04.10.2022 – MARTEDI’ SAN FRANCESCO DI ASSISI – MATTEO 11,25-30 “Hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli”.
Pietro Saltarelli… il VECCHIO FARISEO COMMENTA…. In illo tempore: dixit Iesus…
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Dal Vangelo secondo MATTEO 11,25-30
In quel tempo Gesù disse: «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo. Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero». Parola del Signore
Mediti…AMO
LA VITA E IL PENSIERO DEL SANTO
Il santo che, secondo molti teologi spirituali, ha rappresentato più da vicino Gesù vivendone pienamente il Vangelo, è San Francesco. Così ci spieghiamo la sua “santa letizia“, espressione vera di un amore senza ombre egoistiche. Della nascita di Francesco non si conosce con certezza né il giorno, né il mese e neppure l’anno. Comunemente, si accetta il 1182. Sia alla nascita che al fonte battesimale, il padre Pietro di Bernardone dei Moriconi, era assente, e la madre, la nobil donna Pica Bourlemont, d’origine provenzale, gli mise il nome Giovanni. Al ritorno dal viaggio di lavoro in Francia, il padre lo chiamò Francesco. Era una famiglia della borghesia nascente della città di Assisi.
Riceve la prima formazione in famiglia, specialmente dalla madre Pica, molto devota e pia. La campagna antimperiale, promossa dal papato nell’Italia meridionale, offrì a Francesco la possibilità di arruolarsi, per il raduno in Puglia. Così, nella lussuosa armatura militare a cavallo, e con profonda commozione e vivida speranza, prese commiato dai suoi cari in pena, dagli amici invidiosi e dalla ridente città natale. Ma il viaggio della speranza durò un sol giorno: nella tappa-sosta di Spoleto, è difficile dire cosa è accaduto. Le Fonti ricorrono al soprannaturale con l’espediente della visione in sogno. Altre ipotesi dicono un improvviso riacutizzarsi della malattia, la riflessione sulle finalità dell’arruolamento per guadagno e non per ideale; un ripensamento sull’inutilità della guerra per risolvere i problemi sociali… Questi e altri pensieri vivevano nell’animo di Francesco, durante la prima notte della sua avventura militare, a seguito della quale aveva fatto ritorno inatteso e solitario, in Assisi. Al rientro divenne solitario e taciturno, ma anche più attento alle esigenze dei poveri. Cominciò a percepire una maggiore sensibilità verso la caducità della vita e delle cose.
Questo “distacco” gli permetteva di essere libero di e dare un diverso gusto alla vita. Al distacco dalle cose, aggiunse anche il “silenzio” dalle cose, che gli provocava una profonda gioia interiore: aveva trovato il segreto che lo rendeva “libero” da ogni cosa e “aperto” a ogni realtà. Ne è un esempio l’episodio del “lebbroso”. Nel contado di Assisi erano abbastanza evidenti i segni della guerra: lutti miseria malattie carestia disordine morale… La mancanza di adeguate strutture per la prima assistenza concreta costringeva alcuni ad “arrangiarsi”, girovagando per le campagne deserte, in cerca di qualcosa per sopravvivere o per tranquillizzare l’animo esacerbato dalla lotta fraterna tra ricchi e poveri.
Disumana, come al solito, era la condizione del malato di lebbra, lasciato solo con sé stesso in balia del suo male. In un momento della sua crisi, Francesco si aggirava per le campagne in cerca di tranquillità interiore, e incontrò un lebbroso, lo abbracciò e gli consegnò il denaro che possedeva. Con questa nuova gioia, fece il pellegrinaggio a Roma, in S. Pietro, come “finto” povero. E, ai piedi del Cristo crocifisso, la preghiera si trasformò in contemplazione, fino all’immedesimazione: Francesco si trovava come sospeso tra la profondità della sua psiche e la trascendenza di Dio “SOMMO E GLORIOSO DIO, ILLUMINA LE TENEBRE DEL CUORE MIO, E DAMMI FEDE RETTA, SPERANZA CERTA E CARITÀ PERFETTA, SAGGEZZA E CONOSCIMENTO, O SIGNORE, AFFINCHÉ IO FACCIA IL TUO SANTO E VERACE COMANDAMENTO” (Preghiera davanti al Crocifisso, in K. Esser, Gli Scritti di S. Francesco d’Assisi, Ed. Messaggero, Padova 1982, pp. 452-453).
L’invocazione di Francesco al Crocifisso segnò il momento decisivo della sua crisi. Anche l’espressione “ripara la mia casa che è in rovina”, gettò indicibile gioia nel cuore di Francesco, che si sentì investito della missione di riparare la cappella di S. Damiano. Intensificò, perciò, raccoglimento e preghiera. Grande giovamento ricevette dall’ascolto di alcune espressioni evangeliche, diventate di moda per la diffusione ad opera dei movimenti pauperistici. Si ricordano alcune che dividono il cuore: “Se uno non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo” (Lc 14, 26); “Chi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo” (Lc 14, 33); “È più facile che un cammello entri nella cruna di un ago, che un ricco entri nel regno dei Cieli” (Mt 19, 24); “Chi avrà lasciato casa fratelli sorelle padre madre figli campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna” (Mt 19, 29); “Chi compie la volontà di Dio, costui è mio fratello sorella e madre” (Mc 3, 35).
Mentre Francesco era tutto intento a gustare l’immensa gioia interiore, proveniente dalla Parola del Signore, ecco che gli venne notificata la citazione di comparizione, avanzata dal padre, Pietro di Bernardone. Senza punto scomporsi e valendosi di una consuetudine, diffusa tra gli eremiti e i penitenti, si autodichiarò servus ecclesiae, sottraendosi così alla giurisdizione dell’autorità civile. Nella piazza, dove il Vescovo amministrava la giustizia, si presentò Francesco tra l’emozione di alcuni e la curiosità di molti. E compì la “dura” decisione della sua conversione, spogliandosi di ogni cosa. Alcuni lo considerarono un fallito e un pazzo, altri si lasciarono commuovere dalla sua scelta. La parola di Francesco usciva dal cuore per potenza e ricchezza d’amore. All’amore non si resiste, si risponde solo con amore. E Francesco, con parola semplice e d’amore infuocata, riusciva a risvegliare negli ascoltatori più benevoli quella scintilla d’amore divino, insito in ogni cuore, che dalla curiosità porta all’ammirazione e alla sequela.
E subito lo seguirono 5 amici, tra cui due sacerdoti, Pietro e Silvestro; due laici, Bernardo ed Egidio.
Nel momento della verifica ad Assisi, Francesco si accorse delle reali difficoltà cui andava incontro il suo ideale e cominciò a pensare ai problemi di organizzazione. Come proposta viene fuori la necessità di dare al gruppo una organizzazione interna e garantirne la struttura giuridica. Per attuarla si decise di andare dal Papa, per chiedere la conferma al loro “propositum vitae”. Così, il gruppetto andò a Roma, ottenendo la conferma orale da parte di Innocenzo III. La prima Regola, presentata da Francesco nel 1221 per l’approvazione da Roma, è detta non bollata, perché non ricevette alcuna conferma da parte del Papa. In un momento molto provato della sua vita, Francesco riuscì, con la collaborazione di frati esperti e della stessa curia romana, a scrivere una nuova Regola, che Onorio III approvava con la bolla Solet annuere del 29 novembre 1223. Così, dal 1223 nasceva la Regola bollata dell’Ordine dei Frati Minori, che regola a tutt’oggi la vita dei francescani.
Nel primo Capitolo Generale dei Frati Minori del 1217, Francesco divise il mondo da evangelizzare in “province”: tra le undici appare anche quella di Terra Santa, che comprendeva Costantinopoli e il suo impero, la Grecia e le sue isole, l’Asia Minore, Antiochia, la Siria, la Palestina, l’isola di Cipro, l’Egitto e tutto il resto del Levante. Fu affidata alle cure di Frate Elia, figura preminente nella nascente fraternità, sia per il suo talento organizzativo, sia per la sua vasta cultura.
Nel 1219, lo stesso Francesco volle visitare almeno una parte della Provincia di Terra Santa. Durante la sua presenza tra i Crociati, sotto le mura di Damietta, incontrò il Sultano d’Egitto, Melek-el-Kamel, nipote di Saladino il Grande. Nel Natale del 1223, in cui lo spirito poetico spinge Francesco a rappresentare l’evento storico dell’Incarnazione, che gli ricordava la discesa sulla terra dello stesso Dio, rivestito di umiltà povertà e innocenza, quasi a simboleggiare i tre voti della scelta esistenziale. Rappresentazione che spiritualmente si può leggere anche come un ringraziamento per il dono ricevuto dell’approvazione della Regola dalla Chiesa, pochi giorni prima (29 novembre!). Così, nel bosco di Greccio, Francesco rievoca per la prima volta la rappresentazione natalizia: nasce il Presepe! Ma il Natale non è disgiunto dalla Pasqua: ontologicamente la Pasqua precede e perfeziona il Natale. Di conseguenza, il Natale rivissuto da Francesco non poteva non proiettarsi verso la Pasqua, che, per sé, è sempre preceduta dalla sofferenza della Croce.
Così, senza saperlo, Francesco si prepara a ricevere il “sigillo” pasquale sul sasso della Verna. Le sue richieste di “sentire nell’anima” la Croce, e di provare “nel cuore” la gloria della risurrezione vengono inaspettatamente assecondate dal Cristo, che, per lui, inventa il dono delle Stimmate. E così, Francesco, dal 14 settembre 1224, divenne “un alter Christus”. Il Sommo Poeta immortala l’evento con la terzina: “Nel crudo sasso intra Tevere ed Arno / da Cristo prese l’ultimo sigillo / che le sue membra due anni portarono” (Paradiso, XI, vv. 106-108). Il termine “sigillo”, raffigurante l’Agnus Dei, secondo l’uso dei lanieri, garantiva l’autenticità della merce soltanto dopo il terzo o “ultimo sigillo”.
Applicato a Francesco voleva significare che, con le Stimmate o “ultimo sigillo”, la sua santità non aveva bisogno di altra autenticazione. Dopo l’episodio delle Stimmate, Francesco è certamente stanco e sofferente. Il Vicario Generale frate Elia, insieme al Vescovo Guido di Assisi cercarono di farlo riposare e curare. Venne ospitato a San Damiano da Chiara e le sue Sorelle. E qui, Francesco compose il suo capolavoro Il Cantico delle creature o, meglio, Il Cantico del Creatore.
Gli ultimi due anni di Francesco furono certamente segnati con più profondità da “sorella sofferenza” sia per le Stimmate e sia per tutte le altre malattie del corpo. Nella primavera del 1226, mentre si trovava a Siena, sentendosi mancare, dettò un “piccolo” Testamento. Dopo, mentre si trovava nel convento delle Celle a Cortona, ne fece scrivere un altro, l’ultimo, e volle che fosse legato alla Regola. Dalle sorgenti del fiume Topino, nei pressi di Nocera Umbra, dove si trovava, Francesco si fece trasportare ad Assisi, alla Porziuncola, per esalare l’ultimo respiro al tramonto del 3 ottobre 1226. Il suo corpo, dopo aver attraversato Assisi e sostato in San Damiano, venne sepolto nella chiesa di San Giorgio, da dove, nel 1230, la salma venne trasferita nell’attuale basilica, due anni dopo la sua canonizzazione da parte di Gregorio IX con la bolla Mira circa nos del 19 luglio 1228, fissando la festa liturgica al 4 ottobre.
Il pensiero di Francesco si presenta di difficile sintesi organica e sistematica. Attraverso l’analisi tematica emerge un corpus di idee che contengono una concezione del mondo e della vita originale e geniale insieme, che spazia dalla teologia alla filosofia, dalla valutazione positiva della natura alla necessità di un impegno sociale, dalla necessità del lavoro come mezzo normale di sussistenza alla scelta della povertà volontaria come ideale di umanesimo e al proposito della pace fondata più sul dialogo che sulla forza.
Nella famosa opera Del primato morale e civile degli italiani (1843), V. Gioberti, per celebrare la grandezza di Francesco d’Assisi lo chiama “il più amabile, il più poetico e il più italiano de’ nostri santi”! Solo successivamente, il giornalista Enrico Filiziani, nell’articolo “Per san Francesco d’Assisi”, pubblicato sul giornale La Vera Roma, il 18 gennaio 1903, completò la frase giobertiana in: “il più santo fra gli Italiani, il più Italiano fra i santi”. Lo storico e scrittore, Enrico Pepe, definiva Francesco “Patrimonio dell’umanità”. Da Pio XII è stato riconosciuto come il “più italiano dei santi e più santo degli italiani” e il 18 giugno 1939, e lo proclamava Patrono principale d’Italia. E Giovanni Paolo II lo eleggeva a “Patrono dell’ecologia” con la Lettera Apostolica Inter sanctos del 29 novembre 1979. Francesco è uno dei santi più conosciuto nel mondo sia occidentale che orientale, sia dai cattolici che dai non credenti; è anche il più amato dal popolo, specialmente per il suo spirito di umiltà e povertà. Nei luoghi dove trascorse la sua vita sono nati dei santuari. Assisi, dopo Roma, è il luogo più gettonato dal turismo spirituale mondiale. La festa liturgica è il 4 ottobre.
ESAME DEL TESTO EVANGELICO
Il lezionario salta tutta la sezione dedicata da Matteo al rapporto di Gesù col Battista e al fallimento della predicazione nelle città di Corazìn e Betsàida (Mt 11,1-24), e riprende con cinque versetti che ci portano alla fine del capitolo undicesimo. Possiamo dividere il nostro brano in tre parti. La prima (11,25-26) può essere intitolata la rivelazione ai piccoli; ad essa segue un versetto sulla conoscenza reciproca tra il Padre e il Figlio, e infine nei vv. 28-30 Gesù invita i discepoli a seguirlo.
Gesù parla per benedire il Padre, e questo avviene in un momento difficile, anzi proprio in risposta all’incredulità delle città della Galilea che non hanno accolto l’opera che Gesù ha lì compiuto, e raccontata nei versetti immediatamente precedenti a quelli che stiamo leggendo. È ovvio che Gesù non sta ringraziando il Padre perché le città dove ha predicato «non si erano convertite»: la ragione della sua “confessione” (dal verbo exomologeo, confessare, lodare) è data dal fatto che la rivelazione è comunque accolta, ma dai “piccoli”.
Anche Paolo di Tarso ebbe occasione di sperimentare la stessa incomprensione di Gesù. Infatti scrive in 1Cor 1,19, citando Is 29,14 «Distruggerò la sapienza dei sapienti e annullerò l’intelligenza degli intelligenti». Paolo non parla del dono dell’intelligenza in generale, quasi fosse da disprezzare l’uso della ragione, ma dell’incompatibilità tra la sapienza che il mondo crede di avere e quella di Dio, sapienza, quest’ultima, chiaramente espressa nella “logica” inaccettabile della croce.
Dio infatti agisce SEMPRE in altro modo «…grande è la sua misericordia: agli umili svela i suoi segreti» (Sir 3,10, testo ebraico). Chi sono dunque i sapienti e gli intelligenti che non si aprono a Dio? E i piccoli?
Una particolarità grammaticale ci aiuta a caratterizzare il nostro versetto: i termini sapienti e intelligenti piccoli sono usati nel testo greco senza l’articolo. Dovremmo allora tradurre meglio “… perché hai tenuto nascoste queste cose a sapienti e intelligenti e le hai rivelate a piccoli”.
Sembra la stessa cosa, ma la mancanza dell’articolo sottolinea la qualità piuttosto che gli individui: ci dice che tutti possono rivestire questo ruolo. Nel Vangelo di Matteo «l’opposizione antitetica tra i sapienti e i piccoli suscita l’attenzione del lettore, che ricorda come lungo tutto il racconto venivano presentati gruppi contrapposti: Erode e tutta Gerusalemme rispetto ai magi (2,1-12); i farisei e i sadducei rispetto a Giovanni (3,7-12); i falsi profeti rispetto ai veri discepoli (7,15-27); i farisei rispetto ai pubblicani e i peccatori (9,9-13).
Insomma, nel contesto matteano i piccoli – opposti dei sapienti e intelligenti – possono essere considerati come i destinatari del vangelo di salvezza, perché sono coloro che credono e accettano Gesù Messia e il Regno di Dio. E spesso, quando questi Sapienti e intelligenti si impantanano nelle paludi della storia, Dio interviene.
Quando vede che la corsa del suo vangelo si impantana nell’indifferenza o nell’egoismo del mondo, e quando vede che nella Chiesa, chi dovrebbe condurre il gregge, si allontana dal messaggio e dalla propria missione… invia i santi, questi “terribili rivoluzionari” nell’AMORE, CHE DISARTICOLANO OGNI COSA E OGNI STRUTTURA.
E questo è il modo di agire di Dio, sempre pronto a inviare uomini e donne che, senza fare rivoluzioni, senza colpi di stato, senza rabbie represse, convertono la Chiesa a partire da sé stessi.
Ad esempio guardiamo Francesco, che vive in un medioevo in cui la Chiesa combatte per non essere travolta dal nascente potere civile e lo fa, spesso, imitandone le peggiori attitudini.
Papi-principi, vescovi-padroni offuscano e contraddicono il mandato evangelico.
In una societas strutturata intorno alla presenza fisica e tangibile del cristianesimo con i suoi presidi sul territorio, spesso si è finiti col dimenticare l’essenziale.
E Francesco, figlio di quell’Italia rissosa dei comuni, scopre semplicemente la presenza di Dio, non quello della messa domenicale o delle processioni, ma il Dio di Gesù Cristo, che accende e stravolge il cuore di ogni uomo di buona volontà.
Ancora oggi Francesco, “il somigliantissimo a Cristo” come lo chiamano gli ortodossi, ci affascina e ci incoraggia a credere.
Questa pericope del vangelo di Matteo riporta la Parola di Gesù in ordine a una verità che può Illuminare l’intera esistenza. Così è accaduto per il “poverello di Assisi”, che non solo fu luce e gloria per l’Italia, ma per il mondo intero.
Quel suo “Cantico delle creature” che scandisce gioiosamente tante lodi al Creatore ha ispirato non solo i fedeli cristiani, ma musicisti pittori letterati artisti d’ogni tempo e luogo. Sta proprio nelle sue parole evangeliche il senso profondo di una personalità dove semplicità e totale abbandono in Dio coincidono.
Sì, come nel “bambino” che è l’immagine usata da Gesù e incastonata come perla preziosa nel Vangelo. Così la sapienza di Dio trova davvero in questa immagine l’espressione che ancora oggi e sempre può evidenziare il nostro cammino spirituale. Certa sapienza e dottrina di furbizia umana non conducono da nessuna parte, anzi, esse sono spesso pericolo di deviazione mortale.
Ha detto San Francesco d’Assisi “…Un raggio di sole è sufficiente per spazzare via molte ombre.”
Ragioniamoci sopra…
Prega il Signore per me… Fratello che Leggi…
Sia Lodato Gesù, il Cristo!