… il VECCHIO FARISEO COMMENTA…. In illo tempore: dixit Iesus…
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Dal Vangelo secondo LUCA 14,12-14
In quel tempo, Gesù disse al capo dei farisei che l’aveva invitato: «Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici né i tuoi fratelli né i tuoi parenti né i ricchi vicini, perché a loro volta non ti invitino anch’essi e tu abbia il contraccambio. Al contrario, quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti». Parola del Signore
Mediti…AMO
Il vangelo di oggi continua a presentare gli insegnamenti che Gesù stava dando su diversi temi, tutti legati alla guarigione nel corso di un banchetto:
- -una guarigione durante un pasto (Lc 14,1-6);
- -un consiglio per non occupare i primi posti (Lc 14,7-12);
- -un consiglio per invitare gli esclusi (Lc 14,12-14).
Questa rappresentazione delle parole di Gesù attorno ad una determinata parola, quale per esempio tavola o banchetto, aiuta a percepire il metodo usato dai primi cristiani per conservare nella memoria le parole di Gesù.
Come fa spesso, Gesù anche qui lascia scaturire il suo insegnamento dal quadro vivace e lieto del convito. E ci interpella a proposito degli invitati per proporti un coraggioso salto di qualità nella nostra esistenza.
Il discorso precedente era rivolto agli invitati, questo all’invitante. A quelli Gesù ha detto di scegliere l’ultimo posto, a questo dice di scegliere gli ultimi. Il motivo viene detto nel brano seguente (vv.15-24): perché Dio fa così.
Gesù rivolge un’esortazione inaspettata al capo di casa. La sua parola è fortemente provocatoria e urta non solo il comportamento farisaico e legalistico, ma le comuni abitudini della società civile, che lasciano fuori la moltitudine degli indigenti, dei malati e dei bisognosi.
Non solo a tavola, ma nei rapporti saresti tentato di fare spazio solo a persone qualificate, gente simpatica, “a posto”. Persone a cui sei anche pronto a dare, ma con la certezza del ricevere. Si tratta del contraccambio che è un ramo di quell’albero infestante che si chiama profitto.
In questo brano vediamo che anche durante un pranzo solenne Gesù si prende cura degli infelici e degli affamati, perorando la loro causa in casa dei ricchi.
È una grande lezione di gratuità e di umanità. Il privilegio degli ultimi deve caratterizzare la vita cristiana.
Paolo apostolo rimprovera i cristiani di Corinto, perché nella cena del Signore non aspettano i poveri che arrivano tardi a causa del lavoro o della loro condizione di schiavi. Comportandosi così, disprezzano la Chiesa di Dio (1Cor 11,12).
E, san Giacomo scrive “Dio ha scelto i poveri nel mondo per farli ricchi con la fede ed eredi del Regno” (Gc.2,5).
Invitando a tavola i ricchi e i vicini, ordinariamente ci si attende un contraccambio. L’invito rientra così nelle speculazioni e negli interessi personali ed egoistici.
Ma Gesù ci ha insegnato:
- “Se amate quelli che vi amano, quale grazia ne avete? Anche i peccatori amano quelli che li amano. E se fate del bene a quelli che fanno del bene a voi, quale grazia ne avete? Anche i peccatori fanno lo stesso. E se prestate a coloro da cui sperate ricevere, quale grazia ne avete? Anche i peccatori concedono prestiti ai peccatori per riceverne altrettanto. Amate invece i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e la vostra ricompensa sarà grande e sarete figli dell’Altissimo, perché egli è benevolo verso gli ingrati e i malvagi… Date e vi sarà dato (da Dio)” (Lc 6,35-36.38).
L’amore dei cristiani non deve fondarsi sul desiderio di essere ricambiati, perché l’amore o è gratuito o non è amore.
Si devono invitare i più poveri tra i poveri, perché da loro non c’è nulla da aspettarsi: non possono ricambiare l’invito, né procurarci onori e avanzamenti di grado.
Umanamente parlando, non è neppure piacevole sedersi con loro a tavola, per ovvi motivi.
Servire con amore disinteressato, dando tutto senza aspettarsi nulla: questa è l’essenza della carità cristiana. E il Vangelo, noi sappiamo bene, è scuola di convivialità.
Gesù non vuole impedirci di ricevere persone care: parenti, amici, conoscenti.
Ma, nel discorso al suo ospite, egli insiste sulla gratuità del dono.
Da coloro che conosciamo bene, che amiamo e che ci riamano, noi abbiamo già la nostra ricompensa: l’affetto e la stima di chi appartiene alla nostra cerchia familiare.
È necessario non dimenticare coloro che ci sono più lontani per distanza o condizione sociale (senza tetto, immigrati, isolati), che rappresentano l’immagine e la condizione di Cristo.
È attraverso il nostro atteggiamento nei loro confronti che saremo giudicati nella “risurrezione dei giusti”.
Ed anche qui, in quest’ultima prospettiva, risiede la gratuità. Se dobbiamo tradurre in gesti l’amore verso gli uomini nostri fratelli, non è per guadagnare più tardi una retribuzione.
MA È IN RISPOSTA ALLA GRAZIA DI ESSERE STATI ACCETTATI E ACCOLTI DA DIO.
Ha detto un grande testimone, RAUL FOLLEREAU:
- “Se Cristo domani batterà alla vostra porta, Lo riconoscerete? Sarà, come una volta, un uomo povero, certamente un uomo solo […]. Se gli si chiede: “Cosa sai fare?” non può rispondere: tutto. “Donde vieni?” non può rispondere: da ogni dove. “Cosa pretendi di guadagnare?” non può rispondere: voi. Allora se ne andrà più abbattuto, più annientato, con la Pace nelle Sue mani nude”.
Noi invece di far tesoro di questa lezione altissima, amiamo chi ci ama, ci innamoriamo di chi ci fa i complimenti, e coltiviamo le conoscenze che ci arricchiscono o che ci possono tornare utili…
E questo mi sembra normale, istintivo, da parte della sopravvivenza e della capacità dell’essere umano di adattarsi all’ambiente circostante.
Ma quando entra in gioco la fede, però, le cose cambiano inevitabilmente.
Gesù chiede ai suoi discepoli di essere umili, cioè concreti e fecondi, per lasciare spazio dentro di sé a Dio.
Mai dobbiamo dimenticare che l’amore di Cristo in noi, quell’amore che scopriamo essere più grande dell’istinto che ci motiva e ci spinge, ci porta ad amare gratuitamente come Dio ci ama.
Senza porre condizioni, senza averne un tornaconto, senza calcoli… amare per amare, amare per la gioia di rendere gloria a Dio e di assomigliargli nel suo gesto creatore dell’amore totale.
Dopo l’invito di Gesù ai convitati (vedi il testo che precede il Vangelo odierno) egli si rivolge al padrone di casa: quando offri un pranzo, non invitare gli amici o i ricchi vicini, ma i più poveri.
Queste parole di Gesù vanno lette in continuità con ‘il discorso della pianura’ (Lc 6,17 e ss) e si pone in termini nuovi e inauditi per il suo tempo, starei per dire rivoluzionari.
“Invita queste persone!” dice il Signore
Perché?
Perché nell’invito disinteressato, diretto a persone escluse ed emarginate, c’è una sorgente di felicità “E sarei beato perché non hanno da ricambiare”.
Strana felicità, felicità diversa! Tu sarai felice “perché non hanno da ricambiare”.
Ma se ci pensiamo bene, questa è la felicità che nasce dal fatto che abbiamo compiuto un gesto di totale gratuità, che vuole il bene dell’altro e per l’altro, senza aspettarsi nulla in cambio.
È la felicità di chi fa le cose gratuitamente, senza chiedere nessuna ricompensa.
Gesù dice che è questa la felicità che Dio ci darà nella risurrezione. Risurrezione, non solo alla fine della storia, ma fin d’ora presente, perché agire cosi è già rendere presente la risurrezione.
Solo se realizzeremo ciò, l’invito rivolto al padrone di casa diventerà opposizione a tutte le consuetudini abitualmente in uso della società e abolirà ogni emarginazione.
Ovviamente IL MONDO REMA CONTRO. Infatti in ciascuno di noi, è innato uno spirito ‘mercantilistico’, secondo il quale noi siamo disposti a dare, ma per avere poi il contraccambio. È il “do ut des”.
Si resta sempre all’interno di un amore interessato e di una concezione della vita ‘da mercanti’: io oggi invito te e tu domani inviti me.
Ecco che si rimane sempre in un ambito rinchiuso fra gente alla pari che si scambiano vicendevolmente i propri favori, facendo sì che i poveri, gli esclusi e gli emarginati, rimangano sempre esclusi.
Il Vangelo di Gesù, invece, viene a scardinare questo modo egoistico di concepire la vita e intende instaurare una nuova fraternità, come ho già detto, basata sue due note distintive caratteristiche: la gratuità e l’universalità.
L’emarginazione è sempre frutto di ingiustizia, perché di fronte a Dio nessun uomo è emarginato e ognuno è prossimo del suo vicino.
Bisogna dare anche a coloro dai quali non si può sperare di averne un ricambio.
La gratuità e l’universalità sono l’indizio più sicuro che siamo sulla strada giusta che ci avvicina a Dio.
È una vera a propria rivoluzione, una conversione inattesa e radicale: passare dal cercare di ottenere il massimo vantaggio dagli altri; al capire che solo dando si riceve, solo spendendosi si guadagna senza volerlo, senza prevederlo.
Il discepolo vola alto, è talmente riempito di Dio da non sentire la necessità di essere gratificato da altri: non ha bisogno di elemosinare approvazione, di sgomitare per prevalere sugli altri. Egli dimora in Dio e questo basta.
Ha detto Papa Francesco, il 7 dicembre 2013:
- “Purtroppo nella nostra epoca, così ricca di tante conquiste e speranze, non mancano poteri e forze che finiscono per produrre una cultura dello scarto; e questa tende a divenire mentalità comune. Le vittime di tale cultura sono proprio gli esseri umani più deboli e fragili, che rischiano di essere “scartati”, espulsi da un ingranaggio che dev’essere efficiente a tutti i costi. Questo falso modello di uomo e di società attua un ateismo pratico negando di fatto la Parola di Dio che dice: “Facciamo l’uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza” (Gen 1,26). Solo se ci lasciamo interrogare da questa parola, le cose possono cambiare”
Ragioniamoci sopra…
Prega il Signore per me… Fratello che Leggi…
Sia Lodato Gesù, il Cristo!