28.12.2021 SANTI INNOCENTI – Matteo 2,13-18 “Erode mandò a uccidere tutti i bambini che stavano a Betlemme”.

… il VECCHIO FARISEO COMMENTA….

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Dal Vangelo secondo Matteo 2,13-18

I Magi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse «Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in Egitto e resta là finché non ti avvertirò: Erode infatti vuole cercare il bambino per ucciderlo». Egli si alzò, nella notte, prese il bambino e sua madre e si rifugiò in Egitto, dove rimase fino alla morte di Erode, perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta «Dall’Egitto ho chiamato mio figlio». Quando Erode si accorse che i Magi si erano presi gioco di lui, si infuriò e mandò a uccidere tutti i bambini che stavano a Betlemme e in tutto il suo territorio e che avevano da due anni in giù, secondo il tempo che aveva appreso con esattezza dai Magi. Allora si compì ciò che era stato detto per mezzo del profeta Geremìa «Un grido è stato udito in Rama, un pianto e un lamento grande: Rachele piange i suoi figli e non vuole essere consolata, perché non sono più». Parola del Signore

 

Mediti…AMO

Oggi a fare compagnia a Gesù Bambino è una piccola schiera di bambini di Betlemme e del suo territorio circostante, fatti trucidare dall’empio e sanguinario Erode, re della Giudea.

Quando Erode si accorse che i Magi si erano presi gioco di lui, si infuriò e mandò a uccidere tutti i bambini che stavano a Betlemme, e in tutto il suo territorio e che avevano da due anni in giù, secondo il tempo che aveva appreso con esattezza dai Magi.

Allora si compì ciò che era stato detto per mezzo del profeta Geremìa «…un grido è stato udito in Rama, un pianto e un lamento grande: Rachele piange i suoi figli e non vuole essere consolata, perché non sono più»”.

Neanche la morte riesce a porre fine all’amore materno di Rachele, icòna di tutte le mamme che perdono i loro figli.

Perché per lei, è come se li portasse PER SEMPRE IN GREMBO, i figli e i figli dei figli.

È dalla tomba che esce il pianto funebre, quando non c’è più nessuno per piangere, perché il Paese è devastato.

Lei che ha generato per la vita resta inconsolabile, perché quei figli, anzitempo e in modo violento, ne sono stati privati “non sono più”.

Erode vuole a tutti i costi salvare il suo potere assoluto, ed è disposto per questo a tutto, anche a perpetrare una strage orrenda di bambini innocenti, che provoca in tutto il territorio della Giudea pianto, dolore, grida strazianti, poiché, come detto, gli Israeliti ben ricordavano la profezia del Profeta Geremia “…un grido è stato udito in Rama, un pianto e un lamento grande: Rachele piange i suoi figli e non vuole essere consolata, perché non sono più“.

L’urlo che si alza da Rama è lo stesso che ogni madre lancia quando il proprio bambino viene strappato alla vita.

Rama è il luogo dove, secondo la tradizione, fu sepolta Rachele; è dunque un urlo drammatico quello che si ode in Rama: la sposa di Giacobbe muore, infatti, dando alla luce il suo ultimo figlio, Beniamino.

In certo qual modo, ella pur morendo non muore, ma nel farlo “dona la vita” nel senso più pieno della parola, dando alla luce un figlio amatissimo.

La fine della vita della donna coincide con una nuova esistenza che si apre per il bambino.

RACHELE È DUNQUE LA MADRE CHE SPIRA NEL DARE LA VITA, È COLEI PERCIÒ CHE VIVE NELLA STESSA VITA DEL FIGLIO.

Ecco che la voce e il grido che si leva da Rama è quello di una madre morta che piange i suoi figli, morti anch’essi.

È il dolore di chi vede uccidere coloro per cui ha offerto la vita, lo spasimo lacerante di chi vede sopprimere quell’esistenza per cui ha donato tutto; in altre parole, è la consumazione, la fine della speranza.

Per questo dolore non c’è consolazione. Rachele sta piangendo e rifiuta di essere consolata. Rachele non vuole più essere consolata per i suoi figli, «…perché essi non sono più».

NON C’È PIÙ LEI, MORTA PER DARE A UN FIGLIO LA VITA, NON C’È PIÙ IL FIGLIO, SOPPRESSO DA CHI, COME IL RE, ERA CHIAMATO A GARANTIRE LA SUA SOPRAVVIVENZA.

Quando l’alterità è per paura soppressa, quando il fratello è ucciso, ecco che di fatto non solo lui non è più, ma tutti noi «…non siamo più».

E di fronte a questo dramma non c’è consolazione: IL RIFIUTO DELLA CONSOLAZIONE DICE IMPOTENZA DI FRONTE AL DOLORE, L’IMPOTENZA DI FRONTE A QUESTO PIANTO SENZA FINE.

Nessun passo come quello scelto per oggi è più adatto per celebrare le vittime innocenti, i bambini.

Il dolore delle vittime innocenti assume in Cristo e per Cristo un valore differente.

Tutti i bambini trucidati vengono elevati in cielo, il dolore che la loro morte comporta è lenita dalla consapevolezza che la loro esistenza perdurerà in un altro piano esistenziale.

Sebbene il perché di tale violenza e dolore rimanga un mistero, sappiamo che per queste vittime innocenti c’è una giustizia divina.

Questo pianto e lamento grande, ancora oggi entra nei nostri cuori e li ferisce profondamente. Perché questo brano del Vangelo non è rimasto un ricordo storico, relegato in un lontano passato, ma ha attraversato i secoli e si è attualizzato, ingigantito, nel nostro presente.

Infatti, nel terzo millennio, in tante parti della terra, la strage dei “piccoli innocenti” continua a imperversare tragicamente. Ovunque c’è una folla sterminata di bambini falcidiati dalla fame, dalle malattie e molti di essi sono oggetto di violenza e di sfruttamento o ne hanno fatti “bambini-soldato” o bambini spacciatori o bambini corrieri della droga.

Rachele continua ad elevare il suo pianto di dolore in Iraq, piange in Afghanistàn, piange in Siria, piange nella repubblica democratica del Congo, in Ruanda e in Burundi, piange fra le onde del Mediterraneo e sulle rotte senza fine dei Balcani e dell’Afghanistàn.

Piange nei Paesi dove non giunge più notizia del figlio o della figlia partiti.

Piange ogni volta che il calcolo mette disinvoltamente sulla bilancia mucchi di morti.

Ecco qual è la folla immensa degli odierni “nuovi martiri innocenti” di oggi.

E il suo pianto è un grido che toccò il Dio del cielo, spingendolo a intervenire per il suo popolo (Es 3,7).

Purtroppo dobbiamo anche tener presente però, che è anche simile a una palla che torna indietro, quando colpisce i muri cementati di indifferenza.

Rachele non esulta perché sono nuovi martiri o futuri santi, ma piange per le loro vite spezzate.

Dio solo le darà la consolazione vera, in quel suo discendente sopravvissuto all’eccidio, che per dichiarare cominciato il tempo della consolazione darà la sua vita:

Grida, Rachele, povera donna, grida anche oggi, grida per squarciare la tranquillità di chi pensa che la morte sia un effetto collaterale tollerabile.

Grida per chi pensa solo a come passare nuove vacanze. Grida per chi alimenta la guerra, ma lo fa con la faccia del benefattore. Grida per chi ha trovato ideali per cui è disposto a uccidere.

Grida anche per i buoni che vorrebbero circondarsi solo dei loro. Grida per i politici che non si chiedono da dove vengano gli esodi forzati e non mettono in causa le loro politiche. Grida per i giovani che stanno pensando dove possono guadagnare un po’ di più.

Ma cerchiamo di analizzare il testo odierno.

A Giuseppe adesso Dio ordina di fuggire proprio laggiù, laddove il Signore stesso aveva proibito di tornare.

A Giuseppe si chiede di mettere in salvo il primogenito proprio là dove il faraone aveva ordinato di sopprimere nelle acque del Nilo ogni primogenito maschio degli ebrei.

Ciò che doveva essere sicura e stabile garanzia di vita, come la terra della promessa, adesso non lo è più. In essa ora regna un malvagio Erode

A Giuseppe si chiede dunque di partire, con un movimento a ritroso, dalla terra destinazione del cammino di Abramo fino a un luogo ambiguo, che per volere di Dio offrirà garanzia di vita.

Non solo Giuseppe con la sua famiglia dovrà fuggire in Egitto, come si è detto, ma dovrà anche rimanervi (resta là).

Non si tratta dunque di un viaggio temporaneo, ma di un vero e proprio soggiorno in Egitto, dove dovranno assumere la condizione di “straniero”, ovvero del diverso, di colui che ha bisogno di essere accolto, che in una terra non sua chiede un luogo dove poter abitare.

Si tratta di un’esperienza che porta in sé anche la solitudine: Giuseppe, infatti, SI RIFUGIÒ in Egitto. Un verbo che designa per antonomasia il ritirarsi in solitudine lontano dalle folle.

Proprio questa assunzione della condizione del FORESTIERO, con tutte le sue implicazioni e conseguenze, porterà a Giuseppe, alla sua sposa e al bambino LA VITA.

Ancora un particolare: tutto questo avviene nella notte (prese il bambino e sua madre nella notte) nel momento in cui la visibilità è impedita, nel momento dell’oscurità, quando ogni cosa rimane esistente ma indistinta, impossibile a vedersi, costituendo così una possibile minaccia.

C’è però ancora un ribaltamento: adesso questa oscurità minacciosa è protezione per i fuggiaschi; perciò, fidandosi di una voce, senza opporre resistenze, essi partono.

Il cammino percorso dai tre non è un cammino isolato: l’evangelista ci dice (…perchè si compisse) che Gesù e tutta la sua famiglia stanno condividendo il destino di un popolo intero, assieme alla sua esperienza di povertà, precarietà, schiavitù.

Proprio in questa condivisione sta la speranza e la certezza della promessa di vita; come Israele è stato chiamato fuori dall’Egitto, così anche Gesù.

Possiamo in primo luogo notare l’obbedienza di Giuseppe all’angelo. Una obbedienza indiscutibile quella di Giuseppe, che compie prontamente, con precisione e silenziosamente ogni cosa richiesta.

Giuseppe è colui sul quale il Signore sa di poter contare, responsabile, estraneo a ogni protagonismo.

Gesù nel corso della sua crescita imparerà da lui e da grande dirà “Non cerco la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato” (Gv 5,30).

È stata l’obbedienza di Giuseppe a salvare la vita del Figlio di Dio.

La promessa di Dio non si sarebbe potuta compiere senza il consenso di quell’uomo che ne portava, intera, la responsabilità.

Anche oggi, Dio è vincolato alla nostra accettazione delle sue richieste. Di fronte a pagine come questa si coglie tutta la concretezza dell’“incarnazione”. Che per il Figlio di Dio, ha significato vivere nella propria carne le tribolazioni e le fatiche dei bambini, e poi degli uomini del suo tempo, senza nessuno sconto.

LA SUA NON È STATA UN’INFANZIA PRIVILEGIATA, MA È STATA SEGNATA DA SITUAZIONI DISPERATE, DIFFICILI.

Un’infanzia della quale Gesù non ha mai parlato, ma che certamente lo ha profondamente segnato nel dolore. Anche Lui è stato costretto ad emigrare, con i genitori terreni, per salvarsi.

Ecco perché, per noi oggi, che assistiamo a migrazioni di dimensioni bibliche, questa pagina è particolarmente eloquente.

Gesù si è salvato da quella strage di innocenti, una strage nella quale il ricercato era Lui, mentre altri hanno perso la vita al suo posto.

Gesù ha ricevuto per la seconda volta la vita in dono, secondo la profezia del Profeta Geremia “…a te farò dono della tua vita come bottino, in tutti i luoghi dove tu andrai” (Ger 45,5).

E Gesù scelse di viverla sotto il segno della condivisione, fino a mettersi in una fila di peccatori per ricevere il battesimo da Giovanni il Battista (anche se non aveva peccato). E da adulto accetterà, nella libertà e per amore, di andare incontro alla morte violenta.

Quella morte violenta che i bambini non avevano scelto, lui la accoglie consapevolmente e la condivide alla fine con loro, per la salvezza di quegli innocenti e per la salvezza di tutti gli uomini.

Scriverà Agostino a proposito dei santi Innocenti:

  • Certo non avevate l’età per poter credere nel Cristo che avrebbe patito, ma avevate la carne, nella quale poter sostenere la passione per quel Cristo che avrebbe patito”.

La chiesa, che in passato non li considerava martiri, in quanto morti prima dell’età della ragione, oggi li celebra con i paramenti rossi del martirio.

Perché teologicamente vuol dire che si può essere martiri senza esserne coscienti … Ogni esistenza umana che si conclude in una morte ingiusta, ha il significato del martirio.

È il caso di un bambino innocente sgozzato, come di coloro che sono annientati da un cataclisma …

Il sangue sparso ingiustamente identifica al Cristo. Ogni morte ingiusta identifica colui che perde la propria vita col Cristo, che lo si sappia o no.

Essi sono Vittime innocenti della naturale ostilità dei potenti di questo mondo verso la disarmante e mite regalità del Cristo manifestata da Gesù di Nazareth.

E i bambini ebrei uccisi da Erode costituiscono la primizia di quell’immenso nugolo di martiri che accompagnano le nozze dell’Agnello.

Sebbene il loro involontario sacrificio preceda cronologicamente la passione, morte e resurrezione di Cristo, il LORO DRAMMATICO COINVOLGIMENTO NEL MISTERO DELL’INCARNAZIONE È LA CONSEGUENZA DELLA PIENA INTEGRAZIONE DI ISRAELE NEL CORPO DI GESÙ, MESSIA E SERVO SOFFERENTE DI JHWH.

Scriverà Cipriano di CartagineL’età che non era ancora adatta alla lotta, lo fu alla corona”.

Termino portando il lettore “in più spirabil aere” dando voce al maggiore poeta latino cristiano e governatore romano sotto Teodosio I’, asceta negli ultimi anni della sua vita, che ci consegna un’immagine pittoresca e delicata di questi Martiri Innocenti, paragonati a un cespuglio di rose in boccio che l’uragano travolge e si porta via: AURELIUS PRUDENTIUS CLEMENS (348-405), nel suo Cathemerinòn, n.XII, 125-128

  • “Salve, candidi fiori dei martiri, che sulla soglia stessa della vita l’ira del persecutore travolse come il turbine le rose nascenti”.

Scriverà di PRUDENZIO CLEMENTE, nel 1900 lo storico accademico italiano, ALBERTO PICHERLE «…Egli è poeta eminentemente frammentario: a volte tocca davvero la poesia, sia che lo infiammino il suo sentimento cristiano e l’ammirazione per i martiri; sia che con elementi realistici faccia parlare la Superbia o derida le Vestali invecchiate; sia che celebri, con un amore entusiastico, lo splendore della Roma cristiana e le glorie dell’Impero che, unificando le varie genti del mondo, preparò il trionfo di Cristo».

PRUDENZIO CLEMENTE è esempio della rinascita della tradizione, adattata ai tempi ed al Cristianesimo, in un pubblico colto, che leggeva i classici latini e, nel contempo, voleva avere riscontri classici nella lettura degli ormai canonici testi sacri, liturgici, agiografici.

La sua è la poesia del miracolo. Egli, come Sant’Agostino, contrappone violentemente bene e male, luce e tenebra.

Rappresenta la luce della fede e della visione celeste, con immagini magnifiche di cieli fiammeggianti, di spazi cosmici e di natura ridente.

Dal lato opposto mostra la crudeltà e la ferocia del mondo, l’orrore per il peccato, le tentazioni e le macchinazioni del diavolo. Le immagini simboliche anticipano già un aspetto fondamentale della poesia medievale fino a Dante Alighieri.

E vi lascio con una stupenda preghiera scritta per questa occasione dal nostro amato e compianto Papa Giovanni Paolo II:

PREGHIERA DAVANTI AL PRESEPE

Bambino Gesù, asciuga ogni lacrima

Asciuga, Bambino Gesù, le lacrime dei fanciulli!
Accarezza il malato e l’anziano!
Spingi gli uomini a deporre le armi e a stringersi in un universale abbraccio di pace!
Invita i popoli, misericordioso Gesù, ad abbattere i muri creati dalla miseria e dalla disoccupazione,
dall’ignoranza e dall’indifferenza, dalla discriminazione e dall’intolleranza.
Sei tu, Divino Bambino di Betlemme, che ci salvi, liberandoci dal peccato.
Sei tu il vero e unico Salvatore, che l’umanità spesso cerca a tentoni.
Dio della pace, dono di pace per l’intera umanità, vieni a vivere nel cuore di ogni uomo e di ogni famiglia.
Sii tu la nostra pace e la nostra gioia!

Ragioniamoci sopra…

Sia Lodato Gesù, il Cristo!