14.08.2023 – LUNEDI’ SAN MASSIMILIANO MARIA KOLBE – MATTEO 17,22-27 “Lo uccideranno, ma risorgerà”.

«Fermatevi nelle strade e guardate, informatevi circa i sentieri antichi, dove sta la strada buona e prendetela, così troverete pace per le anime vostre». Geremia 6,16

Pietro Saltarelli… il VECCHIO FARISEO COMMENTA…. “In illo tempore: dixit Iesus…”

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Dal Vangelo secondo MATTEO 17,22-27

+ In quel tempo, mentre si trovavano insieme in Galilea, Gesù disse ai suoi discepoli: «Il Figlio dell’uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno, ma il terzo giorno risorgerà». Ed essi furono molto rattristati. Quando furono giunti a Cafàrnao, quelli che riscuotevano la tassa per il tempio si avvicinarono a Pietro e gli dissero: «Il vostro maestro non paga la tassa?». Rispose: «Sì». Mentre entrava in casa, Gesù lo prevenne dicendo: «Che cosa ti pare, Simone? I re della terra da chi riscuotono le tasse e i tributi? Dai propri figli o dagli estranei?». Rispose: «Dagli estranei». E Gesù replicò: «Quindi i figli sono liberi. Ma, per evitare di scandalizzarli, va’ al mare, getta l’amo e prendi il primo pesce che viene su, aprigli la bocca e vi troverai una moneta d’argento. Prendila e consegnala loro per me e per te». Parola del Signore

Mediti…AMO

RAJMUND KOLBE nacque l’8 gennaio1894 a Zduńska Wola, nella Polonia centrale, e fu battezzato lo stesso giorno nella chiesa parrocchiale dell’Assunta. I suoi genitori, Mariann Dabrowska e Juliusz Kolbe, erano ferventi cristiani: il padre, inoltre, era un patriota che mal sopportava la divisione della Polonia di allora tra Russia,Germania e Austria. Dei cinque figli che ebbero, rimasero in vita solo Franciszek, Rajmund e Josef.

A causa delle scarse risorse finanziarie, non potendo frequentare la scuola, Rajmund cercò di imparare qualcosa tramite un prete e poi con il farmacista del paese. Avvertì i primi segni della vocazione quando, mentre pregava nella chiesa di San Matteo a Pabianice, gli apparve la Vergine Maria, che gli porgeva due corone di fiori, una di gigli e una di rose rosse, simboli della verginità e del martirio: lui le prese entrambe.

Non molto lontano, a Leopoli, si stabilirono i Frati Minori Conventuali, i quali proposero ai Kolbe di accogliere nel loro Seminario minore i primi due figli, perché vi compissero gli studi.

Consci che nella zona russa, dove risiedevano,non avrebbero potuto, a causa del regime imperante, dare un indirizzo e una formazione intellettuale e cristiana ai propri ragazzi, accondiscesero.

Rajmund, invece, comprese che per corrispondere al volere di Dio su di lui doveva diventare francescano conventuale. ENTRÒ NELL’ORDINE DEI FRANCESCANI E, IL 4 SETTEMBRE 1910, ASSUNSE IL NOME DI FRA MASSIMILIANO; UN ANNO DOPO, IL 5 SETTEMBRE 1911, EMISE LA PROFESSIONE SEMPLICE.

Dopo il noviziato fu inviato a Roma, per proseguire la sua formazione: dal 1912 dimorò quindi presso il Collegio Serafico Internazionale.

In occasione della professione solenne, il 1° novembre 1914, aggiunse al nome che già portava quello di Maria. Nel 1915, mentre giocava a palla in aperta campagna, fra Massimiliano cominciò a perdere sangue dalla bocca: fu l’inizio della tubercolosi che, tra alti e bassi, l’accompagnò per tutta la vita.

Intanto, mentre consolidava la propria formazione, si era reso conto di dover operare per la difesa del Regno di Dio, sotto la protezione di Maria Immacolata. Sapeva di vivere in tempi influenzati dal Modernismo e dalla massoneria e forieri di totalitarismi sia di destra che di sinistra.

Così, dopo aver ottenuto il permesso dei superiori, la sera del 16 ottobre 1917 diede vita, con altri sei compagni, alla “Milizia di Maria Immacolata”, che aveva lo scopo di “Rinnovare ogni cosa in Cristo attraverso l’Immacolata“.

Il 28 aprile 1918 fra Massimiliano venne ordinato sacerdote nella chiesa di Sant’Andrea della Valle e celebrò la Prima Messa il giorno successivo, a Sant’Andrea delle Fratte: avvenne proprio all’altare presso il quale, nel 1842, Alphonse Ratisbonne aveva avuto l’apparizione della Vergine Maria che segnò l’inizio della sua conversione. Nel 1919, laureandosi in teologia, concluse il suo periodo romano.

Ritornato in Polonia, a Cracovia, pur essendo laureato a pieni voti, era praticamente inutilizzabile nell’insegnamento o nella predicazione: a causa della malferma salute, infatti, non poteva parlare a lungo.

Per questo motivo, ottenuti i permessi dei superiori e del vescovo, si dedicò interamente alla Milizia dell’Immacolata, raccogliendo numerose adesioni fra religiosi del suo Ordine, professori e studenti dell’Università, professionisti e contadini.

NEL 1941 È DEPORTATO AD AUSCHWITZ. QUI È DESTINATO AI LAVORI PIÙ UMILIANTI, COME IL TRASPORTO DEI CADAVERI AL CREMATORIO.

Dopo aver subito maltrattamenti dalle guardie del carcere, indossò abiti civili, perché il saio francescano li adirava moltissimo. Il 28 maggio fu trasferito al campo di sterminio di Oświęcim(Auschwitz), dove ricevette il numero di matricola 16670.

Condivise la sorte e le sofferenze di molti altri prigionieri e, come essi, fu addetto ai lavori più umilianti, come il trasporto dei cadaveri al crematorio.

La sua dignità di sacerdote e uomo retto, che sopportava, consolava e perdonava, fece commentare un testimone così «…Kolbe era un principe in mezzo a noi».

Alla fine di luglio fu trasferito al Blocco 14, dove i prigionieri erano addetti alla mietitura nei campi. Uno di loro riuscì a fuggire: secondo l’inesorabile legge del campo, dieci prigionieri vennero destinati al cosiddetto bunker della fame nel Blocco 13, condannati a morire senza prendere cibo.

Padre Kolbe si offrì in cambio di uno dei prescelti, Franciszek Gajowniczek,padre di famiglia e militare nell’esercito polacco, dichiarando di essere un sacerdote cattolico.

La disperazione che s’impadronì di quei poveri disgraziati, rinchiusi nel bunker, venne attenuata e trasformata in preghiera comune, guidata da padre Kolbe. Gradualmente si rassegnarono alla loro sorte: morirono man mano, mentre le loro voci oranti si riducevano ad un sussurro.

Dopo quattordici giorni, il 14 agosto 1941, non tutti erano morti: rimanevano solo quattro ancora in vita, fra cui padre Massimiliano Maria. A quel punto le SS decisero, dato che la cosa andava troppo per le lunghe, di accelerare la loro fine con una iniezione endovenosa di fenolo. Il francescano tese il braccio pronunciando le sue ultime parole al carnefice «L’amore crea, l’odio non serve a nulla! Ave Maria».

L’indomani il suo corpo venne bruciato nel forno crematorio e le sue ceneri si mescolarono a quelle di tanti altri condannati.

Il primo Pontefice polacco, san Giovanni Paolo II, definiva informalmente il Beato Massimiliano Maria Kolbe “patrono del nostro difficile secolo”. E ripeté quell’affermazione nell’omelia della Messa presso il campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau del 7 giugno 1979.

La grande stima che nutriva per lui gli fece quindi accogliere favorevolmente un’altra richiesta dell’episcopato tedesco e polacco: che venisse venerato come martire.

Così, il 10 ottobre 1982, in piazza San Pietro, poté ufficialmente dichiararlo Santo “per testimonium caritatis heroicis”, ossia “in base all’eroica testimonianza della carità”.

Inoltre, si tratta del primo santo che visse il martirio durante il regime nazista.

La sua figura si pone al crocevia dei problemi emergenti del nostro tempo: la fame, la pace tra i popoli, la riconciliazione, il bisogno di dare senso alla vita e alla morte.

Ma ora veniamo al testo evangelico, dono della Liturgia odierna.

Quando giungono a Cafarnao, gli esattori della tassa del Tempio chiedono a Pietro “…il vostro maestro non paga la tassa per il Tempio?” 

E Pietro risponde affermativamente, perché fin dai tempi di Neemia (V secolo a.C.), i giudei che erano ritornati dall’esilio in Babilonia, e si impegnarono solennemente nell’assemblea a pagare le diverse tasse ed imposte per fare in modo che il Tempio continuasse a funzionare e per curare la manutenzione sia del servizio sacerdotale che dell’edificio del Tempio (Ne 10,33-40).

Dalla risposta di Pietro, si deduce che Gesù pagava questa imposta, come facevano tutti i giudei. Ma è strana la conversazione che avviene tra Gesù e Pietro, sul pagamento di questo tributo. Quando loro giungono a casa, Gesù chiede “…che cosa te ne pare, Simone? I re di questa terra da chi riscuotono le tasse e i tributi? Dai propri figli o dagli altri?” 

E Pietro risponde “…dagli estranei“, e Gesù conclude “…quindi i figli sono esenti!“. 

Probabilmente, qui si vede una discussione tra i giudei e i giudei divenuti cristiani, che avveniva prima della distruzione del Tempio, nell’anno 70. Questi ultimi si chiedevano se dovevano o meno continuare a pagare l’imposta del Tempio, come facevano nella loro precedente condizione di Fede. E Gesù dice loro che non hanno l’obbligo di pagare questa tassa, perché “…I figli sono esenti“.

I figli sono i cristiani, che pur non avendo l’obbligo di pagare, al fine di non dar scandalo, vengono invitati da Gesù a Pagare il tributo.

Ma, se  i  re  della  terra  riscuotono  le  tasse  e  i  tributi  non dai propri figli, ma dagli estranei, Dio dovrebbe comportarsi  in  modo  diverso?  

La  tassa  in  questione,  infatti,  è per  il  Tempio,  dunque  ultimamente  per  Dio,  che  è  il  Signore  del Tempio  e  lo  abita.  E, allo stesso modo dei  re  della  terra,  anche  Dio  NON  RISCUOTE  LA  TASSA  DAL  PROPRIO  FIGLIO.

Ma, ancor più strana della conversazione, è la soluzione che Gesù dà per risolvere la delicata questione. Infatti, dice a Pietro “...ma perché non si scandalizzino, va’ al mare, getta l’amo e il primo pesce che viene prendilo, aprigli la bocca e vi troverai una moneta d’argento. Prendila e consegnala a loro per me e per te“. 

Strano miracolo, strano come quei 2000 porci che si precipitarono nel mare (che ci racconta l’altro Evangelista, Marco, in Mc 5,13). Ma cerchiamo di far luce…

Nella  prima  comunità  cristiana  il  simbolo  del  pesce  aveva  un valore  cristologico  ed  era  immagine  ricorrente  nelle  catacombe. Già  nell’epigrafe  di  ABERCIO,  VESCOVO  DI  GERAPOLI  morto  nel  167, troviamo  inciso  l’acrostico  che  gioca  sul  termine  greco  per  dire pesce  –  icthys  –  nel  quale  i  cristiani  riconoscevano  il  nome  di Gesù:  Iesoùs  Christòs  THeoù  Yiòs  Sotèr,  «GESÙ  CRISTO  FIGLIO  DI DIO  SALVATORE».  

Non  so  se  Matteo  avesse  già  presente  quest’associazione simbolica tra il pesce e il mistero di Gesù. Comunque sia,  essa  offre  a  noi  una  suggestione  preziosa  per  comprendere il brano evangelico.

Grazie a questo brano,  Gesù  rivela  implicitamente se  stesso,  affermando  implicitamente  di essere  il “Figlio  di  Dio”.  Detto questo, il  racconto  di  Matteo  potrebbe  concludersi a  questo  punto, perché abbiamo già l’annunzio  dell’identità  di  Gesù.  Ma l’evangelista  aggiunge   «…per  evitare  di  scandalizzarli,  va’  al  mare,  getta  l’amo  e prendi  il  primo  pesce  che  viene  su,  aprigli  la  bocca  e  vi  troverai una  moneta  d’argento.  Prendila  e  consegnala  loro  per  me  e  per te».

Gesù  vuole  anzitutto  scongiurare  uno  scandalo  ed evita una rivelazione di sé che i suoi interlocutori non sarebbero in  grado  di  comprendere.  LA  SUA  PAROLA  E  IL  SUO  GESTO,  TUTTAVIA, NON  SI  LIMITANO  A  QUESTA  PREOCCUPAZIONE,  LA  OLTREPASSANO  PER APPROFONDIRE ULTERIORMENTE LA RIVELAZIONE DEL MISTERO. Accettando di  pagare  la  tassa,  è  come  se  Gesù  si  spogliasse  della  propria singolare  relazione  con  il  Padre, perché entra  pienamente  nella  nostra condizione  umana,  come  ricorda  l’inno  della lettera ai  Filippesi, al capitolo  2.

Ma  lo  fa con  l’intento  di  donare  anche  a  Pietro  la  possibilità  di  pagare  la tassa del Tempio, non con un denaro che egli possiede, ma attraverso  quello  che  gli  dona  Gesù  stesso.

E lo  fa  attraverso  un  pesce, immagine  cristologica,  PESCATO  DALLE  ACQUE  DEL  LAGO,  ALTRA IMMAGINE PASQUALE.  

Ovvero GESÙ  È  IL  PESCE  CHE  ACCETTA  DI  IMMERGERSI  NELLE  ACQUE DELLA  MORTE,  PER  ESSERNE  POI  LIBERATO  NELLA  RISURREZIONE,  COSÌ  DA DONARE  A  PIETRO  E  A  CIASCUNO  DI  NOI  DI  INTESSERE  LA  RELAZIONE  CON IL  PADRE  CON  LA  SUA  STESSA  MONETA  D’ARGENTO,  CONDIVISA  CON  NOI.

Perché, noi sappiamo che Gesù  è  il  Figlio  libero  che  accetta  di  lasciarsi afferrare  dalle  catene  della  morte  per  liberare  tutti  noi,  che  del male e della morte siamo prigionieri, per renderci liberi figli di Dio, come lui lo è.

La  PASQUA  DI  GESÙ,  il suo  accettare  di  condividere  la  nostra  condizione  umana  fino alla  morte  di  croce  ( Fil  2,8),  ora  ci  rende  liberi  figli  di  Dio.

Ragioniamoci sopra…

Il Signore IDDIO ti Benedica

E tu Prega il Signore per me… Fratello che Leggi…

e ti prego di condividere se ciò che hai letto è stato di tuo gradimento!

Sia Lodato Gesù, il Cristo!