GIOVEDI’ XXVI^ SETTIMANA T.O. SAN GIROLAMO – Luca 10,1-12 Sòdoma sarà trattata meno duramente di quella città

… il VECCHIO FARISEO COMMENTA….

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Dal Vangelo secondo Luca 10,1-12

In quel tempo, il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi. Diceva loro «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe! Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada. In qualunque casa entriate, prima dite “Pace a questa casa!” Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha diritto alla sua ricompensa. Non passate da una casa all’altra. Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, guarite i malati che vi si trovano, e dite loro “È vicino a voi il regno di Dio”. Ma quando entrerete in una città e non vi accoglieranno, uscite sulle sue piazze e dite “Anche la polvere della vostra città, che si è attaccata ai nostri piedi, noi la scuotiamo contro di voi; sappiate però che il regno di Dio è vicino”. Io vi dico che, in quel giorno, Sòdoma sarà trattata meno duramente di quella città». Parola del Signore

 

Mediti…AMO

IL SANTO

Ringraziamo Dio per il grande dono della Scrittura. La MEMORIA COLLETTIVA è un dono del suo amore, un dono antico e sempre nuovo che dobbiamo sfruttare nella fede. Il modo attuale di studiare la Scrittura non assomiglia a quello dei secoli passati: vi scopriamo aspetti nuovi, che ci aiutano ad apprezzarne meglio la varietà e la ricchezza. Così si rinnova continuamente il gusto e l’interesse per lo studio della Bibbia. Sappiamo lo studio della Scrittura è fatto bene soltanto nella Fede, che lo guida. “Le Sacre Scritture scrive Paolo a Timoteo possono istruirti per la salvezza, che si ottiene per mezzo della fede in Cristo Gesù“.

Infatti, per aver fede bisogna prima capire la Scrittura, perché per aderire all’annunzio di salvezza e per arrivare a credere è necessario fare un certo lavoro di intelligenza, un certo studio.

Ma, al contempo, per approfondire la Scrittura è necessaria la Fede: CREDERE PER COMPRENDERE. Se qualcuno ha il senso delle cose spirituali capisce profondamente la Bibbia anche se non ha cultura, perché la fede illumina gli occhi del suo cuore e questa illuminazione è più preziosa di tutti i mezzi della scienza, che possono far luce su aspetti secondari, ma non raggiungono il centro, che è il “proprio” della fede.

Dio ha rivelato i tesori della Scrittura non soltanto agli intelligenti, ma anche a chi è meno dotato, mediante la Fede, CHE È LUCE DIVINA.

Ci ha aiutato molto a comprendere le Scritture Sante Sofronio Eusebio Girolamo, noto anche come san Girolamo, Gerolamo o Geronimo, (347–419) Sacerdote, biblista, traduttore, teologo, monaco cristiano romano, Padre e Dottore della Chiesa, infine anacoreta dedito alla contemplazione. che tradusse in latino parte dell’Antico Testamento greco (ci sono giunti, integri o frammentari, Giobbe, Salmi, Proverbi, Ecclesiaste e Cantico dei Cantici, dalla versione dei Settanta) e, successivamente, l’intera Scrittura ebraica, nella celebre VULGATA in lingua latina su incarico di Papa Damaso I’.

IL TESTO EVANGELICO

All’inizio del nono capitolo si era narrato, pur in modo stringato, l’invio dei Dodici per una missione di guarigione e proclamazione del Regno.

Qui, al capitolo dieci, vengono inviati settantadue discepoli. Questo numero, sebbene le tradizioni manoscritte oscillino con la variante dei «settanta discepoli», rappresenta la tavola delle nazioni di Genesi 10.

Dunque, questi discepoli richiamano la proclamazione universale del Vangelo. Nell’opera lucana (composta dal suo evangelo e dagli Atti degli Apostoli) l’apertura alle genti e la destinazione mondiale dell’annuncio del Regno derivano direttamente da Gesù.

In questo brano è il Maestro ad inviare questa moltitudine di discepoli «in ogni città e luogo dove stava per recarsi».

È presumibile che i settantadue abbiano visitato luoghi in cui Gesù non sia poi fisicamente potuto andare.

La Chiesa e i discepoli rendono pienamente presente il Messia. Direbbe Giovanni l’Evangelista: “inviati da colui che è inviato”.

La missione è una sorta di traboccamento della cura di Dio per tutti gli uomini. E la radicalità dell’annuncio è sottolineata dalle numerose raccomandazioni che il Maestro rivolge ai discepoli:

  • l’assoluta sobrietà nel possedere,
  • l’evitare qualsiasi proselitismo ad interesse personale,
  • il sentirsi inviati e non annunciatori autonomi,
  • il divenire profondi conoscitori dell’uomo.
  • Il dono della pace è offerto come segno di gratuità e annunzio di accoglienza. Ne discende che:
    • chi accetta la pace si pone nella spirale della pace,
    • chi la rifiuta rivela cosa porta in cuore e che genere di Regno sta attendendo.

La vicinanza del Regno ci ricorda l’inizio del racconto di Marco, in cui Gesù inaugura la sua missione annunciando che «il Regno di Dio è vicino».

Ma cosa significa questa vicinanza? In che modo il Regno ci è prossimo?

In una struttura bene ordinata come quella di Luca non pare un caso che al termine di questo capitolo Gesù narri la parabola del buon samaritano in risposta alla domanda «chi è il mio prossimo?». La parabola richiama la nostra attenzione su chi è davvero il nostro prossimo: Gesù Cristo!

Nel logo del giubileo dell’anno della Misericordia, padre Marco Ivan Rupnik ha voluto sottolineare il fatto che il primo Buon Samaritano è Gesù, perché il Regno di Dio si è ormai talmente avvicinato da essere prossimo, vicinissimo.

Pertanto, il rifiuto non è dettato dal non riconoscere i veri discepoli dai falsi, ma dal non accettare questa salvifica prossimità di Gesù, del Regno, dei suoi inviati.

Il miglior commento a questo passo del Vangelo lo ha fatto Giovanni Crisostomo: “Finché saremo agnelli, vinceremo e, anche se saremo circondati da numerosi lupi, riusciremo a superarli. Ma se diventeremo lupi, saremo sconfitti, perché saremo privi dell’aiuto del pastore. Egli non pasce lupi, ma agnelli. Per questo se ne andrà e ti lascerà solo, perché gli impedisci di manifestare la sua potenza. È come se Cristo avesse detto: non turbatevi per il fatto che, mandandovi tra i lupi, io vi ordino di essere come agnelli e colombe. Avrei potuto dirvi il contrario e risparmiarvi ogni sofferenza, impedirvi di essere esposti come agnelli ai lupi e rendervi più forti dei leoni. Ma è necessario che avvenga così, poiché questo vi rende più gloriosi e manifesta la mia potenza”.

La stessa cosa diceva a Paolo scrivendo ai cristiani che vivevano a Corinto “…Ti basta la mia grazia, perché la mia potenza si manifesti pienamente nella debolezza” (2Cor 12,9). È Gesù che ci ha voluto così miti. Per questo quando dice: “Vi mando come agnelli” (Lc 10,3), vuol far capire che non dobbiamo abbatterci, perché Egli sa bene che con la mansuetudine saremo invincibili per tutti.

E volendo poi che i suoi discepoli, ma anche ognuno di noi, agiscano anche “mettendoci del proprio”, per non sembrare che tutto discenda SOLO DALLA GRAZIA, aggiunge: “Siate dunque prudenti come serpenti e semplici come colombe” (Mt 10,16).

GIÀ ASTUTI COME IL SERPENTE E SEMPLICI COME LE COLOMBE…

Una frase difficile da comprendere e difficile da applicare…

Una antica omelia di San Giovanni Crisostomo, “bocca d’oro”, sul Vangelo di Matteo, 33,1.2, spiega meglio di chiunque altro, a mio avviso, il concetto espresso da Gesù:

Come il serpente abbandona tutto, anche il corpo, e non si oppone pur di risparmiare il capo, COSÌ ANCHE TU, PUR DI SALVARE LA FEDE, ABBANDONA TUTTO, I BENI, IL CORPO E LA STESSA VITA.

LA FEDE È COME IL CAPO E LA RADICE. Conservando questa, anche se perderai tutto, riconquisterai ogni cosa con maggiore abbondanza.

ECCO PERCHÉ NON ORDINA DI ESSERE SOLAMENTE SEMPLICI O SOLAMENTE PRUDENTI, MA UNISCE QUESTE DUE QUALITÀ, IN MODO CHE DIVENTINO VIRTÙ. ESIGE LA PRUDENZA DEL SERPENTE, PERCHÉ TU NON RICEVA DELLE FERITE MORTALI, E LA SEMPLICITÀ DELLA COLOMBA, PERCHÉ NON TI VENDICHI DI CHI TI INGIURIA E NON ALLONTANI CON LA VENDETTA COLORO CHE TI TENDONO INSIDIE.

A NULLA GIOVA LA PRUDENZA SENZA LA SEMPLICITÀ. Nessuno pensi che questi comandamenti non si possano praticare. Cristo conosce meglio di ogni altro la natura delle cose. SA BENE CHE LA VIOLENZA NON SI ARRENDE ALLA VIOLENZA, MA ALLA MANSUETUDINE”.

Ed ecco anche alcuni esempi di pratica applicazione, vissuta dai santi:

  • San Giovanni Crisostomo era patriarca di Costantinopoli all’inizio del quinto secolo. Con grande coraggio, criticò il lusso e i vizi della corte imperiale e per due volte venne esiliato nelle lontane colonie del Mar Nero, dove morì nel 407. Mise quindi in pratica quello che aveva detto.
  • San Francesco d’Assisi va a parlare al Sultano mentre è in corso la crociata. D’altra parte, come facciamo a rinnegare Lepanto e l’arresto dell’espansione musulmana? Anche la storia dell’ordine francescano mostra la medesima tensione: Francesco predica la povertà evangelica, il Vangelo “sine glossa”, cioè senza interpretazioni depotenzianti e vieta ai suoi frati di chiedere alla Curia romana privilegi.
  • E ancora Gesù stesso, rivolto a Pietro, che ha sguainato la spada per difenderlo dice “…Non credi che io possa pregare il Padre mio, che metterebbe subito a mia disposizione più di dodici legioni di angeli?” (Mt 26,53).

Questa mitezza ci turba, al punto che anche noi, come Pietro, siamo tentati di fuggire e di lasciarlo solo.

Ma vorrei analizzare il brano evangelico anche da un altro aspetto: quello dell’UOMO CHE SI ABITUA A TUTTO.

Abituarsi a tutto è una delle specificità dell’essere umano: al dolore, alle condizioni estreme, alla menomazione. PER CERTI VERSI È UN BENE.

Ma ci si può abituare anche alle cose positive (all’amore, alle tante cose che abbiamo e che non ci sono dovute, alle emozioni), MA QUESTO E’ TERRIBILE.

E ci si abitua anche a Dio, purtroppo:

  • Lo sa bene Gesù, quando vede il suo popolo santo, ridurre la fede alla scrupolosa ed inutile osservanza di mille precetti creati da quegli uomini da lui scelti e amati.
  • Lo sappiamo noi, che abbiamo fatto lo stesso errore “abituandoci” alla fede.

Io lo dico sempre durante i miei incontri, facendo uso di una categoria cara a San Tommaso d’Aquino: SIAMO CATTOLICI PER “ACCIDENTE GEOGRAFICO”, SENZA GLORIA E SENZA CONVINZIONE, SOLO PERCHÉ SIAMO NATI IN ITALIA.

Fossimo nati in India saremmo tranquillamente induisti o in Africa, o in America al tempo dei Nativi Indiani, saremmo molto più facilmente ANIMISTI, perché, come diceva già TALETE (di cui da testimonianza Aristotele nel “De Anima”) «…tutte le cose sono piene di dèi», perciò bastava semplicemente vederli.

Gesù cerca di scuotere la tranquillità dei villaggi israelitici che non avevano accolto la novità del Regno mentre le città pagane dannate si erano scosse, avevano creduto, e si erano convertite.

Oggi l’uomo non ama più nessuno, men che meno sé stesso. Lo si vede camminare sulle strade del tempo con la morte nell’anima verso la perdizione eterna e nulla fa per la sua salvezza. Non annunzia più a nessuno il Vangelo della vita eterna. Al massimo vive un amore egoistico, che genera e crea solo morte. È un amore malato, che tende alla dissoluzione della stessa natura umana, ormai degradata, vilipesa, disprezzata, perché ha cancellato in essa la sua unica e sola gloria di essere ad immagine e a somiglianza del suo Creatore, Signore, Dio. È questo “il progresso” raggiunto dalla nostra povera umanità ormai slacciata dalla sua relazione vitale con il suo Creatore, dal quale riceve ogni vita.

Il cristiano, chiunque esso sia, ha un solo Signore al quale deve ogni obbedienza, che gli ha dato un solo ordine “…andare per il mondo ad annunziare il Vangelo ad ogni creatura e a battezzarla nel Nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo e a dire che il regno dei cieli è vicino”.

Poiché la salvezza dell’uomo sta nella sua entrata nel regno dei cieli, attraverso la conversione e la Fede nel Vangelo, INVITARE OGNUNO AD ENTRARE NEL REGNO È LA MISSIONE DI OGNI BATTEZZATO. Se il battezzato non obbedisce a questa missione, non entra neanche lui è nel regno dei cieli, perché non si è convertito alla Parola del suo unico e solo Signore, Cristo Gesù.

Ecco spiegato il motivo per cui il cristiano oggi odia l’uomo, tanto da volerlo dannato nell’inferno.

L’amore vero può trovare solo la sua origine e il suo compimento nel Vangelo.

Purtroppo il cristiano oggi vive come se il Vangelo non esistesse, e spesso anche contro il Vangelo, pur essendo battezzato. Per cui mai potrà amare l’uomo secondo verità e giustizia. Se non lo ama, lo odia, perché non lo aiuta in nessun modo perché si salvi e non perisca nelle tenebre eterne. Ed essendo lui senza Vangelo e rinnegando tutte le verità del Vangelo, grida all’uomo che non esiste più perdizione eterna. Così lui può vivere senza Vangelo e senza alcun obbligo di predicare il Vangelo.

SUBLIME STRATEGIA DI MORTE INVENTATA DA SATANA PER IL CRISTIANO E PER IL MONDO.

Ma la Missione è proprio ciò che il Vangelo chiede: “Chiamati a sé i suoi dodici discepoli, diede loro potere sugli spiriti impuri per scacciarli e guarire ogni malattia e ogni infermità. I nomi dei dodici apostoli sono: primo, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello; Giacomo, figlio di Zebedeo, e Giovanni suo fratello; Filippo e Bartolomeo; Tommaso e Matteo il pubblicano; Giacomo, figlio di Alfeo, e Taddeo; Simone il Cananeo e Giuda l’Iscariota, colui che poi lo tradì. Questi sono i Dodici che Gesù inviò, ordinando loro: «Non andate fra i pagani e non entrate nelle città dei Samaritani; rivolgetevi piuttosto alle pecore perdute della casa d’Israele. Strada facendo, predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino. Guarite gli infermi, risuscitate i morti, purificate i lebbrosi, scacciate i demòni. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date. Non procuratevi oro né argento né denaro nelle vostre cinture, né sacca da viaggio, né due tuniche, né sandali, né bastone, perché chi lavora ha diritto al suo nutrimento. In qualunque città o villaggio entriate, domandate chi là sia degno e rimanetevi finché non sarete partiti. Entrando nella casa, rivolgetele il saluto. Se quella casa ne è degna, la vostra pace scenda su di essa; ma se non ne è degna, la vostra pace ritorni a voi. Se qualcuno poi non vi accoglie e non dà ascolto alle vostre parole, uscite da quella casa o da quella città e scuotete la polvere dei vostri piedi. In verità io vi dico: nel giorno del giudizio la terra di Sòdoma e Gomorra sarà trattata meno duramente di quella città” (Mt 10,1-15).

La libertà del cristiano non sta nel dire o non dire il Vangelo, ma nel proporlo con rispetto della libertà dell’altro, lasciando quella casa nella quale la Parola non viene accolta.

Ma la Parola non ha possibilità di essere accolta SE COLUI CHE LA PORTA NON NE È IMMAGINE VIVENTE. E SE IL BATTEZZATO NON ATTESTA CON LA SUA VITA CHE LA PAROLA È TUTTO PER LUI E CHE LUI E LA PAROLA SONO UNA COSA SOLA, LA CONDANNA PIÙ DURA DI QUELLA DI SÒDOMA E GOMORRA E RICADRÀ SULLA SUA STESSA TESTA.

Se invece attesta che la Parola è tutto per lui e lascia la casa perché la Parola non è stata accolta, allora il duro giudizio cadrà su quella casa. PERCHÉ A QUELLA CASA È STATA OFFERTA LA VIA DELLA VERA SALVEZZA MA ESSA L’HA RIFIUTATA.

Infatti vale per il discepolo di Gesù la stessa regola data da Dio ai suoi profeti:

  • se il profeta annunzia, è libero dai peccati del popolo.
  • Se il profeta non annunzia, i peccati del popolo ricadranno tutti su di lui.

Purtroppo satana lavora senza soluzione di continuità, inventando strategie sempre nuove ed efficacissime. E fa in modo che oggi il cristiano legga il Vangelo come si leggono certe favole. E gli fa credere che ormai sia passato di moda. Perché satana odia l’uomo che crede nel Vangelo, lo disprezza, e fa di tutto per condannarlo alla morte eterna. E gli riesce facile, perché tolte di mezzo le Verità basilari, egli è libero di agire indisturbato, così come ci ricordavano i Padri del deserto, il quale affermavano che “satana dorme solo se l’uomo è già in potere del mondo!”

E vi regalo, abusando della vostra pazienza, le stupende parole del celebre DISCORSO 64/A di Sant’Agostino, sul tema “ECCO, VI MANDO COME PECORE”, commentando la FESTA DEI MARTIRI.

Pensiamo all’ultimo giorno perché non si nuoccia. La solennità dei martiri, carissimi, in cui celebriamo il ricordo della loro passione, ci viene proposta perché l’imitiamo, in modo che se ci capiterà per caso qualche penosa prova, potremo essere perseveranti sino alla fine, per essere salvi, come abbiamo sentito insieme quel che è stato letto dal Vangelo: Chi avrà perseverato sino alla fine si salverà. La fine di questo mondo forse è lontana, forse è vicina; ma il Signore ha voluto che non si sapesse quando avverrà, affinché gli uomini aspettino ognora pronti ciò che ignorano quando avverrà. Ma, sia vicina o lontana – come ho detto – la fine del mondo, a causa della brevità della nostra natura mortale non può essere lontana la fine di ciascuno di noi, per la quale giustamente si è costretti a passare da questa all’altra vita. Naturalmente ciascuno di noi deve prepararsi alla propria fine, perché l’ultimo giorno non arrecherà alcun danno a chi, immaginando ogni giorno come l’ultimo, vive in modo da morire sicuro; dal momento che muore in modo da non morire in eterno. I santi martiri pensando a queste cose (poiché avevano sentito la parola del Signore che dice: Ecco, io vi mando come pecore in mezzo ai lupi), di quanta fermezza erano corroborati, in modo da non temere questa evenienza! In realtà da ciò appare quanto numerosi fossero i lupi e quanto poche le pecore, poiché non furono mandati i lupi in mezzo alle pecore, ma le pecore in mezzo ai lupi. Il Signore non disse: “Ecco, vi mando come leoni in mezzo alle bestie da soma”; ma dicendo: Come pecore in mezzo ai lupi, dimostrò che il numero delle pecore era abbastanza piccolo, branchi invece erano i lupi. Ma sebbene un sol lupo sia solito scompigliare un gregge grande quanto si vuole, le pecore ch’erano state mandate in mezzo a innumerevoli lupi ci andavano senza aver paura, poiché Colui che le mandava non le abbandonava. Ebbene, perché avrebbero dovuto temere d’andare tra i lupi coloro con cui c’era l’Agnello che ha vinto il lupo?

Che cos’è l’astuzia del serpente. Nel passo ch’è stato letto abbiamo sentito anche: Quando vi arresteranno non dovete preoccuparvi di quel che dovrete dire, poiché non sarete voi a parlare, ma sarà lo Spirito del Padre vostro che parlerà in voi. Perciò in un altro passo dice: Ecco, io sarò con voi sino alla fine del mondo. Quelli che allora ascoltavano queste parole del Signore erano forse destinati a rimanere sulla terra sino alla fine del mondo? Il Signore in realtà pensava non solo a coloro che sarebbero morti allora, ma anche a tutti gli altri che sarebbero venuti dopo in questa vita, a noi stessi e a quelli dopo di noi, e vedeva tutti nell’unico suo corpo. Questa voce dunque, con la quale disse: Io sarò con voi sino alla fine del mondo, non l’udirono quelli soltanto, ma l’abbiamo udita anche noi; anche se allora non l’ascoltavamo per nostra diretta conoscenza, l’ascoltavamo però nella sua prescienza. Facciamo dunque in modo di osservare, come pecore in mezzo ai lupi, i precetti di Colui che ci ammonisce di essere semplici come colombe e astuti come serpenti: semplici come colombe per non nuocere a nessuno, astuti come serpenti per stare in guardia e non ricevere danno. Ma non potrai stare in guardia dal ricevere danno, se non comprenderai in che cosa puoi essere danneggiato. Ci sono infatti di quelli che combattono opponendosi [ad altri] per i beni temporali; e se vengono ripresi perché si oppongono con accanimento, rispondono di fare come è stato detto, cioè da astuti come serpenti, mentre dovrebbero piuttosto non resistere al male, come comanda lo stesso Signore. Riflettano dunque su ciò che fa il serpente, come ai colpi di chi lo percuote espone le spire del suo corpo per difendere il capo, per conservare quella parte del corpo nella quale si accorge di avere la vita; come trascura tutto il resto della sua lunghezza perché il suo capo non sia fatto a pezzi da chi gli dà la caccia! Se dunque vuoi imitare l’astuzia del serpente, conserva il tuo capo. Infatti sta scritto: Capo dell’uomo è Cristo. Vedi pertanto dove hai Cristo poiché, grazie alla fede, in te abita Cristo. Chiedo – dice l’Apostolo – che Cristo abiti per mezzo della fede nei vostri cuori. Affinché dunque la tua fede perduri integra, colloca davanti al persecutore tutto il resto affinché la parte per cui vivi resti illesa. Ora Cristo nostro Signore, ch’è anche il capo di tutta la Chiesa, e siede alla destra del Padre, non può più essere colpito dai persecutori; egli tuttavia soffrendo con noi e mostrando di essere in noi, a quel Saulo, che in seguito divenne l’apostolo Paolo, gridò dal cielo: Saulo, Saulo, perché mi perseguiti? Eppure per verità nessuno lo toccava; ma gridò dall’alto per le sue membra oppresse sulla terra, come loro capo. Se Cristo per mezzo della fede abita nei cuori cristiani, si deve trascurare tutto ciò che il persecutore può colpire o portare via, perché la fede sia salva, cioè Cristo rimanga nel credente, in modo che perdiamo tutto il resto per conservare la fede, piuttosto che perder la fede per conservare il resto.

Come le martiri imitano l’astuzia del serpente. I martiri che imitarono questa astuzia del serpente, poiché capo dell’uomo è Cristo, per difendere Cristo come loro capo misero davanti ai persecutori tutto ciò che possedevano secondo la condizione di mortali, per non morire riguardo a Colui in virtù del quale vivevano. Osservarono questo precetto del Signore che li aveva ammoniti d’essere astuti come serpenti, perché non credessero di perdere il capo quando si dava ordine di tagliar loro il capo ma sebbene venisse loro tagliato il capo di carne, conservassero integro il loro capo, cioè Cristo. In effetti con qualunque ferocia il carnefice si avventi contro le membra del corpo e, dopo aver squarciato il corpo e dilaniate le viscere con qualsivoglia crudeltà, arrivi a tutte le parti interne del corpo, non potrà arrivare al nostro capo, poiché non gli è permesso nemmeno di vederlo. Ci arriva certamente, se lo vuole, non infuriando contro di noi, ma credendo ciò che crediamo noi. Ma in che modo le donne, per meritare la corona del martirio, poterono imitare questa astuzia del serpente? Capo infatti dell’uomo è detto Cristo, ma capo della donna l’uomo. Esse in effetti non soffrirono per i mariti, dal momento che, per affrontare le sofferenze [del martirio], riuscirono a vincere anche le lusinghe dei mariti che cercavano di distoglierle. Poiché anch’esse per mezzo della medesima fede sono membra della Chiesa; e perciò il Cristo, ch’è il capo di tutta la Chiesa, è il capo di tutte le sue membra. Tutta la Chiesa dunque è chiamata sia donna che uomo, poiché è detta anche una sola vergine. L’Apostolo afferma: Vi ho preparati per un solo sposo per darvi, come una vergine casta, a Cristo. Inoltre per “uomo” s’intende quello di cui il medesimo Apostolo dice: Finché non arriviamo tutti all’unità della fede, alla conoscenza del Figlio di Dio all’uomo perfetto, nella misura dell’età della pienezza di Cristo. Se dunque è una donna, il suo sposo è Cristo; se è un uomo, il suo capo è ancora Cristo. Poiché quindi capo della donna è l’uomo e sposo della Chiesa è Cristo, e poiché anche le donne soffrirono per Cristo, combatterono con l’astuzia del serpente per il loro capo. Conserviamo dunque contro i persecutori il nostro capo; imitiamo l’astuzia del serpente e gemiamo presso Dio per gli stessi nostri persecutori, affinché conserviamo l’innocenza delle colombe”.

Ragioniamoci sopra…

Sia Lodato Gesù, il Cristo!