12.09.2022 LUNEDI’ 24^ SETTIMANA P.A. C – LUCA 7,1-10 “Neanche in Israele ho trovato una fede così grande”.

 

Pietro Saltarelli… il VECCHIO FARISEO COMMENTA…. In illo tempore: dixit Iesus…

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Dal Vangelo secondo LUCA 7,1-10

In quel tempo, Gesù, quando ebbe terminato di rivolgere tutte le sue parole al popolo che stava in ascolto, entrò in Cafàrnao. Il servo di un centurione era ammalato e stava per morire. Il centurione l’aveva molto caro. Perciò, avendo udito parlare di Gesù, gli mandò alcuni anziani dei Giudei a pregarlo di venire e di salvare il suo servo. Costoro, giunti da Gesù, lo supplicavano con insistenza: «Egli merita che tu gli conceda quello che chiede – dicevano –, perché ama il nostro popolo ed è stato lui a costruirci la sinagoga». Gesù si incamminò con loro. Non era ormai molto distante dalla casa, quando il centurione mandò alcuni amici a dirgli: «Signore, non disturbarti! Io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto; per questo io stesso non mi sono ritenuto degno di venire da te; ma di’ una parola e il mio servo sarà guarito. Anch’io infatti sono nella condizione di subalterno e ho dei soldati sotto di me e dico a uno: “Va’!”, ed egli va; e a un altro: “Vieni!”, ed egli viene; e al mio servo: “Fa’ questo!”, ed egli lo fa». All’udire questo, Gesù lo ammirò e, volgendosi alla folla che lo seguiva, disse: «Io vi dico che neanche in Israele ho trovato una fede così grande!». E gli inviati, quando tornarono a casa, trovarono il servo guarito. Parola del Signore

 

Mediti…AMO

È appena terminato il discorso sulle beatitudini del Regno (cap. 5-6).

Gesù, rivoluzionando la logica di questo mondo, ha proclamato “Beati” i puri di cuore, gli operatori di pace, i miti, i misericordiosi, i perseguitati a causa della giustizia, i poveri.

Al centro di questa “magna carta” della sua “lieta notizia”, ci ha invitati a diventare misericordiosi com’è misericordioso il Padre (6,36).

È infatti solo questo percorso di bontà, d’amore, di misericordia a farci ricuperare quella “immagine e somiglianza” con Dio (Gen. 1,26) con cui siamo stati creati, pieni di dignità, da Dio-Amore.

E, terminato il discorso del Regno e Gesù entra in Capernahum, (in ebraico כפר נחום – Kefar Nahum che significa letteralmente: villaggio di Nahum), città di confine tra la galilea e la Gaulanitide, nella Palestina settentrionale, situata sulle rive nord-occidentali del lago di Tiberiade, in Israele.

Secondo i Vangeli, Gesù vi abitò dopo aver lasciato Nazareth (Matteo 4,12-17): qui iniziò la sua predicazione e vi compì numerosi miracoli.

Nei secoli successivi Cafarnao fu abbandonata, sino all’acquisto dell’area da parte dei francescani minori della Custodia di Terrasanta: i suoi resti sono stati ritrovati e riportati alla luce da scavi archeologici nel XX secolo.

Tra le altre cose, sono state ritrovate una sinagoga costruita con colonne di marmo, risalente al II secolo, e un’abitazione che è stata identificata come la casa di san Pietro a seguito degli scavi archeologici effettuati dai francescani minori Virgilio Corbo e Stanislao Loffreda.

Sopra la casa è stata costruita una chiesa di forma ottagonale, sopraelevata da terra; un’apertura vetrata al centro permette di vedere i resti della casa di Pietro al di sotto.

Il villaggio è menzionato nel Vangelo di Luca e nel Vangelo di Giovanni dove si racconta che si trovava nei pressi del luogo di nascita di Simon Pietro e Andrea e di Giacomo e Giovanni, figli di Zebedeo, come anche del pubblicano (esattore delle tasse) Matteo.

Un sabato biblico, Gesù insegnò nella sinagoga di Cafarnao e guarì un uomo che era posseduto da uno spirito impuro.

Successivamente guarì la febbre della suocera di Simon Pietro (Luca 4.31-44).

Secondo Luca 7:1–10, Capernahum è anche il luogo dove un centurione romano chiese a Gesù di guarire il suo inserviente.

Cafarnao viene anche menzionato nel Vangelo di Marco (2,1), ed è la località dove avvenne la famosa guarigione del paralitico che venne fatto scendere dal tetto per raggiungere Gesù.

Secondo i Vangeli sinottici, Gesù scelse questa città come centro del suo ministero di salvezza in Galilea, dopo aver lasciato il piccolo borgo di montagna di Nazareth (Matteo 4,12–17).

Inoltre maledisse la città, dicendo “Fino agli inferi precipiterai!” (Matteo 11,23) a causa del mancato ascolto dei suoi insegnamenti.

Essa è una città di confine del piccolo regno di Erode Antipa, intorno agli anni trenta.

C’era un l’ufficio doganale, dove sedeva il pubblicano Levi (Mc 2,13ss); varie aziende familiari dedite alla pesca, come quella di Simone e Andrea o quella di Giacomo e Giovanni, figli di Zebedeo.

Governava la città confinaria, una guarnigione di soldati, composta da 100 uomini, comandata appunto da un centurione. Sicuramente un veterano, un combattente valoroso che si era guadagnato i gradi combattendo sul campo.

Molto amati dalla comunità, alla quale aveva persino costruito la Sinagoga.

Ma comunque, un uomo buono, che cerca Gesù perché guarisca un servo a lui molto caro.

Egli pur essendo un comandante, ha a cuore la sorte dei suoi attendenti e si prende cura di uno dei suoi servi.

Ma non incontra Gesù. Certamente aveva sentito parlare di Lui, e aveva riconosciuto in quest’uomo un potere diverso dal suo: sapeva bene che a Gesù obbedivano quegli elementi sui quali neppure Roma aveva potere. Non gli doveva nemmeno esser sfuggito il carattere religioso della predicazione del Nazareno.

Non sapeva nulla di più, ma questo era sufficiente per riconoscere che quell’uomo di Nazareth era un maestro speciale… desiderava conoscerlo, ma probabilmente non osava avvicinarlo.

Gli invia gli anziani dei Giudei: non approfitta della sua condizione per ottenere un favore: egli non è il potente che chiede ad un altro un favore che, data la condizione, non può negare.

Ma è un uomo pieno di vera umiltà: un umile uomo, e allo stesso tempo, un umile soldato.

E Gesù, che legge i cuori, ne è affascinato, e accoglie la sua preghiera. Ed è disposto anche ad andare nella sua casa.

Ma questo umile centurione non vuole chiedere troppo, teme di essere importuno “…Signore non disturbarti, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, […] ma comanda con una parola e il mio servo sarà guarito”.

Gesù e il centurione neppure si incontrano, eppure si rispettano e si amano.

Mi piace sottolineare che questo centurione possiede un vero stile militare, sa stare al suo posto e farsi rispettare “… sono un uomo sottoposto a un’autorità, e ho sotto di me dei soldati; e dico all’uno: Va’ ed egli va, e a un altro: vieni, ed egli viene, e al mio servo: Fa’ questo, ed egli lo fa…”

  • “All’udire questo Gesù rimase ammirato…”

Le parole del centurione sono parole di umiltà e di fede che stupiscono Gesù: come è possibile che il Cristo si meravigli di quell’uomo?

Un’autentica vita di fede diviene anche per Gesù motivo di ammirazione!

Nella fede l’uomo supera sé stesso entrando in comunione con Dio. Gesù contempla in quest’uomo l’azione dello Spirito: “Io vi dico che neanche in Israele ho trovato una fede così grande!

Nelle sue parole c’è la lealtà di riconoscere la condizione sua e di tutti: l’uomo non è padrone di sé stesso, neppure quando ricchezza e forza gliene danno l’illusione.

C’è la fierezza di un esercizio giusto dell’autorità in nome della disciplina militare.

C’è infine la fiducia riposta in un uomo, Gesù, che compie il bene in modo inaudito.

Per questo egli ha l’ardire di chiedere la guarigione del proprio servo, la ottiene e merita la cosa più impensabile: l’ammirazione del Signore, che si rivolge alla folla che lo segue e afferma di non aver trovato neanche in Israele una fede così grande.

Personalmente amo quest’uomo e la sua fede. Ma anche gli evangelisti. Anche Matteo riporta lo stesso racconto al secondo posto nella raccolta di miracoli che fa seguito al discorso della montagna (Mt 8,5-13), ma con dettagli diversi, dai quali si può arguire che la sua versione sia più vicina all’originale.

Secondo il vangelo di Matteo, il centurione si era recato da Gesù dicendogli:

  • «Signore, il mio servo giace in casa paralizzato e soffre terribilmente» (Matteo 8)

Gesù gli aveva risposto che sarebbe andato a casa sua e lo avrebbe guarito, al che il centurione aveva esclamato:

  • «Signore, io non son degno che tu entri sotto il mio tetto, di’ soltanto una parola e il mio servo sarà guarito. Perché anch’io, che sono un subalterno, ho soldati sotto di me e dico a uno: Va’, ed egli va; e a un altro; Vieni, ed egli viene, e al mio servo: Fa’ questo, ed egli lo fa».

Meraviglioso centurione, che non crede troppo alla propria bontà, ma crede invece, fermamente, alla Bontà che abita in Gesù di Nazareth.

Non conta che il Maestro lo onori della visita. Non importa se non avrà l’onore di ospitarlo sotto il suo tetto, importa solo che la sua potenza benevolente si posi per un attimo sul servo amato.

Se l’occhio del centurione non sa vedere sé stesso nella giusta luce, IL SUO ELOQUENTISSIMO SGUARDO, rivolto verso Gesù DIMOSTRA UNA STUPENDA TEOLOGIA. È come se gridasse all’uomo di tutti i secoli «…Se la mia bontà è insufficiente, la tua non conosce misura è solo in essa c’è salvezza, dice convinto a Gesù con la metafora militaresca.

Nulla di ciò che c’è in quel centurione si è mai visto in Israele, dirà Gesù.

Ma viene da pensare che ci sia di più. È come se questo comandante avesse intravvisto qualcosa che Gesù ancora non aveva definitivamente messo a fuoco.

Nella fede del centurione c’è il Regno di Dio che cresce. In modo inaspettato e imprevedibile: fuori dai confini di Israele. SONO I PAGANI CHE GIUNGONO AL REGNO DI DIO.

Con lui cade l’idea di una salvezza elitaria fino ad essere discriminatoria. Per qualcuno, non per tutti.

Gesù non fa altro che riconoscere ciò che già è avvenuto.

E la fede del centurione è un vuoto pronto per essere riempito di Grazia:

  • «Ti sia dato secondo il modo in cui hai creduto», sentenzia il Cristo.

Aveva creduto all’insufficienza della propria bontà e proprio questo faceva di lui uno spazio buono perché la Grazia agisse.

Scontrandosi con la propria pochezza, aveva riconosciuto e accolto l’infinita misura della Bontà di Dio presente nelle parole e nelle opere di Gesù.

Il suo era un cuore credente, paragonabile a un recipiente vuoto, ma pieno del desiderio di essere riempito. E la legge della reciprocità nell’incontro con Dio accade.

La sorgente del suo Amore fluisce con abbondanza tanto più quanto più lo si invoca, lo si spera, lo si attende.

Non c’è una Bontà da acquistare con la valuta delle proprie opere buone. C’è una Bontà senza misura, a cui affidarsi e in cui immergersi nonostante la perenne insufficienza del bene che sappiamo fare.

Altra prospettiva.

C’è un malato in odore di morte e un pagano, non appartenente alla Legge e al popolo di Israele, che ha molto caro questo servo.

La malattia e la morte sono due brutte bestie da gestire. Credo che ciò che fa la differenza, in queste due realtà, sia come noi le gestiamo.

Continuare a credere che la malattia e la morte sono realtà che noi riusciremo a sconfiggere definitivamente, sia una pia illusione fonte di tante delusioni e di situazioni disumane. L’umano è finito, ma non solo. L’umano è finito e questa sua finitezza è fonte di vita, fa parte della legge della vita; quella legge di umanità che noi trattiamo con tanta disumanità vivendo con l’idea e l’intento di eternizzare noi stessi e le cose che possediamo.

Malattia e morte, esperienze profondamente umane, chiedono all’uomo di imparare a lasciare. Lasciare ciò che di bello abbiamo fatto, lasciare ciò che di bello abbiamo vissuto, lasciare ciò che di bello abbiamo realizzato nella vita, insieme a tutto ciò che di meno bello abbiamo compiuto.

Lasciare tutto questo ci riporta ad una umanità e ad una libertà impensabile per le nostre società avvelenate da false promesse di eternità. Vivere quanto incontriamo nella nostra esistenza è il vero segreto della nostra vita.

Il centurione romano incontra malattia e morte e le scodella, tramite la sua passione compassionevole per il suo servo, in mano al Signore che passa. Gesù non dice nulla agli anziani dei giudei che supplicano Gesù in nome del centurione, mostrando i meriti del centurione stesso. Se lo merita che tu lo ascolti, ci vuole bene, ci ha fatto costruire la sinagoga, è stato un gran benefattore della chiesa. Gesù ascolta ma non ascolta, risponde alla richiesta degli anziani col silenzio e si mette in cammino. Non dice nulla, la Parola tace, la Parola si mette in cammino.

L’ascolto di Gesù Parola si evidenzia ancor più quando il centurione gli manda incontro alcuni amici: Lui si ferma e continua ad ascoltare. Ascolta ciò che il centurione gli dice tramite i suoi amici. Ascolta le loro parole, ma sente il cuore del centurione: non c’è fede più grande di questa in Israele. Non dice altro, non fa altro. Chi ha fatto tutto è il centurione pagano che manifesta che il suo cuore è più pieno di fede di ogni israelita, di ogni cristiano.

Ha detto MACARIO L’EGIZIANO, un Padre del deserto:

  • “O Signore, che scruti il cuore e i sentimenti, perdonami ogni sconveniente impeto del cuore. Tu sai, o Signore di tutte le cose, che essi sono contro la mia volontà. Sono indegno di accostarmi a te, ma tu perdonami, perché ti ho sempre desiderato e ancora ti desidero… Tu, che solo sei buono e misericordioso, vieni in mio aiuto e salvami…”

Ragioniamoci sopra…

Prega il Signore per me… Fratello che Leggi…

Sia Lodato Gesù, il Cristo!