… il VECCHIO FARISEO COMMENTA….
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Dal Vangelo secondo Matteo 11,25-30
In quel tempo Gesù disse «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo. Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero». Parola del Signore
Mediti…AMO
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Francesco di Bernardone, nacque ad Assisi nel 1182, nel pieno del fermento dell’età comunale. Figlio di un mercante, da giovane aspirava a entrare nella cerchia della piccola nobiltà cittadina. Per questo ricercò la gloria tramite le imprese militari, finché comprese di dover servire solo il Signore.
Si diede quindi a una vita di penitenza e solitudine in totale povertà, dopo aver abbandonato la famiglia e i beni terreni. Nel 1209, in seguito a un’ulteriore ispirazione, iniziò a predicare il Vangelo nelle città, mentre si univano a lui i primi discepoli.
Con loro si recò a Roma per avere dal papa Innocenzo III l’approvazione della sua scelta di vita. Dal 1210 al 1224 peregrinò per le strade e le piazze d’Italia: dovunque accorrevano a lui folle numerose e schiere di discepoli che egli chiamava “frati”, cioè “fratelli”.
Accolse poi la giovane Chiara che diede inizio al Secondo Ordine francescano, e fondò un Terzo Ordine per quanti desideravano vivere da penitenti, con regole adatte per i laici.
Morì la sera del 3 ottobre del 1226 presso la chiesa di Santa Maria degli Angeli ad Assisi.
È stato canonizzato da papa Gregorio IX il 16 luglio 1228. Papa Pio XII ha proclamato lui e santa Caterina da Siena Patroni Primari d’Italia il 18 giugno 1939.
I resti mortali di colui che è diventato noto come il “Poverello d’Assisi” sono venerati nella Basilica a lui dedicata ad Assisi, precisamente nella cripta della chiesa inferiore.
Francesco, che, dopo una spensierata gioventù, ad Assisi in Umbria si convertì ad una vita evangelica, per servire Gesù Cristo che aveva incontrato in particolare nei poveri e nei diseredati, facendosi egli stesso povero.
Unì a sé in comunità i Frati Minori. A tutti, itinerando, predicò l’amore di Dio, fino anche in Terra Santa, cercando nelle sue parole come nelle azioni la perfetta sequela di Cristo, e volle morire sulla nuda terra.
Della nascita di Francesco non si conosce con certezza né il giorno, né il mese e neppure l’anno. Comunemente, si accetta il 1182 come anno della sua venuta al mondo.
Sia alla nascita che al fonte battesimale, il padre Pietro di Bernardone dei Moriconi, era assente, e la madre, la nobil donna Pica Bourlemont, d’origine provenzale, gli mise il nome Giovanni.
Al ritorno dal viaggio di lavoro in Francia, il padre lo chiamò Francesco. Era una famiglia della borghesia nascente della città di Assisi.
Riceve la prima formazione in famiglia, specialmente dalla madre Pica, molto devota e pia. Intorno ai 6 anni frequenta il primo grado di istruzione per 5 anni. Vi si insegnava a leggere e a scrivere non solo in latino (la propria lingua), ma anche in francese; a cantare inni liturgici e salmodia; e anche a misurare secondo i non facili calcoli del tempo.
È molto probabile, invece, che, per la sua elevata condizione economica e per assicurarsi una qualsiasi apertura alla vita sociale o alla carriera militare, Francesco abbia frequentato anche un corso di formazione superiore, presso qualche abbazia vicina.
Prima del crollo definitivo di un progetto, c’è sempre un barlume di speranza, in cui l’uomo resta completamente solo con sé stesso, solo con la propria ambiguità, solo con l’essere di cui non si è potuto realizzare. Alla prima occasione, riemerge all’improvviso un guizzo dell’ideale desiderato.
La campagna antimperiale, promossa dal papato nell’Italia meridionale, offrì a Francesco la possibilità di arruolarsi, per il raduno in Puglia.
Così, tutto impettito nella lussuosa armatura militare a cavallo, e con profonda commozione e vivida speranza, prese commiato dai suoi cari in pena, dagli amici invidiosi e dalla ridente città natale. Il viaggio della speranza durò un sol giorno: nella tappa-sosta di Spoleto.
Che cosa accadde? Difficile dirlo. Solo congetture.
Le Fonti ricorrono al soprannaturale con l’espediente della visione in sogno. Altre ipotesi: un improvviso riacutizzarsi della malattia; qualche dispetto di commilitone; la riflessione sulle finalità dell’arruolamento per guadagno e non per ideale; un ripensamento sull’inutilità della guerra per risolvere i problemi sociali…
Questi e altri pensieri avranno turbinato nell’animo di Francesco, durante la prima notte della sua avventura militare. Il ritorno inatteso e solitario fa scalpore in Assisi.
Un mormorio di curiosità e di dicerie passa di porta in porta e da bocca a bocca. I genitori assaporano l’amarezza della delusione. Francesco è provato dalle contrastanti emozioni, da cui si sente circondato dentro e fuori casa.
Al rientro da Spoleto, divenne più riservato solitario e taciturno, ma anche più attento alle esigenze degli altri e più prodigo verso i poveri. Cominciò a percepire una maggiore sensibilità verso la caducità della vita e delle cose.
Questo “distacco” gli permetteva di essere libero-da e dare un diverso gusto alla vita, con uno spiccato bisogno interiore di stare solo con sé stesso e di abbandonare ogni altra occupazione.
Onde, la ricerca di luoghi solitari e impervi. Al distacco dalle cose, Francesco aggiunse anche il “silenzio” dalle cose, aprendosi all’origine della loro esistenza, tanto da provocare in lui profonda gioia interiore, e contribuire a dimenticare anche le precedenti sofferenze.
Nel cuore di Francesco era tornato la gioia: aveva trovato il segreto che lo rendeva “libero” da ogni cosa e “aperto” a ogni realtà.
Ne è un esempio l’episodio del “lebbroso”. Nel contado di Assisi erano abbastanza evidenti i segni della guerra: lutti miseria malattie carestia disordine morale…
La mancanza di adeguate strutture per la prima assistenza concreta costringeva alcuni ad “arrangiarsi”, girovagando per le campagne deserte, in cerca di qualcosa per sopravvivere o per tranquillizzare l’animo esacerbato dalla lotta fraterna tra ricchi e poveri.
Disumana, invece, era la condizione del malato di lebbra, lasciato solo con sé stesso in balia del suo male. In un momento della sua crisi, Francesco si aggirava per le campagne in cerca di tranquillità interiore, e si incontrò con un lebbroso.
Superata l’istintiva ripulsa, lo abbracciò e gli consegnò il denaro che possedeva. Con questa nuova gioia, fece il pellegrinaggio a Roma, in S. Pietro, come “finto” povero.
Ai piedi del Cristo crocifisso, la sua preghiera si trasformò in contemplazione, fino all’immedesimazione: Francesco si trovava come sospeso tra la profondità della sua psiche e la trascendenza di Dio “Sommo e glorioso Dio, illumina le tenebre del cuore mio, e dammi fede retta, speranza certa e carità perfetta, saggezza e conoscimento, o Signore, affinché io faccia il tuo santo e verace comandamento”.
L’invocazione di Francesco al Crocifisso segnò il momento decisivo della sua crisi. Anche l’espressione “ripara la mia casa che è in rovina”, gettò indicibile gioia nel cuore di Francesco, che si sentì investito della missione di riparare la cappella di S. Damiano.
Anche l’episodio di Foligno perfeziona la sua volontà che lottava tra due sofferenze: quella per il disagio provocato all’ambiente familiare; e l’altra per l’ostacolo non superato a riparare la casa del Crocifisso per mancanza di fondi.
Intensificò, perciò, raccoglimento e preghiera. Grande giovamento ricevette dall’ascolto di alcune espressioni evangeliche, diventate di moda per la diffusione ad opera dei movimenti pauperistici.
Si ricordano alcune che dividono il cuore:
- “Se uno non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo” (Lc 14, 26);
- “Chi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo” (Lc 14, 33);
- “È più facile che un cammello entri nella cruna di un ago, che un ricco entri nel regno dei Cieli” (Mt 19, 24);
- “Chi avrà lasciato casa fratelli sorelle padre madre figli campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna…” (Mt 19, 29);
- “Chi compie la volontà di Dio, costui è mio fratello sorella e madre” (Mc 3, 35).
Gli ultimi due anni di Francesco furono certamente segnati con più profondità da “sorella sofferenza” sia per le Stimmate e sia per tutte le altre malattie del corpo. Nella primavera del 1226, mentre si trovava a Siena, sentendosi mancare, dettò un “piccolo” Testamento.
Dopo, mentre si trovava nel convento delle Celle a Cortona, ne fece scrivere un altro, l’ultimo, e volle che fosse legato alla Regola. Dalle sorgenti del fiume Topino, nei pressi di Nocera Umbra, dove si trovava, Francesco si fece trasportare ad Assisi, alla Porziuncola, per esalare l’ultimo respiro al tramonto del 3 ottobre 1226.
Il suo corpo, dopo aver attraversato Assisi e dopo una sosta in San Damiano, venne sepolto nella chiesa di San Giorgio, da dove, nel 1230, la salma venne trasferita nell’attuale basilica, due anni dopo la sua canonizzazione da parte di Gregorio IX con la bolla Mira circa nos del 19 luglio 1228, fissando la festa liturgica al 4 ottobre.
Quanto ha saputo cogliere, nella cattolicissima e guerresca nazione, l’essenziale del cristianesimo diventando egli stesso modello della radicalità evangelica per cavalieri e papi di tutti i tempi!
Quanto ha saputo amare ed essere amato, straordinariamente esagerato nel suo rapporto con il creato e con i nemici, indicando ai suoi e a noi in cosa consiste veramente la fede cristiana.
Così agisce Dio: quando vede che il suo vangelo arranca e si impantana nelle pastoie clericali, quando vede che la Chiesa, specialmente chi, nella Chiesa, dovrebbe condurre il gregge, si allontana dal messaggio e dalla propria missione… invia i santi. E questo è il modo di agire di Dio, sempre pronto a inviare uomini e donne che, senza fare rivoluzioni, senza colpi di stato, senza rabbie represse, convertono la Chiesa a partire da sé stessi.
Francesco vive in un medioevo in cui la Chiesa combatte per non essere travolta dal nascente potere civile e lo fa, spesso, imitandone le peggiori attitudini. Papi-principi, vescovi-padroni offuscano e contraddicono il mandato evangelico. In una società strutturata intorno alla presenza fisica e tangibile del cristianesimo con i suoi presidi sul territorio, spesso si è finiti col dimenticare l’essenziale.
E FRANCESCO, figlio del suo tempo, dell’Italia rissosa dei comuni, SEMPLICEMENTE SCOPRE DIO.
NON QUELLO DELLA MESSA DOMENICALE E DELLE PROCESSIONI, MA IL DIO CHE ACCENDE E STRAVOLGE LA VITA DELL’UOMO.
Il pensiero di Francesco si presenta molto variegato e di difficile sintesi organica e sistematica. Attraverso l’analisi tematica della frequenza di parole chiavi nei suoi Scritti, emerge un corpus di idee essenziali che contengono una sicura concezione del mondo e della vita, originale e geniale insieme.
Questa concezione della vita e del mondo spazia dalla teologia alla filosofia, dalla valutazione positiva della natura alla necessità di un impegno sociale, dalla necessità del lavoro come mezzo normale di sussistenza alla scelta della povertà volontaria come ideale di umanesimo e al proposito della pace fondata più sul dialogo che sulla forza.
ESAME DEL TESTO EVANGELICO
Questa pericope del vangelo di Matteo riporta la Parola di Gesù in ordine a una verità che può Illuminare l’intera esistenza. E sta proprio in questa PAROLA il senso profondo di una personalità dove semplicità e totale abbandono in Dio coincidono.
Sì, come nel “bambino” che è l’immagine usata da Gesù e incastonata come perla preziosa nel Vangelo. Così la sapienza di Dio trova davvero in questa immagine l’espressione che ancora oggi e sempre può evidenziare il nostro cammino spirituale.
Certa sapienza e dottrina di furbizia umana non conducono da nessuna parte, anzi, esse sono spesso pericolo di deviazione mortale.
Ma vorrei analizzare la relazione Padre e Figlio “…nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio”. Questa frase pronunciata da Gesù potremmo applicarla a qualunque relazione padre-figlio.
Nessuno può chiamare un uomo padre se non chi è realmente figlio. Non si può chiamare padre un uomo solo perché magari è buono o premuroso.
Si può chiamare padre solo colui che ha dato la vita, chi ha generato. Allo stesso tempo nessun uomo può dire che un altro uomo è suo figlio se non è certo di essere lui all’origine della sua vita.
La relazione padre-figlio non può essere una finzione. CHI NON È FIGLIO NON PUÒ SFORZARSI DI ESSERLO.
Per quanto possa cercare di assomigliare a qualcuno o è figlio o non lo è. GESÙ È FIGLIO PERCHÉ È STATO GENERATO DAL PADRE ED È RIMASTO IN QUESTA RELAZIONE VITALE DI AMORE CON IL PADRE.
Gesù ci dice “…nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo” e vuole rivelarci il Padre, suo e Nostro.
Non ci vuole trasmettere una informazione da imparare a memoria (“Dio è Padre”), ma vuole introdurci in quella relazione di AMORE TRINITARIO PURO.
Per il perdono che ci ha rigenerati, siamo stati innestati in Cristo e in Lui siamo figli di Dio a pieno titolo.
E così anche a Pietro il Padre rivela che Gesù è Figlio del Dio vivente. Si tratta quindi di essere introdotti nella vita di Dio per conoscerlo dal di dentro, per una relazione che egli stabilisce con noi.
Andare a Cristo non è una fatica da portare sulle nostre spalle. Anzi, la vera fatica, la vera oppressione è proprio il non vivere da figli. Solo chi ha un Padre è mite ed è umile e trova ristoro. Solo chi è figlio riposa nell’amore del Padre, per la potenza dello Spirito Santo.
L’Amore della Trinità, dobbiamo considerarla in noi stessi, accorgerci quanto siamo davvero fatti a Sua immagine (Gen.1,26). Nella nostra anima c’è l’immagine propria di Dio. Sicuramente in questa intimità dell’animo il Padre genera il Figlio suo unigenito…
“Chi vuole entrare in questo Mistero guardi dentro di sé e si immerga nel fondo del suo animo. La potenza del Padre allora lo raggiungerà, e il Padre chiamerà l’uomo in Lui mediante il Figlio suo unigenito, e come il Figlio nasce dal Padre e rifluisce nel Padre, così anche l’uomo, nel Figlio, nasce dal Padre e rifluisce nel Padre con il Figlio, divenendo una cosa sola con Lui. Lo Spirito Santo si diffonde allora in una carità e in una gioia inesprimibili e traboccanti. Egli invade e penetra il fondo dell’uomo con i suoi doni diletti”. GIOVANNI TAULERO, Omelia 29 (circa 1300-1361), domenicano, mistico, teologo e religioso tedesco. …
La Costituzione dogmatica “Dei Verbum”, del Concilio Vaticano II, al n.2 dice “…Piacque a Dio, nella sua bontà e sapienza rivelare sé stesso e far conoscere il mistero della sua volontà, mediante la quale gli uomini, per mezzo di Cristo, Verbo fatto carne, nello Spirito Santo hanno accesso al Padre e sono resi partecipi della divina natura”. Il motivo di tale divina condiscendenza è questo: Dio, essendo pura Bontà e meravigliosa Amicizia, fin dal principio desiderava effondere Sé stesso rivelando la propria intimità agli uomini, come fa un amico con l’amico più caro “…Vi ho chiamato amici, perché tutto quello che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi” (Gv 15,15).
La voce del Santo Patrono d’Italia San Francesco d’Assisi “…Un raggio di sole è sufficiente per spazzare via molte ombre“.
Ragioniamoci sopra…
Sia Lodato Gesù, il Cristo!