“«Fermatevi nelle strade e guardate, informatevi circa i sentieri antichi, dove sta la strada buona e prendetela, così troverete pace per le anime vostre» (Geremia 6,16). Voglia il Cielo che ascoltiamo la voce del Signore che ci dice «…questa è la strada, percorretela» (Is 30,21).
Io ti prego, o mio DIO: effondi il tuo SANTO SPIRITO, su questo indegno tuo servo, perchè io possa leggere la Tua PAROLA, e possa trasmetterla, contemplando ciò che ha rivelato il VERBO TUO.
E beati siano coloro che HANNO OCCHI DI FEDE per riconoscere il mistero presente nell’umile quotidiano e mani operose PER FARE DELLA PROPRIA VITA UN GIARDINO IN CUI DIO PUÒ PASSEGGIARE.”
Pietro Saltarelli… il VECCHIO FARISEO COMMENTA…. “In illo tempore: dixit Iesus…”
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Dal Vangelo secondo GIOVANNI 4,43-54
+ In quel tempo, Gesù partì [dalla Samarìa] per la Galilea. Gesù stesso infatti aveva dichiarato che un profeta non riceve onore nella propria patria. Quando dunque giunse in Galilea, i Galilei lo accolsero, perché avevano visto tutto quello che aveva fatto a Gerusalemme, durante la festa; anch’essi infatti erano andati alla festa. Andò dunque di nuovo a Cana di Galilea, dove aveva cambiato l’acqua in vino. Vi era un funzionario del re, che aveva un figlio malato a Cafàrnao. Costui, udito che Gesù era venuto dalla Giudea in Galilea, si recò da lui e gli chiedeva di scendere a guarire suo figlio, perché stava per morire. Gesù gli disse: «Se non vedete segni e prodigi, voi non credete». Il funzionario del re gli disse: «Signore, scendi prima che il mio bambino muoia». Gesù gli rispose: «Va’, tuo figlio vive». Quell’uomo credette alla parola che Gesù gli aveva detto e si mise in cammino. Proprio mentre scendeva, gli vennero incontro i suoi servi a dirgli: «Tuo figlio vive!». Volle sapere da loro a che ora avesse cominciato a star meglio. Gli dissero: «Ieri, un’ora dopo mezzogiorno, la febbre lo ha lasciato». Il padre riconobbe che proprio a quell’ora Gesù gli aveva detto: «Tuo figlio vive», e credette lui con tutta la sua famiglia. Questo fu il secondo segno, che Gesù fece quando tornò dalla Giudea in Galilea. Parola del Signore
Mediti…AMO
Nel Vangelo di oggi ci viene detto chiaramente che nessun profeta è rispettato né onorato nel proprio paese, che, in questo caso è Nàzareth, il “paese natale”, un villaggio della Galilea poco conosciuto.
Guardando la cartina della Giudea, Samaria e Galilea, possiamo vedere che l’itinerario del Signore, quando dopo due giorni lasciò la regione di Samaria, toccò proprio Cana (dopo Nain) per prima.
Capernaum e Nazareth erano più distanti e non potevano essere raggiunte se non passando per questa cittadina in cui Gesù era già conosciuto per il miracolo alle nozze di Cana, appunto, ma anche perché molti galilei che avevano compiuto il pellegrinaggio a Gerusalemme erano presenti sia quando erano stati cacciati i mercanti dal tempio ed erano stati presenti a dei miracoli, che aveva compiuto in quel luogo.
Ricordiamo infatti le parole, che abbiamo letto in Giovanni 2.23, “…ora, mentre Egli si trovava in Gerusalemme per la festa della Pasqua, molti credettero nel suo nome vedendo i segni che faceva”.
Inoltre questo brano ci racconta che la salvezza, la redenzione, PER MEZZO DELLA FEDE, va molto al di là dei privilegi legati alla razza e ad ogni altro particolarismo.
Gesù, dunque, ha svolto la sua attività non soltanto in Galilea ma anche nelle regioni pagane.
Infatti, l’itinerario di Gesù per raggiungere la Galilea avrebbe potuto essere diverso (ma così non fu perché doveva incontrare la donna samaritana e i suoi conterranei).
E, raggiungendo Cana di Galilea, sapeva che in quella regione c’era un padre, a Capèrnaum, distante 40 km circa, in angoscia per il proprio figlio, gravemente ammalato.
Il termine greco utilizzato per descrivere la qualifica di quell’uomo è “basilikòs” che nelle opere di Giuseppe Flavio indica un funzionario civile o militare così come un dignitario di qualche casa reale, come ad esempio:
- Cuza, la cui moglie Giovanna farà parte delle donne al seguito di Gesù,
- Manaen, importante membro della chiesa di Antiochia compagno d’infanzia di Erode il Tetrarca (cioè Antipa, Atti 13.1).
Tutto quindi lascia supporre che il figlio di quell’uomo, nonostante le cure dei migliori medici della regione, non guarisse, anzi si fosse aggravato “….infatti gli chiedeva di scendere perché suo figlio stava per morire”.
Quel giovane aveva la febbre, che a quel tempo stante le poche possibilità di cura destava molta preoccupazione: nell’uomo la temperatura normale è mediamente di 37°C, quando va oltre i 41 può condizionare un danno cerebrale e a 43 si registra l’exitus, la morte: possiamo pensare che la febbre che colpì quel ragazzo, così come la suocera di Pietro di lì a poco tempo, fosse attorno a quei valori.
La febbre negli scritti dell’Antico Patto compare poche volte ed è sempre legata alle conseguenze del peccato.
Del resto, è un’anomalia anche oggi per un corpo progettato teoricamente per stare bene ma che in realtà, per il peccato entrato nel mondo, è soggetto ad ammalarsi in modo più o meno grave.
Per la dispensazione della Legge la febbre rientrava nelle conseguenze e punizioni per la disubbidienza “…Dio ti colpirà con la consunzione, con la febbre, con l’infiammazione, con il caldo bruciante, con la spada, con il carbonchio e con la ruggine, che ti perseguiteranno fino alla tua distruzione” (cantava il Libro del Deuteronomio al capitolo 28,22).
Altre conseguenze erano le emorroidi, la scabbia, la tigna, la pazzia, la cecità e la depressione ansiosa oltre al fallimento in qualsiasi attività intrapresa (in proposito tutti i versi dal 15 alla fine del capitolo 28 del Deuteronomio ILLUSTRANO LA MALEDIZIONE PER LA DISUBBIDIENZA DEL POPOLO.
Ma la febbre che aveva colpito il giovane figlio del funzionario di Erode Antipa, era quindi perché fosse manifestata in lui l’opera di Dio.
È bello vedere che quel padre, saputo che Gesù era giunto a Cana, non esitò a partire da Capernhaum facendo un viaggio di 40 km sulle dissestate strade del tempo, con la sua scorta, per raggiungerlo: dovette partire, fare la strada e, una volta giunto là, cercarlo.
E, vedendolo Gesù mise a confronto, probabilmente, la differenza fra i giudei e i samaritani:
- qui aveva persone che gli chiedevano degli interventi miracolosi,
- là c’erano stati individui che lo avevano ascoltato e avevano concluso che era Lui il “Salvatore del mondo”.
E dice “…se non vedete segni e prodigi (miracoli) voi non credete”.
E questo è un rimprovero perché, da un lato Gesù leggeva in quell’uomo la fede in Lui, ma dall’altro prendeva atto che, se suo figlio non fosse stato malato, difficilmente sarebbe venuto da Capernhaum per ascoltarlo.
Gesù non si limita alla sua razza, né alla sua religione, ma accoglie tutt, desidera però una fede libera dal “miracolismo”, ma vuole ascoltare una richiesta che non sia determinata da segni prodigiosi, ma vuol vedere una fede che si fonda sulla sua Parola.
Purtroppo tutti siamo alla ricerca di segni e non ci accontentiamo della Parola di Gesù.
Il mondo pagano è rappresentato da questo funzionario di Cafarnao, che non è ebreo.
Un pagano che ha creduto alla parola di Gesù, dando prova di una fede pura e sincera, io credo debba deve servirci da esempio.
Giovanni ci mostra l’importanza del dialogo che avviene tra Gesù e il funzionario, che ha per oggetto LA FEDE.
ED E’ SOLO PER MEZZO DELLA FEDE, CHE ANDIAMO INCONTRO A DIO E SCOPRIAMO IL PADRE E IL SUO AMORE PER NOI E PER LA NOSTRA VITA.
Fratelli e Sorelle, in questo brano di Vangelo, troviamo l’effetto DELLA PAROLA DIVINA e LA FIDUCIA ASSOLUTA NELLA POTENZA DI GESÙ.
Ecco perchè il Signore ha ricompensato nella fede del funzionario, la ricompensa per la fede di ogni uomo.
Ma, al di là del miracolo, che per la sua potenza possiamo tranquillamente accomunare ai molti che seguiranno, quello che importa è rilevare che costituisce la storia della conversione di un uomo già predisposto e che in poco tempo acquisisce dei dati fondamentali: conosceva Gesù per sentito dire e aveva creduto in lui, certo in modo imperfetto, ma quanto bastava per sapere che poteva guarire suo figlio.
Va da Gesù perché non ha alternative e l’insistenza con cui chiede al Signore di recarsi dal figlio malato esclude una speranza generica in Lui, ma una certezza, pur se limitata al fatto che, per guarirlo, avrebbe dovuto essere fisicamente presente.
IL FATTO CHE, RASSICURATO SUL FATTO CHE LA FEBBRE AVEVA ABBANDONATO SUO FIGLIO, SE NE FOSSE ANDATO, CI DICE CHE QUELLE PAROLE GLI BASTARONO, PER CUI POSSIAMO VEDERE IN QUEST’UOMO, UNA CERTEZZA ACQUISITA ESCLUSIVAMENTE SULLA PAROLA.
Poi abbiamo l’incontro coi servi, che gli erano andati incontro lungo la strada per informarlo dell’avvenuta guarigione: è in quel momento che la sua fede diviene piena, totale, perché chiede a che ora suo figlio non avesse più avuto la febbre: aveva bisogno di un riscontro per credere una volta per sempre.
C’è un particolare che ci rivela che il funzionario reale aveva già creduto alle parole di Gesù “Va’, tuo figlio vive” e lo rileviamo nella risposta dei suoi servi che gli dicono che la febbre aveva abbandonato suo figlio “Ieri, all’ora settima” (cioè all’una del pomeriggio): QUELL’UOMO ERA RIMASTO TRANQUILLAMENTE A CANA PER LA NOTTE, AVENDO GIÀ CREDUTO CHE IL PROPRIO FIGLIO ERA GUARITO.
Abbiamo così il credere, azione che fino ad ora, nella nostra lettura cronologica dei Vangeli, è stata raggiunta da:
- dei pescatori (professione dei discepoli o di gran parte di essi),
- un Fariseo importante (Nicodemo),
- la donna Samaritana
- e i suoi conterranei
- e per finire questo funzionario real.
Certo, condizioni sociali diverse, ma tutte creature di Dio ciascuna con la necessità di un percorso e reazioni diverse che concretano il credere.
Nel caso del funzionario del re, che credette con tutta la sua famiglia e che il sapere dell’ora in cui la febbre aveva abbandonato il figlio contribuì a rafforzare la sua fede dandogli una prova inequivocabile, abbiamo probabilmente la stessa dinamica del carceriere di Filippi che, dopo essere stato evangelizzato dall’apostolo Paolo, è scritto che “…condottili quindi in casa sua, apparecchiò loro la tavola e si rallegrava con tutta la sua famiglia di aver creduto in Dio” (Atti 16.28).
Fratelli e Sorelle, abbiamo urgente bisogno che il Signore scenda nella nostra casa, che visiti le nostre povere vite.
La morte spesso, troppo spesso, attanaglia la nostra quotidianità e il mondo in cui ci troviamo a vivere.
Gesù, datore di vita, ci invita a non demordere, a non avere paura, a credere, a insistere. Per strada, cioè solo se seguiamo il percorso del discepolato, veniamo guariti, torniamo a vivere, ripercorriamo il sentiero che ci porta verso la comprensione della vita.
Gesù stesso, colui che ridona la vista ai ciechi, ci restituisce la luce interiore per vedere e capire che nessun ostacolo ci può tenere lontano da lui. Il vincitore di ogni morte e il guaritore da ogni ferita.
Ragioniamoci sopra…Pace e Bene!
Il Signore IDDIO ti Benedica
Prega il Signore per me, Fratello che Leggi…
…e ti prego di condividere, se ciò che hai letto è stato di tuo gradimento!
Sia Lodato Gesù, il Cristo!