27 LUGLIO MERCOLEDÌ 17′ SETTIMANA P.A. C – MATTEO 13,44-46 “Vende tutti i suoi averi e compra quel campo”.
… il VECCHIO FARISEO COMMENTA…. In illo tempore: dixit Iesus…
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Dal Vangelo secondo MATTEO 13,44-46
In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: «Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo; un uomo lo trova e lo nasconde; poi va, PIENO DI GIOIA, vende tutti i suoi averi e compra quel campo. Il regno dei cieli è simile anche a un mercante che va in cerca di perle preziose; trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra». Parola del Signore
Mediti…AMO
Nel nostro percorso sullo studio delle parabole di Gesù siamo quasi giunti alla fine delle parabole raccolte da Matteo nel capitolo 13.
In queste settimane abbiamo visto come queste parabole evidenziano e descrivono diversi aspetti relativi al regno di Dio.
Un concetto, quello del regno, che deve essere centrale nella nostra vita come credenti.
Nella prima parabola sul regno, quella sul seminatore, abbiamo visto come colui che crede al regno e come un buon terreno che porta frutto, il 30, 60 o 100 per cento.
Il regno quindi porta frutto nella vita delle persone che ne fanno parte, perché Gesù dice che questo frutto, il grano della seconda parabola, cresce non da solo ma circondato dalla zizzania.
Nonostante questa difficile convivenza tra grano e zizzania, tra mondo e regno di Dio, il credente può trovare incoraggiamento dal sapere che, così come il seme di senape e il lievito, il regno parte piccolo, circondato da enormi difficoltà, ma è destinato a crescere sempre di più.
Oggi guardiamo altre due brevissime parabole che sono, in molti aspetti, anche molto simili.
Nella prima il regno viene paragonato ad un tesoro che si trova in un campo.
Questo tesoro viene scoperto da un uomo che, avendo valutato il valore del tesoro, vende tutto quello che possiede per poter comprare il campo e il suo prezioso contenuto.
Nella seconda parabola un mercante un mercante, alla ricerca di perla, ne trova una che vale così tanto che anche lui vende tutto quello che ha per comperarla.
E la vita dei santi ci mostra in che modo essi abbiano vissuto REALMENTE la rivoluzionaria scoperta del tesoro del Vangelo, NELLA PROPRIA ESISTENZA TERRENA.
- Sant’Antonio abbandona tutto, all’età di diciotto anni, per andare a vivere nel deserto;
- san Francesco d’Assisi prende alla lettera le parole che gli chiedono di non portare con sé, in cammino, né bisaccia né bastone;
- sant’Ignazio si converte alla lettura della vita dei santi nel suo ritiro forzato di Manresa;
- santa Teresa, alla fine della sua vita, dice: “Non mi pento di essermi donata all’amore”.
Il tesoro nascosto nel terreno della nostra vita chiede non solo di essere scoperto, ma anche di essere anteposto a tutto quanto. Per scoprirlo occorre lo sguardo perseverante di un cercatore che non si fermi sulla via.
Ma, una volta capito che proprio là si trova il lieto messaggio, capace di dare senso alla nostra esistenza e di portare la salvezza al mondo, esclamiamo con sant’Agostino:
- “A lungo ti ho cercata, bellezza nascosta, tardi ti ho trovata; io ti cercavo fuori di me, e tu eri in me!”.
Ma noi, siamo in grado oggi di dire al Signore che SOLO LUI è il nostro tesoro E CHE è QUELLA PERLA PREZIOSA CHE ABBIAMO FINALMENTE TROVATO?
PERCHÉ’ VERAMENTE EGLI È QUELLA perla di grande valore, che ha dato la propria vita per riscattarci dal potere del male, e che vuole farsi conquistare da noi in cambio della nostra fede e del nostro abbandono al suo amore, qualunque sia la nostra richiesta o il nostro modo di vita.
E allora noi, a Lui dicendo “Mio Signore e mio Dio”, POSSIAMO POSSEDERLO E, INSIEME, FARNE DONO AGLI ALTRI.
Questo tesoro, infatti, ha questa particolarità: PER POTERLO TENERE, BISOGNA DIVIDERLO CON ALTRI; esso si sottrae invece a chi vorrebbe privarne gli altri.
L’“Amen” che ogni volta pronunciamo nel ricevere il Corpo di Cristo possa manifestare la nostra gratitudine e, insieme, il nostro desiderio di farne dono ai fratelli.
Fratelli e Sorelle… Vale la pena credere.
Vale la pena di lasciare tutto per seguire il Signore.
Vale la pena accettare la sua sfida, alzarci e seguirlo, lui che può colmare il cuore più di quanto possa fare il più grande amore umano.
Vale la pena faticare, perché la fede richiede inevitabilmente uno sforzo, un discernimento continuo.
Vale la pena, come chi, casualmente, trova nel giardino di casa un tesoro, o come il collezionista che finalmente trova la perla desiderata da tutta una vita e vende tutto ciò che ha per possederla.
Così scrive Matteo, trent’anni dopo avere seguito il Nazareno.
Non è stato lo slancio emotivo ed entusiasta del giovane.
Ma quello maturo di un evangelista che, dopo tanti anni, lo testimonia con fervore nel suo Evangelo: NE È VALSA LA PENA.
La fede può entrare nella nostra vita in maniera improvvisa e riempirci il cuore di entusiasmo.
Ma l’abitudine può mettere a dura prova anche l’entusiasmo più sincero e logorare la nostra fede come si logora l’innamoramento nella quotidianità del matrimonio.
Matteo, invece, GRIDA DAL PROFONDO DEL CUORE, CHE L’INCONTRO CON IL SIGNORE È L’EVENTO PIÙ STRAORDINARIO DELLA SUA VITA.
Infine vorrei aggiungere il commento ad una parola, che è presente in questo brano e che ha rappresentato il “leit motiv” del magistero e dell’insegnamento del mio amato Papa Benedetto XVI’: LA GIOIA CHE DEVE CARATTERIZZARE TUTTA LA NOSTRA VITA CRISTIANA.
Perché noi siamo ciò che lasciamo trasparire di noi.
Si racconta che il Mahatma Ghandi, osservando alcuni cristiani seriosi uscire dalla Messa, abbia detto “… se essere cristiani significa diventare come loro, io non voglio esserlo”.
Ed aveva ragione!
La Gioia.
Nelle due parabole la gioia è espressamente collegata solo all’uomo del campo, ma sono sicuro che anche il mercante fosse pieno di gioia alla scoperta della perla.
È come se Gesù, dopo aver parlato delle difficoltà che contraddistinguono il regno durante la sua fase terrena, ci tenga comunque a precisare che questo regno è caratterizzato anche da tanta gioia.
La gioia è stato, tra l’altro, il tema che ho insegnato ai miei ragazzi del corso di Cresima, conclusosi quest’anno.
Gioia che abbiamo visto sui visi dei ragazzi, gioia anche nel condividere momenti di serenità, insieme a loro, nello scherzare insieme a loro, nel mangiare insieme a loro, nel condividere insieme a loro storie e insegnamenti sulla Bibbia.
In particolare con i ragazzi abbiamo studiato la storia del figlio prodigo, sottolineando la gioia che c’è nel godere non tanto di beni passeggeri come i soldi, ma piuttosto della gioia che c’è nel godere della relazione e della presenza con il Padre, un Padre pronto ad amarci sia se abbiamo sbagliato come il figlio minore ma anche se abbiamo sbagliato come il figlio maggiore.
Spesso come credenti, dall’alto della nostra ignoranza -soprattutto la mia, della quale faccio pubblica ammenda, siamo molto presi dalle difficoltà della vita.
Siamo così bravi a giustificare la sofferenza dell’essere umano e del credente (sia da un punto di vista teologico e teorico che da un punto di vista empirico e personale), che ci dimentichiamo di mettere comunque in risalto, ciò che di gioioso c’è nella nostra vita.
Dobbiamo imparare a gioire nelle benedizioni che abbiamo nella nostra vita.
Personalmente vorrei che come chiesa fossimo conosciuti come una comunità gioiosa, una comunità conscia della difficoltà della vita ma che al tempo stesso riesce a gioire per le tante benedizioni di una vita passata con il Signore.
Questa è una sfida che si rinnova tutti i giorni della nostra vita come credenti: saper gioire anche quando la vita è difficile.
E questo perché in Dio possiamo gioire anche quando la vita è difficile, PERCHÉ LUI NON CAMBIA, IL SUO AMORE NON CAMBIA, LA SUA GRAZIA È DAVVERO PIÙ GRANDE DEI NOSTRI SBAGLI E DEI NOSTRI PECCATI.
Il suo atteggiamento è davvero come quello del Padre Misericordioso, sempre disposto a correrci incontro, anche dopo che abbiamo sperperato i suoi beni.
Mi piacerebbe che fossimo una comunità che con gioia viene all’Eucaristia.
Una comunità che si rallegra davanti ad un pasto condiviso con chi non ne ha.
Una comunità che si rallegra nell’aiutare il prossimo, che si rallegra a contatto con il creato, riconoscendo anche nelle più piccole cose, la mano creatrice di Dio.
Una comunità capace di investire il proprio tempo per la crescita del regno nella propria città e fino all’estremità della terra.
Una comunità gioiosa, frutto della presenza del Signore, perché esprime una gioia santa e basata sul Signore
E vorrei chiudere con una piccola, ultima, non meno importante, considerazione.
SI… LA PERLA È DAVVERO PREZIOSA, COME LO È IL REGNO DI DIO.
E il valore del regno non è quello che ha un seme di senape o il lievito, bensì il valore del regno è simile a quello di un grande tesoro o di una bellissima perla.
Il regno è quindi simile al seme o al lievito nel suo essere piccolo e umile ma destinato a crescere, e al tempo stesso è simile al tesoro e alla perla in quanto a valore.
Ovviamente il valore di questo regno è tale solo per coloro che lo riconoscono come tale.
Se l’uomo nel campo non avesse riconosciuto il valore del tesoro trovato, non sarebbe stato ricolmo di gioia, non avrebbe venduto tutto quello che aveva per acquistare il campo.
E lo stesso dicasi per il mercante.
Se stiamo cercando qualcosa di diverso del regno, se stiamo cercando la gioia in cose lontane dal Signore allora non potremo gustare la bellezza e il valore del regno.
Ed ecco un grande rischio. Così come ci dimentichiamo a volte della gioia di questo regno, altre volte ci dimentichiamo del valore del regno.
Oggi possiamo intuire facilmente il senso della parabola di Gesù sulla perla, ma probabilmente non riusciamo a comprendere appieno la forza di questa similitudine.
Oggi le perle rappresentano ancora qualcosa di valore, ma meno rispetto al passato.
Prima del 1900 infatti, le perle erano molto più costose perché non erano ancora coltivabili (cosa che hanno iniziato a fare i giapponesi a partire dal 20’secolo) e soprattutto non era possibile riprodurre delle copie artificiali, grazie a resine e plastiche, pur essendo abbastanza simili alle perle naturali.
Dopo millenni nei quali la perla aveva rappresentato un segno di prosperità, di classe sociale nobile, di status, oggi tutti possono indossare le perle.
Ai tempi di Gesù la situazione invece era decisamente diversa. Il valore delle perle viene descritto da Plinio il Vecchio, uno scrittore romano del I secolo, che nel IX libro di Naturalis Historia scrive:
- “occupano il primo posto e il posto più eminente tra tutte le cose di valore le perle: esse ci arrivano attraverso tanti mari, attraverso terre così lontane e sconfinate e solo così ardenti”.
Fratelli e Sorelle, i sacrifici che facciamo per il regno ci portano a guadagnare quello che non si può perdere, come la gioia del Signore e il regno in tutto il suo valore.
Concludo citando JIM ELLIOT (1927-1956), uno famoso missionario cristiano americano ucciso dalla tribù HUAORANI che stava evangelizzando in Ecuador, che ha scritto in un suo diario questa frase:
- “Non è uno stolto colui che dà quello che non può tenere per guadagnare quello che non può perdere.”
Ragioniamoci sopra…
Sia Lodato Gesù, il Cristo!