… il VECCHIO FARISEO COMMENTA….
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Dal Vangelo secondo Matteo 21,28-32
In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo «Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli. Si rivolse al primo e disse: “Figlio, oggi va’ a lavorare nella vigna”. Ed egli rispose: “Non ne ho voglia”. Ma poi si pentì e vi andò. Si rivolse al secondo e disse lo stesso. Ed egli rispose: “Sì, signore”. Ma non vi andò. Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?». Risposero: «Il primo». E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. Giovanni infatti venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti così da credergli». Parola del Signore
Mediti…AMO
LA VITA E IL PENSIERO DEL SANTO
Giovanni della Croce (1542–1591) è fra i grandi maestri e testimoni dell’esperienza mistica. Entrato nel Carmelo ebbe un’accurata formazione umanistica e teologica. Divenne presbitero e santo e Dottore della Chiesa, soprannominato il “Doctor mysticus” e per gli Anglicani è Maestro della Fede.
Condivise con santa Teresa d’Avila il progetto di riforma dell’Ordine Carmelitano che attuò e visse con esemplare coerenza. Il Signore permise che subisse dolorose incomprensioni da parte dei confratelli di Ordine e di Riforma.
In questo cammino di croce, abbracciato per puro amore, ebbe le più alte illuminazioni mistiche di cui è cantore e dottore nelle sue opere «La salita al monte Carmelo» e «La fiamma viva di amore».
La sua opera sintetizza la tradizione spirituale cristiana precedente.
La sua dottrina vuole che l’uomo, attraverso il passaggio nelle tre fasi («purgativa, illuminativa e unitiva») si liberi progressivamente da ogni attaccamento e da ogni senso del possesso per essere del tutto puro e libero di unirsi alla divinità («luce tenebrosa e tenebra luminosa»).
Porta il paragone per cui, se si fissa di fronte e senza schermo il sole, per la troppa luminosità l’occhio avrà l’impressione di vedere una macchia nera.
Un suo detto era: «Dio umilia grandemente l’anima per innalzarla poi molto».
Giovanni scrisse anche tre trattati di teologia mistica, due dei quali relativi alle due poesie sopra citate, (IL CANTICO SPIRITUALE e LA NOTTE OSCURA DELL’ANIMA) commentando e spiegando il significato del testo poetico verso per verso, perfino parola per parola.
Effettivamente egli non segue lo schema delle composizioni alla lettera, ma scrive liberamente sul soggetto di cui sta parlando.
Il terzo trattato, LA SALITA DEL MONTE CARMELO, è uno studio più sistematico dello sforzo ascetico dell’anima in ricerca dell’unione perfetta con Dio e degli eventi “mistici” che accadono durante le varie fasi del cammino.
Introdotto da una poesia, il testo ha un forte significato teologico e letterario, dove il Monte rappresenta la meta della liberazione dell’anima da ogni peso che la separa da Dio e dal bene assoluto.
Queste tre opere, insieme ai suoi PENSIERI SULL’AMORE E SULLA PACE e agli scritti di Teresa d’Avila, sono considerate tra le più importanti opere mistiche in lingua spagnola.
Ed hanno influenzato molti scrittori spirituali successivi, tra cui T. S. Eliot, Teresa di Lisieux, Edith Stein (divenuta carmelitana col nome di Teresa Benedetta della Croce), e Thomas Merton.
I suoi scritti hanno influenzato profondamente la mistica cristiana ed anche filosofi come Jacques Maritain, teologi come Hans Urs von Balthasar, pacifisti come Dorothy Day.
Papa Giovanni Paolo II fu fortemente influenzato in gioventù dagli scritti di San Giovanni della Croce, fino a valutare un eventuale ingresso nell’ordine carmelitano.
Fra le più alte voci della lirica spagnola, è il mistico «del nulla e del tutto», guida sapiente di generazioni di anime alla contemplazione e all’unione con Dio, del quale ve ne ripropongo il testo:
- «Per giungere a gustare il tutto, non cercare il gusto in niente.
Per giungere al possesso del tutto, non voler possedere niente.
Per giungere ad essere tutto, non voler essere niente.
Per giungere alla conoscenza del tutto, non cercare di sapere qualche cosa in niente.
Per venire a ciò che ora non godi, devi passare per dove non godi.
Per giungere a ciò che non sai, devi passare per dove non sai.
Per giungere al possesso di ciò che non hai, devi passare per dove ora niente hai.
Per giungere a ciò che non sei, devi passare per dove ora non sei.»
ESAME DEL TESTO EVANGELICO
Facciamo il punto della situazione.
Gesù ha terminato il suo viaggio verso Gerusalemme, la città santa in cui è entrato acclamato quale Messia, figlio di David, dai discepoli che lo accompagnavano e dalle folle.
Ha cacciato dal tempio quanti impedivano che fosse una casa di preghiera e ha simbolicamente seccato l’albero di fico che non dava frutti.
Queste azioni causano una profonda avversione, nei suoi confronti, da parte delle perverse autorità religiose. E, “sacerdoti e anziani”, intervengono pubblicamente per chiedere a Gesù con quale autorità compia quei gesti provocatori.
Ma Gesù non risponde, anzi pone loro una domanda riguardo alla missione di Giovanni il Battista: missione voluta da Dio o missione che Giovanni aveva inventato per sé?
Ma non riceve risposta, e allora Gesù indirizza loro tre parabole:
- quella dei due figli,
- quella dei vignaioli assassini,
- e quella degli invitati al banchetto nuziale.
Tre parabole con le quali egli cerca di causare un ravvedimento in quei suoi avversari che poco tempo dopo saranno i suoi accusatori e i suoi condannatori.
Con esse cerca di far cambiare pensiero e atteggiamento a coloro ai quali sono rivolte. Ma qui accadrà esattamente l’opposto.
Anziché interrogarsi e convertirsi, sacerdoti e anziani si indigneranno ancor di più e, comprendendo che tali racconti sono rivolti proprio a loro, induriranno ancor più il loro cuore, accrescendo la loro opposizione e il loro odio verso Gesù.
Vediamo la parabola odierna.
Per denunciare l’ostilità con cui i sacerdoti e degli anziani hanno accolto la predicazione di Giovanni ricorre alla parabola dei due fratelli:
- Un figlio, tutto ossequioso verso suo padre -il secondo figlio- però non fa corrispondere alle parole l’azione. Chiama addirittura il padre “Signore” (“Sì, Signore (Kýrios)”), ma poi non va. Apparentemente è un figlio rispettoso del padre, che lo chiama addirittura Signore. Forse lo è per paura, perché incapace di dire un no a suo padre, oppure perché è nutrito di formalismo: e dice sì al padre, come richiesto dalla legge e dalla prassi, ma poi non esegue la volontà. Non conosciamo le motivazioni della non esecuzione dell’invito: resta il fatto che la volontà del padre non è compiuta. Questo secondo figlio non percepisce la propria incoerenza: come un cieco non vede, non legge sé stesso…
Ciò che succede in questa parabola succedeva ai tempi di Gesù, tra i credenti giudei, succede ancora oggi nella chiesa. Sempre ci sono stati, ci sono e ci saranno quanti dicono “Signore! Signore!”, lo invocano e hanno spesso il suo Santo Nome sulla loro bocca, ma poi non fanno la volontà del Padre suo che è nei cieli (Mt 7,21).
Le parole di Gesù vogliono smascherare questi pseudo-credenti domenicali, che confidano nel loro frequentare le assemblee dove risuona la PAROLA DEL SIGNORE, partecipano a pasti con il Signore, mangiando e bevendo alla sua tavola, ma in verità senza essere concretamente discepoli di Cristo. Né hanno nessuna intenzione di conformare la loro vita alla sua. Credenti a parole che non vogliono essere discepoli!
- L’altro, più insubordinato e quasi ribelle, allo stesso invito, risponde apertamente: Non ne ho voglia – ma poi, si pente, e va. La sua risposta iniziale è irriverente, è immagine di una disobbedienza consapevole. Ma questo figlio che osa resistere alla richiesta del padre e gli nega l’obbedienza, muta di opinione e va a lavorare nella vigna. Mostrando di essersi ravveduto: pensando, ha cambiato parere, e la disobbedienza si è trasformata per lui in obbedienza.
A quel punto Gesù rivolge una domanda: Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?
Ed essi, coralmente, rispondono: l’ultimo.
Ed ecco l’insegnamento: nel servizio di Dio non bastano le buone intenzioni. Occorre fedeltà perché l’amor di Dio non consiste nel dire: Signore, Signore, ma consiste nel fare la sua volontà.
Dio non ama le persone che indossano il vestito da cristiano per entrare in chiesa e lo depongono appena rientrati a casa o al lavoro.
L’ipocrisia, gravissima malattia che colpisce soprattutto i religiosi e i politici dell’epoca e di ogni tempo, è il vizio contro cui maggiormente Gesù si scaglia nel vangelo!
Dio preferisce il fratello tormentato e svogliato che lo contesta ma poi gli dà retta, al figlio apparentemente buono e bravo, che dice e poi non fa.
Gesù ci chiede autenticità per creare in noi lo spazio interiore per poter far nascere la SUA INAUDITA PRESENZA.
Se siamo onesti con noi stessi ci rendiamo conto di essere cristiani svogliati, e Dio non voglia, a due facce, per la nostra incoerenza.
Perciò, in questo tempo di Avvento, ma anche in ogni giorno della nostra vita, dobbiamo essere disposti a metterci ogni volta davanti a Dio, dopo esserci spogliati del nostro egoismo, del nostro orgoglio, della nostra arroganza e della nostra presunzione.
Altrimenti dobbiamo accettare che le prostitute e i pubblicani ci passano davanti perché hanno ascoltato seriamente l’invito alla conversione rivolto loro dal Dio che viene.
Sembra impossibile ma la durezza del cuore può veramente impedire di riconoscere i segni della presenza di Dio nella nostra vita ed in quella degli altri, nella stessa storia.
E questo al punto che quanti diremmo -a nostro insindacabile giudizio- “lontani e peccatori”, forse proprio perché più consapevoli del loro peccato, aprono prima IL CUORE per riconoscere questo passaggio di Dio nella loro vita.
Perché di questo si tratta: aprire il cuore e riconoscere con onestà e lealtà che abbiamo bisogno di essere salvati. Allora e solo allora incomincia per noi la conversione e una vita nuova, nel Signore.
Guardate cosa dice un antico scrittore ecclesiastico, ORIGENE ADAMANTIO:
- “Ora, rifletti se puoi valerti di questa parabola nei confronti di coloro che promettono poco o niente, né verginità né altra virtù evangelica, ma poi nei fatti mostrano di fare il contrario, anche se non vi si erano affatto impegnati con promesse eclatanti di opere virtuose. E ancora nei confronti di coloro che fanno grandi promesse, ma poi non concludono niente. L’uno dice in certo modo: Questo è superiore alle mie forze, non voglio praticare questa verginità: oppure: non sono degno di rinunciare a questa vita e dedicarmi solo alla Parola. L’altro invece dice: Sì, Signore, quando ascolta ciascuna delle grandi opere esposte nella Scrittura. Invece è possibile vedere che alcuni in certo senso grazie al pentimento, si danno ad una 54 vita migliore e si prendono cura di sé stessi per migliorare, malgrado l’attesa iniziale, mentre altri che hanno fatto grosse promesse piuttosto precipitosamente, coi fatti poi vivono in senso contrario alle loro promesse”.
Più semplice e più comprensibile l’interpretazione di Origene, rispetto a quella di Gerolamo. Il discorso è fatto innanzitutto in Israele e per Israele ed è rivolto al popolo eletto, nel suo rapporto con il Cristo e la vita nuova da lui portata.
Perché il primo figlio, dopo l’iniziale rifiuto obbedisce, mentre l’altro, nonostante la proclamata fedeltà, alla fine cade nella più totale disobbedienza e negligenza della chiamata divina? Che cosa fa la differenza? La volontà dell’uomo sempre pronta a mutare o la novità di vita portata dal Cristo?
Vi è una pervicace ostinazione nel peccato e una mancanza di buona volontà che può tuttavia essere piegata dalla grazia del Signore, purché ci pentiamo e ci ravvediamo del nostro peccato.
Non c’è volontà così malvagia e perversa che Gesù non possa cambiare e convertire al Suo amore. Meglio una volontà inconsistente, ma consapevole della propria miseria di una volontà fiduciosa in sé stessa e della propria capacità di obbedienza.
La differenza non è data dalla nostra volontà, ma dal nostro pentimento. Pentimento, beninteso che si deve rapportare alla venuta del Cristo ed alla sua opera di salvezza.
Non il pentimento chiuso in sé stesso come quello di Giuda, che conduce alla morte, ma il pentimento dei pubblicani e delle prostitute che si mettono alla sequela del Cristo e fanno propria la grazia da Lui donata. “Ma poi spinto dal pentimento ci andò”.
Se la nostra volontà ci tira indietro, la grazia di Dio ci spinge avanti. Non confidiamo in noi stessi e non vantiamo una giustizia che non ci appartiene, ma confessiamo umilmente il nostro peccato, ed allora il Signore si prenderà cura di noi e cambierà il nostro cuore. Ciò che è impossibile all’uomo è possibile a Dio.
Guai a coloro che credono nella propria volontà: non esiste una buona volontà, se non quella che è tale per grazia di Dio. Non esistono primi ed ultimi se non in rapporto al Cristo, alla sua venuta e alla sua opera. Ci possono essere improvvisi capovolgimenti di fronte che annullano e vanificano ogni criterio di valutazione puramente umano.
Alla fine primi sono coloro che accolgono l’opera di salvezza del Cristo, ultimi coloro che la rigettano. È questo ciò che Gesù vuol fare intendere ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo. Devono perdere la loro presunzione di giustizia e seguire l’esempio di coloro che sono stati messi da Gesù al primo posto.
Con questa parabola Gesù interroga ciascuno di noi, e ci chiede se vogliamo ascoltarlo.
E ciascuno di noi, PIÙ È RICONOSCIUTO PER LA SUA PROFESSIONE DI FEDE, e più deve interrogarsi: DICE SÌ A DIO SOLO A PAROLE, OPPURE REALIZZA SENZA CLAMORE E SENZA OSTENTAZIONE, UMILMENTE, LA SUA VOLONTÀ?
Perché avverrà che “…nell’ultimo giorno, il giorno del giudizio” – come recita un’affermazione tradizionalmente attribuita al Vescovo di Ippona, Sant’Agostino, “…molti che si ritenevano dentro saranno trovati fuori, mentre molti che pensavano di essere fuori saranno trovati dentro il regno dei cieli”.
Ragioniamoci sopra…
Sia Lodato Gesù, il Cristo!