Santa Lucia, Vergine e Martire
Santa Lucia, opera del Sassoferrato, XVII sec

Lucia di Siracusa, conosciuta come santa Lucia (Siracusa, 283Siracusa, 13 dicembre 304), è stata una martire cristiana di inizio IV secolo durante la grande persecuzione voluta dall’imperatore Diocleziano.

È venerata come santa dalla Chiesa cattolica e dalla Chiesa ortodossa che ne onorano la memoria il 13 dicembre.

È una delle sette vergini menzionate nel Canone romano e per tradizione è invocata come protettrice della vista a motivo dell’etimologia latina del suo nome (Lux, luce). Le sue spoglie mortali sono custodite nel Santuario di Lucia a Venezia.

Il luogo di culto principale è la Chiesa di Santa Lucia al Sepolcro a Siracusa.

Secondo l’agiografia tramandata da due antiche e distinte fonti quali una Passio del codice greco Papadoupolos e gli Atti dei Martiri entrambi risalenti alla fine del V secolo, Lucia era una giovane nata a Siracusa nel 283 d.C.

Di nobile famiglia cristiana, ma orfana di padre dall’età di cinque anni e promessa in sposa a un pagano, sin da tenera età aveva fatto segreto voto di verginità a Cristo. Sua madre, Eutychia, da anni ammalata di emorragie, spendeva ingenti somme per curarsi, ma nulla le giovava. Allora Lucia ed Eutychia si recarono pellegrine al sepolcro di sant’Agata, martire a Catania nel 251 d.C., pregandola di intercedere per la guarigione.

Giunte lì il 5 febbraio dell’anno 301, (dies natalis di Agata), Lucia si assopì durante la preghiera e vide in visione la santa catanese circondata da schiere angeliche dirle: “Lucia sorella mia, vergine consacrata a Dio, perché chiedi a me ciò che tu stessa puoi concedere? Infatti la tua fede ha giovato a tua madre ed ecco che è divenuta sana. E come per me è beneficata la città di Catania, così per te sarà onorata la città di Siracusa”.

Constatata l’avvenuta guarigione di Eutychia, mentre facevano ritorno a Siracusa, Lucia esternò alla madre la sua ferma decisione di consacrare la sua verginità a Cristo, e di donare il suo patrimonio ai poveri.

Per i successivi tre anni, ella visse dunque a servizio di infermi, bisognosi e vedove della città.

Il pretendente, vedendo la desiderata Lucia privarsi di tutti gli averi ed essendo stato rifiutato da quest’ultima, volle vendicarsi denunciandola come cristiana. Erano infatti in vigore i decreti della persecuzione dei cristiani emanati dall’imperatore Diocleziano.

Al processo che sostenne dinanzi al prefetto Pascasio, le fu imposto di fare sacrifici agli dèi pagani, ma ella non arretrò nella fede, e proclamava con ispirazione divina i passi delle sacre Scritture.

Minacciata allora di essere condotta in un postribolo, Lucia rispose: “Il corpo si contamina solo se l’anima acconsente”.

Il dialogo serrato tra lei ed il magistrato vide ribaltarsi le posizioni, tanto da vedere Lucia mettere in difficoltà Pascasio.

Pascasio dunque ordinò che la giovane fosse costretta con la forza, ma, come narra la tradizione, divenne miracolosamente pesante, tanto che né decine di uomini né la forza di buoi riuscirono a smuoverla.

Accusata di stregoneria, Lucia allora fu cosparsa di olio, posta su legna e torturata col fuoco, ma le fiamme non la toccarono.

Fu infine messa in ginocchio e secondo le fonti latine le fu infisso un pugnale in gola (jugulatio), nell’anno 304, all’età di ventun anni.

Morì solo dopo aver ricevuto la Comunione e profetizzato la caduta di Diocleziano e la pace per la Chiesa..

Molteplici narrazioni e tradizioni, almeno fino al secolo XV, è l’episodio in cui Lucia si sarebbe strappata – o le avrebbero cavato – gli occhi.

L’emblema degli occhi sulla coppa, o sul piatto, sarebbe da ricollegarsi, più semplicemente, con la devozione popolare che l’ha sempre invocata protettrice della vista a motivo dell’etimologia del suo nome dal latino Lux, luce.

Una testimonianza scritta da un testimone del tempo è invece la fine, ritenuta miracolosa, della carestia dell’anno 1646 in Sicilia. Domenica 13 dicembre 1646, una quaglia fu vista volteggiare dentro il Duomo di Siracusa durante la Messa.

Quando la quaglia si posò sul soglio episcopale, una voce annunciò l’arrivo al porto di un bastimento carico di frumento.

Il popolo vide in quella nave la risposta data da Lucia alle tante preghiere che a lei erano state rivolte, e per la gran fame non aspettò di macinarlo, ma lo consumò bollito.

La diffusione del culto

  • «Memoria di santa Lucia, vergine e martire, che custodì, finché visse, la lampada accesa per andare incontro allo Sposo e, a Siracusa in Sicilia condotta alla morte per Cristo, meritò di accedere con lui alle nozze del cielo e di possedere la luce che non conosce tramonto.» (Martirologio Romano)

Sin dal giorno della deposizione del suo corpo nelle catacombe che da lei presero il nome, Lucia venne subito venerata come santa dai siracusani e il suo sepolcro divenne meta di pellegrinaggi.

Nell’introduzione al romanzo storico Lucia di René du Mesnil de Maricourt del 1858, Ampelio Crema scrisse: «la prima e fondamentale testimonianza sull’esistenza di Lucia ci è data da un’iscrizione greca scoperta nel giugno del 1894 durante scavi archeologici del professor Paolo Orsi nella catacomba di San Giovanni, la più importante di Siracusa: essa ci mostra che, già alla fine del quarto secolo o all’inizio del quinto, un siracusano – come si deduce dall’epigrafe alla moglie Euschia – nutriva una forte e tenerissima devozione per la “sua” santa Lucia, il cui anniversario era già commemorato da una festa liturgica.

Tale iscrizione è stata trovata su una sepoltura del pavimento, incisa su una lapide quadrata di marmo, misurante cm 24×22 e avente uno spessore di cm 3, tagliata irregolarmente. Le due facce della pietra erano state ricoperte di calce: ciò indica che la tomba era stata violata». Così recita l’epigrafe o iscrizione di Euschia:

  • «Euschia, irreprensibile, vissuta buona e pura per circa 25 anni, morì nella festa della mia santa Lucia, per la quale non vi è elogio come conviene. Cristiana, fedele, perfetta, riconoscente a suo marito di una viva gratitudine.»

Questa iscrizione è conservata al museo archeologico di Siracusa ed è esposta nel percorso museale. Il culto di Lucia ben presto si diffuse fuori della Sicilia, come dimostrano la presenza del suo nome nell’antichissimo martirologio geronimiano, la menzione nel Canone romano della Messa da parte di Gregorio Magno (604 d.C.), la devozione in Roma, dove vennero dedicate in suo onore una ventina di chiese e nell’Italia settentrionale, dove fu effigiata a Ravenna nella Basilica di Sant’Apollinare Nuovo nella processione delle vergini.

Il culto giunse anche in Inghilterra, dove venne festeggiata fino alla Riforma protestante con una giornata in cui non era concesso lavorare, e nella chiesa Greca, dove san Giovanni Damasceno stesso ne compose la liturgia.

Reliquie del suo corpo furono richieste e donate in più parti dell’Europa come in Francia e Portogallo.

La memoria liturgica ricorre il 13 dicembre.

Antecedentemente all’introduzione del calendario gregoriano (1582), la festa cadeva in prossimità del solstizio d’inverno (da qui il detto “santa Lucia il giorno più corto che ci sia”), ma non coincise più con l’adozione del nuovo calendario per una differenza di 10 giorni.

La celebrazione della festa in un giorno vicino al solstizio d’inverno è probabilmente dovuta anche alla volontà di sostituire antiche feste popolari che celebrano la luce e si festeggiano nello stesso periodo nell’emisfero nord.

Altre tradizioni religiose festeggiano la luce in periodi vicini al solstizio d’inverno come ad esempio la festa di Hanukkah ebraica, che dura otto giorni come le celebrazioni per la santa a Siracusa, o la festa di Diwali celebrata in India.

Il culto di santa Lucia inoltre presenta diverse affinità con il culto di Artemide, l’antica divinità greca venerata a Siracusa nell’isola di Ortigia.

Ad Artemide, come a santa Lucia, erano sacre la quaglia e l’isola di Ortigia – anche chiamata Delo in onore della dea della caccia.

Artemide e Lucia sono entrambe vergini. Artemide è inoltre vista anche come dea della luce mentre stringe in mano due torce accese e fiammeggianti.

Le vicende delle reliquie

Chiesa di Santa Lucia al Sepolcro a Siracusa, Primo sepolcro di santa Lucia.

La statua sottostante, opera di Gregorio Tedeschi del 1634 trasudò miracolosamente durante un’invasione spagnola nel 1735.

Nel 1039 il generale bizantino Giorgio Maniace trafugò il corpo per farne omaggio al suo sovrano, a Costantinopoli.

I siracusani, infatti, dopo l’occupazione araba della Sicilia, avevano nascosto il corpo della Santa giovinetta nelle catacombe, in un luogo segreto.

Maniace riuscì a farselo indicare, probabilmente con l’inganno, da un anziano, il cui nome non è mai stato indicato nel corso dei secoli per non marchiare d’infamia lui e i suoi discendenti.

Il corpo della santa fu portato insieme alle spoglie di sant’AgataCostantinopoli per farne dono all’imperatrice Teodora.

Da lì fu trafugato nel 1204 dai veneziani che conquistarono la capitale bizantina a conclusione della quarta Crociata e fu portato a Venezia come bottino di guerra.

Arrivate a Venezia, le spoglie della santa furono trasferite nell’isola di San Giorgio Maggiore.

Nel 1279, il mare mosso capovolse le barche che si muovevano per omaggiare Lucia e da allora, morti alcuni pellegrini, si decise di trasferire le reliquie nella Chiesa di Cannaregio, che venne intitolata alla santa.

In seguito, a causa della costruzione della stazione ferroviaria, nel 1861 la chiesa venne demolita, mentre l’11 luglio 1860 il corpo era stato definitivamente trasferito nella vicina chiesa di San Geremia in cui attualmente riposa, seppur i siracusani ne rivendichino fortemente il possesso nella loro città.

Nel 1955, il futuro papa Giovanni XXIII, all’epoca patriarca cardinale Angelo Roncalli, commissionò allo scultore Minotto una maschera in argento a copertura del volto della martire per proteggerlo dalla polvere.

La notte del 7 novembre 1981, due ladri introdottisi nella chiesa ruppero l’urna con le loro pistole e rubarono le spoglie, suscitando l’indignazione e l’apprensione di tutti i devoti.

La notizia del ritrovamento del corpo arrivò la mattina del 13 dicembre, giorno della festa della martire, 36 giorni dopo il furto. Il corpo fu ritrovato nella zona lagunare di Montiron, e quindi ricomposto in un’urna di cristallo antiproiettile.

Le sacre spoglie della santa tornarono in via eccezionale a Siracusa per sette giorni nel dicembre 2004 in occasione del 17º centenario del suo martirio.

La permanenza delle spoglie fu accolta da una incredibile folla di siracusani e da gente accorsa da ogni parte della Sicilia.

Riscontrata l’elevatissima partecipazione e devozione dei devoti, da allora si è fatta strada la possibilità di un ritorno definitivo tramite alcune trattative tra l’Arcivescovo di Siracusa Giuseppe Costanzo e il Patriarca di Venezia Angelo Scola.

Le sacre spoglie della Santa, dopo più di 1000 anni, sono tornate anche a Erchie (Br), dal 23 aprile al 2 maggio 2014, in occasione della festa della protettrice del paese, per poi ritornarci nuovamente dal 24 aprile al 4 maggio 2019, insieme a quelle della patrona sant’Irene.

Il corpo della santa tornò nuovamente a Siracusa dal 14 al 22 dicembre 2014, in occasione del 10º anniversario della prima visita del corpo nella sua città natale.

Corpo di santa Lucia conservato nel Santuario di Lucia ex Chiesa di San Geremia a Venezia

Una seconda e parallela tradizione, che risale a Sigeberto di Gembloux († 1112), racconta che le spoglie della santa furono portate a Metz in Francia, dove tuttora sono venerate dai francesi in un altare di una cappella della chiesa di Saint-Vincent.

A suffragare la tesi per cui il corpo di Santa Lucia sia a Metz, fu il professor Pierre Edouard Wagner, docente associato della Facoltà di Teologia Cattolica di Strasburgo.

Nel 2002 scrisse un saggio, “Culte et reliques de sainte Lucie à Saint-Vincent de Metz“, in cui discetta sulla presenza proprio del corpo della santa in una cappella dell’abbazia di Saint-Vincent.

Secondo lo studioso francese, il vescovo Teodorico avrebbe trafugato, insieme a molte altre reliquie di santi, il corpo di santa Lucia, che allora era in Abruzzo, a Péntima (Corfinium).

Qui, conquistata la città, era giunto nel secolo VIII ad opera del duca di Spoleto dopo averlo sottratto a Siracusa.

L’anno mille Metz fu meta di pellegrinaggi da tutto il mondo germanico per vedere il corpo della santa conservato in una ‘bellissima’ cappella in fondo alla navata sinistra dell’abbazia di Saint-Vincent, fondata alla fine del X secolo dal vescovo Teodorico forse anche con la finalità di ricevere tali sante reliquie.

Una ricostruzione storica, questa della traslazione a Metz delle reliquie di Lucia, suffragata da una fonte certa, gli Annali della città dell’anno 970 d. C. scritti da Sigeberto di Gembloux (1030-1112), uomo di chiesa e cronista considerato tra i più importanti e attendibili storici medievali.

Il professor Wagner nel suo saggio ritiene quindi la tradizione di Metz, fondata su documenti più originari e vicini ai fatti narrati, più attendibile di quella veneziana, posteriore il cui racconto presenterebbe aspetti e particolari poco veritieri e tali da generare dubbi e perplessità.

Frutto dell’errore di un amanuense sarebbe invece la variante, documentata da un codice secentesco della Biblioteca Marciana di Venezia, che sposterebbe la data del trasferimento dal 1206 al 1026: una mera inversione per distrazione secondo gli storici. Ma secondo Wagner anche altri indizi deporrebbero contro la versione veneziana.

A Venezia, nel 1167 e 1182, come provano alcuni documenti certi, esisteva già una chiesa dedicata alla martire e si presume quindi che, come accaduto in casi simili, si sia cercato volutamente di ‘trovare’ le reliquie della santa per amplificare l’importanza del culto. La teoria di Metz sarebbe inoltre resa più credibile anche da altri eventi registrati nel tempo.

Per esempio nel 1792 le ‘presunte’ reliquie di Santa Lucia furono attestate come autentiche dalle autorità ecclesiastiche del luogo e collocate nuovamente sotto un importante altare.

Poi, nel 1867, prelevate dalla teca, vennero poste dal vescovo di Metz in una statua di cera rappresentante una giovane ragazza, riccamente vestita e con una ferita al collo inferta da un pugnale.

Il culto della santa avrebbe subito una pausa, perché l’abbazia venne pian piano abbandonata dai monaci ma ritornò in auge dopo che un frate francescano, aiutato da un medico, si introdusse di notte nell’abbazia e aprì il simulacro di cera per studiare le reliquie in essa contenute.

I due temerari (il frate pagò la profanazione con l’espulsione) appurarono che le ossa, appartenenti a varie parti del corpo, erano realmente di una ragazza di 13-15 anni e mantenevano evidenti segni di bruciature.

Nella letteratura e nell’arte

La figura di santa Lucia, nel corso dei secoli, è stata fonte di ispirazione non soltanto sul piano strettamente religioso e teologico, ma anche artistico, e soprattutto letterario.

Essa ha trovato spazi sia nella letteratura colta che in quella legata alla tradizione popolare di questo o quell’ambiente in cui si è, in varia misura, radicato il culto verso la martire siracusana.

Nella Divina Commedia

Nell’ambito della tradizione letteraria propriamente detta, la figura della santa ispirò Dante Alighieri.

Il poeta nel Convivio afferma di aver subìto in gioventù una lunga e pericolosa alterazione agli occhi a causa delle prolungate letture (ConvivioIII-IX, 15), ottenendo poi guarigione per intercessione della santa siracusana.

Gratitudine, speranza e ammirazione indussero quindi il sommo poeta ad attribuirle un ruolo fondamentale non soltanto nella sua vicenda personale, ma anche, allegoricamente e simbolicamente, in quella dell’umanità intera nel suo viaggio oltremondano descritto nella Divina Commedia.

Secondo Salvatore Greco Santa Lucia, nelle tre cantiche, diventa il simbolo della “grazia illuminante”, per la sua adesione al Vangelo sino al sacrificio di sé, dunque “via”, strumento per la salvezza eterna di ogni uomo, oltre che del Dante personaggio e uomo.

Questa interpretazione religiosa della personalità storica della vergine siracusana, quale santa che illumina il cammino dell’uomo nella comprensione del Vangelo e nella fede in Cristo, risale già ai primi secoli della diffusione del suo culto.

Così, infatti, l’hanno esaltata, promuovendone la devozione, papa Gregorio I, Giovanni Damasceno, Aldelmo di Malmesbury e tanti altri. Ed è a questa interpretazione della figura di santa Lucia che si collega Dante, in aspra e aperta polemica con il contesto storico di decadenza morale, politica, civile del suo tempo; tema, peraltro, di fondo che percorre tutta l’opera dalla “selva oscura” all’ascesa verso l'”Empireo”.

Se esaminiamo con attenzione la figura della martire nella Divina Commedia, si scorge in Lei un personaggio che ci appare vivo e reale nel coniugare in sé qualità celestiali e umane allo stesso tempo. È creatura celeste e umana; quando su invito di Maria scende dall’Empireo, per avvertire Beatrice dello smarrimento di Dante e del conseguente pericolo che incombe su di lui:

  • «Questa [e cioè la “donna gentil”, Maria] chiese Lucia in suo dimando e disse: Or ha bisogno il tuo fedele di te, ed io a te lo raccomando. Lucia, nimica di ciascun crudele, si mosse…»
(Dante Alighieri, Inferno, II92-96)

A questo punto la santa si rivolge a Beatrice, la donna amata dal poeta, invitandola a soccorrere Dante personaggio prima che sia troppo tardi:

  • «Beatrice, loda di Dio vera, ché non soccorri quei che t’amò tanto, ch’uscì per te de la volgare schiera? Non odi tu pietà del suo pianto? Non vedi tu la morte che ‘l combatte Su la fiumana ove ‘l mar non ha vanto?»
Inferno, II103-108)

E ancora, nel 2º regno oltremondano, il Purgatorio, santa Lucia è creatura umana, materna nel prendere Dante assopito, dopo un colloquio con illustri personaggi in una località amena (la “Valletta dei Principi”), ed a condurlo alla porta d’ingresso del Purgatorio:

  • «Venne una donna e disse: I’ son Lucia lasciatemi pigliar costui che dorme; sì l’agevolerò per la sua via»
(Purgatorio, IX55-57)

E così, dopo averlo aiutato ad intraprendere il difficile cammino di salvezza, a seguito dello smarrimento nella “selva oscura”, lo mette in condizione di intraprendere il percorso della purificazione dei propri peccati. Anche qui Dante personaggio, per influsso senz’altro del Dante autore e uomo a lei “fedele”, accenna ancora una volta alla luminosa bellezza degli occhi della martire, non senza rimandi simbolici:

  • «Qui ti posò ma pria mi dimostraro li occhi suoi belli quella intrata aperta: poi ella e ‘l sonno ad una se n’andaro»
(Purgatorio, IX61-63)

Infine, la vergine siracusana è spirito celeste, quando al termine del viaggio ultraterreno, nel Paradiso, Dante personaggio su indicazione di S. Bernardo, la rivede nel primo cerchio dell’Empireo, accanto a sant’Anna e a san Giovanni Battista, nel trionfo della Chiesa da lei profetizzato durante il martirio:

  • «Di contr’ a Pietro vedi sedere Anna, tanto contenta di mirar sua figlia che non move occhio per cantare osanna. E contro al maggior padre di famiglia siede Lucia, che mosse la tua donna, quando chinavi, a ruinar, le ciglia»
(Paradiso, XXXII133-138)

Dante, raggiunta la pienezza della sua ascesa, associa questa volta significativamente la figura di S. Lucia a quella della Madre di Maria, S. Anna, collocandola di fronte ad Adamo, il capostipite del genere umano. Maria, Beatrice, Lucia sono le tre donne che hanno permesso, per volere divino, questo cammino di redenzione al personaggio Dante, ma tra di esse, la vergine siracusana rappresenta per il sommo poeta, l’ineludibile anello di congiunzione (e quindi il superamento) fra l’esperienza terrena del peccato e il provvidenziale cammino ascetico-contemplativo dell’esperienza oltremondana.

Nell’arte -MICHELANGELO MERISI, detto “IL CARAVAGGIO”

Per via della grande devozione nutrita nei confronti di Lucia sin dai primi secoli, sono molte le pregevoli opere d’arte in Italia ed Europa che ritraggono la vergine subire il martirio o in ricche vesti e recante la palma e il piatto con gli occhi.

Il caravaggio dipinse il Seppellimento di santa Lucia, Caravaggio, 1608 (che abbiamo visto sul titolo di questo articolo)

Nel suo soggiorno siciliano, il Caravaggio fu incaricato di dipingere una tela d’altare realizzando così il Seppellimento di santa Lucia, attualmente locato presso la Chiesa di Santa Lucia alla Badia in Piazza Duomo a Siracusa.

Patrona della vista

È considerata dai devoti la protettrice degli occhi, dei ciechi, degli oculisti, degli elettricisti e degli scalpellini e viene spesso invocata contro le malattie degli occhi come la cecità, la miopia e l’astigmatismo. È considerata per tradizione, la patrona della vista e di tutti coloro che soffrono di problemi legati a quest’ultima.

Presso l’urna che accoglie le sacre spoglie della santa in San Geremia a Venezia, vengono quotidianamente portati ex voto e grazie ricevute che attestano la munificenza di santa Lucia nel dispensare grazie.

Culto in Italia

Nella tradizione popolare il 13 dicembre, giorno dedicato al culto di Santa Lucia, è considerato il giorno più corto dell’anno; da qui il detto:

«Santa Lucia, il giorno più corto che ci sia»
(Detto popolare)

Tale detto fu coniato verosimilmente in un periodo di poco anteriore alla riforma del calendario introdotta da Papa Gregorio XIII nel 1582, con cui veniva colmata la sfasatura tra calendario civile e quello solare che aveva portato a coincidere il solstizio d’inverno con il 13 dicembre.

Da allora il giorno più corto dell’anno (solstizio d’inverno) venne riportato al 21-22 dicembre. Per una casuale coincidenza il 13 dicembre è comunque collegato ad un fenomeno astronomico, ossia con il giorno dell’anno in cui il sole tramonta prima: dopo tale giorno il tramonto avviene ogni giorno più tardi; ciò nonostante, anche dopo il 13 dicembre le giornate continuano ad accorciarsi; infatti, fino al 21-22 dicembre, la leggera posticipazione del tramonto viene accompagnata da una maggiore posticipazione dell’alba.