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Pio VIII
Traditi humilitati
Accingendoci ad andare in questo giorno alla Basilica Lateranense, secondo l’usanza introdotta dai Nostri Predecessori, per prendere possesso del Pontificato concesso alla Nostra umiltà, allarghiamo con gioia il Nostro cuore su di voi, Venerabili Fratelli, che a Noi foste assegnati, come coadiutori nell’adempimento di tanto grande incarico, da Colui che possiede ogni grado di dignità e domina ogni vicenda temporale. Non solo Ci riesce dolce e gradito esprimervi i Nostri intimi sentimenti di benevolenza, ma soprattutto, per il sommo bene della vita cristiana, Ci giova entrare in comunione spirituale con voi, e insieme conoscere quali maggiori vantaggi, giorno per giorno, si possano procurare alla Chiesa. È questo un impegno del Nostro ministero, a Noi affidato nella persona di San Pietro per divino incarico dello stesso Fondatore della Chiesa; per esso, a Noi compete pascere, guidare, governare non solamente gli agnelli, ossia il popolo cristiano, ma anche le pecore, ossia i Vescovi.
Esultiamo con tutto il cuore e ringraziamo il Principe dei pastori per aver preposto a guardia del suo gregge siffatti pastori, animati unicamente dalla sollecitudine e dal pensiero di condurlo sulle vie della giustizia, di allontanare da esso ogni pericolo, di non perdere alcuno di coloro che il Padre ha loro affidato. Infatti, Venerabili Fratelli, Noi ben conosciamo la vostra salda fede, l’assiduo zelo per la Religione, l’ammirevole santità della vita, la singolare prudenza. Ci aspettiamo pertanto molti motivi di letizia per Noi, per la Chiesa, per questa Santa Sede da tale corona di irreprensibili operai; questa lieta speranza Ci ispira coraggio, timorosi come siamo sotto il peso di un tale incarico, e Ci ristora e Ci ricrea, anche se sopraffatti da tante inquietudini.
Ma per non sollecitare senza motivo chi già s’affretta, ometteremo volentieri di intrattenervi a lungo circa i doveri che devono essere tenuti presenti nell’esercizio del vostro ministero, secondo quanto prescrivono i sacri canoni; non occorre ricordarvi che nessuno deve abbandonare il luogo e la custodia del gregge a lui affidato e con che cura e diligenza si deve affrontare la scelta dei ministri sacri. Rivolgiamo piuttosto le Nostre preghiere a Dio Salvatore perché vi protegga con la potenza della sua grazia e conduca a felice esito le vostre azioni e i vostri sforzi.
Malgrado ciò, anche se il Signore Ci conforta per il vostro coraggio, Venerabili Fratelli, Noi siamo costretti ad essere ancora tristi, avvertendo le crudeli amarezze che, pur in una situazione di pace, i figli di questo secolo Ci infliggono. Parliamo, o Fratelli, di quei mali noti, manifesti che deploriamo con comuni lacrime, e che con solidale impegno dobbiamo correggere, estirpare, sconfiggere. Parliamo degli innumerevoli errori, delle dottrine perverse che combattono la fede cattolica, non più in segreto e di nascosto ma con palese accanimento.
Voi sapete in che modo uomini scellerati abbiano alzato insegne di guerra contro la Religione, ricorrendo alla filosofia, di cui si proclamano dottori, e a fatui sofismi tratti da idee mondane. Questa Romana Santa Sede del beatissimo Pietro, su cui Cristo pose le fondamenta della sua Chiesa, è soprattutto perseguitata; a poco a poco si spezzano i vincoli della sua unità. Si incrina l’autorità della Chiesa, i sacri ministri vengono isolati e disprezzati. Sono rifiutati i più virtuosi precetti, derisi i riti divini, il culto di Dio è esecrato dal peccatore (Sir 1,32); tutto ciò che riguarda la Religione è considerato come una vecchia favola e come vana superstizione. Diciamo tra le lacrime: “Davvero ruggirono i leoni sopra Israele (Ger 2,25); davvero si riunirono contro Dio e contro Cristo; davvero gli empi hanno gridato: distruggete Gerusalemme, distruggetela sino alle fondamenta” (Sal 137,7).
A questo fine mira la turpe congiura dei sofisti di questo secolo, che non ammettono alcun discrimine tra le diverse professioni di fede; che ritengono sia aperto a tutti il porto dell’eterna salute, qualunque sia la loro confessione religiosa, e che tacciano di fatuità e di stoltezza coloro che abbandonano la religione in cui erano stati educati per abbracciarne un’altra, fosse pure la Religione Cattolica. Certamente è un orrendo prodigio d’empietà attribuire la stessa lode alla verità e all’errore, alla virtù e al vizio, alla onestà e alla turpitudine.
È davvero letale questa forma d’indifferenza religiosa ed è respinta dal lume stesso della ragione naturale, la quale ci avverte chiaramente che tra religioni discordanti se l’una è vera, l’altra è necessariamente falsa, e che non può esistere alcun rapporto tra luce e tenebre. Occorre, Venerabili Fratelli, premunire i popoli contro questi ingannatori, insegnare che la Cattolica è la sola vera religione, secondo le parole dell’Apostolo: “Un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo” (Ef 4,5). Perciò sarà un profano, come diceva Girolamo, colui che mangerà l’agnello fuori da questa casa, e perirà colui che durante il diluvio non si rifugerà nell’arca di Noè. E infatti, oltre il nome di Gesù, nessun altro nome è concesso agli uomini che possa salvarli (At 4,12); chi avrà creduto sarà salvo, chi non avrà creduto sarà condannato (Mc 16,16).
Bisogna inoltre vigilare sulle società di coloro che pubblicano nuove traduzioni della Bibbia in ogni lingua volgare, contro le salutari regole della Chiesa, per cui i testi vengono astutamente travisati in significati aberranti, a seconda degli umori di ciascun traduttore. Tali versioni vengono distribuite gratuitamente dappertutto, con spese esorbitanti, anche ai più ignoranti, e spesso vi sono inseriti perversi scritti in modo che i lettori bevano un letale veleno, là dove credevano di attingere le acque della salutare sapienza. Già da tempo la Sede Apostolica ha messo in guardia il popolo cristiano contro questo attentato alla fede, e ha condannato gli autori di così grande iattura. A tale scopo furono nuovamente richiamate alla memoria di tutti le regole statuite per decisione del Concilio di Trento e quanto fu disposto dalla stessa Congregazione dell’Indice per cui non devono essere consentite le versioni in lingua volgare dei sacri testi, salvo non siano approvate dalla Santa Sede e accompagnate da commenti tratti dalle opere dei Santi Padri della Chiesa . Allo stesso scopo il sacro Concilio Tridentino, per infrenare gl’ingegni più irrequieti, emise il seguente decreto: “In materia di fede e di costumi che riguardino la dottrina cristiana, nessuno osi confidare nel proprio senno e tradurre la sacra scrittura deformandola a proprio talento, ossia interpretarla in un senso diverso da quello che la Santa Madre Chiesa ha sempre seguito o contro l’unanime concordanza dei Padri” . Sebbene appaia evidente da questi decreti canonici che tali insidie contro la Religione Cattolica sono state da molto tempo respinte, tuttavia gli ultimi Nostri Predecessori di felice memoria, pieni di sollecitudine per l’incolumità del popolo cristiano, ebbero cura di reprimere quei nefasti ardimenti che essi vedevano rinnovarsi ovunque, e sull’argomento pubblicarono severe lettere apostoliche (Si leggano, fra le altre, la lettera apostolica di Pio VII all’Arcivescovo di Gniezno dell’1 giugno 1816, e all’Arcivescovo di Mohilew, del 3 settembre 1816). Usate le stesse armi, Venerabili Fratelli, per combattere le battaglie del Signore, mentre corre così grande pericolo la sacra dottrina, in modo che il letale veleno non si diffonda nel vostro gregge, portando a rovina gli stessi Sovrani.
Così, dopo aver evitato lo stravolgimento delle sacre scritture, è vostro dovere, Venerabili Fratelli, indirizzare gli sforzi contro quelle società segrete di uomini faziosi che, nemici di Dio e dei Principi, sono tutti dediti a procurare la rovina della Chiesa, a minare gli Stati, a sovvertire l’ordine universale e, infranto il freno della vera fede, si sono aperti la via ad ogni sorta di scelleratezze. Costoro si sforzano di nascondere nelle tenebre di riti arcani la iniquità dei loro conciliaboli e le decisioni che vi assumono, e per questo motivo hanno suscitato gravi sospetti circa quelle imprese infami che per la tristezza dei tempi, come da spiraglio di un abisso, eruppero a suprema offesa del consorzio religioso e civile. Perciò i sommi Pontefici Clemente XII, Benedetto XIV, Pio VII e Leone XII (Clemente XII, con la costituzione In eminenti; Benedetto XIV con la costituzione Providas; Pio VII, con la costituzione Ecclesiam a Jesu Christo; Leone XII con la costituzione Quo graviora), dei quali siamo successori anche se di granl unga inferiori per meriti, scomunicarono quelle società segrete (qualunque fosse il loro nome)con pubbliche lettere apostoliche, le cui disposizioni Noi confermiamo nella pienezza del Nostro potere apostolico ordinando la scrupolosa osservanza di esse. Noi, con tutto il Nostro zelo, vigileremo perché la Chiesa e la società civile non ricevano alcun danno dalla cospirazione di tali sette e invochiamo la vostra quotidiana assiduità in tale impresa, in modo che, indossando l’armatura della costanza e rinsaldando validamente l’unità degli spiriti, Noi possiamo sostenere la nostra causa comune, o, meglio dire, la causa di Dio, al fine di distruggerei baluardi eretti dalla fetida empietà di uomini scellerati.
Tra tutte queste società segrete, abbiamo deciso di descriverne una in particolare, costituita di recente con lo scopo di corrompere l’animo degli adolescenti che frequentano i ginnasi e i licei. Tale setta si adopera, con scaltrezza, di assumere maestri corrotti che conducano i discepoli sui sentieri di Baal, con dottrine contrarie a Dio, ben sapendo che le menti e i costumi degli alunni sono plasmati dai precetti degli insegnanti.
Siamo perciò indotti a deplorare, gemendo, che la licenza dei giovani sia giunta al punto di rimuovere il timore della Religione, di rifiutar la disciplina dei costumi, di opporsi alla santità della più pura dottrina, di calpestare i diritti del potere religioso e civile, di non vergognarsi più di alcun delitto, di alcun errore, di alcuna audacia, per cui possiamo dire di essi, con Leone Magno: “La loro legge è la menzogna, il demonio la loro religione, la turpitudine il loro culto“ . Allontanate tutti questi mali dalle vostre Diocesi, o Fratelli, e, per quanto vale la vostra autorità e il vostro ascendente, fate in modo che siano incaricati della educazione dei giovani uomini eminenti non solo per la loro cultura letteraria, ma soprattutto per purezza di vita e di pietà.
In tal senso vigilate con la più assidua sollecitudine nei seminari sui quali a voi in modo particolare è stata affidata la sorveglianza dai Padri del Concilio Tridentino . Dai seminari infatti devono provenire coloro che, compiutamente educati alla disciplina cristiana ed ecclesiastica, e ai princìpi della più sana dottrina, dimostreranno tale devozione nell’adempimento del loro divino ministero, tale dottrina nella educazione del popolo, tale severità di costumi che il ministero a loro affidato sarà apprezzato anche dai profani, ed essi potranno, con virtuose parole, rimproverare coloro che si allontanano dal sentiero della giustizia. Noi chiediamo alla vostra sollecitudine, per il bene della Chiesa, di dedicare tutto il vostro zelo nella scelta di coloro ai quali dovrà essere affidata la cura delle anime, in quanto dalla oculata scelta dei parroci deriva soprattutto la salute del popolo, e nulla contribuisce di più alla rovina delle anime quanto essere guidati da coloro che cercano il proprio bene e non quello di Gesù Cristo, o da coloro che, scarsamente imbevuti di vero sapere, si fanno volgere in giro da ogni vento e non sanno condurre il loro gregge ai salutari pascoli che non conoscono o che disprezzano.
Dal momento che proliferano ovunque smisuratamente libri funesti, mediante i quali l’insegnamento degli empi si diffonde come un tumore in tutto il corpo della Chiesa (2Tm 2,17), vigilate sul gregge e non sottraetevi a nessuna fatica pur di scongiurare la peste di quei libri, dei quali nulla è più pernicioso; ammonite le pecore di Cristo a voi affidate con le parole di Pio VII, Nostro santissimo Predecessore e benefattore (In litt. encyclicis ad universos episcopos datis Venetiis), secondo le quali il gregge deve considerare come pascoli salutari (e di essi nutrirsi) solo quelli a cui li abbiano invitati la voce e l’autorità di Pietro; qualora quella voce lo diffidi e lo richiami indietro da altre pasture, le si consideri nocive e pestifere, ci si allontani da esse con orrore, non ci si lasci ingannare da nessuna apparenza o perversa lusinga.
Ma, dati i tempi in cui viviamo, abbiamo deciso di raccomandare vivamente al vostro amore per la salute delle anime, di inculcare nel vostro gregge la venerazione per la santità del matrimonio, in modo che non accada mai nulla che diminuisca la dignità di questo grande sacramento, che offenda la purezza del letto nuziale, che possa insinuare alcun dubbio sulla indissolubilità del vincolo matrimoniale; si potrà raggiungere questo intento se il popolo cristiano sarà pienamente convinto che il matrimonio non è soltanto soggetto alle leggi umane ma anche alla legge divina; che bisogna considerarlo un bene sacro e non solo una realtà terrena, e che perciò è totalmente soggetto alla Chiesa. Infatti il vincolo coniugale che un tempo non aveva altro scopo che di procreare e di continuare la specie, ora è stato innalzato da Cristo Signore alla dignità di sacramento e arricchito di doni celesti, in quanto la Grazia ne perfeziona la natura; pertanto quel vincolo non è allietato tanto dalla prole, quanto piuttosto dall’educarla a Dio e alla sua divina Religione: così tende ad accrescere il numero degli adoratori del vero Dio. Risulta infatti che questa unione matrimoniale, di cui Dio è autore, raffigura la perpetua e sublime unione di Cristo Signore con la Chiesa, e che questa strettissima unione tra marito e moglie è un sacramento, ossia un sacro simbolo dell’amore immortale di Cristo per la Sua Sposa. In tal modo è necessario istruire i popoli (Legatur catechism. Rom. ad parochos de matrimon.) e spiegare ad essi ciò che è stato sancito e ciò che è stato condannato dalle regole della Chiesa e dai decreti dei Concilii, affinché i popoli operino in modo di conseguire la virtù del sacramento e non osino compiere ciò che la Chiesa ha condannato; e, per quanto possiamo, chiediamo al vostro zelo di prestarvi in questo con tutta la pietà, la dottrina e la diligenza di cui siete dotati.
Avete appreso, Fratelli, ciò che ora più di ogni altra cosa suscita dolore in Noi che, posti sul soglio del Principe degli Apostoli, dobbiamo essere presi dall’amore per tutta la casa di Dio. Si aggiungono anche altri argomenti, non meno gravi, che qui sarebbe lungo enumerare e che voi sicuramente conoscete. Ma potremmo Noi trattenere la Nostra voce in una congiuntura così difficile per la cristianità? Forse che, impediti da motivi umani, o torpidi nell’indolenza, sopporteremo in silenzio che sia lacerata la tunica di Cristo Salvatore, che neppure i soldati che lo crocifissero osarono dividere? . Non accada, carissimi, che al gregge disperso venga a mancare la protezione del pastore amoroso e sollecito! Noi non dubitiamo che voi farete anche più di quanto vi chiede questo scritto e che vi adoprerete con i precetti, i consigli, le opere, lo zelo, a favorire la Religione avita, a diffonderla e a proteggerla.
Per la verità, ora, nella crudezza della situazione, dobbiamo in particolar modo pregare in ispirito e con maggior fervore; dobbiamo supplicare Dio affinché, come risanale piaghe d’Israele, faccia sì che la sua santa Religione fiorisca ovunque, e permanga incrollabile la vera felicità dei popoli; affinché il Padre della misericordia, volgendo lo sguardo propizio sui giorni del Nostro ministero, si degni di custodire e illuminare il pastore del suo gregge. Vogliano i potentissimi Principi, con il loro animo nobile ed elevato, favorire lo zelo e gli sforzi Nostri; quel Dio che loro ha donato un cuore docile all’adempimento delle sue prescrizioni, li rassicuri con un supplemento di sacri carismi, in modo che con tenacia compiano quelle azioni che riescano utili e salutari alla Chiesa afflitta da tante calamità.
Questo chiediamo supplichevoli a Maria Santissima Madre di Dio, che sappiamo, Lei sola, aver annientato tutte le eresie e che in questo giorno Noi salutiamo con riconoscenza col titolo di “Ausilio dei cristiani“, ricordando il ritorno del Nostro beatissimo Predecessore Pio VII in questa città di Roma, dopo tribolazioni di ogni genere.
Chiediamo al Principe degli Apostoli Pietro e al suo co-Apostolo Paolo di non permettere che alcun sconvolgimento Ci minacci, saldi come siamo sulla pietra della Chiesa per merito del Principe dei Pastori Gesù Cristo Nostro Signore, dal quale invochiamo di riservare sulle Fraternità Vostre e sui greggi a voi affidati i più abbondanti doni di grazia, di pace e di gaudio, mentre, quale segno del Nostro affetto, con tutto il cuore vi impartiamo l’Apostolica Benedizione.
Dato a Roma, presso San Pietro, il 24 maggio 1829, anno primo del Nostro Pontificato.