30.0.2022 VENERDI’ SAN GIROLAMO – LUCA 10,13-16 “Chi disprezza me, disprezza colui che mi ha mandato”.

… il VECCHIO FARISEO COMMENTA…. In illo tempore: dixit Iesus…

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Dal Vangelo secondo LUCA 10,13-16

In quel tempo, Gesù disse: «Guai a te, Corazìn, guai a te, Betsàida! Perché, se a Tiro e a Sidòne fossero avvenuti i prodigi che avvennero in mezzo a voi, già da tempo, vestite di sacco e cosparse di cenere, si sarebbero convertite. Ebbene, nel giudizio, Tiro e Sidòne saranno trattate meno duramente di voi. E tu, Cafàrnao, sarai forse innalzata fino al cielo? Fino agli inferi precipiterai! Chi ascolta voi ascolta me, chi disprezza voi disprezza me. E chi disprezza me, disprezza colui che mi ha mandato». Parola del Signore

 

Mediti…AMO

LA VITA E IL PENSIERO DEL SANTO

Memoria di san Girolamo, sacerdote e dottore della Chiesa: nato in Dalmazia, nell’odierna Croazia, uomo di grande cultura letteraria, compì a Roma tutti gli studi e qui fu battezzato; rapito poi dal fascino di una vita di contemplazione, abbracciò la vita ascetica e, recatosi in Oriente, fu ordinato sacerdote. Tornato a Roma, divenne segretario di papa Damaso e, stabilitosi poi a Betlemme di Giuda, si ritirò a vita monastica. Fu dottore insigne nel tradurre e spiegare le Sacre Scritture e partecipe in modo mirabile delle necessità della Chiesa.

Fece studi enciclopedici ma, portato all’ascetismo, si ritirò nel deserto presso Antiochia, vivendo in penitenza. Divenuto sacerdote a patto di conservare la propria indipendenza come monaco, iniziò un’intensa attività letteraria. A Roma collaborò con papa Damaso, e, alla sua morte, tornò a Gerusalemme dove partecipò a numerose controversie per la fede, fondando poco lontano dalla Chiesa della Natività, il monastero in cui morì. Di carattere focoso, soprattutto nei suoi scritti, provocò consensi o polemiche, fustigando vizi e ipocrisie. Scrittore infaticabile, grande erudito e ottimo traduttore, a lui si deve la Volgata in latino della Bibbia, a cui aggiunse dei commenti, ancora oggi importanti come quelli sui libri dei Profeti.

CON QUEST’UOMO INTRATTABILE HANNO UN DEBITO ENORME LA CULTURA E I CRISTIANI DI TUTTI I TEMPI. HA LITIGATO CON SPROVVEDUTI, DOTTI, SANTI E PECCATORI; FU AMMIRATO E DETESTATO. MA RIMANE UN BENEFATTORE DELLE INTELLIGENZE E LA CHIESA LO VENERA COME UNO DEI SUOI PADRI PIÙ GRANDI.

Nel 375, dopo una malattia, Gerolamo passa alla Bibbia. Studia il greco ad Antiochia; poi, nella solitudine della Calcide (confini della Siria), si dedica all’ebraico. Riceve il sacerdozio ad Antiochia nel 379 e nel 382 è a Roma. Qui, papa Damaso I lo incarica di rivedere il testo di una diffusa versione latina della Scrittura, detta Itala, realizzata non sull’originale ebraico, bensì sulla versione greca detta dei Settanta. A Roma fa anche da guida spirituale a un gruppo di donne della nobiltà. E intanto scaglia attacchi durissimi a ecclesiastici.

Alla morte di Damaso I (384), va in Palestina con la famiglia della nobile Paola. Vive in un monastero a Betlemme, scrivendo testi storici, dottrinali, educativi, con immutata veemenza.

Intanto prosegue il lavoro sulla Bibbia secondo l’incarico di Damaso I. Ma, strada facendo, lo trasforma in un’impresa mai tentata. Sente che per avvicinare l’uomo alla Parola di Dio bisogna andare alla fonte. E così, per la prima volta, traduce direttamente in latino dall’originale ebraico i testi protocanonici dell’Antico Testamento. Lavora sulla pagina e anche sul terreno, come dirà “Mi sono studiato di percorrere questa provincia (la Giudea) in compagnia di dotti ebrei“. Rivede poi il testo dei Vangeli sui manoscritti greci più antichi e altri libri del Nuovo Testamento. E, COSÌ COME EGLI LO CONSEGNA AI CRISTIANI, ESSO SARÀ ACCOLTO E USATO DA TUTTA LA CHIESA: NELLA BIBBIA DI TUTTI, VULGATA, DI CUI LE SUE VERSIONI E REVISIONI SONO PARTE PREPONDERANTE, LA FEDE È PRESENTATA COME NESSUNO AVEVA FATTO PRIMA DELL’IMPETUOSO GEROLAMO.

E, impetuoso rimane, continuando nelle polemiche dottrinali con l’irruenza di sempre, perfino con sant’Agostino, che invece gli risponde con grande amabilità. I suoi difetti restano, e la grandezza della sua opera pure.

Ha detto di lui, Papa Benedetto XVI’:

San Girolamo è un grande Padre della Chiesa che ha posto al centro della sua vita la Bibbia: l’ha tradotta nella lingua latina, l’ha commentata nelle sue opere, e soprattutto si è impegnato a viverla concretamente nella sua lunga esistenza terrena, nonostante il ben noto carattere difficile e focoso ricevuto dalla natura.

Ricevuto il battesimo verso il 366, si orientò alla vita ascetica e, recatosi ad Aquileia, si inserì in un gruppo di ferventi cristiani, da lui definito quasi «un coro di beati» (Chron. Ad ann. 374) riunito attorno al Vescovo Valeriano. Partì poi per l’Oriente e visse da eremita nel deserto di Calcide, a sud di Aleppo (Ep. 14,10), dedicandosi seriamente agli studi. Perfezionò la sua conoscenza del greco, iniziò lo studio dell’ebraico (Ep. 125,12), trascrisse codici e opere patristiche (Ep. 5,2). La meditazione, la solitudine, il contatto con la Parola di Dio fecero maturare la sua sensibilità cristiana. Sentì più pungente il peso dei trascorsi giovanili (Ep. 22,7), e avvertì vivamente il contrasto tra mentalità pagana e vita cristiana: un contrasto reso celebre dalla drammatica e vivace “visione”, della quale egli ci ha lasciato il racconto. In essa gli sembrò di essere flagellato al cospetto di Dio, perché «ciceroniano e non cristiano» (Ep. 22,30).

Nel 382 si trasferì a Roma: qui il Papa Damaso, conoscendo la sua fama di asceta e la sua competenza di studioso, lo assunse come segretario e consigliere; lo incoraggiò a intraprendere una nuova traduzione latina dei testi biblici per motivi pastorali e culturali. Alcune persone dell’aristocrazia romana, soprattutto nobildonne come Paola, Marcella, Asella, Lea ed altre, desiderose di impegnarsi sulla via della perfezione cristiana e di approfondire la loro conoscenza della Parola di Dio, lo scelsero come loro guida spirituale e maestro nell’approccio metodico ai testi sacri. Queste nobildonne impararono anche il greco e l’ebraico.

Dopo la morte di Papa Damaso, Girolamo lasciò Roma nel 385 e intraprese un pellegrinaggio, dapprima in Terra Santa, silenziosa testimone della vita terrena di Cristo, poi in Egitto, terra di elezione di molti monaci (Contra Rufinum 3,22; Ep. 108,6-14). Nel 386 si fermò a Betlemme, dove, per la generosità della nobildonna Paola, furono costruiti un monastero maschile, uno femminile e un ospizio per i pellegrini che si recavano in Terra Santa, «pensando che Maria e Giuseppe non avevano trovato dove sostare» (Ep. 108,14). A Betlemme restò fino alla morte, continuando a svolgere un’intensa attività: commentò la Parola di Dio; difese la fede, opponendosi vigorosamente a varie eresie; esortò i monaci alla perfezione; insegnò la cultura classica e cristiana a giovani allievi; accolse con animo pastorale i pellegrini che visitavano la Terra Santa. Si spense nella sua cella, vicino alla grotta della Natività, il 30 settembre 419/420.

La preparazione letteraria e la vasta erudizione consentirono a Girolamo la revisione e la traduzione di molti testi biblici: un prezioso lavoro per la Chiesa latina e per la cultura occidentale. Sulla base dei testi originali in greco e in ebraico e grazie al confronto con precedenti versioni, egli attuò la revisione dei quattro Vangeli in lingua latina, poi del Salterio e di gran parte dell’Antico Testamento. Tenendo conto dell’originale ebraico e greco, dei Settanta, la classica versione greca dell’Antico Testamento risalente al tempo precristiano, e delle precedenti versioni latine, Girolamo, affiancato poi da altri collaboratori, poté offrire una traduzione migliore: essa costituisce la cosiddetta “Vulgata”, il testo “ufficiale” della Chiesa latina, che è stato riconosciuto come tale dal Concilio di Trento e che, dopo la recente revisione, rimane il testo “ufficiale” della Chiesa di lingua latina. E’ interessante rilevare i criteri a cui il grande biblista si attenne nella sua opera di traduttore. Li rivela egli stesso quando afferma di rispettare perfino l’ordine delle parole delle Sacre Scritture, perché in esse, dice, “anche l’ordine delle parole è un mistero” (Ep. 57,5), cioè una rivelazione. Ribadisce inoltre la necessità di ricorrere ai testi originali: «Qualora sorgesse una discussione tra i Latini sul Nuovo Testamento, per le lezioni discordanti dei manoscritti, ricorriamo all’originale, cioè al testo greco, in cui è stato scritto il Nuovo Patto. Allo stesso modo per l’Antico Testamento, se vi sono divergenze tra i testi greci e latini, ci appelliamo al testo originale, l’ebraico; così tutto quello che scaturisce dalla sorgente, lo possiamo ritrovare nei ruscelli» (Ep. 106,2). Girolamo, inoltre, commentò anche parecchi testi biblici. Per lui i commentari devono offrire molteplici opinioni, «in modo che il lettore avveduto, dopo aver letto le diverse spiegazioni e dopo aver conosciuto molteplici pareri – da accettare o da respingere – giudichi quale sia il più attendibile e, come un esperto cambiavalute, rifiuti la moneta falsa» (Contra Rufinum 1,16).

Confutò con energia e vivacità gli eretici che contestavano la tradizione e la fede della Chiesa. Dimostrò anche l’importanza e la validità della letteratura cristiana, divenuta una vera cultura ormai degna di essere messa confronto con quella classica: lo fece componendo il De viris illustribus, un’opera in cui Girolamo presenta le biografie di oltre un centinaio di autori cristiani. Scrisse pure biografie di monaci, illustrando accanto ad altri itinerari spirituali anche l’ideale monastico; inoltre tradusse varie opere di autori greci. Infine nell’importante Epistolario, un capolavoro della letteratura latina, Girolamo emerge con le sue caratteristiche di uomo colto, di asceta e di guida delle anime.

Che cosa possiamo imparare noi da San Girolamo? Mi sembra soprattutto questo: amare la Parola di Dio nella Sacra Scrittura. Dice San Girolamo: “Ignorare le Scritture è ignorare Cristo”. Perciò è importante che ogni cristiano viva in contatto e in dialogo personale con la Parola di Dio, donataci nella Sacra Scrittura. Questo nostro dialogo con essa deve sempre avere due dimensioni: da una parte, dev’essere un dialogo realmente personale, perché Dio parla con ognuno di noi tramite la Sacra Scrittura e ha un messaggio ciascuno. Dobbiamo leggere la Sacra Scrittura non come parola del passato, ma come Parola di Dio che si rivolge anche a noi e cercare di capire che cosa il Signore voglia dire a noi. Ma per non cadere nell’individualismo dobbiamo tener presente che la Parola di Dio ci è data proprio per costruire comunione, per unirci nella verità nel nostro cammino verso Dio. Quindi essa, pur essendo sempre una Parola personale, è anche una Parola che costruisce comunità, che costruisce la Chiesa. Perciò dobbiamo leggerla in comunione con la Chiesa viva. Il luogo privilegiato della lettura e dell’ascolto della Parola di Dio è la liturgia, nella quale, celebrando la Parola e rendendo presente nel Sacramento il Corpo di Cristo, attualizziamo la Parola nella nostra vita e la rendiamo presente tra noi. Non dobbiamo mai dimenticare che la Parola di Dio trascende i tempi. Le opinioni umane vengono e vanno. Quanto è oggi modernissimo, domani sarà vecchissimo. La Parola di Dio, invece, è Parola di vita eterna, porta in sé l’eternità, ciò che vale per sempre. Portando in noi la Parola di Dio, portiamo dunque in noi l’eterno, la vita eterna.

E così concludo con una parola di San Girolamo a San Paolino di Nola. In essa il grande Esegeta esprime proprio questa realtà, che cioè nella Parola di Dio riceviamo l’eternità, la vita eterna. Dice San Girolamo: «Cerchiamo di imparare sulla terra quelle verità la cui consistenza persisterà anche nel cielo» (Ep. 53,10).

Papa Benedetto XVI (Udienza generale 14 Novembre 2007)

ESAME DEL TESTO EVANGELICO

Io credo che in quest’ultimo quarto di secolo abbiamo “annacquato” la nostra idea di Dio, dimenticando una delle sue caratteristiche: la “theodikea”, la giustizia di Dio. della quale NON SI PARLA PIU’.

Certo è MISERICORDIOSO, ha pazienza, ma la sua pazienza non è debolezza di carattere. È buono, così ci ha svelato Gesù, ma APPLICA ANCHE E SEMPRE LA GIUSTIZIA.

Dio è tenerezza, così crediamo, ma la tenerezza non sostituisce il nostro impegno al cambiamento, ma lo suscita e lo accompagna.

E Gesù è dolorosamente colpito dall’indifferenza e dalla reazione delle città della Galilea nei suoi confronti. Tutti fermi sulle proprie certezze religiose, certi di essere dei prescelti, degli eletti, gli ebrei non si preoccupano di coltivare la propria fede e non riconoscono i profeti come Gesù.

Gesù, annota amaramente, come le città pagane del passato si siano convertite, davanti alla sollecitazione degli uomini di Dio, cosa che le città “elette” della fede ebraica non hanno saputo fare.

Nei tre anni di vita pubblica Gesù si muove essenzialmente lungo il Mare di Galilea attorno alle città di Cafarnao, Betsaida e Corazin a cui rivolge il suo sguardo. Città della Galilea che erano state oggetto della sua preoccupazione dove Lui aveva predicato e realizzato le opere del Padre. In nessun altro posto come a Corazìn, Betsàida e Cafàrnao aveva predicato e fatto miracoli. La semina era stata abbondante, ma la raccolta non fu buona. Neanche Gesù poté convincerli!

Che mistero, quello della libertà dell’uomo! Possiamo dire “no” a Dio…

In queste città Gesù compie molti miracoli e spiega più che in altri luoghi, che la nuova dottrina è fondata sull’amore. Era venuto per salvare l’umanità, e per farlo, doveva formare piccoli gruppi in ogni città per farli crescere nella spiritualità e poi di numero.

Dopo molti miracoli e insegnamenti in queste tre città, scoprì dolorosamente che la gente non accettava il suo messaggio che parlava di un nuovo Regno e non si convertì. La delusione del Signore fu infinita, provò un’afflizione profonda per la scelta scellerata della gente di non accettare l’invito alla conversione.

Betsaida e Corazin sono probabilmente le città dove Gesù ha trascorso più tempo e probabilmente dove Dio ha agito maggiormente.

Gli abitanti di queste città non vollero convertirsi e ignorarono Dio. Quelle popolazioni non accolsero Gesù, non fecero penitenza, e senza la conversione del cuore, accompagnata dalla mortificazione, la Fede si oscura e non sa riconoscere Cristo che ci visita.

Il primo elemento è la domanda sul perché Corazin e Betsaida non si sono lasciate toccare e il secondo elemento è la constatazione che Tiro e Sidone sono certo due città pagane, ma saranno più tollerate in giudizio perché avevano meno responsabilità avendo ricevuto meno Grazie.

La domanda di fondo che possiamo leggere in filigrana sulle parole di Gesù è: “perché non avete permesso a Dio di entrare nel vostro cuore? Dio ha agito manifestamente in mezzo a voi eppure non vi siete lasciate toccare fino in fondo!”.

  • “15E tu Cafarnao, forse che sarai innalzata fino al cielo? Fino agli inferi sarai gettata! 16Chi ascolta voi ascolta me, e chi rigetta voi rigetta me. Chi rigetta me, rigetta chi mi ha mandato”.

La delusione di Gesù è più grande quando si tratta di Capernahum, Cafarnao.

Cafarnao è il luogo dove Gesù è andato ad abitare, è il luogo dove c’è la casa di Pietro, è il luogo dove Gesù si è fermato maggiormente, per questo il discorso per Cafarnao è un po’ diverso. Cafarnao vive la tentazione di essere migliore delle altre perché è lì che Gesù vive. E in tal modo, purtroppo la presenza di Gesù non genera conversione ma diventa addirittura uno strumento per accrescere la superbia, la considerazione di essere meglio degli altri.

E lo abbiamo visto in altri brani del vangelo. Il rischio degli apostoli che stanno vicini a Gesù è proprio quello di chiedersi chi tra loro sia più importante. Il problema è che la presenza di Gesù non è diventata un’occasione per avere un rapporto con Gesù qualitativamente superiore ma è diventata motivo di vanto sugli altri. La superbia, è un inganno diabolico, perché sposta il contenuto della relazione su un desiderio di essere di più degli altri.

In ogni momento è necessario ascoltare con prontezza e docilità le chiamate che Cristo rivolge al cuore di ciascuno, perché il fatto che la Fede non sia entrata in tutti gli uomini non è da imputare alla bontà di Dio, bensì alla disposizione di chi riceve il messaggio evangelico.

Tale resistenza alla Grazia nella Sacra Scrittura è chiamata durezza di cuore.

La vera conversione si svela quando una persona si accorge di camminare in una strada sbagliata e la lascia, per prendere quella della vita che conduce nel Cuore di Dio.

«Chi ascolta voi ascolta me». Queste parole con cui si conclude il Vangelo sono una chiamata alla conversione e sono cariche di speranza. Se ascoltiamo la voce di Gesù siamo ancora in tempo. La conversione consiste nel fatto che l’amore superi progressivamente l’egoismo nella nostra vita, e questo è un lavoro in continuo divenire. SAN MASSIMO ci dirà: «Non c’è nulla di così gradevole e amato da Dio come il fatto che gli uomini si convertano a Lui pentendosi sinceramente».

Ha detto Papa Francesco, nella sua Omelia in occasione della Professione di fede con i Vescovi della Conferenza Episcopale Italiana, 23/05/2013:

Essere Pastori significa assumere fino in fondo la responsabilità di camminare innanzi al gregge, e senza tentennamenti nella guida, per rendere riconoscibile la nostra voce: sia da quanti hanno abbracciato la fede, sia da coloro che ancora «non sono di questo ovile»: siamo chiamati a far nostro il sogno di Dio, la cui casa non conosce esclusione…”

Ragioniamoci sopra…

Prega il Signore per me… Fratello che Leggi…

Sia Lodato Gesù, il Cristo!