30.04.2023 DOMENICA 4 DI PASQUA A – GIOVANNI 10,1-10 “Io sono la porta delle pecore”.

«Fermatevi nelle strade e guardate, informatevi circa i sentieri antichi, dove sta la strada buona e prendetela, così troverete pace per le anime vostre». Geremia 6,16

Pietro Saltarelli… il VECCHIO FARISEO COMMENTA…. “In illo tempore: dixit Iesus…”

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Dal Vangelo secondo GIOVANNI 10,1-10

+ In quel tempo, Gesù disse «In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore. Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei». Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro. Allora Gesù disse loro di nuovo «In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo. Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza». Parola del Signore

 

Mediti…AMO

La quarta domenica del tempo di Pasqua è la domenica del Buon Pastore, e la pagina di vangelo che abbiamo letto ci aiuta a comprenderne il significato.

Siamo all’inizio del capitolo 10 del vangelo di Giovanni e Gesù si trova ancora a Gerusalemme, nella zona del tempio, dove era in corso una discussione con i Giudei sulla fede.

Questa premessa è importante per capire cosa c’è all’origine delle parole di Gesù, che identifica sé stesso CON IL PASTORE BUONO (che significa anche bello), MA ANCHE CON LA PORTA DELL’OVILE.

L’immagine del pastore era nota ai Giudei, perché nell’Antico Testamento, lo abbiamo sentito anche nel salmo responsoriale, Dio era il Pastore che guidava il popolo, Israele.

Nel ritratto che Ezechiele, Geremia e Zaccaria offrono del pastore atteso da Israele si insiste soprattutto su un aspetto: sarà colui che terrà il gregge unito, perché le pecore hanno tendenza ad impaurirsi, a scappare e così a disperdersi diventando così più vulnerabili.

Ed era un pastore che il profeta Ezechiele distingueva dal mercenario… i capi del popolo sono le guide, dovrebbero essere pastori, ma si dimostrano mercenari.

E la denuncia di Ezechiele resta valida anche ai tempi di Gesù. I Giudei non capiscono ciò che Gesù sta dicendo, non capiscono che parla di loro.

È importante il ritratto che Ezechiele, Geremia e Zaccaria offrono del pastore atteso da Israele.

In questo ritratto si insiste soprattutto su un aspetto: sarà colui che terrà il gregge unito, perché le pecore hanno tendenza ad impaurirsi, a scappare e così a disperdersi diventando così più vulnerabili.

Ma ciò che ci deve preoccupare oggi è che Gesù dice questo a noi, perché chiunque, non solo chi ha la vocazione sacerdotale, ha una responsabilità verso le sorelle e i fratelli, nell’indicare loro la strada da percorrere: LA TESTIMONIANZA DELLA NOSTRA VITA PUÒ ESSERE UN’INDICAZIONE DI BENE, MA PUÒ ANCHE SCANDALIZZARE IL PROSSIMO.

In questa pagina di vangelo Gesù ci ricorda però che il principio fondamentale per trovare la strada giusta è ascoltare LA SUA VOCE, nota al nostro cuore, perché risuona sin dalla notte dei tempi, nel nostro intimo.

È la voce di Dio che si rivela e si dona a noi attraverso il Cristo che vive nella Chiesa.

Ma il Cristo non è soltanto il Mediatore del disvelarsi e dell’offrirsi di Dio a noi. È anche la realtà stessa del Verbo divino che ci raggiunge, ci illumina con la FEDE, ci trasforma con la GRAZIA, ci guida con la sua PAROLA, i suoi SACRAMENTI e la sua AUTORITÀ.

Egli è la “porta” e il “Pastore” che “cammina innanzi” alle pecore, e ci conosce per nome, ci ama e per noi offre la propria vita in una dilezione che si spinge sino alla fine.

San Giovanni Crisostomo scrive:

«Quando Gesù si prende cura di noi, CHIAMA SÉ STESSO PASTORE; QUANDO CI CONDUCE AL PADRE, È LA PORTA».

L’immagine della porta è cara all’Antico Testamento, dove si trova tante volte.

Nel libro di Neemia, al cap. terzo, si parla di una porta delle pecore:

«Eliasìb, sommo sacerdote, con i suoi fratelli sacerdoti si misero a costruire la porta delle Pecore; la consacrarono e vi misero i battenti» (Ne 3,1).

Questo portale delle mura di Gerusalemme prendeva il nome dal mercato delle pecore che fino a qualche secolo fa veniva tenuto in quell’area di Gerusalemme, presso quella porta.

La stessa porta compare anche in altro versetto del vangelo di Giovanni, 5,2:

  • «C’è a Gerusalemme, presso la porta delle Pecore…».

È plausibile che il Gesù di Giovanni potrebbe aver avuto in mente davvero una delle porte della città santa, nel suo discorso.

La “porta” è un luogo dai molteplici usi, è un luogo d’incontro per i responsabili della città, gli anziani, ad esempio (basta tornare al salmo 69,13 o al salmo 127,5) per accorgersi che la porta è posta a protezione di un luogo.

È cioè un modo per indicare la sicurezza di chi è all’interno delle mura di una città.

Ma la porta è fatta per essere oltrepassata, serve per entrare in una realtà.

Se è chiusa, crea una barriera che può essere infranta solo da chi vi è dentro. E se oltrepassata, permette di accedere ad uno spazio altrimenti inaccessibile.

La porta è spesso associata all’ingresso in aree di grande importanza sacra e liturgica.

Basti pensare al tempio di Gerusalemme, i cui diversi spazi erano contrassegnati da staccionate e portali.

All’interno del tempio c’era il Santo dei santi, il luogo più esclusivo del tempio, che era custodito dietro una porta e poteva essere aperto solo una volta all’anno, durante la celebrazione del Kippur, il giorno dell’espiazione.

Come ricorda la Lettera agli Ebrei, il sommo sacerdote vi accedeva solo per compiere il rito della remissione dei peccati di Israele.

E, meraviglia delle meraviglie… per quella porta ora possono passare tutti i credenti: PERCHÉ IL SIGNORE GESÙ L’HA SPALANCATA.

Il segno di quanto è accaduto, è rivelato dal velo del tempio che si è squarciato al momento della morte del Messia, e non è mai stato più riapposto (Mt 27,51).

Grazie alla sua morte, si è compiuto il Kippur per tutti gli uomini: EGLI È PERCIÒ COLUI CHE «Dio ha prestabilito a servire come strumento di espiazione per mezzo della fede, nel suo sangue, al fine di manifestare la sua giustizia, dopo la tolleranza usata verso i peccati passati, nel tempo della divina pazienza» (Rm 3,25-26).

Le mura e le porte di Gerusalemme ormai non sono più destinate a chiudersi a coloro che vogliono salire nella città santa.

Le dodici porte splendenti come perle sono capaci di accogliere chiunque (Ap 21).

Il tempio è spalancato per Israele e per i pagani, per il popolo dell’alleanza ma anche per noi.

Nel salmo 118 si legge:

«Apritemi la porta della giustizia: entrerò a rendere grazie al Signore. È questa la porta del Signore, per essa entrano i giusti».

Questa profezia davvero si è avverata, Gerusalemme è la città per tutti gli uomini, le sue porte non saranno mai più serrate, fino alla fine dei tempi:

«Le sue porte non si chiuderanno mai durante il giorno, poiché non vi sarà più notte» (Ap 21,25).

Fratelli e Sorelle, ancora oggi il Signore del tempo e della Storia continua a sussurrare al nostro cuore “…Io sono la porta delle pecore”, vale dire l’ingresso nel Regno, l’ingresso nella Chiesa, l’ingresso nella divina Verità e, dichiarandosi buon pastore “…chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori”.

È ancora la voce sicura e suadente di Cristo Signore che chiama per indicare la via, la voce che conduce ai pascoli migliori, che amorevolmente risparmia e preserva dai pericoli.

È una voce dolce, che crea comunione e intesa perfetta, tra il pastore e le sue pecore.

A noi chiede l’ascolto docile e la fede più ardente e una vita di relazione con Lui.

La Parola del Signore infatti risuona con continuità nella nostra Chiesa.

Ed è una voce, quella del buon Pastore, che ben si distingue da quella strìdula e menzognera di coloro che sono ladri e briganti e non entrano per la porta, non si curano del gregge e fuggono dinanzi al pericolo.

La voce del Signore oggi è la voce degli apostoli, guidati dal successore di Pietro, ma è anche la voce di tutti coloro che si modellano sull’impronta di Cristo, che non solo hanno assunto lo stesso timbro e che sono capaci non solo di professare, ma anche di testimoniare la fede fino ad offrire in dono la propria vita.

Il recinto dell’ovile è la Chiesa santa di Dio e le pecore sono tutti coloro che professano l’unica fede nel Cristo risorto.

E a noi rimane nel cuore questa dolce immagine che abbiamo contemplato fin dall’infanzia: il buon Pastore.

Un’immagine che era molto cara ai primi cristiani e che fa parte dell’arte sacra sin dal tempo delle catacombe.

Quante cose ci evoca quel giovane pastore con la pecora ferita sulle sue spalle!

Molte volte ci siamo visti noi stessi rappresentati in quel povero animale.

Sono passati pochi giorni da quando abbiamo celebrato la Pasqua, e ancora una volta abbiamo ricordato che Gesù non usava un linguaggio figurativo quando diceva CHE IL BUON PASTORE DÀ LA SUA VITA PER LE SUE PECORE.

Realmente la sua vita fu il pegno del nostro riscatto, con la sua vita comprò la nostra.

Noi siamo stati riscattati e Giovanni ce lo ricorda «…Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvo» (Gv 10,9).

Gesù porta il suo amore fino al punto di dare la propria vita.

Ancora riecheggiano le parole del Vangelo di Giovanni, che ci introduce ai momenti della Passione:

  • «Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine» (Gv 13,1).

Ragioniamoci sopra…

Il Signore IDDIO ti Benedica

E tu Prega il Signore per me… Fratello che Leggi…

Sia Lodato Gesù, il Cristo!