… il VECCHIO FARISEO COMMENTA…. In illo tempore: dixit Iesus…
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Dal Vangelo secondo GIOVANNI 6,35-40
In quel tempo, disse Gesù alla folla: «IO SONO il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai! Vi ho detto però che voi mi avete visto, eppure non credete. Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me: colui che viene a me, io non lo caccerò fuori, perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato. E questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno. Questa infatti è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno». Parola del Signore
Mediti…AMO
“Io sono” “ego eimi”, è “il Nome” con il quale Dio si è rivelato a Mosè, nel Libro dell’Esodo, al capitolo 3,14.
Qui il predicato “ego eimi” è implicita attestazione di divinità e rivela chi è e cosa fa questo Nome: È IL PANE CHE COMUNICA LA SUA VITA A CHI LO MANGIA.
Siamo al livello più alto della comprensione simbolica del segno.
IL PANE, LA VITA CHE DESIDERIAMO E RICEVIAMO È GESÙ STESSO.
Il Figlio che dà la vita per noi, per obbedire alla Volontà del Padre, ci racconta qual è questa Volontà: QUELLA DI COMUNICARCI LA SUA VITA, IL SUO AMORE, PERCHÉ L’ULTIMO GIORNO SIA PER TUTTI VITA E NON MORTE.
Nei secoli passati, grandi teologi e Padri della Chiesa hanno affrontato l’argomento:
- SANT’AMBROGIO (ca. 340-400 -teologo e Vescovo) prese “Io sono” non come un semplice rapporto con Abramo, ma come un’affermazione che includeva prima di Adamo. Nella sua Esposizione della fede cristiana, il libro III, scrisse “Nella sua estensione, la preposizione “prima” risale al passato senza fine né limite, e quindi “Prima che Abramo fosse” chiaramente non deve significare “dopo Adamo”, proprio come “prima della Stella del Mattino” non significa necessariamente “dopo gli angeli”. Ma quando ha detto “prima di“, intendeva non che fosse incluso nell’esistenza di qualcuno, ma che tutte le cose sono incluse nella Sua, poiché così è consuetudine delle Sacre Scritture mostrare l’eternità di Dio.
- SAN GIOVANNI CRISOSTOMO (ca. 349-407, asceta, teologo, arcivescovo e Padre della Chiesa paleocristiana) attribuì un significato più teologico all’ego eimi, nella sua 55a omelia su Giovanni:
- “Ma perché non disse: Prima che Abramo fosse, “Io ero”, invece di “Io sono”? Come il Padre usa questa espressione, “Io sono”, così fa anche Cristo, perché significa essere continuo, indipendentemente da ogni tempo. Per questo motivo l’espressione sembrava loro blasfema“.
In questo contesto Gesù, in un momento drammatico del suo ministero, tenta di convincere la folla a cercare Dio non per il pane che nutre solo il corpo, ma per quello che riempie il cuore, e che svela definitivamente il vero volto di Dio.
E lo fa usando parole che svelano il volto di un Dio misericordioso e paterno, che desidera la salvezza di ogni uomo, che lavora finché la salvezza di realizzi.
Di un Dio che non ha nulla a che fare con quell’essere supremo, vendicativo, iroso, asettico e annoiato che scruta i destini del mondo dall’alto.
Ma un Dio che è un padre tenerissimo e discreto che ha un unico desiderio: la vita in pienezza per i propri figli, ovvero la vita eterna per ciascuno di loro.
La vita eterna è la vita di Dio, che dona alle nostre povere esistenze, consistenza, verità, amore e respiro di immortalità.
Sia noi che la folla, invece, cerchiamo Dio solo per avere dei benefici, o una protezione, o un aiuto quando siamo nel bisogno o nella malattia.
Tutta la fame che portiamo nell’anima, tutto il bisogno di felicità che ci troviamo addosso, tutta la delusione che sperimentiamo nello scontrarci con i nostri limiti e con la durezza del mondo hanno una soluzione, un pane che nutre: LA PRESENZA DI CRISTO.
Gesù LO SA e ci propone di alzare lo sguardo per vedere che quel Dio che ha donato al popolo di Israele, NON SOLO la manna, ma LA LIBERTÀ DI ESSERE SUOI FIGLI E LA DIGNITÀ ASSOLUTA DI ESSERE PIENAMENTE E AUTENTICAMENTE E FELICEMENTE UOMINI.
Diceva un filosofo contemporaneo SOREEN AABYE KIERKEGAARD (1813-1855, filosofo, teologo e scrittore danese), per convincerci che la nostra unica “via” è Cristo:
- “Nulla di finito, nemmeno l’intero mondo, può soddisfare l’animo umano che sente il bisogno dell’eterno.”
Per soddisfare questo bisogno dobbiamo seguire Cristo. E la condizione per ottenere questa “soddisfazione” è la FEDE, che ci fa contemplare in Cristo il Figlio di Dio e orienta tutta la nostra vita terrena alla persona di Gesù.
Perché, la vita eterna inizia già qui sulla terra: credendo in Dio, acquistiamo uno sguardo nuovo anche per noi stessi, per le realtà terrestri e per la storia dell’umanità.
Solo Gesù ci toglie dalla fragilità e incertezza delle cose per trasportarci nella pienezza della vita spirituale e ci fa ritrovare l’eternità, partecipando alla vita stessa di Dio.
Ma cerchiamo anche un’altra prospettiva.
Il brano odierno del vangelo di Giovanni, riporta il lungo discorso di Gesù nella sinagoga di Cafarnao, sul pane della vita, al capitolo 6, versetti 37-40.
In questo lungo discorso che Gesù fa ai suoi discepoli, DICE CHE SI FA PANE, ALIMENTO DI VITA, PERCHÉ QUANTI LO ACCOLGONO SIANO CAPACI A LORO VOLTA DI FARSI PANE E ALIMENTO DI VITA PER GLI ALTRI.
E nel ricevere il pane, CHE È GESÙ, si è chiamati a farsi pane per gli altri, comunicando e trasmettendo così la vita di Dio, una vita divina, che è capace di superare la morte.
M vediamo versetto per versetto.
“Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me”. Il desiderio di pienezza di vita che il Padre come creatore ha posto nell’intimo di ogni uomo trova la piena risposta in Gesù. Gesù è la piena risposta di Dio al bisogno di pienezza di vita che ogni persona si porta dentro.
E Gesù afferma “Colui che viene a me, io non lo caccerò fuori”. Il verbo “cacciare” rappresenta quindi la vittoria della vita sulla morte, della luce sulle tenebre. GESÙ NON CACCIA NESSUNO, LUI È SOLO ACCOGLIENZA.
“Perché sono disceso dal cielo…”, questa discesa dal cielo va intesa in senso teologico. Vuol dire che l’origine di Gesù è divina. CON LA DISCESA DELLO SPIRITO SANTO, GESÙ, IL CRISTO, È LA DEFINITIVA PRESENZA DI DIO TRA GLI UOMINI. Infatti Giovanni al termine del suo Prologo, aveva scritto che Dio nessuno l’ha mai visto, SOLO IL FIGLIO UNIGENITO NE È LA RIVELAZIONE. Gesù è la piena manifestazione, la piena presenza di Dio tra gli uomini.
“Non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato”. La volontà del Padre e la volontà di Gesù sono identiche: entrambi desiderano comunicare vita, e vita abbondante, agli uomini. Infatti dice il Signore “…Questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno”.
Per la prima volta nel vangelo di Giovanni compare l’espressione “ultimo giorno” che poi comparirà sette volte, di cui quattro in questo lungo discorso, sempre associato al verbo “risuscitare”. L’ultimo giorno nel vangelo di Giovanni, che segna il ritmo di una settimana il suo vangelo, è quello della morte di Gesù.
E, quando Gesù, annunziando che tutto è compiuto, che il progetto di Dio sull’umanità si è realizzato, consegna il suo spirito, dona lo spirito.
“Perché chiunque vede il Figlio e crede in Lui abbia [..] vita eterna”, senza l’articolo (“la”) come invece viene tradotto. Perché questa definizione dell’evangelista?
Perché l’omissione dell’articolo?
Perché la vita eterna avrebbe potuto far pensare a quella della credenza giudaica, cioè una vita che iniziava dopo la morte, come un premio per la buona condotta tenuta nella vita presente.
Gesù dice invece “…Che lui abbia vita eterna”, una vita che è già eterna, non tanto per la durata indefinita, ma per la qualità, che è divina e quindi indistruttibile.
Il dono dello spirito, ci assicura Gesù, porta con sé il dono della risurrezione già in questa vita.
Per chi cerca il Signore, non esiste alcun respingimento sulle coste della Patria Celeste.
Nessun “naufrago della vita” sarà cacciato fuori, ma tutti saranno accolti con una divina misericordia infinita.
Perché il Signore starà lì, sulla riva della Vita vera, come quel giorno sulle sponde del lago di Tiberiade e ci troverà, come gli Apostoli, con il nulla tra le mani, e vedrà me, con i miei fallimenti di un’esistenza che ho sprecato e vissuto male. E mi vedrà con tutto lo “splendore della mia miseria”.
I suoi occhi hanno a lungo scrutato il mio arrancare, mi ha mai perso di vista un secondo, eppure ha lasciato che le mie esperienze di sofferenza e fallimento quasi mi sommergessero, rispettoso della mia libertà, che mi fa uomo vero.
Come con l’amico Lazzaro prigioniero di una malattia che lo avrebbe condotto alla tomba, come con i discepoli sospinti nel mare in tempesta.
Diceva il Papa Benedetto XVI’:
- “…penso che il motivo del naufragio di San Paolo parli per noi. Dal naufragio, per Malta è nata la fortuna di avere la fede. Così anche noi possiamo pensare che i naufragi della vita possono fare il progetto di Dio e possono essere utili per nuovi inizi nella nostra vita“.
E ancora, scrive il Papa Benedetto XVI’, nel suo libro GESÙ DI NAZARETH:
- “…Senza un morire, senza il naufragio di ciò che è solo nostro, non c’è comunione con Dio, non c’è redenzione”.
Ha detto S. Bonaventura da Bagnoregio (1217-1274, cardinale, filosofo, teologo, ministro generale dell’Ordine Francescano, e biografo di San Francesco di Assisi, denominato “Doctor Seraphicus”. Alla sua biografia — la Legenda Maior — si ispirò Angelo di Bondone, detto “Giotto” per il ciclo delle storie sul Santo nella basilica di Assisi. Fu amico di San Tommaso d’Aquino):
- “Gesù, Pane degli angeli, cibo degli eletti, nostro pane quotidiano, più di ogni altro nutriente e fragrante di dolcezza (…). In te sempre siano fissi, sicuri e fermamente radicati il mio cuore e la mia mente”.
Ragioniamoci sopra…
Sia Lodato Gesù, il Cristo!