DOMENICA 1 AVVENTO C 28.11.2021 – Lc 21,25-28.34-36 “La vostra liberazione è vicina”.

… il VECCHIO FARISEO COMMENTA….

Vedere approfondimenti sul nostro sito WWW.INSAECULASAECULORUM.ORG

Dal Vangelo secondo Luca 21,25-28.34-36

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli «Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, mentre gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte. Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con grande potenza e gloria. Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina. State attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso all’improvviso; come un laccio infatti esso si abbatterà sopra tutti coloro che abitano sulla faccia di tutta la terra. Vegliate in ogni momento pregando, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che sta per accadere, e di comparire davanti al Figlio dell’uomo». Parola del Signore

 

Mediti…AMO

L’AVVENTO

Oggi incomincia il nuovo anno liturgico con la prima Domenica di Avvento.

Siamo invitati pertanto dalla Chiesa a entrare con piena docilità allo Spirito in questo Tempo di preparazione alla venuta del Cristo nel suo Natale.

Accendiamo con la Liturgia la prima candela della corona di Avvento: è la candela della SPERANZA.

l tempo di Avvento era anticamente –dalla metà del IV secolo – un periodo di digiuno, che la Chiesa primitiva stabilì nel periodo tra il giorno di san Martino (11 novembre) e le date in cui originalmente veniva festeggiata la nascita di Cristo e la festa della sua manifestazione il 6 gennaio.

Il digiuno fu inizialmente stabilito in tre giorni la settimana, successivamente tutti i giorni tranne sabato e domenica.

Nelle otto settimane (56 giorni) dal giorno di san Martino fino al 6 gennaio vi sono così, esclusi i fine settimana, 40 giorni di digiuno, corrispondenti ai quaranta giorni di digiuno che precedono la Pasqua.

Le prime tracce di una tale preparazione alla nascita di Cristo si trovano nella Chiesa orientale, dove la festa dell’apparizione del Signore era un’importante data per il battesimo.

Nell’Occidente la pratica del digiuno dell’Avvento si diffuse dapprima in Spagna e nella Gallia.

La sua espressione nella liturgia vide l’attesa della nascita di Gesù dal V secolo circa, verso la metà del VI secolo a Roma, dove la felice attesa dell’incarnazione di Cristo fu particolarmente accentuata.

L’escatologica seconda venuta di Cristo e il Giudizio universale incentivarono successivamente i missionari irlandesi come san Colombano, che fu missionario nelle Gallie, e contribuirono allo sviluppo dell’Avvento come periodo di penitenza; così nella Santa Messa si rinunciò al Gloria e all’Alleluia, ciò che nel XII secolo fu adottato ufficialmente anche nella liturgia latina dell’Avvento.

Questa doppia valenza tematica tra il periodo di penitenza e il comportamento di felice attesa, lo troviamo ancora oggi, come espressione liturgica nelle domeniche di Avvento.

MA IL TEMPO DI AVVENTO NELLE QUATTRO SETTIMANE CON RIFERIMENTO AL NATALE, RISALE AL VII SECOLO ed è il tempus ante natale Domini (Tempo che precede la nascita del Signore) o tempus adventūs Domini (tempo della venuta del Signore).

FU PAPA GREGORIO MAGNO CHE FISSÒ LE DOMENICHE DI AVVENTO PER LA CHIESA OCCIDENTALE IN QUATTRO FESTE.0

LE QUATTRO DOMENICHE STANNO SIMBOLICAMENTE A RAPPRESENTARE I QUATTROMILA ANNI, CHE GLI UOMINI, SECONDO L’INTERPRETAZIONE DI ALLORA, DOVETTERO ATTENDERE PER LA VENUTA DEL SALVATORE, DOPO AVER COMMESSO IL PECCATO ORIGINALE.

Sebbene l’imperatore Carlo Magno avesse predisposto per la Francia le quattro settimane del tempo di Avvento, nella Chiesa latina singole diocesi continuarono ad adottare un tempo di Avvento di cinque o sei settimane.

Si sostenne la tesi che il tempo di Avvento dovesse comprendere quattro settimane complete e che il Natale sarebbe iniziato con il vespro dell’ultimo giorno di avvento.

Fu stabilito dal Concilio di Trento, dopo che differenti tradizioni regionali l’ebbero stabilita, nel 1570 durante il pontificato di papa Pio V.

In alcune diocesi, che hanno mantenuto il Rito ambrosiano, è rimasta, ad esempio nell’arcidiocesi di Milano, la regola è di sei settimane di durata dell’Avvento. Lo stesso avviene nelle Chiese ortodosse.

Come pericope per il Vangelo nelle domeniche dell’Avvento nell’VII° secolo venivano lette:

  1. Ingresso di Gesù in Gerusalemme (Vangelo secondo Matteo, 23-24),
  2. Ritorno del Figlio di Dio (Vangelo secondo Luca, 21, 25-22),
  3. la domanda di Giovanni il Battista a Gesù (Vangelo secondo Matteo, 11, 2-10),
  4. la testimonianza del Battista (Vangelo secondo Giovanni, 1, 19-28).

La lettura del Vangelo sull’ingresso di Gesù in Gerusalemme nella Chiesa cattolica cessò con la riforma del Messale nel 1570.

Nelle Chiese evangeliche viene fino ad oggi letto nella prima domenica di Avvento.

Il tempo di Avvento è tempo di digiuno per la Chiesa orientale dal Medioevo fino ai tempi odierni come Tempus clausus (Tempo chiuso).

Nei “tempi chiusi” non è permesso danzare e festeggiare in modo dispendioso, né sposarsi, né fare battesimi festosi.

Dal 1917 i digiuni dell’Avvento non sono stati più richiesti dal Codice di diritto canonico.

Esame del testo evangelico

Gesù annuncia la sua nuova venuta, che sarà non nella povertà della nostra carne mortale come accadde duemila anni fa, ma nella gloria di una nube gloriosa.

Dio ha in mente di attuare tutte le ‘promesse di bene’ che egli aveva fatto all’umanità, e che il profeta Geremia torna a ricordare.

Dunque, possiamo ben sperare: “la nostra liberazione è vicina”.

Gesù ci vuole così bene, che la sua nuova venuta sarà un colpo di grazia capace di risanare il mondo.

Occorre fin da subito risollevarci e levare il capo verso di Lui.

Un presbitero poeta, insegnante, Clemente Luigi Antonio RÈBORA (Milano 1885-Stresa 1957, scrisse poesie che riflettono il suo costante colloquio con Dio) nella sua poesia “DALL’IMMAGINE TESA” ci dice che dobbiamo Vigilare:

“[…] VERRÀ, SE RESISTO,

A SBOCCIARE NON VISTO,

VERRÀ D’IMPROVVISO,

QUANDO MENO L’AVVERTO:

VERRÀ QUASI PERDONO,

DI QUANTO FA MORIRE,

VERRÀ A FARMI CERTO,

DEL SUO E MIO TESORO

DELLE MIE E SUE PENE

VERRÀ,

FORSE GIÀ VIENE

IL SUO BISBIGLIO

Bene… veniamo a noi.

Il Vangelo di Luca è indirizzato ai cristiani della sua epoca ma anche a quelli di tutti i tempi, che devono vivere nella fede del Signore in mezzo al mondo. Sono parole di consolazione e di speranza, di fronte alle tribolazioni e alle tristezze della vita.

Gli stessi avvenimenti che disorientano gli uomini sono per i cristiani il segno che l’ora della salvezza si avvicina.

Dietro tutte le peripezie, per quanto dolorose possano essere, i cristiani potranno scoprire il Signore che annuncia la sua venuta, la sua redenzione, e l’inizio di una nuova era.

La venuta del Signore non è considerata una cosa vicina nel tempo. Ma bisognerà attendere fino alla creazione definitiva del Regno di Dio.

È necessario dunque che essi siano pazienti di fronte alle avversità, e perseveranti nel cammino che li conduce alla vita piena.

È per questa ragione che il vangelo ci mette in guardia contro il pericolo di rilassarci.

Bisogna restare vigili, in preghiera, e chiedere forza, perché ogni affanno terreno smussa i cuori, distrae il pensiero e impedisce di vivere, senza angoscia né sorpresa, l’attesa gioiosa del Signore che è misericordia e vita nuova.

Il cammino verso il Signore che viene, poi, non è compiuto una volta per tutte. Ma liturgicamente, ogni anno ci viene riproposto puntualmente.

È un cammino certamente faticoso, simile a quella fatica che facciamo ad andare in montagna, dove, una volta raggiunta la cima, rimaniamo senza respiro, davanti all’orizzonte stupendo che si para davanti ai nostri occhi.

L’Avvento è il tempo delle promesse, delle quali però non ci ricordiamo, perché ci limitiamo a procedere stanchi e svogliati lungo i tornanti della nostra vita, cullandoci nei nostri peccati e lasciandoci sopraffare dai nostri limiti umani.

E ci dimentichiamo che Dio si commuove davanti alle nostre prove, non resta indifferente, ma ci dice “…Io realizzerò le promesse che ho fatto ai vostri padri e a voi. Vi darò un segno: Farò germogliare per tutti voi, per tutti gli uomini di buona volontà, un Germoglio giusto, Gesù-l’Emmanuele. Le vostre Comunità saranno chiamate Signore-nostra-giustizia“.

Nel dolore e nel pianto, SEMPRE, si apre davanti ai nostri occhi una speranza concreta e sconfinata, GRAZIE A DIO che, ancora una volta, sceglie di restare con noi, e di provvedere a noi con la dolcezza dei suoi occhi di Padre.

È quella Promessa che ogni uomo aspettava dalla notte dei tempi “…Vedrete il Figlio dell’uomo venire su una nube con grande potenza e gloria“.

Vedremo il Figlio dell’uomo, Gesù, nostro concittadino, pellegrino delle nostre strade, che partecipa alle nostre sofferenze, che ci offre il dono di speranza e di guarigione per il corpo e per l’anima.

Ecco allora che “la liberazione è allora veramente vicina“, è alle porte della nostra esistenza.

Ovviamente questo dono di Dio ci chiede una risposta generosa e pronta. Ben la descrive Paolo di Tarso “…Il Signore, vi faccia crescere e sovrabbondare nell’amore fra voi e verso tutti, saldi nei vostri cuori e irreprensibili. E vivete la regola di vita che vi ho dato da parte del Signore Gesù“.

Questa è la regola di vita dell’Avvento “Vivere nell’amore reciproco., tenendo presente che la venuta del Signore non si conclude con la scoperta dell’amore, MA INIZIA CON L’IMPEGNO DELLA VITA SPESA NELL’AMORE vicendevole.

Gesù che viene ci vuole trovare uniti come un cuor solo e un’anima sola.

Soltanto l’amore ci prepara ad essere irreprensibili nella santità: persone buone, accoglienti, piene di speranza, desiderose di Gesù per vivere come Gesù.

È certo che Gesù verrà “con grande potenza e gloria“. Senza l’attesa che alimenta l’amore rischiamo di non vederlo. E se non vediamo Lui, non vediamo la nostra liberazione, la bellezza della nostra vita, la grandezza di un futuro faticoso e di un presente da vivere in pienezza, con tutta la nostra persona, con tutta la nostra generosità.

Restiamo svegli perché “i nostri cuori non si appesantiscano nella dissipazione, nello spreco di energie e negli affanni della vita” perdendo la loro “leggerezza” spirituale, quel battito dell’amore, che ci rende sempre più simili a Dio.

E non sperimenterebbero la freschezza della vigilanza, l’autenticità dell’attesa, lo stato d’animo della sentinella. E il Signore non ci troverà con la lampada accesa quando lo Sposo verrà per la festa di nozze.

Con nostalgia continuo a ripensare a cose scritte tempo fa, ma che sento ancora vive e importanti, quando sento che la LITURGIA, alla MENSA DELLA PAROLA, ci racconta di un futuro che comincia nel presente.

La cui traduzione letterale è “vengono giorni in cui io compirò la Parola buona...”.

È quindi un presente, il tempo nel quale Dio opera, costruisce e compirà la promessa.

GESÙ È LA PAROLA BUONA CHE COMPIE TUTTE LE PROMESSE DI DIO.

E Gesù ci dice che questo nostro mondo, fatto di segni che possono preoccupare e fare paura, ne porta un altro dentro di sé: è questione di cambiare sguardo, di guardare oltre.

Un mondo più buono e più giusto, dove tante persone sono il segno di Dio che viene, che si fa vicino, che visita la mia fragilità e mi libera, riaccendendo la luce del sole, della luna e delle stelle: E LO FA PER ME, PERCHÉ’ MI AMA.

È sufficiente cambiare sguardo per essere segno della presenza e della misericordia di Dio.

Ecco allora! Il mondo non sta precipitando nel caos, come dicevamo domenica scorsa, MA FRA LE BRACCIA DI DIO.

E io lo credo, lo vivo con fatica e combatto per costruire spazi di Regno nel caos, per costruire occasioni di luce nelle tenebre, per mettere ordine in me e dove vivo.

Ma posso farlo solo con la preghiera e la meditazione della Parola, che giorno dopo giorno, mi svela quelle tracce di misericordia, SULLA CUI SCIA IO DEVO CAMMINARE E CHE MI CONDUCONO VERSO IL PADRE.

È QUELLA PAROLA CHE SI FA IN ME PREGHIERA, QUANDO VIVO SECONDO IL VOLERE DI DIO.

ED È QUELLA STESSA PAROLA CHE CREÒ DAL NULLA LE COSE CHE ANCORA RICREA, “HIC ET NUNC”, “QUI ED ORA”, L’OGGI DI DIO.

Ecco allora che il Vangelo ci prende per mano, ci porta fuori dalla porta di casa, a guardare in alto, in modo da farci “percepire il mondo e le vite pulsare attorno a noi, a sentirci parte di una immensa vita”, che patisce, che soffre, che si contorce, nell’attesa che noi le tributiamo il nostro CONTRIBUTO DI AMORE.

E, credetemi, possiamo farcela, Dio ci sostiene, un buon percorso per un “Adventus” di conversione al Natale.

E ce la faremo se siamo pronti “se no come un laccio quel giorno si abbatterà su chi abita sulla faccia della terra”, su chi ci vive attaccato, come se dovesse starci per sempre.

La nostra vita la dobbiamo vivere per preparaci a incontrare il Signore: se viviamo così saremo pronti a partire. Ma se viviamo egoisticamente solo per questo mondo e per noi stessi, quando il Signore arriverà sarà un brutto momento e non vorremo certamente incontrarlo.

Dunque “vegliate pregando”, cioè dobbiamo vivere rivolti verso Dio, rivolgendoci a Lui, pregandolo sempre.

Così da ricevere la forza per sfuggire all’angoscia del futuro e alla paura della morte, ma avendo imparato a vivere la gioia dell’attesa.

Che bella la vita di chi è pronto a partire, aperto alla novità, proiettato verso l’eternità!

Nella Liturgia, nell’Orazione-colletta della prima Domenica di Avvento, si prega:

  • «Padre santo, che mantieni nei secoli le tue promesse, rialza il capo dell’umanità oppressa da tanti mali e apri i nostri cuori alla speranza, perché sappiamo attendere senza turbamento il ritorno glorioso del Cristo, giudice e salvatore». Amen

Ragioniamoci sopra…

Sia Lodato Gesù, il Cristo!