“«Fermatevi nelle strade e guardate, informatevi circa i sentieri antichi, dove sta la strada buona e prendetela, così troverete pace per le anime vostre» (Geremia 6,16). Voglia il Cielo che ascoltiamo la voce del Signore che ci dice «…questa è la strada, percorretela» (Is 30,21).
Io ti prego, o mio DIO: effondi il tuo SANTO SPIRITO, su questo indegno tuo servo, perchè io possa leggere la Tua PAROLA, e possa trasmetterla, contemplando ciò che ha rivelato il VERBO TUO.
E beati siano coloro che HANNO OCCHI DI FEDE per riconoscere il mistero pasquale presente nell’umile quotidiano e mani operose PER FARE DELLA PROPRIA VITA UN GIARDINO IN CUI DIO PUÒ PASSEGGIARE.”
Pietro Saltarelli… il VECCHIO FARISEO COMMENTA…. “In illo tempore: dixit Iesus…”
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Dal Vangelo secondo MATTEO 9,9-13
+ In quel tempo, mentre andava via, Gesù, vide un uomo, chiamato Matteo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi». Ed egli si alzò e lo seguì. Mentre sedeva a tavola nella casa, sopraggiunsero molti pubblicani e peccatori e se ne stavano a tavola con Gesù e con i suoi discepoli. Vedendo ciò, i farisei dicevano ai suoi discepoli: «Come mai il vostro maestro mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori?». Udito questo, disse: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Andate a imparare che cosa vuol dire: “Misericordia io voglio e non sacrifici”. Io non sono venuto infatti a chiamare i giusti, ma i peccatori». Parola del Signore
Mediti…AMO
Matteo fa l’esattore delle tasse, a Kapernahum, in Galilea, dove Gesù lo incontra, lo chiama e lui si alza, di colpo, lascia tutto e lo segue.
Per lui da quel momento cessano di esistere i tributi, le finanze, i Romani. Tutto è cancellato PER SEMPRE NEL SUO CUORE, da quella parola di Gesù “Seguimi”.
Pochissimo sappiamo della sua vita, ma abbiamo il suo Vangelo, a lungo ritenuto il primo dei quattro testi canonici, in ordine di tempo.
Ora gli studi mettono a quel posto il Vangelo di Marco: diversamente dagli altri tre, il testo di Matteo non è scritto in greco, ma in lingua “ebraica” o “paterna”, secondo gli scrittori antichi.
E quasi sicuramente si tratta dell’aramaico allora parlato in Palestina.
Matteo ha voluto innanzitutto parlare a cristiani di origine ebraica, per presentare ad essi gli insegnamenti di Gesù, COME CONFERMA E COMPIMENTO DELLA LEGGE MOSAICA.
Di Matteo di continuo lega fatti, gesti, detti relativi a Gesù con i richiami all’Antico Testamento, per far ben capire da dove il Signore viene, e che cosa è venuto a realizzare.
Da qui, l’evangelista Matteo delinea gli eventi del grandioso futuro della comunità di Gesù, della Chiesa, del Regno che compirà le profezie, quando i popoli “vedranno il Figlio dell’Uomo venire sopra le nubi del cielo in grande potenza e gloria” (24,30).
Scritto in una lingua per pochi, il testo di Matteo DIVENTA LIBRO DI TUTTI (Dio è un grande!) DOPO LA TRADUZIONE IN GRECO.
La Chiesa ne fa strumento di predicazione in ogni luogo, lo usa nella liturgia. Ma di lui, Matteo, sappiamo solo che viene citato per nome, con gli altri Apostoli, nel Libro degli Atti degli Apostoli (cap.1,13) subito dopo l’Ascensione al cielo di Gesù.
Ancora negli Atti, Matteo risulta presente con gli altri Apostoli all’elezione di Mattia, che prende il posto di Giuda Iscariota.
Ed è in piedi con gli altri undici, quando Pietro, nel giorno della Pentecoste, parla alla folla, annunciando che Gesù è “Signore e Cristo”.
Poi, ha certamente predicato in Palestina, tra i suoi, ma ci sono ignote le vicende successive. La Chiesa lo onora come martire.
San Gerolamo osservava che soltanto lui, nel suo Vangelo, indica se stesso con il proprio nome: Matteo; gli altri evangelisti, raccontando lo stesso episodio, lo chiamano Levi, il suo secondo nome, probabilmente meno conosciuto, quasi per velare il suo nome di pubblicano.
Matteo invece insiste in senso contrario: si riconosce come un pubblicano chiamato da Gesù, uno di quei pubblicani poco onesti e disprezzati, come collaboratori dei Romani occupanti.
I pubblicani, i peccatori chiamati da Gesù fanno scandalo.
Matteo presenta se stesso come un pubblicano perdonato e chiamato, e così ci fa capire in che cosa consiste la vocazione di Apostolo.
E’ prima di tutto riconoscimento della misericordia del Signore.
Negli scritti dei Padri della Chiesa si parla sovente degli Apostoli, come dei “principi”, invece Matteo non si presenta come un principe, ma come un peccatore perdonato.
Ed è qui ripeto il fondamento dell’apostolato: aver ricevuto la misericordia del Signore, aver capito la propria povertà e pochezza, averla accettata come il “luogo” in cui si effonde l’immensa misericordia di Dio e, il luogo in cui si concretizza la Sua Parola “…Misericordia io voglio… non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori”.
Una persona che abbia un profondo sentimento della misericordia divina, non in astratto, ma per se stessa, è preparata per un autentico apostolato.
Ma chi non lo possiede, anche se è chiamato, difficilmente può toccare le anime in profondità, perché non comunica l’amore di Dio, l’amore misericordioso di Dio.
Vero Apostolo, come dice san Paolo, è pieno di umiltà, di mansuetudine, di pazienza, avendo esperimentato per se stesso la pazienza, la mansuetudine e l’umiltà divina, se si può dire così: l’umiltà divina che si china sui peccatori, li chiama, li rialza pazientemente.
Domandiamo al Signore di avere questo profondo sentimento della nostra pochezza e della sua grande misericordia; siamo peccatori perdonati.
Anche se non abbiamo mai commesso peccati gravi, dobbiamo dire come sant’Agostino, che Dio ci ha perdonato in anticipo i peccati che per sua grazia non abbiamo commesso.
Agostino lodava la misericordia di Dio che gli aveva perdonato i peccati che per sua colpa aveva commesso e quelli che per pura GRAZIA del Signore aveva evitato.
Tutti dunque possiamo ringraziare il Signore per la sua infinita misericordia e riconoscere la nostra povertà di peccatori perdonati, esultando di gioia per la bontà divina.
Ricordiamo comunque che Matteo ha già narrato la chiamata di due coppie di fratelli: Simone e Andrea, Giacomo e Giovanni (Mt 4,18-22: III domenica del T.O.), dove abbiamo visto la stessa chiamata che scuote alla vocazione, espressa nel medesimo schema: Gesù passa, vede qualcuno che è intento a svolgere la sua attività, lo chiama a diventare suo discepolo; il chiamato lascia tutto e aderisce a Gesù, cioè lo segue.
L’unica novità rispetto alla precedente chiamata, sta nel fatto che qui non si tratta di pescatori, ma di un “pubblicano”, cioè un esattore delle tasse al servizio dei romani, appartenente alla categoria di uomini considerati sfruttatori e strozzini, odiati dal popolo ed esclusi dalla comunità religiosa di Israele.
Dire “pubblicano” equivaleva a dire “peccatore”.
Questo schema rivela alcune componenti essenziali della vocazione cristiana, nella quale l’iniziativa è di Gesù: passa, vede, cioè sceglie.
Il Suo non è uno sguardo distratto e indifferente, ma uno sguardo carico di amore.
CHIAMA I SUOI DISCEPOLI, NON PER MERITI O CAPACITA’, MA PER PURA GRAZIA, A UN RAPPORTO PERSONALE CON LUI.
E, mentre li lega a sé, li inserisce in una comunità, in una famiglia, la sua, dove alla sua scuola impareranno ad accettarsi e ad accogliersi come fratelli, superando ogni contrapposizione e rivalità.
L’iniziativa di Gesù provoca la risposta immediata del chiamato “Ed egli si alzò e lo seguì”.
Risposta che è rottura con la situazione anteriore (professione) e dono totale di sé, a Colui che chiama per condurre insieme con Lui una nuova esistenza.
E questa risposta esprime la Fede per cui il discepolo “si affida” a Colui che lo chiama, condividendo il suo progetto di vita e perdendo il proprio.
E noi?
Siamo capaci di rispondere al Signore che ci chiama con la STESSA FEDE, LA STESSA IMMEDIATEZZA DECISIONALE E LA STESSA FEDELTA’ FINO ALLA MORTE?
Ragioniamoci sopra…
Pax et Bonum tibi, frater in Christo!
Il Signore IDDIO ti Benedica
Prega il Signore per me, Fratello che Leggi…
…e ti prego di copiare e condividere, se ciò che hai letto è stato di tuo gradimento!
Sia Lodato Gesù, il Cristo!