… il VECCHIO FARISEO COMMENTA…. In illo tempore: dixit Iesus…
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Dal Vangelo secondo MATTEO 9,9-13
In quel tempo, Gesù, vide un uomo, chiamato Matteo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi». Ed egli si alzò e lo seguì. Mentre sedeva a tavola nella casa, sopraggiunsero molti pubblicani e peccatori e se ne stavano a tavola con Gesù e con i suoi discepoli. Vedendo ciò, i farisei dicevano ai suoi discepoli: «Come mai il vostro maestro mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori?». Udito questo, disse: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Andate a imparare che cosa vuol dire: “Misericordia io voglio e non sacrifici”. Io non sono venuto infatti a chiamare i giusti, ma i peccatori». Parola del Signore
Mediti…AMO
Matteo parla di Matteo. Racconta il momento in cui ha lasciato tutto per incontrare Tutto.
In quel paese diventato importante dopo la divisione del regno di Erode fra i suoi figli, luogo di frontiera e di controllo, poteva esercitare con profitto il suo ruolo di esattore. La sua vita era orientata, determinata: odiato dai correligionari per essere un collaborazionista, Matteo tirava diritto per la sua strada.
Finché non incontrò la tenerezza e la misericordia nello sguardo di un Nazoreo, carpentiere, ospite di Pietro di Betsaida.
Allora tutto era cambiato, tutto era esploso dentro di lui. Ed emoziona il fatto che Matteo ne parli dopo decenni: non è stata l’illusione del momento ma la scoperta di una vita.
Gesù passa e vede un uomo: non passa mai senza vedere, non è assente, distratto, preso dai suoi pensieri, le persone che incontra le vede.
VEDE UN UOMO, non vede un pubblicano, anche se è evidente che si tratta di un esattore, perché è seduto al banco delle imposte (essi erano persone giudicate disoneste, che si arricchivano alle spalle della gente, ed erano considerati grandi peccatori).
Gesù è attento e sa incontrare, e il suo vedere non è mai un rinchiudere l’altro nella casella di un pregiudizio.
“Gli disse: ‘Seguimi’. E LEVI si alzò e lo seguì”.
Certamente, voi mi direte, è estremamente scarna come descrizione della scena. È probabile che nella realtà si sia svolta in modo un po’ più articolato.
Ma ciò che interessa è che Levi si deve essere sentito avvolto dallo sguardo penetrante del Signore: uno sguardo capace di scorgere in lui le potenzialità più nascoste, di distoglierlo dalle sue sicurezze per manifestargli un cammino nuovo.
Uno sguardo autorevole, abbiamo detto, che messo insieme a una parola pronunciata con autorevolezza (di fronte alla quale non si può rimanere indifferenti perché tocca il cuore e ci raggiunge nel nostro intimo, là dove abitano i desideri più autentici) fanno sì che Levi risponde, alzandosi e mettendosi in cammino.
Leggiamo anche che “…Gesù stava a tavola in casa di lui”.
Possiamo immaginare che sia stato Levi a prendere l’iniziativa di invitare Gesù a casa sua.
Questo è un tema caro a Marco, per il quale seguire Gesù significa entrare in comunione con lui, accoglierlo “a casa propria” (cf. Mc 3,14).
Mi emoziona sempre leggere la chiamata di Levi, raccontata dallo stesso Levi. Sembra un resoconto cronachistico, in realtà si sente che è piena di passione e di compassione, nonostante siano passati trent’anni da quegli eventi.
Vibra perché egli si ricorda bene di quel momento in cui l’ospite galileo di “Simone il pescatore”, lo ha guardato sorridendo.
A lui, nessun devoto gli rivolgeva la parola, figuriamoci uno che godeva la fama di essere un profeta. Levi si era abituato a quel dolore che portava nel cuore, all’incomprensione. Si era abituato a tutto anche ad essere trattato con disprezzo.
E invece. Gesù fa festa con lui, per lui. Entra nella sua vita e la sconvolge. E Levi ha imparato cosa significa LA MISERICORDIA E NON IL SACRIFICIO.
Ed ha imparato ad amare senza paura, perché nei suoi confronti Gesù non ha il dito puntato, come vorrebbero molti farisei del tempo che consideravano i pubblicani dei peccatori pubblici, da evitare in nome di un’ossequiosa pratica religiosa.
Gesù vede Matteo in profondità e “scommette” su di lui e sulle sue potenzialità più celate. Il suo agire rivela il volto di un Dio che va incontro agli uomini perduti, ne ascolta il grido, li raggiunge là dove si trovano.
Gesù crede nelle possibilità dell’amore che genera l’amore.
Perché sa che tutto può cambiare in colui che si sente visto, chiamato per nome, che si sente oggetto di un’attenzione che esprime una fiducia incondizionata.
Non si rimane indifferenti a uno sguardo e a una parola che trasmettono accoglienza e toccano il cuore.
Si risponde, ci si mette in cammino. Come Matteo, che si alza e segue il suo Signore.
Ma Gesù non si limita a chiamarlo dietro a sé, e partecipa a un grande banchetto insieme ai suoi compagni:
Affermerà con grande dolcezza SAN PIETRO CRISOLOGO (IV’ secolo-450, vescovo di Ravenna, DOTTORE DELLA CHIESA):
- “Gesù era adagiato nell’animo di Matteo … In lui si rivela colui che volle essere a disposizione dell’uomo e desiderò abbracciare il debole con amore di padre”.
All’amore fatto di misure, di prudenze, di ordine, di dare ed avere tipico di noi uomini, Gesù contrappone un amore senza misura che Lui dà ed è.
E con il denaro Gesù è stato tradito e venduto da Giuda; Matteo, sollevando lo sguardo dal denaro, affida la sua vita al suo vero tesoro.
Matteo aveva ricevuto in appalto dal procuratore romano la riscossione delle tasse, il portorium, il diritto di dogana e pedaggio che doveva pagare chi viaggiava al confine fra le tetrarchie di Erode Antipa e di Erode Filippo. Molto probabilmente taglieggiava i contribuenti.
Era quindi impuro come il lebbroso, perché continuamente a contatto con i romani.
Come un paralitico, inchiodato alla sua sedia a rubare e a rovinare i suoi fratelli.
E lì, in quella deprecabile vita, un raggio di luce, come ha inimitabilmente dipinto Caravaggio nella sua “vocazione di Levi”, risuona una voce, uno sguardo e una parola.
Quella del Signore Gesù, che è l’unico che si sia chinato su quel relitto d’uomo. Gesù è l’unico a cercarlo, a guardarlo, a chiamarlo, ad amarlo così come era, Matteo. E lo ha amato al punto di volerlo con sé.
E io mi chiedo… chi si prenderebbe ora, così su due piedi, un esattore ladro in casa?
Gesù sì! Mirabile scelta della FIDUCIA divina!
Chiamare Matteo, infatti, è stato come consegnare ad un ladro l’amministrazione della propria banca.
LA GRAZIA HA ACCESO LA GRATITUDINE.
E Matteo, dal suo canto, come poteva non seguire l’unico che lo aveva amato, l’unico che lo aveva guarito e strappato all’inferno?
Matteo ha toccato un amore più grande d’ogni altro, qualcosa di mai visto, sentito, vissuto; qualcosa che prende fin dentro, nel più profondo di sé stesso, e che trascina con sé, in una pace mai sperimentata, una tenerezza mai immaginata.
L’INDEGNO HA RIACQUISTATO DIGNITÀ, E QUELLO CHE ERA STATO MESSO A SERVIZIO DELL’INIQUITÀ È ORMAI DONATO PER LA GIUSTIZIA.
E in questo incontro i rapporti sono stati sanati, gli sguardi purificati, i pensieri illuminati, ogni azione santificata.
L’amore di Gesù ha guarito Matteo integralmente, lo ha liberato da ogni paura, il passato non lo schiaccia, il presente non lo avvelena, il futuro non lo angoscia.
È vivo Matteo, ora è un uomo, è di Cristo: non ha più bisogno di accumulare per riempire il vuoto scavato dal peccato, ORA PUÒ OFFRIRSI A CHI AVEVA SOTTRATTO INGIUSTAMENTE, DONANDO CRISTO, IL SUO TESORO PIÙ GRANDE, INESAURIBILE PERCHÉ CUSTODITO NEI CIELI.
Scriveva Ugo di San Vittore che “chi trova dolce la propria patria è solo un tenero dilettante. Chi trova dolci tutte le patrie s’è già avviato sulla strada giusta. Ma solo è perfetto chi si sente straniero in ogni luogo”.
Infatti, chi è liberato da un amore che varca ogni frontiera, chi ha conosciuto l’amore di Cristo è già cittadino di un altro mondo, è un’icona vivente del Cielo.
PERCHÉ È STRANIERO IN OGNI LUOGO, I SUOI PASSI D’OGNI GIORNO DEPOSTI SULLE ORME DI GESÙ, SONO LE TRACCE DI SPERANZA PER IL MONDO CHE INDICA LA PATRIA AUTENTICA DI OGNI UOMO.
Ha scritto il Papa Benedetto XVI, nella sua “Catechesi su San Matteo”:
- “Nella figura di Matteo i Vangeli ci propongono un vero e proprio paradosso: CHI È APPARENTEMENTE PIÙ LONTANO DALLA SANTITÀ PUÒ DIVENTARE PERSINO UN MODELLO DI ACCOGLIENZA DELLA MISERICORDIA DI DIO E LASCIARNE INTRAVEDERE I MERAVIGLIOSI EFFETTI NELLA PROPRIA ESISTENZA”.
Un incontro inaspettato, un amore gratuito, e la vita salvata, “ridestata”, È RISUSCITATA, come recita l’originale greco tradotto con “si alzò”, lo stesso verbo usato per Gesù risorto.
In Matteo, da parte sua, non c’è nessuna preparazione, nessuna buona disposizione, ma solo l’amore infinito di Cristo che opera e che lo fa mettere alla sua sequela.
In quell’imperativo rivolto dal Signore a Levi, quel “Seguimi!”, è palese la presenza di un duplice gesto di resurrezione e di sequela “Ed egli, alzatosi, lo seguì”.
“Alzatosi” (anastás) è un verbo che dice non solo la stazione eretta, ma anche l’atto del risorgere. La chiamata è un movimento di resurrezione, dalla stasi al moto, dal sonno alla veglia, dalla morte alla vita.
Il vangelo non si attarda a esaminare ciò che ha provato nel suo cuore Matteo, fra l’appello ricevuto e la sua risposta.
Ma il vangelo di Matteo esalta quell’immediatezza che sorprende, che si vede bene in quella risposta silenziosa, senza parole, tutta concentrata nel duplice gesto del corpo, che si leva e s’incammina. La narrazione evangelica non soppesa le ragioni della scelta che possono aver abitato il cuore di Matteo.
Bene lo ha detto un pastore protestante e teologo luterano tedesco, che io amo molto, DIETRICH BONHOEFFER (nato nel 1906 e impiccato dai nazisti nel campo di concentramento di Flossemburg il 9 aprile 1945):
- “C’è una sola ragione valida per questa corrispondenza tra chiamata e azione: GESÙ CRISTO STESSO. È lui che chiama. Perciò il pubblicano lo segue. Questo incontro attesta l’autorità di Gesù incondizionata, immediata e ingiustificabile. Nulla precede questo incontro e nulla segue se non l’obbedienza del chiamato”.
Ragioniamoci sopra…
Sia Lodato Gesù, il Cristo!