«Fermatevi nelle strade e guardate, informatevi circa i sentieri antichi, dove sta la strada buona e prendetela, così troverete pace per le anime vostre». Geremia 6,16
Pietro Saltarelli… il VECCHIO FARISEO COMMENTA…. “In illo tempore: dixit Iesus…”
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Dal Vangelo secondo LUCA 6,20-26
+ In quel tempo, Gesù, alzàti gli occhi verso i suoi discepoli, diceva: «Beati voi, poveri, perché vostro è il regno di Dio. Beati voi, che ora avete fame, perché sarete saziati. Beati voi, che ora piangete, perché riderete. Beati voi, quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e disprezzeranno il vostro nome come infame, a causa del Figlio dell’uomo. Rallegratevi in quel giorno ed esultate perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nel cielo. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i profeti. Ma guai a voi, ricchi, perché avete già ricevuto la vostra consolazione. Guai a voi, che ora siete sazi, perché avrete fame. Guai a voi, che ora ridete, perché sarete nel dolore e piangerete. Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i falsi profeti». Parola del Signore
Mediti…AMO
Il Crisostomo (Antiochia c. 349 – Comana Pontica, sul Mar Nero 14 settembre 407) fu annunziatore fedele della parola di Dio, come presbitero ad Antiochia (386-397) e come vescovo a Costantinopoli (397-404).
E’ DOTTORE E PADRE DELLA CHIESA.
Qui si dedicò all’evangelizzazione e alla catechesi, all’opera liturgica, caritativa e missionaria.
Fu un grande predicatore, nel 398 chiamato a succedere al patriarca Nettario sulla cattedra di Costantinopoli.
“Crisostomo”, vuol dire “bocca d’oro” e fu il soprannome dato a Giovanni a motivo del fascino suscitato dalla sua arte oratoria.
L’attività di Giovanni fu apprezzata e discussa: grande evangelizzazione delle campagne, creazione di ospedali, processioni anti-ariane sotto la protezione della polizia imperiale, sermoni di fuoco con cui fustigava vizi e tiepidezze, severi richiami ai monaci indolenti e agli ecclesiastici troppo sensibili alla ricchezza.
Deposto illegalmente da un gruppo di vescovi capeggiati da Teofilo di Alessandria, ed esiliato, venne richiamato quasi subito dall’imperatore Arcadio.
Ma due mesi dopo Giovanni era di nuovo esiliato, prima in Armenia, poi sulle rive del Mar Nero.
Qui il 14 settembre 407, Giovanni morì. Dal sepolcro di Comana, il figlio di Arcadio, Teodosio il Giovane, fece trasferire i resti mortali del santo a Costantinopoli, dove giunsero la notte del 27 gennaio 438.
L’anafora eucaristica da lui rielaborata in forma definitiva sull’antico schema antiocheno è ancor oggi la più diffusa in tutto l’Oriente.
Nella sua opera di maestro e dottore ha rilievo il commento alle Scritture, specialmente alle lettere paoline, e il suo contributo alla dottrina eucaristica.
Giovanni si dedicò agli studi di retorica sotto la direzione del celebre LIBANIO, che lo stimava a tal punto da rispondere a chi gli chiedeva chi volesse come suo successore: “Giovanni, se i cristiani non me lo avessero rubato!”
Dopo aver ricevuto il battesimo, Giovanni frequentò la cerchia di Diodoro, il futuro Vescovo di Tarso: nel gruppo di discepoli che si radunavano attorno a costui imparò a leggere le Scritture secondo il metodo antiocheno, attento alla spiegazione letterale dei testi, e compì i primi passi lungo quel cammino spirituale che lo condurrà a lasciare la città e a vivere alcuni anni in solitudine sul monte Silpio, nei pressi di Antiochia.
Rientrato in città, fu ordinato diacono dal Vescovo Melezio nel 381 e, cinque anni più tardi, presbitero dal Vescovo Flaviano, che gli fu maestro non solo di eloquenza, ma anche di carità e saldezza nella fede.
Furono anni di intensa predicazione: Giovanni commentava le Scritture secondo i principi esegetici della scuola antiochena, aliena da ogni allegorismo e sostanzialmente fedele alla lettera del testo biblico.
La predicazione di Giovanni si traduceva sovente in esortazione morale: ora, veniva presa di mira la passione per gli spettacoli che eccitava i cristiani di Antiochia, ora la rilassatezza dei costumi.
Con grande zelo esorta a radicare la propria vita di credenti nella conoscenza delle Scritture, a vivere un’intensa vita spirituale senza ritenere che essa sia riservata soltanto ai monaci, a praticare la carità nella cura sollecita per il “sacramento del fratello”.
“È un errore mostruoso credere che il monaco debba condurre una vita più perfetta, mentre gli altri potrebbero fare a meno di preoccuparsene … Laici e monaci devono giungere a un’identica perfezione” (Contro gli oppositori della vita monastica 3, 14).
Nel 397 Giovanni fu chiamato a Costantinopoli quale successore del Patriarca Nettario.
Nella capitale dell’impero il nuovo Patriarca si dedicò con grande zelo alla riforma della Chiesa: depose i Vescovi simoniaci, combatté l’usanza della coabitazione di preti e diaconesse, predicò contro l’accumulo delle ricchezze nelle mani di pochi e contro l’arroganza dei potenti, e destinò gran parte dei beni ecclesiastici a opere di carità.
Anche a Costantinopoli continua il suo ministero di predicatore della Parola e di operatore di pace, fino ai goti e ai fenici.
Intransigente quando la fede è minacciata, predica l’amore per il peccatore e per il nemico. “Il popolo lo applaudiva per le sue omelie e lo amava”, afferma lo storico Socrate (Storia ecclesiastica 6,4).
Tutto questo gli procurò molti amici e molti nemici: amato dai poveri come un padre, fu osteggiato dai potenti, che vedevano in lui una temibile minaccia per i loro privilegi.
L’inimicizia nei suoi confronti crebbe con l’ascesa al potere dell’imperatrice Eudossia. Costei, nel 403, con l’appoggio del Patriarca di Alessandria, Teofilo, indisse un processo contro Giovanni e lo fece deportare e condannare all’esilio.
Il decreto di condanna fu revocato dopo poco tempo e Giovanni poté rientrare in diocesi, ma solo per pochi mesi.
Durante la celebrazione della Pasqua del 404 le guardie imperiali fecero irruzione nella cattedrale della città provocando uno spargimento di sangue; vi furono disordini per diversi giorni.
Poco dopo la festa di Pentecoste, Giovanni fu arrestato e nuovamente condannato all’esilio.
Per evitare mali ulteriori, il Patriarca lasciò la casa episcopale uscendo da una porta secondaria; si congedò dai Vescovi riuniti in sacrestia e fece chiamare la diaconessa Olimpia e le sue compagne, che conducevano una vita comunitaria a servizio della chiesa nella casa accanto a quella del Vescovo. “Venite, figlie, ascoltatemi. Per me è giunta la fine, lo vedo. Ho terminato la corsa e forse non vedrete più il mio volto” (Palladio, Dialogo sulla vita di Giovanni Crisostomo, 10).
Con queste parole il padre si accomiata dalle sue figlie spirituali.
Giovanni fece appello al papa Innocenzo I, che ne riconobbe l’innocenza; ma ciò nonostante fu costretto a lasciare Costantinopoli.
Alla sua partenza vi furono tumulti in città: venne appiccato fuoco a una chiesa adiacente al palazzo del senato e questo fornì un pretesto alle autorità imperiali per arrestare e perseguitare i seguaci di Giovanni.
Questi fu confinato a Cucuso, una piccola città dell’Armenia, ma anche in questo luogo sperduto era raggiunto dalle manifestazioni di affetto dei suoi fedeli, e così i suoi nemici provvidero a farlo partire per una sede ancora più lontana.
Avrebbe dovuto raggiungere Pizio, sul Ponto, ma morì lungo il viaggio, a Comana, stremato dalle marce forzate a cui era stato sottoposto. Era il 14 settembre 407.
“Gloria a Dio in tutto: non smetterò di ripeterlo, sempre dinanzi a tutto quello che mi accade!” (Lettere a Olimpia, 4).
In queste parole troviamo condensata la testimonianza di Giovanni, che, anche in mezzo alle molte tribolazioni che occorre attraversare per entrare nel regno dei cieli (At 14,22), Giovanni ci insegna a cogliere la luce della risurrezione che già si sprigiona dalla croce e a portare la croce nella luce del Cristo risorto.
Allora ogni discepolo può proclamare con gioia: “Gloria a Dio in tutto!”.
In Oriente si incontrano molti monasteri a lui dedicati. Dottore della Chiesa, Giovanni circonda con i Santi Atanasio, Ambrogio e Agostino, la Cattedra del Bernini nell’abside della Basilica Vaticana. Papa Giovanni XXIII pose il Concilio Vaticano II sotto la sua protezione.
Ma vediamo il testo evangelico odierno.
Luca riprende in mano la splendida pagina delle Beatitudini in Matteo e la semplifica, aggiungendo alle quattro beatitudini, quattro “guai“.
Queste sono quasi sempre dimenticate da noi cattolici, che siamo ancora oggi ben legati al Decalogo dell’Antico Testamento, tanto da rischiare di perderci una delle indicazioni più importanti del Signore Gesù.
Certo, la versione di Luca è “ristretta”, perchè, diversamente da Matteo, riduce le beatitudini da nove a quattro (Mt 5,1-11) , aggiungendovi, però, quattro “guai” che non sono delle maledizioni (Fratelli e Sorelle, nelle Sacre Scritture non esistono formulari di maledizione, MA SOLO DI BENEDIZIONE) MA UN MONITO A CHI NON VIVE LE INDICAZIONI DEL MAESTRO.
Come a dire: io vi indico questa strada per la felicità, se vi incamminate dalla parte opposta non la raggiungerete mai.
In Luca sono espresse alla seconda persona plurale, indirizzate direttamente ad ascoltatori presenti nell’uditorio di Gesù e indicano una situazione concreta come la povertà, la fame, il pianto, la persecuzione; le beatitudini secondo Matteo mettono invece in risalto le condizioni spirituali dei beati, quali la povertà di spirito, la mitezza, la fame e sete di giustizia, la misericordia, la purezza di cuore…
Gesù guarda negli occhi le persone che ha davanti e vede che sono poveri, affamati, scoraggiati, perseguitati e da subito li rassicura, li incoraggia, li ama.
Le sue parole sono dirette, efficaci, toccano il cuore di chi lo ascolta e ribaltano le prospettive di vita, SOPRATTUTTO LE NOSTRE.
Infatti, nella logica del mondo sono beati e fortunati quanti vivono AGIATAMENTE E SENZA PROBLEMI LA VITA, anche se lontani da Dio.
Cosa che, invece, Luca vede come disastrosa e portatrice di tanti guai per queste persone, perché spesso, chi vive in questa vita un’esperienza di sazietà, di benessere, di soddisfazione rischia di spegnere il desiderio, di sedersi sulle proprie conquiste, di sentirsi arrivato.
Ma attenzione, il benessere certamente è dono di Dio ed è cosa positiva, MA RISCHIA DI “ANESTETIZZARE” IL NOSTRO BISOGNO E LA NOSTRA RICERCA DI DIO.
Ma ci sono anche rischi opposti.
Infatti chi invece vive una situazione di disagio, di persecuzione può cadere nella disperazione e nello sconforto.
Ma questo Evangelista, sembra descrivere la propria esperienza, sembra guardare all’uditorio di Gesù e alla sua comunità e a noi.
Inoltre, Fratelli e Sorelle, i Luca alle beatitudini seguono i “guai” (Ouaì hymîn), che sono grida di avvertimento per quanti si sentono autosufficienti.
Si faccia però attenzione: non sono maledizioni, ma constatazione di lamenti.
Constatazione che chi è ricco, sazio e gaudente non capisce, non comprende (Sal 49,13.21), non sa di andare verso la rovina e la morte, una morte che vive già nel rapporto con i propri fratelli e le proprie sorelle.
Questi “guai” sono eco degli avvertimenti dei profeti di Israele (Is 5,8-25 e Ab 2,6-20), sono un richiamo a mutare strada, a cambiare mentalità e comportamenti, sono un vero invito alla vita autentica e piena.
Se ha una vita fedele e conforme a Cristo, il cristiano non si attenda che gli vengano tolti i sassi dal cammino.
Al contrario, facilmente gli verranno scagliati addosso: se infatti è “giusto”, sarà odiato e non si sopporterà neppure la sua vista (Sap 1,16-2,20).
Ricordiamo infine anche il “guai, quando tutti diranno bene di voi”, PERCHÉ COME GESÙ È STATO “SEGNO DI CONTRADDIZIONE” (Lc 2,34), COSÌ LO È IL CRISTIANO, SE È CONFORME A LUI.
Ragioniamoci sopra…Pace e Bene!
Il Signore IDDIO ti Benedica
Prega il Signore per me, Fratello che Leggi…
…e ti prego di condividere, se ciò che hai letto è stato di tuo gradimento!
Sia Lodato Gesù, il Cristo!