Pietro Saltarelli… il VECCHIO FARISEO COMMENTA….
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Dal Vangelo secondo Giovanni 1,35-42
In quel tempo, Giovanni stava con due dei suoi discepoli e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: «Ecco l’agnello di Dio!». E i suoi due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. Gesù allora si voltò e, osservando che essi lo seguivano, disse loro: «Che cosa cercate?». Gli risposero: «Rabbì – che, tradotto, significa maestro –, dove dimori?». Disse loro: «Venite e vedrete». Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui; erano circa le quattro del pomeriggio. Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. Egli incontrò per primo suo fratello Simone e gli disse: «Abbiamo trovato il Messia» – che si traduce Cristo – e lo condusse da Gesù. Fissando lo sguardo su di lui, Gesù disse: «Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; sarai chiamato Cefa» – che significa Pietro. Parola del Signore
Mediti…AMO
Spesso siamo cristiani perché, stanchi delle percosse che ci ha dato la vita “cerchiamo rifugio” nella religione. Anzi in una versione “addomesticata” ai nostri bisogni e alle nostre esigenze, che ci fa stare bene.
Che non ci causa ansia, angoscia, o turbamento, o peggio ancora, ci invita a riflettere sulla nostra vita e a vedere cosa ci sia che non funziona, per mettere poi in atto un severo cambiamento.
Ma questa “religione” in realtà è un idolo (dal greco εἴδωλον (éidõlon) “figura”), ovvero una nostra “idea”, una nostra creazione, una cosa immaginaria, che A NULLA SERVE!
Gesù, che legge nel cuore dell’uomo, lo sa bene, e inizia il suo ministero proprio seminando dubbi ai discepoli di Giovanni che lo vorrebbero seguire:
“…Che cercate?”
Non cerca discepoli a tutti i costi il Signore, ma vuole che coloro che vorrebbero seguirlo si interroghino sulle ragioni della loro scelta.
Dio non vuole mezzi uomini e mezze donne al suo seguito, non sa che farsene di cristiani che fanno della loro fede una via di fuga dal mondo.
Andrea e Giovanni certo non si aspettavano una domanda del genere.
Sono spiazzati e rispondono ponendo una nuova domanda, utile a cercare di capire:
“Gli risposero «…Rabbì, dove dimori?»”.
Gesù li incoraggia, ora: “…venite e vedrete”.
La fede non è credere in qualcosa, ma seguire qualcuno, andare a vedere. E loro vanno, e vedono, e credono in Lui, e restano.
E quel giorno, non è un giorno qualsiasi. Ma diventa “IL GIORNO” in cui Dio irrompe nella loro esistenza. Il giorno dell’inizio della vita vera.
E come avvenne per il vecchio Profeta Simeone, anche i loro occhi “han visto la salvezza”, come ci racconta il Vangelo di Luca al capitolo 2 versetto 30.
Il senso della nostra vita è lasciare che Dio ci porti dove vuole Lui. È andare con Lui, per poter poi portare Lui a tutti: solo così adempiremo la nostra missione sulla Terra e otterremo la felicità del Cielo.
Ma c’è anche un altro aspetto da analizzare.
Con la domanda “che cercate?“, Gesù li invita a chiarire il senso della loro ricerca, ma essi rispondono con un’altra domanda, “dove abiti?“, con cui vogliono sapere chi era Gesù e la famiglia da cui veniva.
Elementi all’epoca importanti per determinare il prestigio sociale di una persona. Ma invece di rispondere, Gesù li invita ad andare con lui, cioè a dargli fiducia, condizione essenziale per il proseguimento del rapporto.
Integrando il racconto dei sinottici con quello di Giovanni, si deduce che la sequela di Gesù è un cammino scandito da diversi passaggi, in cui l’iniziativa di Gesù è determinante, ma richiede da parte del discepolo un atteggiamento di ricerca e disponibilità.
Ma vediamo il contesto in cui avviene l’episodio.
Secondo il Vangelo secondo Giovanni Gesù chiamò i primi discepoli quasi subito dopo il suo battesimo e l’evento avvenne nei pressi di Betania, in Giudea.
Giovanni Battista, mentre si trovava con due suoi discepoli, indicò Gesù definendolo l’Agnello di Dio e i due uomini (Andrea e un altro discepolo di cui non viene citato il nome) lo seguirono.
Andrea andò poi da suo fratello Pietro dicendo di avere trovato il Messia e lo condusse da Gesù.
In seguito l’evangelista racconta le chiamate di Filippo e Natanaele, non raccontate dai sinottici. Al contrario, questo vangelo non dice invece nulla sulla chiamata di Matteo, che è invece raccontata da tutti e tre gli Evangeli sinottici.
Il Battista, nel luogo della sua missione, al di là del Giordano, a Betania, vicino Salim, ad est del Giordano (come ci racconta Giovanni al capitolo 3,23), accoglie e catechizza i discepoli.
Ed è molto attento ai segni di Dio. Infatti, vedendo Gesù che sopraggiunge, capisce che è l’Agnello di Dio, il Messia promesso, che Israele aspettava.
Per la teologia geografica del IV Vangelo, la località del Giordano è ricca di risonanze simboliche, perché nell’esperienza di Israele:
- è il luogo dove si entra nella terra promessa (Giosuè),
- si ricomincia dal fallimento della monarchia (cattura del re di Giuda da parte dei Babilonesi).
- Ma era anche il luogo dove Elia era asceso al cielo in un carro di fuoco (2 Re 2, 7.13) e da dove sarebbe ritornato.
Il Prologo giovanneo, che più volte abbiamo letto (Gv.1,6,8.15) in questo tempo, lo aveva già anticipato la presenza di Giovanni il Battista, un personaggio davvero esistito, come attesta lo storico romano dell’Impero, Giuseppe Flavio (nella sua opera Le Antichità Giudaiche, xviii, 5.2).
Il IV’ Evangelo ce lo presenta come il Testimone per antonomasia, Amico dello Sposo, storicamente precedente a Cristo, ma teologicamente posteriore a Cristo, e a Cristo assolutamente subordinato.
Il Battista è un uomo mandato da Dio, ma nel ruolo colui che prepara la via al Messia. Giovanni non era la Luce vera, ma era il testimone della Luce.
Compaiono poi gli increduli «Giudei» (termine che nel IV Vangelo ricorre 271 volte), che in seguito si capirà sono Farisei, che mandano in delegazione sacerdoti e leviti (ce lo riferisce Luca al capitolo 10,31,32).
I sacerdoti sono gli specialisti della Legge e delle regole di purità rituale.
I leviti, invece, sono una classe sacerdotale inferiore, e costituiscono la polizia del Tempio.
Abbiamo visto, leggendo attentamente, che in Luca, al capitolo 3,15, affiora una leggenda secondo cui il Battista poteva essere il Messia.
Ma sempre lo stesso autorevolissimo storico dell’Impero romano, Giuseppe Flavio, ci attesta che gli anni tra il 63 a.C. ed il 66 d.C., si ha una costellazione di aspettative messianiche (Le Antichità Giudaiche xviii, 85; xx,97.127).
Infatti era fortissima, data la altrettanto fortissima oppressione romana, l’attesa di un nuovo Mosè, peraltro associato a Elia che, secondo le credenze, sarebbe ritornato prima del giorno del Signore (vi invito a leggere Is 40,3; 62,2-3; Mal 3,23; Sir 48,8-10).
Era opinione diffusissima anche in tantissimi testi apocalittici, tra i quali emerge il Libro di Enoch, al n.89,52; 90,31.
Peraltro, vari erano gli antichi profeti popolarmente attesi: la testimonianza di Mt.16,14 sull’identità del Figlio dell’Uomo è eloquente (vedi pure Mc.6,15) «…Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia, o qualcuno dei profeti».
Infatti tutti attendevano quel Messia, che sarebbe giunto, secondo le Scritture, dalla discendenza di Davide.
Va notato che i Samaritani aspettavano non un consacrato davidico, ma un profeta pari a Mosè (Dt 18,15-18), che avrebbe ristabilito un culto più autentico.
Si attendeva persino Geremia (2 Mac.15,13 “un personaggio che si distingueva per la canizie e la dignità ed era rivestito di una maestà meravigliosa e piena di magnificenza”).
E di conseguenza, ne discende una domanda.
Se Giovanni non ha nessuna identità messianica, dove e come si fonda il suo battesimo?
Giovanni risponde con una citazione tratta da Is 40,3 “Una voce grida: «Nel deserto preparate la via al Signore, appianate nella steppa la strada per il nostro Dio”.
Ecco allora che il deserto è il luogo dove risuona la sua voce.
Mentre nel Testo Masoretico (versione ebraica della Bibbia ufficialmente in uso fra gli ebrei. Viene spesso utilizzata come base per traduzioni dell’Antico Testamento da parte dei cristiani) è il luogo dove si deve spianare e rendere dritta la strada.
Nella pericope evangelica che abbiamo ascoltato oggi, abbiamo una concezione che VEDEVA NEL DESERTO UN TIPICO LUOGO DI PREPARAZIONE, PERCHÉ DA LÌ SAREBBE VENUTO IL MESSIA.
Il battesimo di Giovanni era amministrato una volta sola, E PRESUPPONEVA IL PENTIMENTO e UNA VITA NUOVA.
Giovanni risponde dicendo che il suo battesimo è un semplice gesto compiuto con l’acqua, mentre sappiamo Gesù “battezza in Spirito Santo”.
Però nella concezione ebraica, acqua e spirito camminano insieme, sia nell’AT (Ez.26,25-26; Zc.3,1-3), sia come avveniva anche nelle comunità degli Esseni, a Qumran.
Ma in questo nostro contesto odierno, la distinzione tra acqua e spirito serve a ridimensionare il battesimo giovanneo (At.19,1-6) a presentarlo come non-messianico, ma preparatorio e semplicemente di purificazione esteriore (che ritroveremo nelle giare di Cana per la purificazione dei Giudei):
- “1Mentre Apollo era a Corinto, Paolo, attraversate le regioni dell’altopiano, giunse a Efeso. Qui trovò alcuni discepoli 2 e disse loro: «Avete ricevuto lo Spirito Santo quando siete venuti alla fede?». Gli risposero: «Non abbiamo nemmeno sentito dire che ci sia uno Spirito Santo». 3 Ed egli disse: «Quale battesimo avete ricevuto?». «Il battesimo di Giovanni», risposero. 4 Disse allora Paolo: «Giovanni ha amministrato un battesimo di penitenza, dicendo al popolo di credere in colui che sarebbe venuto dopo di lui, cioè in Gesù». 5 Dopo aver udito questo, si fecero battezzare nel nome del Signore Gesù 6 e, non appena Paolo ebbe imposto loro le mani, scese su di loro lo Spirito Santo e parlavano in lingue e profetavano.”
Lo spirito donato da Gesù invece è interiore, come il vino e l’acqua che beviamo, come lo spirito da cui si nasce, o lo spirito che Gesù alita dentro i discepoli dopo la Pasqua.
La grandezza di Giovanni sta proprio nel riconoscere il proprio ruolo e nel non superare il limite.
Egli è consapevole di essere stato mandato a preparare la strada ad un altro, di non essere lo sposo, ma l’amico dello sposo.
Non è il suo ruolo incentrato su di sé, ma è totalmente aperto all’opera di Cristo e comprende sé stesso -SOLO E SOLAMENTE- nella relazione con Cristo.
Questo è davvero essenziale per noi: perché ci insegna quale deve essere la nostra relazione con Cristo.
Quello che noi siamo, lo siamo SOLO in rapporto a lui, da soli non siamo NESSUNO.
SOLO SE SIAMO UNITI A LUI SIAMO PIENAMENTE REALIZZATI.
In questo senso egli cresce per diventare tutto in noi.
IN QUESTO SENSO IL NOSTRO IO DIMINUISCE PER LASCIARE POSTO AL CRISTO CHE VIVE IN NOI.
Paolo scriverà alla sua comunità che vive in Galazia, «NON SONO PIU’ IO CHE VIVO, MA CRISTO VIVE IN ME» (Gal.2,20)
Nessuno più di san Paolo poteva esprimersi con parole così forti come queste della Lettera ai Galati.
Peraltro scrivendo ai cristiani di Filippi aveva già attestato «…per me vivere è Cristo» (Fil 1,21), cioè vivo una vita totalmente spesa per lui.
Nessuno dei primi discepoli ebbe di Cristo una esperienza tanto travolgente quanto la sua: nemmeno tra i Dodici, che pur erano stati scelti dal Gesù terreno prima di lui.
E quella paolina fu una esperienza speculare a quella che egli aveva avuto prima del suo decisivo incontro sulla strada per Damasco.
Cioè: il Cristo divenuto finalmente vita della sua vita non è altri che lo stesso Cristo prima combattuto e perseguitato.
Ed è come dire che già prima di Damasco Paolo in realtà era stato conquistato da Lui, analogamente a ciò che scrisse Blaise Pascal (1623-1662), “il pensatore dell’infinito” «…Tu non mi cercheresti, se non mi avessi già trovato»!
Certamente Paolo prima non aveva cercato Gesù come suo ideale, tutt’altro!
Comunque lo aveva già quotidianamente presente poiché il suo pensiero sia pur pieno di astio e di ostilità, era rivolto a Lui, diventato motivo del suo tormento interiore.
Questo è il fatto: Paolo, da quando conobbe la testimonianza che di Gesù dava apertamente la prima comunità cristiana, non fu mai indifferente a lui, tanto che, come si dice, persino l’odio risultò essere una forma di amore.
L’ODIO INFATTI SI PROVA SOLO PER LE PERSONE CHE REALMENTE CI INTERESSANO, ALLE QUALI PERCIÒ VIENE DATA OGNI ATTENZIONE.
Un grande Padre della Chiesa orientale, San Gregorio di Nissa, (VIII in Canticum PG 44,941C), esortava:
- “Riflettiamo sulla nostra dignità di «chiamati», tema tanto caro a Paolo. Nella Lettera ai Romani egli scrive: Paolo, «apostolo per chiamata» (Rm 1,1); «anche voi, chiamati da Gesù Cristo» (Rm 1,6), voi «amati da Dio e santi per chiamata» (Rm 1,7).
Altrove rivolge l’invito che facciamo nostro: Io, Paolo, «vi esorto: comportatevi in maniera degna della chiamata che avete ricevuto, con ogni umiltà, dolcezza e magnanimità, sopportandovi a vicenda nell’amore, avendo a cuore di conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace» (Ef.4,1-2)”.
Ricordiamo sempre, Fratelli e Sorelle, che a colui che corre verso il Signore, lo spazio non mancherà mai.
Colui che sale non s’arresta mai, andando di inizio in inizio, per inizi che non hanno mai fine”.
Gesù passa e ripassa nella nostra vita; sa bene che il nostro cuore ha bisogno di Lui e si lascia incontrare.
Chi cerca il Signore non rimarrà mai deluso, Fratelli e Sorelle, perché ognuno; sperimenterà di essere a sua volta cercato da Cristo.
Che mirabile intreccio!!!!
Gesù si fa cercare, ma poi prende per primo l’iniziativa dell’incontro; ed è LUI che pone la domanda decisiva “…CHE COSA CERCATE?”
Lo abbiamo visto.
E ciò provoca i discepoli a dire la loro intima ricerca “…Maestro, dove abiti?”
Così chiedono a Gesù di farsi loro Maestro, si affidano alla sua guida per un traguardo nuovo.
È come se chiedessero: “Possiamo entrare in amicizia e familiarità con te?”
Ebbero una risposta positiva, e “…Videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui”.
Ragioniamoci sopra…
Sia Lodato Gesù, il Cristo!