14.09.2022 MERCOLEDI’ ESALTAZIONE DELLA SANTA CROCE – GIOVANNI 3,13-17 “Bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo”.

 

Pietro Saltarelli… il VECCHIO FARISEO COMMENTA…. In illo tempore: dixit Iesus…

Vedere approfondimenti sul nostro sito WWW.INSAECULASAECULORUM.ORG

Dal Vangelo secondo GIOVANNI 3,13-17

In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo: «Nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo. E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui».

Mediti…AMO

L’Esaltazione della Santa Croce è una festività della Chiesa cattolica, della Chiesa ortodossa e di altre confessioni cristiane. In essa si commemora la crocifissione di Gesù con il particolare obiettivo di sottolineare la centralità del mistero della croce nella teologia cristiana.

Il termine “esaltazione”, in uso sin dal VI secolo per indicare questo rito, è da intendersi sia come «innalzamento» sia come «ostensione».

Il termine nasce dal rito che prevedeva l’innalzamento di una croce e la sua ostensione ai fedeli, in ricordo dell’innalzamento di Gesù Cristo sulla Croce e dell’ostensione del suo corpo sacrificale.

Nella celebrazione eucaristica il colore liturgico è il rosso, il colore della passione di Gesù, che richiama appunto la Santa Croce.

La festività ricorre il 14 settembre, in ricordo del ritrovamento della vera croce di Gesù da parte di sant’Elena, avvenuto, secondo una tradizione, il 14 settembre del 327: in quel giorno la reliquia sarebbe stata innalzata dal vescovo di Gerusalemme di fronte al popolo, che fu invitato all’adorazione del Crocefisso.

Il rinvenimento delle reliquie della Passione di Gesù, quando il vescovo Macario fece rimuovere un tempio pagano costruito sul Calvario, suscitò enorme interesse testimoniato dalle numerose narrazioni prodotte nei secoli successivi, spesso incoerenti fra loro e più o meno leggendarie.

Nacque così una diffusa esigenza di rivivere liturgicamente il valore redentivo della morte in croce di Gesù, ben espresso dall’antifona: “Adoramus te, Christe, quia per Sanctam Crucem tuam redemisti mundum“.

Già prima della fine del VII secolo la celebrazione della festa della Santa Croce era attestata anche a Roma e si ebbe cura di assicurarsi che l’eventuale presenza di frammenti della vera croce, ormai diffusi in molte città, non desse adito ad interpretazioni idolatriche del rito.

Nel 787, per esempio, il secondo concilio di Nicea sottolineò che l’adorazione o “latria” è dovuta solo a Dio (e quindi anche a Cristo), mentre alle reliquie della vera croce si poteva tributare solo venerazione.

Petavio, filosofo, storico e teologo francese, osservò che il culto dell’Esaltazione della Santa Croce non era affatto indispensabile per la salvezza.

Quando poi si presta onore a qualche immagine, lo si presta in realtà a chi è raffigurato, perciò l’adorazione della croce cristiana non era altro che adorazione di Cristo.

Santa croce. Beata croce. Così evidente e così misteriosa. Capita e vilipesa. Stravolta e sfregiata, soprattutto da noi discepoli del Nazareno. Croce che rappresenta il punto di non ritorno dell’amore di Dio.

La croce è la parola definitiva di Dio sul mondo, il dono totale e assoluto di sé.

Questo significa, secondo le intenzioni di Gesù, il prendere la croce. DONARSI, TOTALMENTE, COME DIO HA SAPUTO FARE.

Allora perché della croce, stravolgendone il significato, abbiamo colto SOLO L’ASPETTO DEL DOLORE?

Come una penitenza da sopportare, un regalo non gradito voluto da Dio (dimenticando che DIO non manda mai nessuna croce!) che umilmente sopportiamo…

Non è così: da strumento di tortura raffinato e preverso la croce è diventata l’emblema della misura dell’amore senza misura di Dio.

È QUESTO AMORE CHE OGGI ESALTIAMO, NON IL DOLORE CHE ESSA PORTA CON SÉ.

Perché amare, lo sappiamo bene anche noi uomini, spesso richiede sacrificio e incomprensione.

Oggi esaltiamo l’amore donato, lo poniamo in alto nelle nostre scelte, appeso alle nostre case perché irradi, con la sua logica, tutta la nostra vita.

Fratelli e Sorelle, cerchiamo di amare la CROCE. La sua esaltazione ci fa conoscere un aspetto del suo cuore che solo Dio stesso poteva rivelarci: LA FERITA PROVOCATA DAL PECCATO E DALL’INGRATITUDINE DELL’UOMO DIVENTA FONTE, NON SOLO DI UNA SOVRABBONDANZA D’AMORE, MA ANCHE DI UNA NUOVA CREAZIONE NELLA GLORIA.

Attraverso la follia della Croce, lo scandalo della sofferenza può diventare sapienza, e la gloria promessa a Gesù può essere condivisa da tutti coloro che desideravano seguirlo.

La morte, la malattia, le molteplici ferite che l’uomo riceve nella carne e nel cuore, tutto questo diventa, per la piccola creatura, un’occasione per lasciarsi prendere più intensamente dalla vita stessa di Dio.

Con questa festa la Chiesa ci invita a ricevere questa sapienza divina, che Maria ha vissuto pienamente presso la Croce: la sofferenza del mondo, follia e scandalo, diventa, nel sangue di Cristo, grido d’amore e seme di gloria per ciascuno di noi.

La Santa Liturgia prevede ancora oggi che il sacerdote celebrante alzi la croce e la diriga verso i quattro punti cardinali per indicare l’universalità della salvezza.

Questa celebrazione, di così alto significato spirituale, non si fermò a Gerusalemme, e ben presto si estese alle varie Chiese, in quelle d’Oriente prima iniziando da Costantinopoli, e in quelle d’Occidente poi, a partire da Roma.

Il libro dei Numeri ci ricorda la vicenda accorsa ad Israele mentre era nel deserto quando molti morirono per il morso di serpenti velenosi.

In tale narrazione possiamo vedere la situazione di tanti popoli che ancora oggi sono morsi dalla piaga di innumerevoli “serpenti velenosi“. Se ne aggirano molti anche nel nostro mondo, nascondendosi nelle sembianze di uomini o di istituzioni.

L’elenco sarebbe davvero lungo: basti pensare alla fame e alla sete; oppure al dramma dell’aborto e dell’eutanasia; oppure a malattie come l’Aids e il Covid, che continuano a mietere vittime; o anche ai conflitti e alle guerre, tra le quali Russia\Ucraina, che non cessano di creare morti mentre la maggioranza è indifferente, prima ancora che impotente.

Mosè, ispirato da Dio, innalzò per quel popolo un serpente di bronzo: chi lo avrebbe guardato non sarebbe morto. Tutto ciò Mosè lo fece in figura, perchè il suo gesto era una prefigurazione della croce.

L’evangelista Giovanni lo scrive esplicitamente: “Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo” (Gv 3,14), e più avanti, quasi a ricalcare la scena biblica, aggiunge: “Volgeranno gli occhi a colui che hanno trafitto” (Gv 19,37).

C’è bisogno ancora oggi di esaltare la Croce, di metterla in alto perché tutti la vedano e chi a lei si rivolge venga salvato.

Potremmo dire, anche a chi non crede, o a chi vorrebbe fosse tolta, che questa croce non è contro nessuno.

Al contrario, è bene metterla in mostra perché essa rende buoni i cristiani, li spinge a voler bene a tutti, li costringe ad allargare i confini del cuore perché nessuno resti escluso dall’amore che in quella croce parla in modo così mirabile.

E COMUNQUE A TUTTI LA CROCE PARLA SOLO DI AMORE E DI PERDONO. TOGLIERLA PROVOCHEREBBE UN ABBASSAMENTO DI AMORE, UN ALLENTAMENTO DELLA TOLLERANZA E UNA DIMINUZIONE DI RISPETTO.

La Croce è il momento in cui morte e vita si scontrano per l’ultima, definitiva battaglia, che si combatte nel corpo stesso di Gesù.

Un dramma di cui riusciamo a cogliere forse solo di sfuggita, quando udiamo Gesù rivolgere al Padre le drammatiche parole del salmo: “Eloi, Eloi, lama sabachthani – Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”.

Ma subito Gesù termina la sua vita dicendo al Padre: “Padre, nelle tue mani affido il mio spirito”.

Gesù muore, è vero, ma su quella croce ha sconfitto definitivamente anche l’amore per sé stessi, quell’egocentrismo che sin dalle origini tiene saldamente schiavi gli uomini.

Di fronte a quella croce, tutti gridavano a Gesù, tra l’ironia e lo scherno: “Salva te stesso“.

È il “vangelo” del mondo: salvare sé stessi, a qualsiasi costo.

Ma non è, e non può essere il Vangelo di Gesù. Come poteva salvare sé stesso Colui che mai aveva vissuto per sé?

Gesù diceva di sé: “Non sono venuto per essere servito, ma per servire” (Mt 20,28); potremmo tradurre: “non sono venuto per salvare me stesso, ma gli altri”.

Morendo come è morto, Gesù ha mostrato la vittoria dell’amore. Se ne accorse il centurione il quale guardando come Gesù moriva, ascoltando le sue parole di abbandono al Padre, sentendolo perdonare coloro che lo crocifiggevano, comprese che quell’uomo era davvero il Figlio di Dio.

Quel militare romano, che non faceva neppure parte del popolo d’Israele, abituato alla durezza e alla crudeltà della violenza e delle uccisioni, vide in Gesù uno che amava gli altri più di sé stesso, uno disposto a dare tutta la sua vita per gli altri, fino a perderla.

La festa di questo giorno invita tutti noi ad avere gli occhi di quel centurione perché anche noi li rivolgiamo alla croce e soprattutto a quel crocifisso; anche noi saremo toccati nel cuore e cambieremo la nostra vita.

L’apostolo Paolo ci fa comprendere ancor più questo mistero d’amore:

  • Ora, a stento si trova chi sia disposto a morire per un giusto, forse ci può essere chi ha il coraggio di morire per una persona dabbene. Ma Dio dimostra il suo amore verso di noi perché, mentre eravamo ancora peccatori Cristo è morto per noi” (Rm 5,7).

Così quella croce è ormai definitivamente piantata nel cuore e nella vita di ognuno di noi, ma ormai è diventato albero di vita, da cui sgorga energia divina e grazia che santifica.

Ai piedi di un albero era iniziata la nostra tragica storia di peccato, da un albero crociato e rinverdito dall’amore di Cristo, obbediente ed immolato per noi, riprende vita la nostra rinascita.

Cristo si schioda dalla croce e noi siamo liberati da tutte le nostre schiavitù. Abbiamo ragione di fare festa oggi e di segnarci ogni giorno con il segno della croce, per ricordare la tragedia del peccato e il trionfo dell’amore.

Dovremmo ripetere il gesto devoto di gratitudine che compiamo il Venerdì Santo quando adoriamo la croce di Cristo e imprimiamo su di essa l’impronta del nostro amore.

Voglio concludere, riportando i passi dell’omelia che il papa Francesco ha tenuto nella solennità dell’Esaltazione della Croce nel 2013:

Storia dell’uomo e storia di Dio si intrecciano nella croce. Una storia essenzialmente di amore. È un mistero immenso, che da soli non possiamo comprendere. Come «assaggiare quel miele di aloe, quella dolcezza amara del sacrificio di Gesù?». Papa Francesco ne ha indicato il modo, questa mattina, sabato 14 settembre, festa dell’esaltazione della santa croce, durante la messa celebrata nella cappella di Santa Marta.

Commentando le letture del giorno, tratte dalla lettera ai Filippesi (2, 6-11) e dal Vangelo di Giovanni (3, 13-17), il Pontefice ha detto che è possibile comprendere «un pochino» il mistero della croce «in ginocchio, nella preghiera», ma anche con «le lacrime».

Anzi sono proprio le lacrime quelle che «ci avvicinano a questo mistero». Infatti, «senza piangere», soprattutto senza «piangere nel cuore, mai capiremo questo mistero».

È il «pianto del pentito, il pianto del fratello e della sorella che guarda tante miserie umane e le guarda anche in Gesù, in ginocchio e piangendo». E, soprattutto, ha evidenziato il Papa, «mai soli!». Per entrare in questo mistero che «non è un labirinto, ma gli assomiglia un po’» abbiamo sempre «bisogno della Madre, della mano della mamma». Maria, ha aggiunto, «ci faccia sentire quanto grande e quanto umile è questo mistero, quanto dolce come il miele e quanto amaro come l’aloe».

I padri della Chiesa, ha ricordato il Papa, «comparavano sempre l’albero del Paradiso a quello del peccato. L’albero che dà il frutto della scienza, del bene, del male, della conoscenza, con l’albero della croce».

Il primo albero «aveva fatto tanto male», mentre l’albero della croce «ci porta alla salvezza, alla salute, perdona quel male».

Questo è «il percorso della storia dell’uomo». Un cammino che permette di «trovare Gesù Cristo Redentore, che dà la sua vita per amore».

Un amore che si manifesta nell’economia della salvezza, come ha ricordato il Santo Padre, secondo le parole dell’evangelista Giovanni. Dio infatti, ha detto il Pontefice, «non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di Lui».

E come ci ha salvato? «con quest’albero della croce». Dall’altro albero, sono iniziati «l’autosufficienza, l’orgoglio e la superbia di volere conoscere tutto secondo la nostra mentalità, secondo i nostri criteri, anche secondo quella presunzione di essere e diventare gli unici giudici del mondo».

Questa, ha detto, «è la storia dell’uomo». Sull’albero della croce, invece, c’è la storia di Dio, che «ha voluto assumere la nostra storia e camminare con noi». È proprio nella prima lettura che l’apostolo Paolo «riassume in poche parole tutta la storia di Dio: Gesù Cristo, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio di essere come Dio».

Ma, ha spiegato, «svuotò sé stesso, assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini». Cristo, infatti, «umiliò sé stesso, facendosi obbediente fino alla morte e una morte di croce». È questo «il percorso della storia di Dio».

 E perché lo fa? Si è chiesto il vescovo di Roma. La risposta si trova nelle parole di Gesù a Nicodemo: «Dio, infatti, ha amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna». Dio, ha concluso «fa questo percorso per amore, non c’è altra spiegazione».

Ragioniamoci sopra…

Prega il Signore per me… Fratello che Leggi…

Sia Lodato Gesù, il Cristo!