ESALTAZIONE DELLA CROCE – MARTEDI’ XXIV^ SETTIMANA DEL T.O. – Giovanni 3,13-17 Bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo

… il VECCHIO FARISEO COMMENTA….

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Dal Vangelo secondo Giovanni 3,13-17

«Nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo. E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui». Parola del Signore

 

Mediti…AMO

Come nasce questa Festa?

La tradizione vuole che la regina Elena, madre dell’Imperatore Costantino, durante un pellegrinaggio nei luoghi santi abbia scoperto la vera croce di Cristo in quel luogo che era ricordato come essere il Calvario.

E in questo giorno portò a Costantinopoli le presunte reliquie della croce di Cristo miracolosamente ritrovate durante il suo pellegrinaggio a Gerusalemme.

Da qui la nascita della festa dell’esaltazione della Croce, cioè di rendere venerazione a quel legno che per un cristiano è segno dell’amore totale di Dio.

Nacque così la festa dell’ESALTAZIONE DELLA SANTA CROCE. Un titulus terribile, come se la croce fosse da esaltare. Non c’è nulla di bello nella croce, nulla di esaltante, come nel dolore non ce ne è mai.

L’esaltazione della croce non è l’esaltazione del dolore, ma l’esaltazione di questo meccanismo voluto da Cristo: là dove c’è odio semina amore; là dove c’è ingiustizia semina trasparenza; là dove c’è da denunciare in nome del bene e in nome di Dio non avere paura di essere crocifisso.

L’esaltazione della croce è l’esaltazione del donarsi per gli altri totalmente. Di fronte a questo c’è un rischio: lo scoraggiamento.

È quello che è successo al popolo di Israele nel deserto che protesta contro Dio. Il male sembra troppo, e viene da chiedersi: ma chi me lo fa fare!

È la tentazione di vedere il male che ci paralizza al venerdì santo, senza via d’uscita. L’esaltazione della croce non è fare un doppione del venerdì santo.

La croce che sant’Elena ha trovato è un legno benedetto dal sangue di Cristo, si, ma un legno benedetto dal sangue di Cristo vicino ad una tomba vuota, perché Cristo è risorto!

L’esaltazione della Croce non è un focalizzarsi sulla sofferenza di Gesù o vedere la nostra vita come solo una lunga croce.

Oggi siamo chiamati a vedere la donazione totale di Gesù non fine a sé stessa, ma come un atto d’amore per noi che non ha limiti. La Croce è un segno di amore grande che dobbiamo imitare!

Infatti ciò che esaltiamo È LA TESTIMONIANZA D’AMORE CHE, DA QUELLA CROCE, GESÙ HA DIMOSTRATO VERSO DI NOI.

Gesù non ha amato la croce, ma essendosi la croce si è rivelata necessaria per manifestare la verità della sua predicazione e la grandezza dell’Amore di Dio, allora Gesù non ha esitato a salirci sopra e a morire su di essa, perché noi potessimo avere la vita eterna.

La croce, da allora, è diventata simbolo dell’assoluto dono di sé che Gesù ha realizzato offrendosi ad una sofferenza che era necessaria.

E così, perdendo il suo significato ignominioso originario, LA CROCE È DIVENTATA IL MODO DRAMMATICO CHE DIO HA AVUTO DI MANIFESTARE IL SUO AMORE PER NOI.

PRENDERE LA CROCE SIGNIFICA ALLORA ASSUMERE LO STESSO ATTEGGIAMENTO DI DONO DA PARTE DEL DISCEPOLO, CHE COSÌ IMITA CRISTO NEL SUO AMORE, NON NEL SUO DOLORE.

È sbagliata la nostra visione. Quando noi pensiamo alla croce, vediamo in essa solo un legno che è strumento di esecuzione capitale, un supplizio che ci parla immediatamente e solamente di tortura, di sofferenza e di morte.

Questa, in effetti, è la croce nella storia degli uomini:

  • la croce che Cicerone e Tacito descrivono come “crudelissimo supplizio”,
  • la croce di cui la Torah parla come luogo di morte riservato a chi è considerato nocivo per la società umana, dunque un maledetto da Dio e dagli uomini (“Maledetto chi è appeso al legno”: Gal 3,13; Dt 21,23).

Ebbene, dobbiamo confessare che nella storia tanti uomini sono stati crocifissi, uccisi con violenza inaudita, perché giudicati pericolosi per la società da parte del potere religioso e politico.

Si pensi alla crocifissione inflitta agli schiavi dell’antichità, alla tortura nelle carceri delle diverse comunità politiche rette da ideologie e tiranni…

Proprio per questo non sempre comprendiamo nella sua verità la croce di Cristo:

  • non è infatti la croce ad aver dato gloria a Gesù,
  • ma è Gesù che ha vissuto anche la croce in modo da rendere questo strumento di morte, segno ed emblema di una vita offerta, spesa, perduta per amore, un amore vissuto “fino all’estremo” (Gv.13,1) nei confronti degli uomini, ma anche dei suoi carnefici.

Per far comprendere questa verità ai cristiani e per non confinare la croce all’interno di una visione esclusiva di solo dolore, la Chiesa ha sentito il bisogno di celebrarla anche in un giorno diverso dal venerdì santo, al fine di raccontare la gloria che, grazie a essa, Gesù ha mostrato: la gloria dell’amore.

La croce gloriosa, la croce nella gloria: non più uno strumento di morte.

MA CIÒ CHE È DIVENTATO COME SIMBOLO, CIÒ CHE GESÙ HA VISSUTO SULLA CROCE DEVE ESSERE VISTO E SENTITO COME GLORIOSO.

“Gloria” (kabod) è un termine che nell’Antico Testamento indica il PESO, dunque LA GLORIA DI DIO È IL SUO PESO NELLA STORIA, È LA TRACCIA DELLA SUA PRESENZA SALVIFICA E REDENTRICE.

GESÙ, CHE HA ACCETTATO QUESTO SUPPLIZIO impostogli dall’impero romano, che era istigato dal potere religioso giudaico, LO HA FATTO MOSTRANDO TUTTA LA SUA GLORIA: ovvero tutto il PESO del suo amore vissuto fino all’estremo.

Certamente sulla croce Gesù umanamente appare riprovato, condannato sofferente e impotente.

MA IN VERITÀ EGLI MOSTRA LA GLORIA, IL PESO CHE DIO HA NELLA SUA VITA.

Anche se apparentemente Dio Padre sembra averlo abbandonato. Ma in realtà, avendo Gesù obbedito alla Sua Volontà di amore, Dio Padre mostra nella vita del Figlio tutta la sua gloria.

E così:

  • l’orribile croce DIVENTA COSÌ UN SEGNO LUMINOSO;
  • l’essere issato in alto, su un palo, racconta il regnare di Gesù, esaltato da Dio (Gv 8,28; 12,32-33);
  • la corona di spine sul capo di Gesù rivela il suo essere Re che serve quell’umanità che lo rifiuta;
  • le sue ferite nelle mani, nei piedi e nel costato mostrano come Gesù ha accolto la violenza, senza vendetta né rivalsa, interrompendo così la catena dell’odio, dell’inimicizia, della violenza (Is 53,5-6.12).

Per questo il quarto vangelo, il Vangelo di Giovanni, che ha un’ottica diversa dai sinottici Matteo, Marco e Luca:

  • legge la passione di Gesù come evento di gloria,
  • legge la crocifissione come intronizzazione del Messia,
  • legge le bestemmie dei presenti come titoli che riconoscono la vera identità di Gesù: egli è “il re dei Giudei” (Gv 19,19), nome che viene scritto e proclamato in ebraico, greco e latino, le tre lingue dell’oikouméne, le quali affermano dunque “il suo vero Nome che è al di sopra di ogni nome” (come dirà Paolo ai cristiani che vivono a Filippi al capitolo 2,9).

Dobbiamo allora crescere nella conoscenza della verità delle cose di Dio e sforzarci di capirne assolutamente il giusto significato e comprenderne il limite profondo.

Altrimenti ci troveremmo di fronte a un Dio che gode nel vederci soffrire e morire nel dolore.

Infatti sento sempre dire “…ma perché Dio mi ha dato questa croce”?

MA COSÌ FACENDO, DIMENTICHIAMO CHE LA CROCE, CHE NON È MAI INVIATA DA DIO, MA VIENE FUORI DALLA VITA.

E dimentichiamo che allo stesso tempo è anche una opportunità, che ci è data, PER TIRARE FUORI IL MEGLIO CHE C’È IN NOI.

Perché la Croce ci fa conoscere un aspetto del cuore di Dio, che solo Lui poteva rivelarci: la ferita provocata dal peccato e dall’ingratitudine dell’uomo diventa fonte, non solo di una sovrabbondanza d’amore, ma anche di una nuova creazione nella gloria.

Attraverso la follia della Croce, lo scandalo della sofferenza può diventare sapienza, e la gloria promessa a Gesù può, di conseguenza, qualora la abbracciamo con Fede, essere condivisa da tutti coloro che desiderano seguirlo. Solo così la morte, la malattia, le molteplici ferite che l’uomo riceve nella carne e nel cuore, diventano per l’uomo, un’occasione per entrare più intensamente nella vita stessa di Dio.

Prendiamo esempio dalla nostra Mamma Celeste, Maria, che ha vissuto pienamente presso la Croce, la sofferenza del mondo, la follia, lo scandalo ed è diventata, nel sangue di Cristo, il grido d’amore e il seme di gloria per ciascuno di noi.

Santa croce, beata croce, così evidente e così misteriosa, mai capita e sempre vilipesa, soprattutto da noi discepoli del Nazzareno.

Anche per noi la croce rappresenta il punto di non ritorno dell’amore di Dio. Rappresenta la parola definitiva di Dio sul mondo, attraverso il dono totale e assoluto di sé.

Questo significa, secondo le intenzioni di Gesù, il prendere la croce:

  • significa donarsi, totalmente, a Dio
  • come Dio ha saputo donarsi a noi.

Allora perché della croce, stravolgendone il significato, abbiamo colto l’aspetto dolente? Come una penitenza da sopportare, un regalo non gradito voluto da Dio, che umilmente sopportiamo… Non è così: da strumento di tortura raffinato e preverso la croce è diventata l’emblema della misura dell’amore senza misura di Dio.

È questo amore che oggi esaltiamo, non il dolore che essa porta con sé. Perché amare, lo sappiamo bene anche noi uomini, spesso richiede sacrificio e incomprensione. Oggi esaltiamo l’amore donato e lo poniamo in alto nelle nostre scelte, appeso alle nostre case perché irradi, con la sua logica, tutta la nostra vita.

Trovo bello pensare alla festa di oggi come al giorno in cui ognuno di noi, ai piedi della croce, chiede a Dio il dono della speranza di vivere la propria vita, magari accompagnata da tante prove, non come un venerdì santo perenne, ma come un cammino che passa ANCHE per il venerdì santo E NON SI FERMA LÌ, ma punta dritto verso la vita eterna.

Il cristiano ai piedi della croce deve chiedere a Dio il dono di quella stessa speranza che ebbe Maria ai piedi della croce, ossia che il dolore e la morte non avranno mai l’ultima parola.

Sulla croce si sale e dalla croce si scende; in qualche modo essa è il luogo dove si congiunge la nostra infinita tensione a voler scalare e conquistare il cielo, all’infinita umiltà di Dio che scende fino al nostro niente, solo perché CI AMA DI AMORE INFINITO.

Sulla croce si muore e dalla croce si riceve la vita: è IL MISTERO DELLA FEDE che riesce a sciogliere il nodo e il problema ultimo dell’esistenza, sul perché del male, del dolore innocente, della guerra, della separazione: IN ESSA SI È ESPRESSO IL PUNTO PIÙ ALTRO DELL’AMORE TOTALE DI DIO

La croce, già segno del più terribile fra i supplizi, è quindi, per il cristiano l’albero della vita, il talamo, il trono, l’altare della nuova alleanza. Infatti, la glorificazione di Cristo passa attraverso il supplizio della croce e l’antitesi sofferenza-glorificazione diventa fondamentale nella storia della Redenzione.

Cristo, incarnato nella sua realtà concreta umano-divina, si sottomette volontariamente all’umiliante condizione di schiavo (la croce, dal latino “crux”, cioè tormento, era riservata agli schiavi) e l’infamante supplizio viene tramutato in gloria imperitura. Così la croce diventa il simbolo e il compendio della religione cristiana.

Dal Cristo, nuovo Adamo addormentato sulla croce, è scaturito il mirabile sacramento di tutta la Chiesa.

La croce è il segno della signoria di Cristo su coloro che nel Battesimo sono configurati a lui nella morte e nella gloria.

Nella tradizione dei Padri la croce è il segno del figlio dell’uomo che comparirà alla fine dei tempi.

La festa dell’esaltazione della croce, che in Oriente è paragonata a quella della Pasqua, si collega con la dedicazione delle basiliche costantiniane costruite sul Golgota e sul sepolcro di Cristo.

La stessa evangelizzazione, operata dagli apostoli, è la semplice presentazione di “Cristo crocifisso”.

Il cristiano, accettando questa verità, “è crocifisso con Cristo” e deve portare quotidianamente la propria croce, sopportando ingiurie e sofferenze, come Cristo, gravato dal peso del proprio “patibulum” (il braccio trasversale della croce, che il condannato portava sulle spalle fino al luogo del supplizio dov’era conficcato stabilmente il palo verticale).

Le sofferenze che riproducono nel corpo mistico della Chiesa lo stato di morte di Cristo, sono un contributo alla redenzione degli uomini, e assicurano la partecipazione alla gloria del Risorto.

La croce santa del Signore è quel luogo dove si può salire e rimanere unicamente mossi da vera compassione per l’altro, nei confronti del quale ci si sente liberi di offrire un po’ di quell’abbondanza di vita che abbiamo gratuitamente ricevuto e sperimentato.

Del resto l’unica persona che può davvero esaltare è soltanto Dio, come ha fatto con il suo Figlio, resosi solidale con la nostra fragilità umana, fino alla morte e alla morte di croce, «perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra, e ogni lingua proclami: “Gesù Cristo è Signore!”» (filippesi 2,10).

La nostra esaltazione della croce, dunque, non può che esprimersi nel desiderio di contemplare e indicare quel simbolo di fede e di amore che, fino a poco tempo fa, aveva facile cittadinanza nelle scuole, negli ospedali, negli edifici privati e pubblici della nostra povera Italia ex-cattolica.

In nome di una società “politically correct” anche sotto il profilo religioso, stiamo perdendo la nostra identità, i nostri valori, e le nostre origini, che, in modo meraviglioso ci identificavano. In nome di una aberrante “globalizzazione” che nulla ha a che vedere con una corretta integrazione, nel rispetto e nella accettazione delle diversità.

Ora può essere solo mostrato soprattutto attraverso il segno di una vita liberamente offerta e, per questo, capace di rivelare il volto di quel Dio che «ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna» (Gv 3,16).

Ragioniamoci sopra…

Sia Lodato Gesù, il Cristo!