IV^ DOMENICA DI PASQUA – Gv 10,11-18 – In quel tempo, Gesù disse: “Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore.”
… il VECCHIO FARISEO COMMENTA….
Dal Vangelo secondo Giovanni 10,11-18
In quel tempo, Gesù disse: «Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore. Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore. Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio». Parola del Signore
Mediti…AMO
Che splendore!
In un giorno di nuvole e di nebbia il pastore, va in cerca delle pecore disperse – racconta il profeta Ezechiele- perché al tramontar del sole non devono mancare le pecore distratte che sono andate in giro perdendosi, perché si sono limitate a seguire il loro naso.
Il pastore le conta e le riconta, segue la via, va con le stagioni, sa che deve lottare contro ogni aggressore per salvaguardare il gregge. Per garantirsi latte, formaggio e lana.
Oggi abbiamo esperienza di un Gesù esperto in pastorizia, che sa bene che pastore non è chi manda al pascolo, MA CHI ESCE DAVANTI AD ESSO E LO CONDUCE A PASCOLI ERBOSI E AD ACQUE TRANQUILLE, PROTEGGENDOLO COL SUO VINCASTRO, ci dice il Salmo 23, detto appunto IL BUON PASTORE:
- “Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla; su pascoli erbosi mi fa riposare, ad acque tranquille mi conduce. Mi rinfranca, mi guida per il giusto cammino, per amore del suo nome. Se dovessi camminare in una valle oscura, non temerei alcun male, perché tu sei con me. Il tuo bastone e il tuo vincastro mi danno sicurezza”.
Colui che prega questo salmo, l’orante, riconosce che tutto ciò viene dalla MISERICORDIA DI DIO, che agisce “a motivo e per l’Amore del suo nome”, ma egli corrisponde con amore all’iniziativa di Dio nei suoi confronti. La consapevolezza che Dio lo ama per primo gli dà una grande fiducia in lui, cosicché se dovesse camminare nel buio notturno di una profonda valle non temerebbe le incursioni di briganti o persecutori, piombanti dall’alto su di lui. La valle oscura è poi simbolo di ogni situazione difficile nella quale tutto sembra avverso. DIO, BUON PASTORE, LO DIFENDE CON IL SUO BASTONE E LO GUIDA DOLCEMENTE CON IL SUO VINCASTRO, CHE È QUELLA PICCOLA BACCHETTA CON CUI I PASTORI INDIRIZZANO IL GREGGE CON PICCOLI COLPETTI. Non solo lo guida in mezzo alle peripezie, ma anche gli dona ACCOGLIENZA, PROTEZIONE e AMORE.
Il pastore sa scegliere i pascoli, procede sulla terra secondo le istruzioni del cielo, marcia con gli occhi al cielo e così stringe il nodo provvisorio tra la terra e l’infinito spazio in cui s’aggira. Il pastore non bada alle faccende altrui, scavalca i confini e le linee immaginarie inventate dai popoli per il loro possesso, Egli ha un solo pensiero: LA CURA DEL GREGGE CHE EGLI AMA INFINITAMENTE, PERCHE’ RAPPRERSENTA LA SUA VITA.
Niente come l’immagine del Buon Pastore e del mercenario ci fa capire chi è veramente Gesù. Li oppone e li divide la natura intima del rapporto con le pecore: la NON APPARTENENZA per il mercenario e L’APPARTENENZA per il pastore. Se le pecore non ti appartengono te ne vai quando arriva il lupo e le lasci alla sua mercé.
Se sei un mercenario non t’importa delle pecore, perché non le conosci “per esperienza”, non le conosci per amore, non ci vivi insieme: ESSE NON SONO TUE, NON DAI LA VITA PER LORO.
Gesù invece dà la vita per noi. È lui che ce la dà e nessuno gliela toglie, perchè Lui, solo lui, ha il potere di offrire la sua vita e poi di riprenderla di nuovo. In questo sta la sua autorevolezza, nel potere dell’impotenza, a cui Dio nella morte si è volontariamente esposto.
Gli uomini devono seguire Gesù solo in forza di questa sua autorevolezza. Per essa ne conoscono la voce, subiscono il fascino della sua Presenza, si dispongono alla sequela. Solo nel vivere questa appartenenza il cristiano diventa a sua volta autorevole, cioè capace di incontrare l’altro, di amarlo e di dar la sua vita per lui. L’appartenenza ci fa essere immagine fragile della sua Presenza e suscita in noi la nostalgia di poterlo incontrare un giorno.
È importante esaminare il testo evangelico. Il pastore, quello buono, offrire la propria vita per le pecore: questa espressione “offrire la vita…” (il verbo greco significa anche “donare”, “abbandonare”, “deporre”…) ritorna cinque volte in questi pochi versetti per esprimere evidentemente tutto il senso dell’esistenza di Gesù e della sua missione.
Certamente allude alla sua morte di Croce, ma riguarda ogni istante della sua vita. Tutto di Lui e in Lui è un dono. È uno spogliarsi di sé per fare della sua, una vita “deposta” per le pecore. Per questo ha il diritto di dire “Io sono il pastore, quello buono”, quello “vero”. Infatti la sua è l’espressione dell’offerta vera, umile e infinita, dell’Amore fatta a quell’umanità che è alla sua continua ricerca.
Già nell’A.T. Dio Padre si è presentato come il pastore che guida, sostiene il popolo nel suo cammino. E in continuità perfetta col Padre, Gesù, spogliato di tutto, offre se stesso perché lo vedano, lo tocchino. Capiscano che Lui è L’ “IO SONO”, il pastore, buono del quale sperimentano l’Amore.
“Io sono il pastore, quello buono”, ripete Gesù e sottolinea che ne è la prova l’esperienza della relazione vicendevole tra lui e le pecore. “Conosco le mie e le mie conoscono me”: non si tratta di astratta conoscenza teologica, ma di relazione intima, personale. Si tratta di “conoscere”, “sperimentare” l’Amore come elemento essenziale costitutivo dell’esistenza umana.
Si tratta di entrare nella relazione d’Amore che lui, il pastore buono, fa gustare alle pecore, che è così profonda, così intima PERCHÉ È QUELLA CHE IL PADRE FA CONOSCERE AL FIGLIO: E CHE CI INTRODUCE NELL’INTIMITÀ DELLA SUA ESPERIENZA DI RELAZIONE FILIALE CON IL PADRE, FONTE DI QUELL’AMORE CHE DIVENTA LA SUA VITA, CHE NON PUÒ TRATTENERE PER SÉ, MA CHE EGLI OFFRE COME PASTORE DEL SUO GREGGE.
Tutto è Amore: esperienza, conoscenza, gioia, vita che dal Padre, attraverso l’umanità spogliata del Figlio, quella “Kenosis”, che è dono per il mondo, perché si compia il suo progetto di Amore e che mette il Figlio che si spoglia della sua vita per offrirla, al centro del progetto del Padre. E che si realizza pienamente nello scandalo della Croce e del suo mistero di amore.
Allora siamo chiamati a domandarci: perché al centro di questo mistero che è l’Amore, sta lo scandalo della Croce?
Perché se tutto è affidato a noi, alla nostra FEDE, al nostro abbandono in Lui, perché possiamo entrare finalmente in relazione con Lui e dall’interno di questa esperienza personale, possiamo cominciare a conoscerlo e a lasciarci conoscere da Lui e a gustare quella vita che egli ci dona.
Solo ALLORA CONOSCIAMO FINO IN FONDO LA CROCE, CHE È LA VIA ATTRAVERSO LA QUALE SI REALIZZA LA RELAZIONE D’AMORE TRA GESÙ E DIO.
Che è espressione della più piena libertà umana CHE FINALMENTE ARRIVA A CONOSCERE UN DIO CHE NON È PIÙ TEMUTO PER LA SUA ONNIPOTENZA, ma accolto come Padre BUONO, INFINITAMENTE AMANTE.
E solo allora arriviamo a vedere CHE LA CROCE È INSEPARABILE DALLA RISURREZIONE, perché l’Amore di Dio diventa infinito quando discende per condividere. Discende per cum-patire l’estrema fragilità umana. PER DIMOSTRARCI CHE NEL MOMENTO IN CUI SI ANNIENTA MORENDO, DIVENTA IN REALTA’ INFINITO RISORGENDO: “….per questo il Padre mi ama: perché io dono la mia vita e di nuovo l’accolgo”.
La Croce di Gesù è la porta attraverso la quale l’Amore infinito di Dio ci raggiunge e ci fa vivere della vita infinita di Dio: a noi è offerto questo dono perché lo gustiamo e a nostra volta diventiamo la via attraverso la quale oggi l’Amore di Dio raggiunge i fratelli e le sorelle che incontriamo sul nostro cammino.
Sia Lodato Gesù, il Cristo!