… il VECCHIO FARISEO COMMENTA…. In illo tempore: dixit Iesus…
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Dal Vangelo secondo GIOVANNI 17,11-19
In quel tempo, [Gesù, alzàti gli occhi al cielo, pregò dicendo:] «Padre santo, custodiscili nel tuo nome, quello che mi hai dato, perché siano una sola cosa, come noi. Quand’ero con loro, io li custodivo nel tuo nome, quello che mi hai dato, e li ho conservati, e nessuno di loro è andato perduto, tranne il figlio della perdizione, perché si compisse la Scrittura. Ma ora io vengo a te e dico questo mentre sono nel mondo, perché abbiano in sé stessi la pienezza della mia gioia. Io ho dato loro la tua parola e il mondo li ha odiati, perché essi non sono del mondo, come io non sono del mondo. Non prego che tu li tolga dal mondo, ma che tu li custodisca dal Maligno. Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo. Consacrali nella verità. La tua parola è verità. Come tu hai mandato me nel mondo, anche io ho mandato loro nel mondo; per loro io consacro me stesso, perché siano anch’essi consacrati nella verità». Parola del Signore
Mediti…AMO
LA VITA E IL PENSIERO DEL SANTO
Il nostro secolo, che cerca un modello di santità vissuta nelle responsabilità quotidiane, potrebbe trovarlo benissimo in Giustino.
Egli fu infatti un discepolo di Gesù Cristo, esemplare per la serietà della sua indagine intellettuale, come per la fedeltà alla sua fede.
Sempre in cerca della verità, dopo averla scoperta in Gesù Cristo, non smette di approfondirla.
Nel suo continuo cercare rende evidente il dono totale fatto di sé stesso a Cristo, che lo porterà fino al martirio.
Giustino nacque a Sichem, in Samaria, nel II secolo dopo Cristo, ma era probabilmente di origine romana.
Giovane quieto, aveva cercato attraverso lo studio della filosofia la verità e con essa la felicità, senza peraltro raggiungerla.
Si ritirò allora nel deserto, dove incontrò un vecchio saggio al quale confidò i suoi tormenti.
“Leggi i profeti, leggi il Vangelo – gli suggerì il vecchio – e troverai quello che cerchi“.
Giustino li lesse e la grazia di Dio gli illuminò la mente e gli riscaldò il cuore.
Giustino non rinnegò per questo la filosofia, anzi trasse da essa motivi per dimostrare la ragionevolezza de cristianesimo: lo fece scrivendo una celebre Apologia e sostenendo accesi dibattiti con i più filosofi del tempo.
L’eco della sua attività giunse all’orecchio del prefetto di Roma, impegnato in una dura persecuzione contro i cristiani.
Così Giustiniano venne processato. “Ho studiato tutte le scienze, ma solo nella dottrina dei cristiani religiosamente seguiti ho trovato la verità” rispose al prefetto che lo interrogava.
E poiché non si scostò di un passo dalla professione di fede pronunciata, venne condannato a morte.
Fu decapitato, dopo aver subito il tormento e l’ingiuria della flagellazione.
Uomo retto e fedele, Giustino fu sale e luce per gli uomini del suo tempo.
Giustino non arrivò alla “mirabile conoscenza del mistero del Cristo” soprattutto attraverso le sue ricerche intellettuali, bensì mediante la fedeltà alla fede che lo porterà sino al martirio.
Coi libri che ci ha lasciato, ma più ancora col suo eroico sacrificio, egli proclama anche oggi che gli uomini non vengono salvati dalla loro saggezza, né dall’ostentazione di segni straordinari.
Vengono salvati dalla Croce, follia e scandalo per gli uomini, potenza e sapienza di Dio.
ESAME DEL TESTO EVANGELICO
Prima di tornare al Padre, Gesù gli affida i suoi discepoli, nel desiderio che, lì dove sta andando, siano poi anche loro: NELL’IMMENSO INCESSANTE RIFLUSSO DELL’ETERNO AMORE DELLA TRINITÀ SANTISSIMA.
Durante la sua vita terrena, il Maestro li ha custoditi preservandoli dal male.
Nessuno di loro si è perduto perché:
- “chi crede in Lui non muore” (Gv 3,16),
- nessuno strapperà i suoi dalla sua mano (Gv 10,28)
- e perché la volontà del Padre è che Egli non perda colui che gli ha affidato (Gv 6, 39).
Quanto amore lasciano intravvedere le parole del Signore Gesù dopo l’ultima cena.
Parole di attenzione, di preoccupazione non per sé e per il proprio amaro destino, ma per coloro che lo hanno seguito, e per tutti noi che lo abbiamo scelto come nostra guida e Signore.
Invece di essere travolto dalle comprensibili paure che assalgono ogni uomo davanti alla propria tragica fine, Gesù rivolge la sua accorata preghiera per noi discepoli, fragili e vulnerabili, incapaci di fronteggiare le persecuzioni del mondo e le tentazioni dell’avversario.
Ora però dev’essere direttamente il Padre a custodirli, a preservarli e a preservarci, ad assisterli e ad assisterci, nel cammino della verità.
Siccome la Parola di Dio è la verità stessa, Gesù chiede al Padre che avvenga da parte di Dio UNA NOSTRA CONSACRAZIONE ALLA VERITÀ.
In quella VERITÀ che è immissione totale nel Mistero Pasquale: la morte e la Resurrezione di Gesù che continuamente CIRCOLA “NELLE VENE” DEL CORPO MISTICO DELLA CHIESA, E CHE TUTTO RINNOVA.
Forse non ricordiamo abbastanza questa forte, stupenda richiesta che Gesù fa al Padre per noi: quella di essere consacrati nella Verità che ci accompagna giorno dietro giorno con la Parola di Dio, nella Messa quotidiana, che ci dona la forza e la Grazia per essere preservati dalla potenza devastatrice del male, che è SEMPRE presente nelle nostre giornate.
E IN QUESTO BRANO EVANGELICO C’E’ UNA GRANDE GIOIA.
Il Signore sa bene quanta fatica facciamo a restargli fedeli e ad annunciare al mondo la sua presenza. Ed è per questo che PREGA IL PADRE SUO -E NOSTRO- PER NOI.
E, per concludere, vorrei con voi esaminare l’ultimo versetto odierno.
- “…per loro io consacro me stesso, perché siano anch’essi consacrati nella verità”.
Che cosa significa quel “consacrare me stesso” che Gesù proclama nella solenne preghiera che suggella i discorsi tenuti nel Cenacolo l’ultima sera della sua vita terrena?
Innanzitutto si deve riconoscere che il “sacro” nel linguaggio biblico, è tutto ciò che appartiene a Dio, al mistero, alla trascendenza e, quindi, al culto.
Ora, nella liturgia sacrificale la vittima veniva “consacrata”, cioè dedicata, riservata a Dio perché egli perdonasse le colpe ed entrasse in comunione con il fedele.
Ebbene, Gesù si auto-consacra in favore dei discepoli.
La sua morte sacrificale è, quindi, un offrirsi come vittima di espiazione.
Lo aveva già annunciato quando si era presentato come buon pastore «…Io do la mia vita… io la do da me stesso» (Giovanni 10,17-18).
La Lettera agli Ebrei, al capitolo 9,12, offre un ideale commento a queste affermazioni di Gesù:
- «Cristo entrò una volta per sempre nel santuario, non mediante il sangue di capri e di vitelli, ma in virtù del proprio sangue, ottenendo così una redenzione eterna».
In Giovanni, al capitolo 10,36, è il Padre a consacrare come vittima sacrificale redentrice il Figlio e Gesù si autodefinisce come «colui che il Padre ha consacrato e mandato nel mondo».
Il concetto, però, è chiaro, e ora è necessario spiegare la seconda parte della frase che riguarda i discepoli a favore dei quali Cristo si è “consacrato” e donato.
Anch’essi devono essere “consacrati”, ma in questo caso si aggiunge una specificazione «…NELLA VERITÀ».
Ora, nel quarto Vangelo l’idea di “verità” (alètheia) non è quella greca di taglio metafisico-razionale.
La “verità” che Cristo porta nel mondo È LA RIVELAZIONE DEL PADRE, È LA PAROLA DI DIO.
Ecco, allora, un nuovo profilo della consacrazione, quello dell’accoglienza del Vangelo e della relativa testimonianza nel mondo che potrà condurre il discepolo anche alla consacrazione ulteriore nel martirio.
Un martirio certamente diverso da quello supremo del Cristo, ma dotato anch’esso di un valore salvifico, perché ci renderà partecipi della donazione del Figlio.
Ragioniamoci sopra…
Sia Lodato Gesù, il Cristo!