solennità di Pentecoste, in cui si celebrano la venuta dello Spirito Santo sugli Apostoli, riuniti con Maria, e l’inizio della missione verso tutti i popoli. (120)
- Una simile logica commemorativa ha presieduto alla strutturazione di tutto l’anno liturgico. Come ricorda il Concilio Vaticano II, la Chiesa ha voluto distribuire nel corso dell’anno «tutto il mistero di Cristo, dall’Incarnazione e Natività fino all’Ascensione, al giorno di Pentecoste e all’attesa della beata speranza e del ritorno del Signore. Ricordando in questo modo i misteri della redenzione, essa apre ai fedeli i tesori di potenza e di meriti del suo Signore, così che siano resi in qualche modo presenti in ogni tempo, perché i fedeli possano venirne a contatto ed essere ripieni della grazia di salvezza». (121)
Celebrazione solennissima, dopo la Pasqua e la Pentecoste, è indubbiamente la Natività del Signore, nella quale i cristiani meditano il mistero dell’Incarnazione e contemplano il Verbo di Dio che si degna di assumere la nostra umanità per renderci partecipi della sua divinità.
- Ugualmente, «nella celebrazione di questo ciclo annuale dei misteri di Cristo, la santa Chiesa venera con speciale amore la beata Maria Madre di Dio, congiunta indissolubilmente con l’opera salvifica del Figlio suo». (122) Allo stesso modo, introducendo nel ciclo annuale, in occasione dei loro anniversari, le memorie dei Martiri e di altri Santi, «la Chiesa predica il mistero pasquale nei Santi che hanno sofferto con Cristo e con lui sono glorificati». (123) Il ricordo dei Santi, celebrato nell’autentico spirito della liturgia, non oscura la centralità di Cristo, ma al contrario la esalta, mostrando la potenza della sua redenzione. Come canta san Paolino di Nola, «tutto passa, la gloria dei Santi dura in Cristo, che tutto rinnova, mentre egli rimane lo stesso». (124) Questo intrinseco rapporto della gloria dei Santi a quella di Cristo è inscritto nello statuto stesso dell’anno liturgico, e trova proprio nel carattere fondamentale e dominante della domenica, quale giorno del Signore, la sua espressione più eloquente. Seguendo i tempi dell’anno liturgico, nell’osservanza della domenica che interamente lo scandisce, l’impegno ecclesiale e spirituale del cristiano viene profondamente incardinato in Cristo, nel quale trova la sua ragion d’essere e dal quale trae alimento e stimolo.
- La domenica appare così il naturale modello per comprendere e celebrare quelle solennità dell’anno liturgico, il cui valore per l’esistenza cristiana è così grande che la Chiesa ha stabilito di sottolinearne l’importanza facendo obbligo ai fedeli di partecipare alla Messa e di osservare il riposo, benché cadano in giorni variabili della settimana. (125) Il numero di queste feste è cambiato nelle diverse epoche, tenuto conto delle condizioni sociali ed economiche, come del loro radicamento nella tradizione, oltre che dell’appoggio della legislazione civile. (126)
L’attuale ordinamento canonico-liturgico prevede la possibilità che ogni Conferenza Episcopale, in ragione di circostanze proprie di questo o quell’altro Paese, riduca la lista dei giorni di precetto. L’eventuale decisione in tal senso ha bisogno di essere confermata da una speciale approvazione della Sede Apostolica, (127) ed in questo caso, la celebrazione di un mistero del Signore, come l’Epifania, l’Ascensione o la solennità del Corpo e del Sangue di Cristo, dev’essere rinviata alla domenica, secondo le norme liturgiche, perché i fedeli non siano privati della meditazione del mistero. (128) I Pastori avranno altresì a cuore di incoraggiare i fedeli a partecipare alla Messa anche in occasione delle feste di una certa importanza che cadono nel corso della settimana. (129)
- Uno specifico discorso pastorale va affrontato in rapporto alle frequenti situazioni in cui tradizioni popolari e culturali tipiche di un ambiente rischiano di invadere la celebrazione delle domeniche e delle altre feste liturgiche, mescolando allo spirito dell’autentica fede cristiana elementi che le sono estranei e potrebbero sfigurarla. Occorre in questi casi far chiarezza, con la catechesi e opportuni interventi pastorali, respingendo quanto è inconciliabile col Vangelo di Cristo. Non bisogna tuttavia dimenticare che spesso tali tradizioni — ciò vale analogamente per nuove proposte culturali della società civile — non mancano di valori che si coniugano senza difficoltà con le esigenze della fede. Spetta ai Pastori operare un discernimento che salvi i valori presenti nella cultura di un determinato contesto sociale e soprattutto nella religiosità popolare, facendo in modo che la celebrazione liturgica, specie quella delle domeniche e delle feste, non ne soffra, ma piuttosto ne sia avvantaggiata. (130)
CONCLUSIONE
- Veramente grande è la ricchezza spirituale e pastorale della domenica, quale la tradizione ce l’ha consegnata. Colta nella totalità dei suoi significati e delle sue implicazioni, essa è, in qualche modo, sintesi della vita cristiana e condizione per viverla bene. Si comprende dunque perché l’osservanza del giorno del Signore stia particolarmente a cuore alla Chiesa e resti un vero e proprio obbligo all’interno della disciplina ecclesiale. Tale osservanza, tuttavia, prima ancora che come precetto, deve essere sentita come un’esigenza inscritta nella profondità dell’esistenza cristiana. È davvero di capitale importanza che ciascun fedele si convinca di non poter vivere la sua fede, nella piena partecipazione alla vita della comunità cristiana, senza prendere regolarmente parte all’assemblea eucaristica domenicale. Se nell’Eucaristia si realizza quella pienezza del culto che gli uomini devono a Dio, e che non ha paragone con nessun’altra esperienza religiosa, ciò si esprime con particolare efficacia proprio nel convenire domenicale di tutta la comunità, obbediente alla voce del Risorto che la convoca, per donarle la luce della sua Parola e il nutrimento del suo Corpo come perenne sorgente sacramentale di redenzione. La grazia che sgorga da questa sorgente rinnova gli uomini, la vita, la storia.
- È con questa forte convinzione di fede, accompagnata dalla consapevolezza del patrimonio di valori anche umani insiti nella pratica domenicale, che i cristiani di oggi devono porsi di fronte alle sollecitazioni di una cultura che ha beneficamente acquisito le esigenze di riposo e di tempo libero, ma le vive spesso in modo superficiale, e talvolta è sedotta da forme di divertimento che sono moralmente discutibili. Il cristiano si sente certo solidale con gli altri uomini nel godere il giorno di riposo settimanale; al tempo stesso, però, egli ha viva coscienza della novità e originalità della domenica, giorno in cui è chiamato a celebrare la salvezza sua e dell’intera umanità. Se essa è giorno di gioia e di riposo, ciò scaturisce proprio dal fatto che è il «giorno del Signore», il giorno del Signore risorto.
- Percepita e vissuta così, la domenica diventa in qualche modo l’anima degli altri giorni, e in questo senso si può richiamare la riflessione di Origene, secondo il quale il cristiano perfetto «è sempre nel giorno del Signore, celebra sempre la domenica». (131) La domenica è un’autentica scuola, un itinerario permanente di pedagogia ecclesiale. Pedagogia insostituibile, specie nelle condizioni dell’odierna società, segnata sempre più fortemente dalla frammentazione e dal pluralismo culturale, che mettono continuamente alla prova la fedeltà dei singoli cristiani alle esigenze specifiche della loro fede. In molte parti del mondo si profila la condizione di un cristianesimo della «diaspora», provato cioè da una situazione di dispersione, in cui i discepoli di Cristo non riescono più a mantenere facilmente i contatti fra loro né sono aiutati da strutture e tradizioni proprie della cultura cristiana. In questo contesto problematico, la possibilità di ritrovarsi la domenica con tutti i fratelli di fede, scambiandosi i doni della fraternità, è un aiuto irrinunciabile.
- Posta a sostegno della vita cristiana, la domenica acquista naturalmente anche un valore di testimonianza e di annuncio. Giorno di preghiera, di comunione, di gioia, essa si riverbera sulla società, irradiando energie di vita e motivi di speranza. Essa è l’annuncio che il tempo, abitato da Colui che è il Risorto e il Signore della storia, non è la bara delle nostre illusioni, ma la culla di un futuro sempre nuovo, l’opportunità che ci viene data per trasformare i momenti fugaci di questa vita in semi di eternità. La domenica è invito a guardare in avanti, è il giorno in cui la comunità cristiana grida a Cristo il suo «Marána tha: vieni, o Signore!» (1 Cor16, 22). In questo grido di speranza e di attesa, essa si fa compagnia e sostegno della speranza degli uomini. E di domenica in domenica, illuminata da Cristo, cammina verso la domenica senza fine della Gerusalemme celeste, quando sarà compiuta in tutti i suoi lineamenti la mistica Città di Dio, che «non ha bisogno della luce del sole, né della luce della luna perché la gloria di Dio la illumina e la sua lampada è l’Agnello» (Ap21, 23).
- In questa tensione verso il traguardo la Chiesa è sostenuta e animata dallo Spirito. Egli ne risveglia la memoria e attualizza per ogni generazione di credenti l’evento della Risurrezione. E il dono interiore che ci unisce al Risorto e ai fratelli nell’intimità di un unico corpo, ravvivando la nostra fede, effondendo nel nostro cuore la carità, rianimando la nostra speranza. Lo Spirito è presente senza interruzione ad ogni giorno della Chiesa, irrompendo imprevedibile e generoso con la ricchezza dei suoi doni, ma nel raduno domenicale per la celebrazione settimanale della Pasqua la Chiesa si mette in speciale ascolto di lui, e si protende con lui verso Cristo, nel desiderio ardente del suo ritorno glorioso: «Lo Spirito e la sposa dicono: “Vieni”!» (Ap22, 17). Proprio in considerazione del ruolo dello Spirito ho desiderato che questa esortazione a riscoprire il senso della domenica cadesse in quest’anno che, nella preparazione immediata al Giubileo, è dedicato appunto allo Spirito Santo.
- Affido l’accoglimento operoso di questa Lettera apostolica, da parte della comunità cristiana, all’intercessione della Vergine Santa. Ella, senza nulla detrarre alla centralità di Cristo e del suo Spirito, è presente in ogni domenica della Chiesa. E lo stesso mistero di Cristo che lo esige: come potrebbe infatti, Lei che è la Mater Dominie la Mater Ecclesiae, non essere presente a titolo speciale, nel giorno che è insieme dies Dominie dies Ecclesiae?
Alla Vergine Maria guardano i fedeli che ascoltano la Parola proclamata nell’assemblea domenicale, imparando da lei a custodirla e meditarla nel proprio cuore (cfr Lc 2, 19). Con Maria essi imparano a stare ai piedi della croce, per offrire al Padre il sacrificio di Cristo ed unire ad esso l’offerta della propria vita. Con Maria vivono la gioia della risurrezione, facendo proprie le parole del Magnificat che cantano l’inesauribile dono della divina misericordia nell’inesorabile fluire del tempo: «Di generazione in generazione la sua misericordia si stende su quelli che lo temono» (Lc 1, 50). Di domenica in domenica, il popolo pellegrinante si pone sulle orme di Maria, e la sua intercessione materna rende particolarmente intensa ed efficace la preghiera che la Chiesa eleva alla Santissima Trinità.
- L’imminenza del Giubileo, carissimi Fratelli e Sorelle, ci invita ad approfondire il nostro impegno spirituale e pastorale. È questo, infatti, il suo vero scopo. Nell’anno in cui verrà celebrato, molte iniziative lo caratterizzeranno e daranno ad esso il timbro singolare che non può non avere la conclusione del secondo millennio e l’inizio del terzo dall’Incarnazione del Verbo di Dio. Ma questo anno e questo tempo speciale passeranno, in attesa di altri giubilei e di altre scadenze solenni. La domenica, con la sua ordinaria «solennità», resterà a scandire il tempo del pellegrinaggio della Chiesa, fino alla domenica senza tramonto.
Vi esorto, perciò, cari Fratelli nell’episcopato e nel sacerdozio, ad operare instancabilmente, insieme con i fedeli, perché il valore di questo giorno sacro sia sempre meglio riconosciuto e vissuto. Ciò recherà frutti alle comunità cristiane e non mancherà di esercitare benefici influssi sull’intera società civile.
Gli uomini e le donne del terzo millennio, incontrando la Chiesa che ogni domenica celebra gioiosamente il mistero da cui attinge tutta la sua vita, possano incontrare lo stesso Cristo risorto. E i suoi discepoli, rinnovandosi costantemente nel memoriale settimanale della Pasqua, siano annunciatori sempre più credibili del Vangelo che salva e costruttori operosi della civiltà dell’amore.
A tutti la mia Benedizione!
Dal Vaticano, il 31 maggio, solennità di Pentecoste, dell’anno 1998, ventesimo di Pontificato.
(1) Cfr Ap 1,10: «Kyriake heméra»; cfr anche Didachè 14,1; s. Ignazio di Antiochia, Ai cristiani di Magnesia 9, 1-2: SC 10, 88-89.
(2) Pseudo Eusebio di Alessandria, Sermone 16: PG 86, 416.
(3) In die dominica Paschae II, 52: CCL 78, 550.
(4) Conc. Ecum. Vat. II, Cost. sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, 106.
(5) Ibid.
(6) Cfr Motu proprio Mysterii paschalis (14 febbraio 1969): AAS 61 (1969), 222-226.
(7) Cfr Nota pastorale della Conferenza Episcopale Italiana «Il giorno del Signore» (15 luglio 1984), 5: Ench. CEI 3, 1938.
(8) Cost. sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, 106.
(9) Omelia per il solenne inizio del Pontificato (22 ottobre 1978), 5: AAS 70 (1978), 947.
(10) N. 25: AAS 73 (1981), 639.
(11) Cost. past. sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, 34.
(12) Il sabato è vissuto dai nostri fratelli ebrei con una spiritualità «sponsale», come emerge, ad esempio, in testi di Genesi Rabbah X, 9 e XI, 8 (cfr J. Neusner, Genesis Rabbah, vol. I, Atlanta 1985, p. 107 e p. 117). Di tonalità nuziale è pure il canto Leka dôdi: «Sarà felice di te il tuo Dio, come è felice lo sposo con la sposa. In mezzo ai fedeli del tuo popolo prediletto vieni o sposa, shabbat regina» (Preghiera serale del sabato, a cura di A. Toaff, Roma 1968-69, p. 3).
(13) Cfr A. J. Heschel, The sabbath. Its meaning for modern man (22a ed. 1995), pp. 3-24.
(14) «Verum autem sabbatum ipsum redemptorem nostrum Iesum Christum Dominum habemus»: Epist. 13, 1: CCL 140A, 992.
(15) Epist. ad Decentium XXV, 4, 7: PL 20, 555.
(16) Homiliae in Hexaemeron II, 8: SC 26, 184.
(17) Cfr In Io. ev. tract. XX, 20, 2: CCL 36, 203; Epist. 55, 2: CSEL 34, 170-171.
(18) Questo riferimento alla risurrezione è particolarmente visibile nella lingua russa, dove la domenica si dice appunto «risurrezione» (voskresén’e).
(19) Epist. 10, 96, 7.
(20) Cfr ibid. In riferimento alla lettera di Plinio, anche Tertulliano ricorda i coetus antelucani in Apologeticum 2, 6: CCL 1, 88; De corona 3, 3: CCL 2, 1043.
(21) Ai cristiani di Magnesia 9, 1-2: SC 10, 88-89.
(22) Sermo 8 in octava Paschalis 4: PL 46, 841. Questo carattere di «primo giorno» della domenica è ben evidente nel calendario liturgico latino, dove il lunedì è denominato feria secunda, il martedì feria tertia ecc. Una simile denominazione dei giorni della settimana si ritrova nella lingua portoghese.
(23) S. Gregorio di Nissa, De castigatione: PG 46, 309. Anche nella liturgia maronita è sottolineato il nesso fra il sabato e la domenica, a partire dal «mistero del Sabato Santo» (cfr M. Hayek, Maronite [Eglise], Dictionnaire de spiritualité, X [1980], 632-644).
(24) Rito del Battesimo dei bambini, n. 9; cfr Rito dell’iniziazione cristiana degli adulti, n. 59.
(25) Cfr Messale Romano, Rito dell’aspersione domenicale dell’acqua benedetta.
(26) Cfr s. Basilio, Sullo Spirito Santo 27, 66: SC 17, 484-485. Cfr anche Epistola di Barnaba 15, 8-9: SC 172, 186-189; s. Giustino, Dialogo con Trifone 24.138: PG 6, 528.793; Origene, Comm. sui Salmi, Salmo 118 (119), 1: PG 12, 1588.
(27) «Domine, praestitisti nobis pacem quietis, pacem sabbati, pacem sine vespera»: Confess. 13, 50: CCL 27, 272.
(28) Cfr s. Agostino, Epist. 55,17: CSEL 34, 188: «Ita ergo erit octavus, qui primus, ut prima vita sed aeterna reddatur».
(29) Così nell’inglese Sunday e nel tedesco Sonntag.
(30) Apologia I, 67: PG 6, 430.
(31) Cfr s. Massimo di Torino, Sermo 44, 1: CCL 23, 178; Id., Sermo 53, 2: CCL 23, 219; Eusebio di Cesarea, Comm. in Ps. 91: PG 23, 1169-1173.
(32) Si veda, ad esempio, l’inno per l’Ufficio delle Letture: «Dies aetasque ceteris octava splendet sanctior in te quam, Iesu, consecras primitiae surgentium» (I sett.); ed anche: «Salve dies, dierum gloria dies felix Christi victoria, dies digna iugi laetitia dies prima. Lux divina caecis irradiat, in qua Christus infernum spoliat, mortem vincit et reconciliat summis ima» (II sett.). Analoghe espressioni si ritrovano in inni adottati nella Liturgia delle Ore in diverse lingue moderne.
(33) Cfr s. Clemente Alessandrino Stromati VI, 138, 1-2: PG 9, 364.
(34) Cfr Giovanni Paolo II, Lett. enc. Dominum et vivificantem (18 maggio 1986), 22-26: AAS 78 (1986), 829-837.
(35) Cfr s. Atanasio di Alessandria, Lettere domenicali 1, 10: PG 26, 1366.
(36) Cfr Bardesane, Dialogo sul destino 46: PS 2, 606-607.
(37) Cost. sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, Appendice: Dichiarazione circa la riforma del calendario.
(38) Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 9.
(39) Cfr Giovanni Paolo II, Lett. Dominicae Cenae (24 febbraio 1980), 4: AAS 72 (1980), 120; Lett. enc. Dominum et vivificantem (18 maggio 1986), 62-64: AAS 78 (1986), 889-894.
(40) Cfr Giovanni Paolo II, Lett. ap. Vicesimus quintus annus (4 dicembre 1988), 9: AAS 81 (1989), 905-906.
(41) N. 2177.
(42) Cfr Giovanni Paolo II, Lett. ap. Vicesimus quintus annus (4 dicembre 1988), 9: AAS 81 (1989), 905-906.
(43) Conc. Ecum. Vat. II, Cost. sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, 41; cfr Decr. sull’ufficio pastorale dei Vescovi nella Chiesa Christus Dominus, 15.
(44) Sono le parole dell’embolismo, formulato con questa o analoghe espressioni all’interno di alcuni canoni eucaristici in diverse lingue. Esse sottolineano efficacemente il carattere «pasquale» della domenica.
(45) Cfr Congr. per la Dottrina della Fede, Lettera ai Vescovi della Chiesa cattolica su alcuni aspetti della Chiesa come comunione Communionis notio (28 maggio 1992), 11-14: AAS 85 (1993), 844-847.
(46) Discorso al terzo gruppo di Vescovi degli Stati Uniti d’America (17 marzo 1998), 4: L’Osservatore Romano 18 marzo 1998, p. 4.
(47) Cost. sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, 42.
(48) S. Congr. dei Riti, Istr. sul culto del mistero eucaristico Eucharisticum mysterium (25 maggio 1967), 26: AAS 59 (1967), 555.
(49) Cfr s. Cipriano, De Orat. Dom. 23: PL 4, 553; Id. De cath. Eccl. unitate, 7: CSEL 3-1, 215; Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 4; Cost. sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, 26.
(50) Cfr Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio (22 novembre 1981), 57; 61: AAS 74 (1982), 151; 154.
(51) Cfr S. Congr. per il Culto Divino, Direttorio per le Messe dei fanciulli (1 novembre 1973): AAS 66 (1974), 30-46.
(52) Cfr S. Congr. dei Riti, Istr. sul culto del mistero eucaristico Eucharisticum mysterium (25 maggio 1967), 26: AAS 59 (1967), 555-556; S. Congr. per i Vescovi, Direttorio per il ministero pastorale dei Vescovi Ecclesiae imago (22 febbraio 1973), 86 c: Ench. Vat., 4, 2071.
(53) Cfr Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale Christifideles laici (30 dicembre 1988), 30: AAS 81 (1989), 446-447.
(54) Cfr S. Congr. per il Culto Divino, Istr. Le messe per gruppi particolari (15 maggio 1969), 10: AAS 61 (1969), 810.
(55) Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 48-51.
(56) «Haec est vita nostra, ut desiderando exerceamur»: S. Agostino, In prima Ioan. tract. 4, 6: SC 75, 232.
(57) Messale Romano, Embolismo dopo il Padre Nostro.
(58) Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, Gaudium et spes, 1.
(59) Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 1; cfr Giovanni Paolo II, Lett. enc. Dominum et vivificantem (18 maggio 1986), 61-64: AAS 78 (1986), 888-894.
(60) Conc. Ecum. Vat. II, Cost. sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, 7; cfr 33.
(61) Ibid., 56; cfr Ordo Lectionum Missae, Praenotanda, n. 10.
(62) Cost. sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, 51.
(63) Cfr ibid., 52; Codice di Diritto Canonico, can. 767 § 2; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 614.
(64) Cost. ap. Missale Romanum (3 aprile 1969): AAS 61 (1969), 220.
(65) Nella Cost. conciliare Sacrosanctum Concilium, 24, si parla di «suavis et vivus Sacrae Scripturae affectus».
(66) Giovanni Paolo II, Lett. Dominicae Cenae (24 febbraio 1980), 10: AAS 72 (1980), 135.
(67) Cfr Conc. Ecum Vat. II, Cost. dogm. sulla divina Rivelazione Dei Verbum, 25.
(68) Cfr Ordo lectionum Missae, Praenotanda, cap. III.
(69) Cfr Ordo Lectionum Missae, Praenotanda, cap. I, n. 6.
(70) Conc. Ecum. Tridentino, Sess. XXII, Dottrina e canoni sul santissimo sacrificio della Messa, II: DS, 1743; cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, 1366.
(71) Catechismo della Chiesa Cattolica, 1368.
(72) S. Congr. dei Riti Istr. sul culto del mistero eucaristico Eucharisticum mysterium (25 maggio 1967), 3 b: AAS 59 (1967), 541; cfr Pio XII, Lett. enc. Mediator Dei (20 novembre 1947), II: AAS 39 (1947), 564-566.
(73) Cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, 1385; cfr anche Congr. per la Dottrina della Fede, Lettera ai Vescovi della Chiesa cattolica circa la recezione della comunione eucaristica da parte di fedeli divorziati risposati (14 settembre 1994): AAS 86 (1994), 974-979.
(74) Cfr Innocenzo I, Epist. 25, 1 a Decenzio di Gubbio: PL 20, 553.
(75) II, 59, 2-3: ed. F. X. Funk, 1905, 170-171.
(76) Cfr Apologia I, 67, 3-5: PG 6, 430.
(77) Acta SS. Saturnini, Dativi et aliorum plurimorum martyrum in Africa 7, 9, 10: PL 8, 707.709-710.
(78) Cfr can. 21, Mansi, Conc. II, col. 9.
(79) Cfr can. 47, Mansi, Conc. VIII, col. 332.
(80) Cfr la proposizione contraria, condannata da Innocenzo XI nel 1679, riguardante l’obbligo morale della santificazione della festa: DS 2152.
(81) Can. 1248: «Festis de praecepto diebus Missa audienda est»; can. 1247 § 1: «Dies festi sub praecepto in universa Ecclesia sunt… omnes et singuli dies dominici».
(82) Codice di Diritto Canonico, can. 1247; il Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 881 § 1, prescrive che «i fedeli cristiani sono tenuti all’obbligo, nelle domeniche e nelle feste di precetto, di partecipare alla Divina Liturgia oppure, secondo le prescrizioni o la legittima consuetudine della propria Chiesa sui iuris, alla celebrazione delle lodi divine».
(83) «Coloro che deliberatamente non ottemperano a questo obbligo commettono un peccato grave». N. 2181.
(84) S. Congr. per i Vescovi, Direttorio per il ministero pastorale dei vescovi Ecclesiae imago (22 febbraio 1973), 86 a: Ench. Vat. 4, 2069.
(85) Cfr Codice di Diritto Canonico, can. 905 § 2.
(86) Cfr Pio XII, Cost. ap. Christus Dominus (6 gennaio 1953): AAS 45 (1953), 15-24; Motu proprio Sacram Communionem (19 marzo 1957): AAS 49 (1957), 177-178. Congr. S. Uffizio, Istr. sulla disciplina circa il digiuno eucaristico (6 gennaio 1953): AAS 45 (1953), 47-51.
(87) Cfr Codice di Diritto Canonico, can. 1248 § 1; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 881 § 2.
(88) Cfr Missale Romanum, Normae universales de Anno liturgico et de Calendario, 3.
(89) Cfr S. Congr. per i vescovi, Direttorio per il ministero pastorale dei vescovi Ecclesiae imago (22 febbraio 1973), 86: Ench. Vat. 4, 2069-2073.
(90) Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. sulla sacra liturgia, Sacrosanctum Concilium, 14.26; Giovanni Paolo II, Lett. ap. Vicesimus quintus annus (4 dicembre 1988), 4.6.12: AAS 81 (1989), 900-901; 902; 909-910.
(91) Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 10.
(92) Cfr Istr. interdicasteriale su alcune questioni circa la collaborazione dei fedeli laici al ministero dei sacerdoti Ecclesiae de mysterio (15 agosto 1997), 6.8: AAS 89 (1997), 869.870-872.
(93) Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 10: «in oblationem Eucharistiae concurrunt».
(94) Ibid., 11.
(95) Cfr Codice di Diritto Canonico, can. 1248 § 2.
(96) Cfr S. Congr. per il Culto Divino, Direttorio per le celebrazioni domenicali in assenza del sacerdote Christi Ecclesia (2 giugno 1988): Ench. Vat. 11, 442-468; Istr. interdicasteriale su alcune questioni circa la collaborazione dei fedeli laici al ministero dei sacerdoti Ecclesiae de mysterio (15 agosto 1997): AAS 89 (1997), 852-877.
(97) Cfr Codice di Diritto Canonico, can. 1248 § 2; Congr. per la Dottrina della Fede, Lettera Sacerdotium ministeriale (6 agosto 1983), III: AAS 75 (1983), 1007.
(98) Cfr Pont. Commissione per le Comunicazioni Sociali, Istr. Communio et progressio (23 maggio 1971), 150-152.157: AAS 63 (1971), 645-646.647.
(99) Proclamazione diaconale in onore del giorno del Signore: cfr il testo siriaco nel Messale secondo il rito della Chiesa di Antiochia dei Maroniti (edizione in siriaco e arabo), Jounieh (Libano) 1959, p. 38.
(100) V, 20, 11: ed. F. X. Funk, 1905, 298; cfr Didachè 14, 1: ed. F. X. Funk, 1901, 32; Tertulliano, Apologeticum 16, 11: CCL 1, 116. Si veda, in particolare, l’Epistola di Barnaba 15, 9: SC 172, 188-189: «Ecco perché celebriamo come una festa gioiosa l’ottavo giorno nel quale Gesù è risuscitato dai morti e, dopo essere apparso, è salito al cielo».
(101) Tertulliano, ad esempio, ci informa che nelle domeniche era vietato l’inginocchiarsi, in quanto questa posizione, essendo allora colta soprattutto come gesto penitenziale, sembrava poco opportuna nel giorno della gioia: cfr De corona 3, 4: CCL 2, 1043.
(102) Epist. 55, 28: CSEL 342, 202.
(103) Cfr S. Teresa di Gesù Bambino e del Volto Santo, Derniers entretiens, 5-6 Juillet 1897, in: Oeuvres complètes, Cerf-Desclée de Brouwer, Paris 1992, pp. 1024-1025.
(104) Esort. ap. Gaudete in Domino (9 maggio 1975), II: AAS 67 (1975), 295.
(105) Ibid., VII, l.c., 322.
(106) Hex. 6, 10, 76: CSEL 321, 261.
(107) Cfr editto di Costantino, 3 luglio 321: Codex Theodosianus II, tit. 8, 1, ed. Th. Mommsen, 12, 87; Codex Iustiniani 3, 12, 2, ed. P. Krueger, 248.
(108) Cfr Eusebio di Cesarea, Vita di Costantino 4, 18: PG 20, 1165.
(109) Il più antico documento ecclesiastico sull’argomento è il can. 29 del Concilio di Laodicea (2a metà del IV sec.): Mansi, II, col. 569-570. Dal VI al IX secolo molti Concili proibirono le «opera ruralia». La legislazione sui lavori proibiti, sostenuta anche da leggi civili, diventò progressivamente più dettagliata.
(110) Cfr Lett. enc. Rerum novarum (15 maggio 1891): Acta Leonis XIII 11 (1891), 127-128.
(111) Hex. 2, 1, 1: CSEL 321, 41.
(112) Cfr Codice di Diritto Canonico, can. 1247; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 881 §§ 1.4.
(113) Conc. Ecum. Vat. II, Cost. sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, 9.
(114) Cfr anche s. Giustino, Apologia I, 67, 6: «Quelli che sono nell’abbondanza e che vogliono dare, danno liberamente ciascuno ciò che vuole, e ciò che è raccolto è consegnato a colui che presiede e egli assiste gli orfani, le vedove, i malati, gli indigenti, i prigionieri, gli ospiti stranieri, in una parola, soccorre tutti quelli che sono nel bisogno»: PG 6, 430.
(115) De Nabuthae 10, 45: «Audis, dives, quid Dominus Deus dicat? Et tu ad ecclesiam venis, non ut aliquid largiaris pauperi, sed ut auferas»: CSEL 322, 492.
(116) Omelie sul Vangelo di Matteo 50, 3-4: PG 58, 508-509.
(117) Cfr s. Paolino di Nola, Epist. 13, 11-12 a Pammachio: CSEL 29, 92-93. Il senatore romano è lodato appunto per aver quasi riprodotto il miracolo evangelico, unendo alla partecipazione eucaristica la distribuzione di cibo ai poveri.
(118) Giovanni Paolo II, Lett. ap. Tertio millennio adveniente (10 novembre 1994), 10: AAS 87 (1995), 11.
(119) Ibid.
(120) Cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, 731-732.
(121) Cost. sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, 102.
(122) Ibid., 103.
(123) Ibid., 104.
(124) Carm. XVI, 3-4: «Omnia praetereunt, sanctorum gloria durat in Christo qui cuncta novat, dum permanet ipse»: CSEL 30, 67.
(125) Cfr Codice di Diritto Canonico, can. 1247; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 881 §§ 1.4.
(126) Di diritto comune, nella Chiesa latina, sono di precetto le feste della Natività del nostro Signore Gesù Cristo, dell’Epifania, dell’Ascensione, del Corpo e del Sangue di Cristo, di santa Maria Madre di Dio, della sua Immacolata Concezione e della sua Assunzione, di san Giuseppe, dei santi Apostoli Pietro e Paolo, di Tutti i Santi: cfr Codice di Diritto Canonico, can. 1246. Giorni festivi di precetto comuni a tutte le Chiese orientali sono quelli della Natività di Nostro Signore Gesù Cristo, dell’Epifania, dell’Ascensione, della Dormizione di santa Maria Madre di Dio, dei santi Apostoli Pietro e Paolo: cfr Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 880 § 3.
(127) Cfr Codice di Diritto Canonico, can. 1246 § 2; per le Chiese orientali cfr Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 880 § 3.
(128) Cfr S. Congr. der Riti, Normae universales de Anno liturgico et de Calendario (21 marzo 1969), 5. 7: Ench. Vat. 3, 895. 897.
(129) Cfr Caeremoniale Episcoporum, Ed. typica 1995, n. 230.
(130) Cfr ibid., n. 233.
(131) Contro Celso VIII, 22: SC 150, 222-224.