Partecipando con le nostre riflessioni e argomentazioni al dialogo del rabbino ebreo con Gesù, ci siamo fatti loro compagni nel cammino di Gesù verso Gerusalemme già ben oltre il Discorso della montagna; adesso dobbiamo ritornare ancora alle antitesi del Discorso della montagna in cui Gesù riprende alcune questioni nell’ambito della Seconda tavola del Decalogo contrapponendo ad antiche disposizioni della Torah una nuova radicalità della giustizia di fronte a Dio: non solo non uccidere, ma andare incontro al fratello con cui si è in lite per riconciliarsi con lui. Non più divorzi; non solo uguaglianza nel diritto (occhio per occhio, dente per dente), ma lasciarsi percuotere senza restituire il colpo; amare non solo il prossimo, ma anche il nemico. La sublimità dell’ethos che qui si manifesta continuerà a sconvolgere uomini di ogni provenienza e a impressionarli come il culmine della grandezza morale; pensiamo solo alla simpatia per Gesù del Mahatma Gandhi, che poggiava proprio su questi testi. Ma ciò che viene detto è anche realistico? Si deve, anzi, è legittimo agire così? Certi particolari di quanto viene detto non distruggono forse – come obietta Neusner – ogni concreto ordine sociale? Si può costruire così una comunità, un popolo? La recente ricerca esegetica, esaminando accuratamente l’interna struttura della Torah e della sua legislazione, ha fatto importanti acquisizioni su questo tema. Per la nostra questione è importante soprattutto l’analisi del cosiddetto Codice dell’Alleanza in Esodo 20,22-23,19. In questo codice di leggi si possono distinguere due tipi di diritto: il cosiddetto diritto casuistico e quello apodittico. Il diritto casuistico comporta norme che regolano questioni molto concrete: disposizioni giuridiche circa il mantenimento e l’affrancamento degli schiavi, circa le lesioni fisiche a opera di uomini o animali, circa l’indennizzo in caso di furto eccetera. Qui non vengono date motivazioni teologiche, ma stabilite sanzioni concrete, proporzionali al torto compiuto. Queste norme giuridiche costituiscono un diritto sviluppatosi dalla prassi e riferito a essa. Esso serve alla costruzione di un ordinamento sociale realistico, e si commisura alle possibilità concrete di una società in una situazione storica e culturale ben determinata. In questo senso, si tratta anche di un diritto condizionato storicamente, che è senz’altro suscettibile di critica, spesso anche – secondo la nostra visione etica – bisognoso di critica. Esso, nell’ambito stesso della legislazione veterotestamentaria, è stato ulteriormente sviluppato: norme più recenti contraddicono norme più antiche sulla stessa materia. Le disposizioni di questo genere, pur stando nel contesto fondamentale della fede nel DÃo rivelatore che ha parlato al Sinai, non sono però esse stesse immediatamente diritto divino, bensì diritto che si è sviluppato a partire dal criterio di fondo del diritto divino e quindi diritto suscettibile di ulteriore sviluppo e di correzioni. Di fatto, un ordinamento sociale comprende anche la possibilità di evoluzione: deve commisurarsi a diverse situazioni storiche e orientarsi a ciò che è possibile, senza però perdere di vista il criterio etico in quanto tale, che dà al diritto il suo carattere di diritto. La critica profetica di Isaia, Osea, Amos, Michea riguarda sotto certi aspetti – come ha mostrato per esempio Olivier Artus – anche il diritto casuistico che è presente nella Torah, ma che all’atto pratico è divenuto un’ingiustizia e in concrete situazioni economiche di Israele non serve più alla difesa dei poveri, delle vedove e degli orfani – una difesa che i profeti considerano lo scopo più elevato della legislazione proveniente da Dio. Affini a questa critica profetica, però, sono parti dello stesso Codice dell’Alleanza, che vengono qualificate come «diritto apodittico» (Es 22,20; 23,9-12). Questo diritto apodittico è pronunciato nel nome stesso di Dio: qui non si danno sanzioni concrete. «Non molesterai il forestiero nè lo opprimerai, perchè voi siete stati forestieri nel paese d’Egitto. Non maltratterai la vedova o l’orfano» (Es 22,20s). In queste grandi norme, la critica dei profeti ha trovato il punto d’appoggio e a partire da tali norme ha ripetutamente messo in discussione consuetudini giuridiche concrete per far valere l’essenziale nocciolo divi-no del diritto quale criterio e linea d’orientamento per ogni sviluppo del diritto e per ogni ordinamento sociale. Frank Crèsemann, a cui dobbiamo nozioni fondamentali in questa materia, ha qualificato le disposizioni del diritto apodittico come «metanorme», che rappresentano un’istanza critica nei confronti delle regole del diritto casuistico. Il rapporto tra diritto casuistico e diritto apodittico – mann – potrebbe essere definito con la coppia concettuale di «regole» e «princìpi».
J. Ratzinger – Benedetto XVI, Gesù di Nazaret, pagg. 151-156
Vi sono così, all’interno della stessa Torah, livelli di autorità decisamente diversi; c’è in essa – per usare le parole di Artus – un dialogo continuo tra norme condizionate dalla storia e metanorme. Queste ultime espri-èmono quanto è richiesto perennemente dall’Alleanza. L’opzione fondamentale delle metanorme è la garanzia offerta da Dio a favore dei poveri che vengono facilmente privati dei loro diritti e non possono farsi giustizia da soli. A questo è legato un ulteriore aspetto: nella Torah appare in primo luogo quale norma fondamentale, dalla quale solamente dipende tutto, l’affermazione della fede nell’unico Dio. Egli solo, YHWH, può essere adorato. Ma poi, nel corso dello sviluppo profetico, la responsabilità per i poveri, le vedove e gli orfani assume progressivamente lo stesso rango dell’esclusiva adorazione dell’unico Dio: si fonde con l’immagine di Dio, la definisce in modo molto concreto. La guida sociale è una guida teologica e la guida teologica ha carattere sociale – l’amore verso Dio e l’amore per il prossimo non si possono scindere, e l’amore per il prossimo ottiene qui, come percezione della diretta presenza di Dio nel povero e nel debole, una definizione assai pratica.
Tutto ciò è essenziale per la corretta comprensione del Discorso della montagna. All’interno stesso della Torah e poi nel dialogo tra Legge e Profeti vediamo già la contrapposizione tra diritto casuistico mutevole, che forma di volta in volta la struttura sociale, e i princìpi essenziali del diritto divino stesso, alla luce dei quali si devono di continuo misurare, sviluppare e correggere le norme pratiche. Gesù non fa niente di inaudito o di nuovo quando contrappone alle norme casuistiche, pratiche, svilup-pate nella Torah, la pura volontà divina come la «maggiore giustizia» (Mt 5,20) che ci si deve aspettare dai figli di Dio. Egli riprende il dinamismo intrinseco alla stessa Torah, sviluppato ulteriormente dai profeti e, come l’Eletto, come il profeta che con Dio stesso si trova «faccia a faccia» (Dt 18,15), le dà la sua forma radicale. Così si comprende da sè che con queste parole non viene formulato unordinamento sociale; sicuramente, però, vengono premessi agli ordinamenti sociali i criteri fondamentali che, tuttavia, come tali non possono trovare realizzazione piena in nessun ordinamento sociale. La dinamizzazione degli ordinamenti giuridici e sociali concreti che Gesù compie, la loro estrapolazione dall’immediato ambito divino e l’affidamento della responsabilità a una ragione ormai capace di discernere, corrisponde alla struttura intrinseca della Torah stessa. Nelle antitesi del Discorso della montagna Gesù ci sta davanti non come un ribelle nè come un liberale, ma come l’interprete profetico della Torah che Egli non abolisce, ma porta a compimento – la porta a compimento proprio indicando alla ragione che agisce nella storia lo spazio della sua responsabilità. Così anche la cristianità dovrà continuamente rielaborare e riformulare gli ordinamenti sociali – una «dottrina sociale cristiana». Di fronte a nuovi sviluppi la cristianità correggerà ciò che era stato precedentemente stabilito. Nella struttura intrinseca della Torah, nella sua evoluzione mediante la critica profetica e nel messaggio di Gesù che riprende entrambe, essa trova insieme l’ampiezza per i necessari sviluppi storici e la base stabile che garantisce la dignità dell’uomo a partire dalla dignità di Dio.
Tutto ciò è essenziale per la corretta comprensione del Discorso della montagna. All’interno stesso della Torah e poi nel dialogo tra Legge e Profeti vediamo già la contrapposizione tra diritto casuistico mutevole, che forma di volta in volta la struttura sociale, e i princìpi essenziali del diritto divino stesso, alla luce dei quali si devono di continuo misurare, sviluppare e correggere le norme pratiche. Gesù non fa niente di inaudito o di nuovo quando contrappone alle norme casuistiche, pratiche, svilup-pate nella Torah, la pura volontà divina come la «maggiore giustizia» (Mt 5,20) che ci si deve aspettare dai figli di Dio. Egli riprende il dinamismo intrinseco alla stessa Torah, sviluppato ulteriormente dai profeti e, come l’Eletto, come il profeta che con Dio stesso si trova «faccia a faccia» (Dt 18,15), le dà la sua forma radicale. Così si comprende da sè che con queste parole non viene formulato unordinamento sociale; sicuramente, però, vengono premessi agli ordinamenti sociali i criteri fondamentali che, tuttavia, come tali non possono trovare realizzazione piena in nessun ordinamento sociale. La dinamizzazione degli ordinamenti giuridici e sociali concreti che Gesù compie, la loro estrapolazione dall’immediato ambito divino e l’affidamento della responsabilità a una ragione ormai capace di discernere, corrisponde alla struttura intrinseca della Torah stessa. Nelle antitesi del Discorso della montagna Gesù ci sta davanti non come un ribelle nè come un liberale, ma come l’interprete profetico della Torah che Egli non abolisce, ma porta a compimento – la porta a compimento proprio indicando alla ragione che agisce nella storia lo spazio della sua responsabilità. Così anche la cristianità dovrà continuamente rielaborare e riformulare gli ordinamenti sociali – una «dottrina sociale cristiana». Di fronte a nuovi sviluppi la cristianità correggerà ciò che era stato precedentemente stabilito. Nella struttura intrinseca della Torah, nella sua evoluzione mediante la critica profetica e nel messaggio di Gesù che riprende entrambe, essa trova insieme l’ampiezza per i necessari sviluppi storici e la base stabile che garantisce la dignità dell’uomo a partire dalla dignità di Dio.
J. Ratzinger – Benedetto XVI, Gesù di Nazaret, pagg. 151-156