30.06.2022 – GIOVEDI’ XIII^ SETTIMANA P.A. C – MATTEO 9,1-8 “Resero gloria a Dio che aveva dato un tale potere agli uomini”.

… il VECCHIO FARISEO COMMENTA…. In illo tempore: dixit Iesus…

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Dal Vangelo secondo MATTEO 9,1-8

In quel tempo, salito su una barca, Gesù passò all’altra riva e giunse nella sua città. Ed ecco, gli portavano un paralitico disteso su un letto. Gesù, vedendo la loro fede, disse al paralitico: «Coraggio, figlio, ti sono perdonati i peccati». Allora alcuni scribi dissero fra sé: «Costui bestemmia». Ma Gesù, conoscendo i loro pensieri, disse: «Perché pensate cose malvagie nel vostro cuore? Che cosa infatti è più facile: dire “Ti sono perdonati i peccati”, oppure dire “Àlzati e cammina”? Ma, perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere sulla terra di perdonare i peccati: Àlzati – disse allora al paralitico –, prendi il tuo letto e va’ a casa tua». Ed egli si alzò e andò a casa sua. Le folle, vedendo questo, furono prese da timore e resero gloria a Dio che aveva dato un tale potere agli uomini. Parola del Signore

 

Mediti…AMO

Il capitolo 9 prosegue il racconto dell’annuncio di Gesù attraverso le guarigioni.

Il brano che conclude il capitolo 8 e che segue al testo della tempesta sedata, visto la scorsa volta, racconta di Gesù che approda dopo la tempesta nella città di Gàdara.

Lì libera due indemoniati con il famoso gesto di trasferire gli spiriti impuri nella mandria dei porci che precipita poi nel mare.

Gàdara si trova nella Decapoli, regione abitata da molti pagani e questo spiega la presenza dei maiali, invisi al popolo ebraico …

Gli abitanti della città sconvolti da questo prodigio che li impaurisce, pregano Gesù di andarsene ed egli approda di nuovo in quella che, il versetto 1 del nostro brano, chiama la “sua città”, presumibilmente ancora Cafarnao.

Quindi ragionevolmente, possiamo dire che ci troviamo a Cafarnao, sulla riva del lago.

Alcuni amici di un paralitico, che non vogliono fargli perdere l’occasione di incontrare ed ascoltare Gesù, glielo portano su una barella.

Il passo parallelo del Vangelo di Marco (Mc 2,1-12), ci parla di una folla che accorre mentre Gesù si trova in casa e di come, mentre sta annunciando la Parola, quattro persone scoperchiano il tetto per presentargli un paralitico.

In Matteo la scena è differente. Non ci sono tetti scoperchiati e folle, ma solo delle persone che, spinte dalla fede, si presentano davanti a Gesù portando un paralitico disteso su un letto.

Gesù allora insegna ai presenti, e a tutti noi, cos’è veramente importante “Coraggio, figlio, ti sono perdonati i peccati”.

Reagisce alla richiesta di aiuto nel modo più efficace perché la salvezza che ci offre non è la liberazione dalla malattia, dalla morte, dalla sofferenza, ma la liberazione dal male che ci imprigiona e ci impedisce di amare pienamente.

È rimuovere gli ostacoli che ci impediscono di vivere alla sequela della Parola che Gesù ci ha annunciato, e che continua a esserci rivolta ogni giorno grazie alla presenza dello Spirito che ci sostiene e ci accompagna nel nostro cammino di fede.

È importante sottolineare che questa frase che vedremo suscita indignazione ed è il centro di questo brano, Gesù la pronunci perché colpito dalla fede di coloro che si fanno carico della sofferenza di quest’uomo.

Per la mentalità del tempo e per una teologia retributiva, si pensava che il male fisico fosse la conseguenza dei peccati commessi da colui che era colpito dalla malattia; mentalità, non del tutto scomparsa anche oggi, che vede la volontà di Dio ovunque anche per spiegare una sofferenza addirittura come imposta da Dio.

Ecco, questi uomini attirano l’attenzione di Gesù perché superano questa barriera culturale e religiosa e gli portano questo paralitico. Ed è per questo che Gesù è ammirato, tanto che si sente quasi costretto a rispondere, con delicatezza:

  • Coraggio, figlio, ti sono perdonati i peccati”.

Subito dopo troviamo una delle domande più affascinanti di Gesù:

  • È più facile dire: ‘Ti sono perdonati i peccati’, oppure: ‘Àlzati e cammina’?

Ragionamento classico dell’esegesi rabbinica: se può guarire fisicamente il malato (il visibile), a maggior ragione avrà l’autorevolezza di perdonare i suoi peccati (l’invisibile).

Proprio a questo è interessato: curare, se non proprio guarire, il cuore umano tentato di non nutrire pensieri buoni, di non fidarsi.

Quanto è più facile continuare a coltivare la sfiducia, non credendo che l’altro possa “rimettersi in piedi”, e guardando con cinismo chi tenta di aiutarlo a vivere. Paradossalmente, molto più che rimettere in piedi un paralitico…

Gesù non accetta una risposta banale, ma ci mette in discussione. E lo fa ponendosi in gioco:

  • Perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere sulla terra di perdonare i peccati: Àlzati –disse al paralitico–, prendi il tuo letto e va’ a casa tua”.

A Gesù sta a cuore affermare che c’è un potere (“exousia”) che Lui esercita, che è il vero svelamento di Dio: Dio è misericordia ed esercita la sua onnipotenza nel perdono dei peccati degli uomini.

Quindi il segno della guarigione fisica che segue è per affermare che c’è in Lui questo potere di Dio.

Ciò che gli scribi considerano bestemmia per Gesù è la realtà: Egli è Figlio dell’Uomo e quindi il Messia perché è Figlio di Dio.

Figlio di quel Dio che non vuole la morte del peccatore ma che si converta e viva (come ripete il profeta Ezechiele).

Perché il perdono di Gesù, Figlio dell’uomo sempre veniente, ci rimette in piedi: perché non ci fidiamo del suo sguardo che vuole scandagliare il nostro cuore per ridargli vita, cioè fiducia condivisa e occhio buono verso chi ci è accanto? Perché non impariamo a perdonarci?

MACARIO “L’EGIZIANO”, detto “il grande” (300-190, sacerdote, santo della Chiesa Copta Ortodossa e della Chiesa Cattolica, Padre del Deserto, che insieme a Sant’Isidoro furono discepoli di s. Antonio abate) ci mette in guardia da una facile tentazione:

  • Quanti proferiscono discorsi spirituali, senza aver gustato e sperimentato ciò che dicono, questi, dico, assomigliano a un uomo che in piena estate, proprio a mezzogiorno, attraversa una pianura deserta e arida; poi per la gran sete ardente, si immagina nella sua mente una fonte fresca lì vicino, con acqua dolce e limpida, e pensa di dissetarsi a sazietà, senza alcun impedimento; oppure assomiglia a un uomo che non ha mai gustato neanche un po’ di miele eppure tenta di illustrare ad altri quanto sia dolce”.

Oggi si parla poco e male del peccato, come se fosse una innocente fragilità senza conseguenze.

Non è così: in noi coesistono luce e tenebra in proporzioni uguali.

Siamo nati con questo fardello ma possiamo liberarcene.

La vita spirituale consiste proprio nel vedere noi stessi alla luce di Dio e, in questa prospettiva, chiamare ciò che ci allontana dal Signore con il proprio nome.

Il peccato esiste. Non è un’invenzione dei preti ma è la consapevolezza che l’uomo, creato per essere un capolavoro, spesso gioca male la sua libertà e si allontana dal progetto che Dio ha su di lui, accontentandosi.

Il peccato non è la trasgressione di una legge ma il fallimento di un obiettivo: quello di diventare come Dio ci ha immaginato.

Le indicazioni che Dio ci ha donato nella Rivelazione e nella legge morale ci permettono di vigilare sul nostro percorso, di capire cosa è bene e cosa è male, di impegnarci con intelligenza a perseguire il bene.

Il peccato quindi è male, PERCHÉ CI FA DEL MALE.

Al tempo di Gesù si pensava, erroneamente, che la malattia fosse la punizione divina per un peccato commesso.

Non è certamente così: ma il peccato può provocare una paralisi dell’anima profonda quanto una paralisi del corpo.

Progressivamente, se non agiamo, perseverando nell’errore ci blocchiamo, disimpariamo ad amare, ci paralizziamo nella fede e nella speranza.

Ne discende che, se non siamo nella Grazia di Dio, non siamo più capaci di perdonare.

La novità delle relazioni cristiane e anche la fatica, sta proprio nel saper perdonare agli altri.

È una bellezza rivoluzionaria nelle relazioni ma anche la dimensione più difficile del cristianesimo.

È difficile perdonare soprattutto quando non ci si sente apprezzati o addirittura quando siamo colpiti da piccoli o grandi travisamenti o tradimenti.

Ma se si fa l’esperienza costante del perdono di Dio nei nostri confronti non ci si può esimere dall’affrontare la difficile ma liberante ARTE DEL PERDONO.

È proprio per questo che la nuova traduzione della Bibbia che riporta il “Padre nostro”, ha aggiunto quella congiunzione coordinante che rafforza il rapporto con l’elemento precedente:

  • “E rimetti a noi i nostri debiti come ANCHE noi li rimettiamo ai nostri debitori” (Mt 6,12).

È un’aggiunta di fedeltà al testo e nello stesso tempo un rafforzativo che ci richiama, non solo linguisticamente, ad un impegno preciso.

Quindi se ci riconosciamo peccatori e facciamo l’esperienza di un incontro sacramentale vero con il perdono di Dio nella confessione, non dico che ci verrà automatico ma senz’altro ci verrà facilitato, perdonare gli altri.

In un testo attribuito a Raoul Follereau, o ad un Anonimo fiammingo del XIV secolo, è detto:

“Cristo non ha mani, ha soltanto le nostre mani per fare il suo lavoro oggi.

Cristo non ha piedi, ha soltanto i nostri piedi per guidare gli uomini sui suoi sentieri.

Cristo non ha labbra, ha soltanto le nostre labbra per narrare di sé agli uomini di oggi.

Cristo non ha mezzi, ha soltanto il nostro aiuto per condurre a sé gli uomini.

Noi siamo l’unica Bibbia che i popoli leggono ancora, siamo l’ultimo messaggio di Dio scritto in opere e parole”.

Ragioniamoci sopra…

Sia Lodato Gesù, il Cristo!