28.02.2023 MARTEDI’ 1 SETTIMANA QUARESIMA A – MATTEO 6,7-15 “…Padre Nostro…”
«Fermatevi nelle strade e guardate, informatevi circa i sentieri antichi, dove sta la strada buona e prendetela, così troverete pace per le anime vostre». Geremia 6,16
Pietro Saltarelli… il VECCHIO FARISEO COMMENTA…. In illo tempore: dixit Iesus…
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Dal Vangelo secondo MATTEO 6,7-15
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Pregando, non sprecate parole come i pagani: essi credono di venire ascoltati a forza di parole. Non siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno prima ancora che gliele chiediate. Voi dunque pregate così:
Padre nostro che sei nei cieli,
sia santificato il tuo nome,
venga il tuo regno,
sia fatta la tua volontà,
come in cielo così in terra.
Dacci oggi il nostro pane quotidiano,
e rimetti a noi i nostri debiti
come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori,
e non abbandonarci alla tentazione,
ma liberaci dal male.
Se voi infatti perdonerete agli altri le loro colpe, il Padre vostro che è nei cieli perdonerà anche a voi; ma se voi non perdonerete agli altri, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe». Parola del Signore
Mediti…AMO
Tre sono le direttrici da approfondire in questa quaresima, come da sempre proposto dall’esperienza della Chiesa:
- il digiuno, (Mt 6,1-4)
- l’elemosina (Mt 6,5-15)
- e la preghiera (Mt 6,16-18).
E, nel deserto quaresimale della nostra vita, siamo invitati a purificare la nostra preghiera dagli inevitabili impoverimenti che la possono infettare:
- l’esteriorità,
- l’ipocrisia,
- l’abitudine.
Ci sono due redazioni del Padre Nostro: Luca (Lc 11,1-4) e Matteo (Mt 6,7-13).
In Luca il Padre Nostro è più corto, perché egli scrive per le comunità che venivano dal paganesimo.
In Matteo, il Padre Nostro si trova nel Discorso della Montagna, nella parte in cui Gesù orienta i discepoli nella pratica delle tre opere di pietà: come ho detto: elemosina, preghiera e digiuno.
Il Padre Nostro fa parte di una catechesi per i giudei convertiti. Loro erano abituati a pregare, ma conservavano una infinità di vizi, che Matteo cerca di correggere.
E il Gesù di Matteo critica le persone per le quali la preghiera era una ripetizione di formule magiche, di parole forti, dirette a Dio per obbligarlo a rispondere alle nostre necessità.
L’accoglienza della preghiera da parte di Dio non dipende dalla ripetizione delle parole, ma dalla bontà di Dio che è Amore e Misericordia.
Lui vuole il nostro bene e conosce le nostre necessità prima ancora che noi eleviamo a Lui le nostre preghiere.
E Gesù insegna anche a noi, che siamo gli odierni suoi discepoli, la preghiera autentica, quella che si rivolge al Padre e che non spreca parole, che va diritto al cuore della questione, che allarga lo sguardo interiore, che chiede l’essenziale per gli altri, prima che per sé.
È un testo di grande importanza che ci aiuta a comprendere chi è il cristiano.
Il Padre nostro è una parola di Dio rivolta a noi, più che una nostra preghiera rivolta a lui.
È il riassunto di tutto il vangelo.
Non è Dio che deve convertirsi, sollecitato dalle nostre preghiere: siamo noi che dobbiamo convertirci a lui.
Il contenuto di questa preghiera è unico: il regno di Dio.
Ciò è in perfetta consonanza con l’insegnamento di Gesù “…cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta” (Mt 6,33).
Fratelli e Sorelle, se ogni tanto veramente comprendessimo la portata rivoluzionaria del “Padre nostro“, credo che faremmo come San Francesco, che dopo una notte intera riuscì a pronunciarne solo le due prime parole.
Invece, il “Padre nostro“, ce lo siamo imparati a memoria e ormai ci scivola addosso e con superficialità ci passiamo sopra, non riflettiamo più sul significato di ogni singola parola e lo riteniamo solo una formula ormai acquisita, con la quale pretendiamo di assolvere obblighi e richieste.
E ci dimentichiamo, Fratelli e Sorelle, che solo chi ha l’ardire di andare fino in fondo, nel dialogo col Signore, si rende conto che il protagonista deve essere il cuore, E NON LE PAROLE.
E il cuore, rinvigorito dall’Amore, ci deve far vibrare di tenerezza dinanzi al mistero di Dio, al punto da renderci muti…
Ciò che dobbiamo vedere in questa preghiera filiale, è che ci fa guardare a Dio non più solamente come al CREATORE ONNIPOTENTE, MA COME AL PADRE NOSTRO.
Dio è MIO Padre! E QUESTO È ASSOLUTAMENTE STRAORDINARIO!!!!
Il solo nome di “Padre” può immergere i nostri cuori nell’adorazione.
Siamo dunque lontani dalle “ripetizioni delle preghiere dei pagani”.
È così bello pensare che Dio è nostro Padre…e questo ci dà la fiducia, ci riempie di ogni speranza! Abbiamo un Padre che conosce tutti i nostri bisogni.
Oggi abbiamo tanto bisogni di SPERANZA!!! Questa è una società che non sa più cosa sia la SPERANZA.
Allora, possiamo pronunciare con Gesù le parole del tutto disinteressate della sua preghiera, pensare SOLO alla gloria di nostro Padre, al suo regno, alla sua volontà.
Ma, attenzione, Gesù precisa subito, Padre “NOSTRO”, per farci comprendere che esiste quella fratellanza tra tutti gli uomini che egli è venuto a consacrare per mezzo del suo sangue sulla croce.
Essa deve diventare nella nostra vita una preghiera che, o si traduce in scelte concrete, come quella ardua del perdono del fratello e del nemico, o diventa sterile ed inutile.
Gesù ci insegna a chiedere il pane “quotidiano”, cioè quello che serve per l’oggi.
Non è possibile fare scorte.
Ogni “giorno dobbiamo chiedere il pane per quel giorno”. La condizione dell’uomo sulla terra è quella della precarietà.
La richiesta invita il credente a non credersi mai autosufficiente, ma al contrario, egli deve imparare CHE NON PUÒ BASTARE A SÉ STESSO PERCHÉ HA CONTINUAMENTE BISOGNO DI DIO.
CHI ACCETTA DI VIVERE COSÌ VOLGE CONTINUAMENTE LO SGUARDO A DIO.
Molti cristiani hanno paura della precarietà e fanno di tutto per non aver bisogno della Provvidenza.
Il “Padre nostro”, invece, ricorda e insegna la necessità di coltivare la fiducia nella Provvidenza.
I santi di Dio ce lo insegnano.
San Giovanni Calabria (1873-1954) fondatore delle congregazioni dei Poveri Servi e delle Povere Serve della Divina Provvidenza, beatificato nel 1988, è stato proclamato santo da papa Giovanni Paolo II il 18 aprile 1999, si definiva così:
- “Sono un povero servo agli ordini della Divina Provvidenza. Il mio compito consiste nel tenere sempre fisso lo sguardo ai cenni della volontà di Dio ed obbedirgli prontamente”.
Ciò che conta è ricordarci che Lui è nostro Padre.
E proprio per questo di non avere paura di fidarci fino al punto di dire “sia fatta la tua volontà”.
Come potrebbe infatti Uno che ci ama volere qualcosa che non sia il meglio per noi?
Ma ogni volta che proviamo a dirlo ci risulta difficile perché forse noi abbiamo un problema di fede.
Infatti la fede non è credere solo che Dio esiste ma che in realtà è nostro Padre e ci ama.
Anche se credessimo solo in questo, tutta la nostra vita ne risulterebbe cambiata.
Una ultima cosa. In tutta la Scrittura si raccomanda l’abbondanza: nell’esercizio dell’AMORE, nella CARITA’, NEL PERDONO, NELLA CONDIVISIONE FRATERNA.
Nella pagina di Vangelo di oggi GESÙ, SUGGERISCE CHE SU UNA COSA È MEGLIO ECONOMIZZARE ANZICHÉ LARGHEGGIARE, ED È NELL’USO DELLA PAROLA.
Facciamo tanti discorsi, giri e giri di parole, con lo scopo a volte di stordire la persona con cui parliamo, nascondere la verità o minimizzare le notizie.
Così presi dal vortice del dire, spesso le parole diventano fuori posto e più che essere efficaci, rafforzare un concetto o un’opinione, diventano superflue.
Anche la nostra preghiera corre questo rischio: crediamo che più diciamo, più abbiamo possibilità che Dio ci ascolti o ci esaudisca.
Così le nostre labbra straripano di vocaboli, messi talvolta in sequenza come una sorta di poesia imparata a memoria o un’arringa di un avvocato, spogliandoli della loro essenza.
La preghiera invece è dialogo, relazione, un dire che non si ferma al ciò che dici, ma che penetra ed arriva al come ed al perché lo dici.
La preghiera non può indugiare sulla bocca, ma deve entrare ed arrivare dritta al cuore; dev’essere luce non per sperare nel miracolo, ma per prendere coscienza del fatto che qualunque cosa tu faccia c’è qualcuno che agisce con e per te e non ti abbandona.
Ha detto Lev Tolstòj:
- “Gli uomini vanno escogitando tutto il possibile, a eccezione di quell’unica cosa che può salvarli, o che, se anche non potesse salvarli, potrebbe almeno alleviare la loro situazione, e che consiste appunto nel fermarsi almeno per un istante e nel non continuare ad accrescere con le proprie azioni sbagliate le proprie sventure”
Ragioniamoci sopra…
Prega il Signore per me… Fratello che Leggi…
Sia Lodato Gesù, il Cristo!