29.01.2023 4 DOMENICA P.A. A – MATTEO 5,1-12 “Beati i poveri in spirito”.

«Fermatevi nelle strade e guardate, informatevi circa i sentieri antichi, dove sta la strada buona e prendetela, così troverete pace per le anime vostre». Geremia 6,16

Pietro Saltarelli… il VECCHIO FARISEO COMMENTA…. In illo tempore: dixit Iesus…

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Dal Vangelo secondo MATTEO 5,1-12

In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo: «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli. Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati. Beati i miti, perché avranno in eredità la terra. Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati. Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia. Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio. Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli. Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli». Parola del Signore

 

Mediti…AMO

Con le beatitudini Gesù mette sotto sopra tutto il mondo…

Il messaggio evangelico che in Matteo ha uno spiccato intento catechetico, una forte valenza morale, diretta alla elevazione spirituale dei credenti, non dimentica però, la concretezza … vi insulteranno, vi perseguiteranno… diranno ogni male di voi

Esso infatti é lo specchio della situazione in cui si trova la Chiesa nascente con i suoi fedeli, provenienti dal giudaismo, che hanno alle spalle una guerra che ha portato la distruzione di Gerusalemme e del suo tempio.

E questa nuova comunità, per nulla gradita ai Romani, é malvista anche da Israele. E, in questo contesto, con una fortissima spinta missionari, l’Evangelista fa del messaggio di salvezza, un itinerario interiore e un concreto stile di vita che conduce alla felicità di chi vede Dio con gli occhi di figlio.

Il “discorso della Montagna” inaugura la predicazione di Gesù all’indomani della morte del Battista.

Da quel momento ha inizio l’annuncio del regno di Dio, che non è regolato dalla logica di questo mondo, ma da principi che vi si oppongono e che lo stesso Signore enuncia come “beatitudini”. E le beatitudini, come i Vangeli, sono dei principi ETERNI, e NON OCCASIONALI ESPERIENZE.

Le beatitudini sono il cuore del messaggio di Gesù, per capirle bisogna lasciar parlare il testo, un testo attraverso cui Gesù, che è sulla montagna, parla a tutti, dicendo “Beati i poveri davanti a Dio…”

Fratelli e Sorelle, che messaggio! È come se Gesù ci dicesse “lascia che Dio ti colmi! Egli ti ama malgrado la tua povertà, malgrado i tuoi limiti. Quando sei addolorato dall’effimero della inutile felicità umana, quando ti senti povero, quando l’afflizione ti paralizza, ascolta la grande promessa di Dio: sarete consolati, sarete sfamati, vedrete Dio…

Questa promessa è il cuore della nostra fede.

Come possiamo ben comprendere nessun discorso recitato sulla terra fu più sconvolgente di questo: ciò che tutti prima definivano bianco qui è chiamato o scuro o nero.

Dove prima c’era la vetta adesso c’è la base, e dove sprofondava la base ora è collocata la vetta.

In confronto al discorso della montagna, le massime teorie pensate dall’uomo sulla terra SEMBRANO UN NULLA.

E questo capovolgimento è presentato, non già come conseguenza di lunghe teorie intellettuali, bensì con un tono imperativo, che trova il suo appoggio solo sull’autorità dell’oratore “…così è, perché ve lo dico io… il vostro Maestro.”

Ciò che meditiamo rappresenta nel suo paradosso, un progetto così comune e così semplice, per tutta l’umanità, PERCHÉ È ESPRESSIONE AUTENTICA DELL’AMORE DIVINO, ed è così comune, da essere allo stesso tempo, fuori dal comune.

Ed è così semplice, che diventa persino difficilmente realizzabile. E in questo contesto, solo i semplici e gli umili riescono a capire e a realizzare ciò che ha insegnato Gesù.

Scrive Teresa di Lisieux “L’unico bene è amare Dio con tutto il cuore ed essere quaggiù povera in spirito” (Ms A 32v).

LA SANTITÀ SIGNIFICA VIVERE TUTTO ALLA LUCE DI DIO, FARE DI OGNI COSA UN PICCOLO PASSO CHE CONDUCE A DIO.

La fede non può diventare un rivestimento esteriore ma deve contagiare tutta la vita, deve dare un senso ad ogni aspetto dell’esistenza, cioè illuminare ogni scelta, orientare ogni desiderio, limitare e contenere quei desideri buoni in apparenza ma che in realtà inquinano la vita.

Quando parliamo di santità possiamo pensare ad una realtà già compiuta. Ecco perché è meglio perciò parlare di santificazione, cioè di quel processo dinamico che accompagna tutta la vita.

La santità non è uno stato di vita, MA UNO STILE DI VITA, che cresce se facciamo della vita un cammino di conversione.

Il segreto della santità consiste nel cercare e nell’accogliere la volontà di Dio, sapendo che le vie di Dio sono diverse da quelle che noi abbiamo messo in agenda.

E quando ci troviamo a fare i conti con la nostra debolezza, o, quando, nonostante la buona volontà, dobbiamo ammettere di essere stati fragili?

Un monaco risponde così “…non ti è chiesto di più. Accetta cordialmente i tuoi limiti. Solo in cielo saprai a quale grado di santità Dio ti vuol condurre […] Non affliggerti per quello che non puoi fare, e neppure, in un certo senso, per le tue miserie morali. Ti vorresti bello, irreprensibile. È una chimera, forse orgoglio […] La tua santità è un segreto di Dio, e non te lo rivelerà. Fa’ quanto puoi

Le beatitudini ci ricordano invece che la santità coincide con una vita felice, piena, che fiorisce in bellezza e gioia autentica.

Certo, si tratta di una felicità diversa da quella che ci viene proposta dalla cultura e dal costume sociale dei nostri giorni.

Non è la felicità di chi cerca il proprio vantaggio, o tenta di appagare i propri desideri accumulando beni, sensazioni, esperienze.

Piuttosto è la gioia che matura dentro la verità della relazione con Dio.

L’uomo delle beatitudini riconosce il primato dell’amore di Dio nella propria vita.

Sa che la santità non è anzitutto una sua preoccupazione, da perseguire con lo sforzo della propria volontà.

Piuttosto, è preoccupazione di Dio, che desidera renderci santi come lui è santo.

Se Paolo di Tarso decidesse di scriverci una lettera, probabilmente l’indirizzerebbe ai Santi, per vocazione, che sono presenti nelle nostre celebrazioni, a cui direbbe, senza esitazione “…se siete Santi, vivete allora da Santi. Impegnatevi a realizzare un obiettivo alto, mettendovi a disposizione di tutti. Impegnatevi a vivere in pienezza e non secondo compromessi e mezze misure. Impegnatevi per trasformare questo mondo in un mondo migliore, dove sia Dio a regnare, Lui, anche attraverso di noi, a realizzare il suo progetto d’amore, di solidarietà, di misericordia, di fraternità. Così facendo realizzerete voi stessi: sarete Santi, beati, felici”.

Impegniamoci per realizzare la giustizia di Dio e portare al mondo LA SUA PACE. Non dovremo spaventarci neanche davanti a persecuzioni e a sofferenze perché saremo chiamati a pagare in prima persona a realizzare un ideale tanto alto quanto impopolare.

Non solo: dovremo POVERI IN SPIRITO, cioè bisognosi di Dio, MENDICANTI DEL SUO AMORE, lasciandolo agire in noi e, attraverso noi, nel mondo.

La nostra RICOMPENSA sarà grande nei CIELI: non solo nel futuro, dopo la morte, ma nei cieli, cioè in Dio e dunque già ora (Gesù infatti dice: “E’ vostro il regno di Dio”) e più ancora dopo.

Gesù ha vissuto fino in fondo tutte le beatitudini, è dunque il maestro e il modello perfetto da seguire, a cui si sono ispirati i SANTI DI DIO:

  • Sono vittoriosi (hanno le palme nelle mani) nonostante le persecuzioni,
  • rivestiti di Dio (indossano le vesti bianche),
  • lodano Dio in una incessante e grandiosa liturgia celeste, che coinvolge tutti, esseri umani e celesti (gli angeli).

L’amore concreto che essi hanno vissuto e testimoniato in questo mondo, li ha purificati, giustificati, realizzati, resi Santi.

E ancora…

Essere poveri –e di conseguenza beati– vuol dire invece tre cose:

sul piano materiale, significa non trattenere egoisticamente ciò che si ha, ma condividerlo con gli altri.

sul piano caratteriale, significa rinunciare a vivere senza o contro gli altri, combattere la tentazione dell’egoismo e dell’isolamento sdegnoso, e accettare di far parte di un’umanità di fratelli e sorelle in cammino, ciascuno con talenti diversi e tutti ugualmente “poveri” di fronte al mistero di quella vita alla quale nessuno può aggiungere, per quanto si dia da fare, nemmeno un’ora (Mt 6,27);

sul piano esistenziale, significa lasciare che Dio regni incontrastato sopra la nostra vita: non il denaro, non il successo, non il potere, ma solo Dio. E’ questo il vero significato della frase «perché di essi è il regno dei cieli»: non una rivincita in un altrove al di là del tempo, ma una concreta situazione del qui e dell’oggi, in cui si consenta alla volontà di Dio di essere la sola bussola capace di orientare le scelte della vita.

Alla luce di queste considerazioni, capiamo che la beatitudine della povertà può essere reale e concreta anche per chi non crede, nella misura in cui fa della solidarietà con gli altri un principio cardine della propria esistenza.

«Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli» (Mt 5,3). Aprendo con queste parole il discorso della montagna, Gesù si ricollega intenzionalmente ai “poveri del Signore” della tradizione biblica, gli ‘anawim, i “curvati”, quel “resto di Israele” umile e povero che confidava solo nel Signore Dio (Sof 3,12).

In Maria la speranza dei “poveri in spirito” di tutto Israele trova il suo compimento: l’umile figlia di Sion ne è consapevole quando scioglie il canto del Magnificat, rivolgendosi a Dio che “ha rivolto lo sguardo alla bassezza e all’umiliazione della sua serva” (Lc 1,48).

Per il profeta e rabbi di Nazareth, questi poveri erano i primi destinatari del Vangelo, della buona notizia del regno di Dio che egli annunciava (Mt 11,5-6; Lc 4,18): venuto per narrare a ogni essere umano il volto di Dio (Gv 1,18), Gesù ha vissuto quale “mite e umile di cuore” (Mt.11,29) e ha testimoniato il regno dei cieli vivendo in prima persona un’esistenza colma di senso.

Alla luce di quanto detto, le beatitudini proclamate da Gesù sono da considerare come un tutt’uno, evitando di isolarle l’una dall’altra. In fondo, piuttosto che di “beatitudinI” dovremmo parlare di “beatitudinE”.

  • Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti perseguitarono i profeti che furono prima di voi“…

Chi segue Gesù sa bene di essere un personaggio scomodo proprio come lo è stato Lui.

A molti dà fastidio un vero amico del Signore perché in qualche modo la luce e l’amore di cui è portatore smaschera tante falsità nascoste, evidenzia tante ipocrisie, non tollera il buonismo, ridimensiona certe superbie…

E così vengono scoperte tutte le miserie e minacciati i privilegi…

Allora si arriva anche a parlare male di quella persona, a calunniarla e a dire delle falsità sul suo conto… tutto questo per screditarla, per invidia e per gelosia, se non per cattiveria…

Ma non dobbiamo temere, ce lo assicura Gesù… se saremo stati suoi fedeli discepoli, per noi ci sarà una ricompensa nei cieli.

Ragioniamoci sopra…

Prega il Signore per me… Fratello che Leggi…

Sia Lodato Gesù, il Cristo!