30.10.2022 – DOMENICA 31^ SETTIMANA P.A.  C – LUCA 19,1-10 “Il Figlio dell’uomo era venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto”.

… il VECCHIO FARISEO COMMENTA…. In illo tempore: dixit Iesus…

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Dal Vangelo secondo LUCA LUCA 19,1-10

In quel tempo, Gesù entrò nella città di Gèrico e la stava attraversando, quand’ecco un uomo, di nome Zacchèo, capo dei pubblicani e ricco, cercava di vedere chi era Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, perché era piccolo di statura. Allora corse avanti e, per riuscire a vederlo, salì su un sicomòro, perché doveva passare di là. Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: «Zacchèo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua». Scese in fretta e lo accolse pieno di gioia. Vedendo ciò, tutti mormoravano: «È entrato in casa di un peccatore!». Ma Zacchèo, alzatosi, disse al Signore: «Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto». Gesù gli rispose: «Oggi per questa casa è venuta la salvezza, perché anch’egli è figlio di Abramo. Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto». Parola del Signore

 

Mediti…AMO

Gerico, il cui nome significa “Città delle Palme”, attualmente è una città della Cisgiordania, situata in prossimità del fiume Giordano, con una popolazione di circa 18.300 abitanti.

È situata a circa -250 m s.l.m. nella depressione del Mar Morto, è la città posta a più bassa altitudine del pianeta.

Almeno tre distinti insediamenti sono esistiti in prossimità della collocazione attuale per più di 11.000 anni. Si tratta infatti di una posizione favorevole, sia per la disponibilità di acqua, sia per la sua collocazione sulla via est-ovest che passa a nord del Mar Morto.

È il più basso sito permanentemente abitato della Terra e datazioni compiute dagli studiosi sulle rovine trovate fanno ipotizzare che Gerico sia, insieme a Damasco, la città più antica del mondo.

Non è chiaro quando sia sorta, ma alcune scoperte farebbero risalire in loco i primi insediamenti umani a 18.000 anni prima della nascita di Cristo.

Verso il 1250 a.C., secondo la narrazione biblica del Libro di Giosuè (di cui ai capitoli 5 e 6), la città fu invasa e rasa al suolo dagli Ebrei, guidati da Giosuè successore di Mosè, anche se attualmente la maggioranza degli studiosi ritiene che l’ultima occupazione del luogo durante il Tardo Bronzo è del XIV secolo a.C. e, da allora fino al secolo IX a.C., non si verificarono ulteriori stanziamenti. Quindi, al tempo di Giosuè, nessuno viveva a Gerico.

La battaglia avvenne circa il 1405 a.C. e fu la prima città conquistata da Israele sotto Giosuè.

Gerico ha una lunga storia. È uno dei luoghi abitati da Israele da sempre, ma anticamente non era una grande città, ma un’oasi situata nella valle desertica del Giordano, ultima tappa delle carovane di pellegrini diretti a Gerusalemme.

Gesù partì da Gerico per il suo ultimo cammino verso Gerusalemme.

Erode il Grande morì lì.

Qui finisce la contestualizzazione storico-geografica del luogo che oggi il vangelo ci propone. Entriamo nel testo.

Il pubblicano nel Tempio di domenica scorsa ci ha offerto una lezione sull’atteggiamento necessario per comunicare con Dio nella preghiera.

Mentre il capo dei pubblicani di Gerico -oggi- ci offre una lezione su come aprirsi al Dio delle sorprese, Gesù di Nazareth, che “è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto” (Lc 19,10).

A Gerico si trovava un posto di controllo doganale dell’amministrazione romana. Il cui capo era un pubblicano di nome Zaccheo, e come tale, era anche UN RICCO BENESTANTE.

Già il nome è un programma: significa “il puro” ma se è la contrazione di Zaccaria, significa “Dio ricorda”.

E il Signore vede in lui un puro, un semplice. Ecco come Dio ci restituisce la nostra immagine ancestrale, la nostra idealità profonda, egli sa cosa siamo veramente, nel più profondo del nostro cuore.

Dietro la scorza indurita di un uomo che è diventato un aguzzino, Dio vede l’innocenza nascosta. E la rianima.

Zaccheo aveva sulla coscienza non solo le estorsioni e le malversazioni finanziarie abituali fra i “doganieri” dell’epoca, ma era considerato anche traditore politico e religioso, perché sosteneva i detestati ROMANI, oppressori della Palestina, di cui era prezioso collaboratore.

Era ladro come ammette lui stesso, impuro e capo degli impuri di Gerico.

Non sappiamo quali motivazioni spingessero Zaccheo a voler vedere Gesù.

Qualcuno ha detto che la vita è una questione di incontri.

È vero, anche se non si riesce mai ad afferrare il mistero di ciò che li determina: quanto sia determinante l’uomo nel cogliere l’occasione e quanto sia determinante Dio nel suo lavoro per creare le condizioni dell’occasione.

Tornando al brano, nessuno tra la folla degli Ebrei pii gli fa posto in prima fila, né gli permette di salire sul suo tetto e perciò Zaccheo deve salire su un albero.

Su di un sicomoro, per la precisione.

LA BIBBIA CI DICE CHE IL SICOMORO, ALBERO SEMPRE VERDE CHE NON CRESCE IN EUROPA, FA PARTE DELLA FAMIGLIA DEI FICHI.

I rabbini insegnavano o studiavano sotto il fico i Libri della legge.

E alcuni paragonavano la Toràh al fico, per via della dolcezza del suo frutto.

A nessuno di noi sfugge che Natanaele, nel vangelo di Giovanni, è chiamato da Gesù mentre sta sotto un fico (Gv 1,28).

«Corse avanti e salì su un sicomoro…» tre pennellate precise: non cammina, corre; in avanti, non all’indietro; sale sull’albero, cambia, simbolicamente, in tal modo, la prospettiva della sua vita.

L’arrampicarsi su quest’albero è un gesto semplice e allo stesso tempo infantile.

Ma certamente esprime il bisogno di una conversione che inizia a farsi strada, perché quanto accade gli appare come l’occasione della vita per fissare il suo sguardo in quello di Gesù.

È sconvolto dall’AMORE CHE PASSA NELLA SUA VITA.

Gesù è lo sguardo del Padre che “vede lontano” la sua creatura (Lc 15,20).

I suoi occhi non sono distratti dalla calca di gente che lo osanna, il successo non lo concentra su di sé, non teme la critica di chi può mormorare sul suo interesse per un uomo che ha solo fama di essere un grande peccatore (Lc 19,7).

Per cui, Gesù, col cuore e con gli occhi, vede, nello sguardo di questo piccolo truffaldino che ha fatto soffrire tanta gente, UNA NOVITÀ, e lo chiama “…scendi Zaccheo, che oggi vengo a casa tua“.

Gesù lo esorta a scendere in fretta e si invita a casa sua. Queste parole di Gesù esprimono l’intenzione chiara di entrare in rapporto con lui.

E Zaccheo, col cuore in fiamme, scende dall’albero e prepara la strada della sua casa e la casa del suo cuore alla venuta di Gesù che ormai lo ha scelto.

Zaccheo ha intuito il segreto di un Dio lento all’ira e ricco di misericordia.

Ha sentito dire che Gesù accoglie i peccatori e i pubblicani e questa notizia prende talmente il suo cuore che non vede l’ora di incontrare il Signore.

E Zaccheo, l’uomo che cercava, scopre di essere cercato.

L’uomo che desiderava conoscere, scopre di essere già conosciuto.

L’uomo che non si aspettava niente, scopre di essere aspettato!

L’uomo che non osava invitare alla tavola della sua amicizia scopre di essere da Lui invitato, e a casa sua!

Ecco allora che, in questa XXXI domenica del tempo ordinario, LA PAROLA DI DIO, forte dell’esempio di Zaccheo, ci viene in aiuto per farci capire il vero senso della vita e di come vivere in questo mondo, MANTENENDO LO SGUARDO FISSO NELL’ETERNITÀ.

Nessuno è eterno su questa terra, che -tutti- un giorno lasceremo per sempre.

MA, NELLA CERTEZZA DI CHI CREDE, CHE RISORGEREMO PER SEMPRE, ANCHE NEL NOSTRO CORPO MORTALE, ALLA SECONDA E DEFINITIVA VENUTA DI CRISTO SULLA TERRA.

Il mistero della morte e della risurrezione di Cristo ci spinge guardare la vita oltre la vita e ad attendere, vigilanti ed oranti, la venuta del Signore a livello personale, perché ciò ha a che vedere con la nostra morte corporale.

“Devo venire a casa tua…”, dice Gesù.

DIO VIENE PERCHÉ DEVE, PERCHÉ HA UN BISOGNO CHE GLI URGE IN CUORE.

LO SPINGE UN DESIDERIO, UN’ANSIA: A DIO MANCA QUALCOSA, MANCA ZACCHEO, MANCA L’ULTIMA PECORA, MANCO IO.

Ecco allora che incontrare un uomo come Gesù, fa credere nell’uomo.

Incontrare un amore senza condizioni fa amare.

Incontrare un Dio che non fa prediche ma si fa amico, fa rinascere.

Gesù non ha puntato il dito o alzato la voce contro di lui, ma ha sbalordito Zaccheo offrendogli sé stesso in amicizia, gli ha dato credito, un credito immeritato.

E Zaccheo si è scoperto amato. Amato senza meriti, senza un perché. SEMPLICEMENTE AMATO.

TUTTA LA STORIA DELLA SALVEZZA È PRECEDUTA DA UN “SEI AMATO”, A CUI SEGUE UN “AMERAI”.

Chiunque esce da questo fondamento amerà il contrario NON VIVE IN DIO E NEMMENO SECONDO DIO.

DEVO FERMARMI, DICE IL SIGNORE, NON SEMPLICEMENTE PASSARE OLTRE, MA STARE CON TE.

L’INCONTRO ALLORA DIVENTA UN TRAGUARDO E LA CASA DA TAPPA DIVENTA META.

Non dimentichiamo che:

  • simbolicamente, il Vangelo non è cominciato al tempio ma in una casa, a Nazareth;
  • e ricomincia in un’altra casa a Gerico,
  • e oggi ancora inizia di nuovo nelle case, là dove siamo noi stessi, autentici,
  • in una casa, dove accadono le cose più importanti: LA NASCITA, LA MORTE, L’AMORE.

E allora, Fratelli e Sorelle, vivere è vedere le persone, incrociare quegli sguardi, attraverso cui il nostro cuore entra in comunicazione con gli altri.

La prima cosa che guardiamo in una persona sono gli occhi. Gli occhi delle persone che ci amano e che amiamo ci parlano, anche da una fotografia.

Quando non vogliamo che gli altri ci guardino “dentro“, abbassiamo lo sguardo. Quando non sappiamo gioire del bene che gli altri sono e fanno diventiamo in-vidiosi, cioè incapaci di guardare l’altro, cioè di riconoscerlo come un dono per noi.

Ed è appunto questo che la pagina del Vangelo di oggi ci racconta di un gioco di sguardi, umani e divini, che cercano e che si lasciano trovare.

Il racconto mette al centro della scena da una parte Zaccheo, il capo dei pubblicani, con il suo desiderio di “vedere chi fosse Gesù“, e dall’altra il SIGNORE che, mentre sta attraversando la città di Gerico, si ferma e “alza lo sguardo” verso di lui.

In questa dinamica, Fratelli e Sorelle carissimi, quando l’uomo scopre di essere amato, mette le ali ai piedi (Lc 19,6) e nulla può arrestarlo, lo stesso giudizio di chi gli sta intorno non conta più nulla (Lc 19,7).

Questi è l’uomo che si è “alzato” (Lc 19,8a) da una vita condizionata dal pensiero religioso altrui, dai luoghi comuni.

È l’uomo che ha ritrovato la sua identità più profonda (Lc 19,9), quella che può ritrovare solo chi incontra Gesù Cristo, il Signore “amante della vita, che ha compassione di tutti perché tutto può, che ama tutte le cose che esistono e non prova disgusto per niente di ciò che ha creato” (Sap 11).

Solo chi ha incrociato gli occhi di Gesù cambia lo sguardo su di sé e sugli altri: vede sé stesso come un peccatore graziato e gli altri non come persone da manipolare e sfruttare, ma come fratelli da perdonare, risarcire e beneficare (Lc 19,8b).

Solo chi rientra in casa sua, ossia nella verità del proprio cuore, incontra Gesù e gusta la gioia di una vita nuova. E questo accade ancora oggi.

La risposta di Zaccheo conferma Gesù nel suo cammino di obbedienza al Padre.

Ha proprio regione il Padre Eterno, nell’inviare il Figlio, verso chi è lontano, perché dietro l’arroganza, l’egoismo e la prepotenza del peccatore C’È UNA PERSONA FERITA E NON AMATA, CHE ATTENDE LO SGUARDO DI GESÙ E LA SUA PAROLA: vengo a casa tua!

Ovvero ad abitare NEL TUO CUORE.

Gesù condivide così tanto questo modo di essere e sentire di suo Padre che fino alla fine del tempo e della storia, resterà fedele al suo cammino incontro ai peccatori.

L’oggi di Gesù nella casa di Zaccheo è anche, attraverso la liturgia, l’oggi della nostra vita. Oggi Gesù si fa vicino a noi, ci guarda dal basso, ci chiama per nome, sente necessario autoinvitarsi a casa nostra, nel nostro cuore.

E noi? Restiamo sull’albero, o come Zaccheo scendiamo in fretta e con gioia accogliamo Gesù?

La nostra vita di cristiani certamente assomiglia a quella di Zaccheo: forse anche noi preferiamo vedere chi è Gesù senza lasciarci vedere da lui, per paura che l’incontro ci coinvolga e ci spinga a cambiare!

Perché cambiare sul serio costa… perché se cambiamo, è in quest’ “…oggi, che per questa casa, è venuta la salvezza” (Lc 19,10a).

Una piccola curiosità della quale non si parla mai. ZACCHEO, secondo la tradizione, è diventato poi il primo vescovo di Cesarea di Palestina.

Lo scrive James Donaldson, curatore del testo di PATRISTICA “I PADRI ANTE-NICENI, nel testo “Sec.IV.- Enumeration Ordained by Apostles”, in Costituzioni apostoliche, VII cap. 4, Christian Classics Ethereal Library (Of Cæsarea of Palestine, the first was Zacchæus, who was once a publican; after whom was Cornelius, and the third Theophilus):

  • «Di Cesarea di Palestina il primo Episcopo fu Zaccheo, che una volta era un pubblicano; dopo di lui fu Cornelio e il terzo Teofilo

Ragioniamoci sopra…

Prega il Signore per me… Fratello che Leggi…

Sia Lodato Gesù, il Cristo!