26.05.2023 – VENERDI’ SAN FILIPPO NERI – GIOVANNI 21,15-19 “Pasci i miei agnelli, pasci le mie pecore”.

«Fermatevi nelle strade e guardate, informatevi circa i sentieri antichi, dove sta la strada buona e prendetela, così troverete pace per le anime vostre». Geremia 6,16

Pietro Saltarelli… il VECCHIO FARISEO COMMENTA…. “In illo tempore: dixit Iesus…”

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Dal Vangelo secondo GIOVANNI 21,15-19

+ In quel tempo, [quando si fu manifestato ai discepoli ed] essi ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro «Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?». Gli rispose «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse «Pasci i miei agnelli». Gli disse di nuovo, per la seconda volta «Simone, figlio di Giovanni, mi ami?». Gli rispose «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pascola le mie pecore». Gli disse per la terza volta «Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene?». Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli domandasse “Mi vuoi bene?”, e gli disse «Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene». Gli rispose Gesù «Pasci le mie pecore. In verità, in verità io ti dico: quando eri più giovane ti vestivi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi». Questo disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E, detto questo, aggiunse «Seguimi». Parola del Signore

 

Mediti…AMO

Filippo (Firenze 1515 – Roma 26 maggio 1595), sacerdote (1551), fondò l’Oratorio che da lui ebbe il nome.

Unì all’esperienza mistica, che ebbe le sue più alte espressioni specialmente nella celebrazione della Messa, una straordinaria capacità di contatto umano e popolare.

Fu promotore di forme nuove di arte e di cultura.

Catechista e guida spirituale di straordinario talento, diffondeva intorno a sé un senso di letizia che scaturiva dalla sua unione con Dio e dal suo buon umore.

Viene chiamato “Santo della gioia” o “maestro del buonumore”: infatti sorride sempre perché è un ottimista. Filippo Romolo Neri nasce a Firenze il 21 luglio 1515 da una ricca famiglia.

Il padre Francesco è un notaio e la mamma Lucrezia da Mosciano muore quando il bambino ha solo cinque anni.

Amante dei libri, Filippo studia filosofia e teologia. Si trasferisce, poi, a Roma dove fa il maestro per giovani di ricche famiglie.

Ad un certo punto, però, nel cuore di Filippo cambia qualcosa. Va a vivere persino sotto i ponti perché rifugge dal lusso. Vive con poco e dona ai poveri tutto quello che possiede.

Arriva per lui la vocazione di dedicarsi agli orfani senza casa né famiglia, i “bambini e ragazzi di strada”, senza fare distinzioni tra maschi e femmine.

Nel 1551 diventa sacerdote ed è il primo a fondare un oratorio, dove accoglie i bambini abbandonati a sé stessi e impartisce loro il catechismo. Insegna loro anche a cantare.

I suoi metodi educativi sono nuovi per l’epoca (i bambini venivano educati con punizioni dure e con le percosse) e la sua attività diventa famosa in tutta la città.

Filippo crea la “pedagogia del buonumore” e si avvicina ai bambini con allegria. Scherza sempre e i ragazzi lo amano per questo.

Invece i più conservatori avranno per lui solo critiche. Una delle frasi che Filippo Neri ripete più sovente è «State buoni, se potete».

Pippo il buono” (come viene chiamato) viene aiutato da molti cittadini nella sua missione.

A lui si rivolgono folle di fedeli per essere confessati poiché il sacerdote ha il dono di saper leggere nei loro cuori.

Secondo la tradizione, un giorno, mentre il sacerdote sta pregando, un globo infuocato gli entra nel torace e gli rompe due costole vicino al cuore.

Questo segno mistico viene svelato solo quando, dopo la morte del santo, un medico constata che il cuore di Filippo Neri è più grande del normale e senza questo intervento divino non avrebbe potuto espandersi a sufficienza.

Il papa Clemente VIII per i suoi meriti desidera nominare Filippo cardinale, ma il santo rifiuta per umiltà: a lui interessa solo “Il Paradiso”. Si spegne a Roma il 26 maggio 1595 e qui viene sepolto, nella Chiesa di Santa Maria in Vallicella, in Roma (Chiesa Nuova).

Ma veniamo ora al testo evangelico odierno.

I quattro Evangeli ci raccontano un profilo ricco e vario dell’apostolo Pietro.

Da questi racconti possiamo cogliere i tratti salienti della sua personalità, per comprendere meglio cosa significa MANTENERE UNA RELAZIONE PERSONALE CON GESÙ.

All’inizio dei tre vangeli sinottici Gesù chiama i primi discepoli (Mc1,16 e Mt4,18 e Lc5,3) mostrandoci Simone che sta pescando, e al quale Gesù dice “…seguimi e ti farò diventare pescatore di uomini”.

E, nel costituire la comunità apostolica, viene nominato per primo Simone, a cui Gesù dà il nome “Kephà – Pietro”, indicando con questo nuovo nome il suo atteggiamento solido come una “roccia”, ma, allo stesso tempo, deciso, generoso, forte, determinato, ma anche testardo e a volte ostinato.

Gesù ha visto che è difficile fargli cambiare modo di pensare e di mutare i sentimenti.

Ma è proprio nella FRAGILITA’ INTRINSECA di queste caratteristiche, che si gioca il rapporto personale con Gesù.

Nel saper ascoltare, nel saper obbedire a Dio [“ob” (dinanzi) “audire” (ascoltare).

Obbedire significa quindi “ascoltare stando di fronte”.

Non per niente Marco, dopo la chiamata dei dodici, inizia l’istruzione con la parabola del seminatore che insiste sull’ascoltare e sul come ascoltare e concludendo Gesù dice:

Se non comprenderete questa parabola, come potrete capire tutte le altre parabole?”.

Quindi L’ASCOLTO è L’ATTEGGIAMENTO CHIAVE PER UN CAMBIAMENTO INTERIORE, VERO, PROFONDO, per diventare come Dio ci vuole.

Percorrendo ancora alcuni passaggi importanti della storia di Pietro, sarà proprio lui che alla domanda cruciale di Gesù “…e voi chi dite che io sia?” risponderà convinto e sicuro: “tu sei il Cristo”.

Ecco Pietro che, nella sua ambivalenza: acuto, intuitivo, arriva sicuro, infatti sta affermando “…tu sei l’unto, sei il consacrato da Dio, il Messia”, e quindi che sarà il Cristo ad ammaestrare i discepoli, sarà il Cristo a guidarli.

Gesù sta annunciando che dovrà soffrire molto, essere riprovato dalle autorità, ucciso e dopo tre giorni risuscitare.

Ma a Pietro queste cose non piacciono, perchè queste non sono cose che si addicono ad un Maestro.

Non si è mai sentito parlare, in Israele, di un Messia così. E Pietro non può ascoltare questo, lo rifiuta, ancora di meno può obbedire (ovvero, ascoltare stando di fronte a Lui).

E Pietro prende Gesù in disparte e addirittura lo rimprovera! Gesù allora prende le distanze da Pietro e gli dice “…lungi da me, satana, poiché tu non hai sentimenti secondo Dio, ma secondo gli uomini”.

Perchè Dio vuole essere ascoltato, nel suo essere Dio, nella sua novità di Emmanuele, ovvero “Dio con noi”.

Dio si racconta in un modo totalmente nuovo, inaudito, destando scandalo nel nostro modo umano di pensare, perché tutti siamo un po’ Pietro.

Dio vuole camminare con noi, essere vicino a noi. Ma noi non dobbiamo mai dimenticare che Lui rimane Dio, rimane l’Altro e l’Oltre i nostri canoni di pensiero.

E Gesù mette alla prova Pietro “… per saggiarlo come oro nel crogiuolo”, visto che, come detto, Pietro si era dimostrato fedele ed infedele, poco avveduto ma intelligente, allo stesso tempo.

Eppure Gesù non cambia la sua scelta: continua a volerlo capo e pastore del suo gregge.

Lo vuole pescatore di uomini e capo di quella nascente comunità cristiana che è la Chiesa.

Non lo vuole perfetto e infallibile, ma lo vuole consapevole che ha grandi fragilità e poca forza. Lo desidera umile, abbandonato e per questo fedele, lo vuole “perdonato” e consapevole di essere tale.

In filigrana vediamo che Gesù sta passando a Pietro “il testimone” del suo essere la “porta delle pecore” e dà a tale atto una grande solennità, evidenziata nella triplice ripetizione sia della domanda (“mi vuoi bene?”), sia dell’incarico di “pascere le pecore”.

Qui Gesù pronuncia il suo invito a Pietro “…Seguimi”.

Il gesto di Gesù, che appare una sorta d’investitura, pone in luce, non l’autonomia del far ciò che si vuole, MA IL SEGUIRE LA VOLONTÀ DIVINA DETTATA DALL’AMORE.

Questo dovrà essere il carattere che contraddistinguerà che sarà chiamato dal Figlio dell’Uomo a “…pascere gli agnelli”.

Pietro viene chiamato a divenire adulto, rinunciando per il bene delle pecore alla propria autonomia, così come un anziano si ritrova a dipendere da altri:

  • «In verità, in verità io ti dico: quando eri più giovane ti vestivi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi» (Gv 21,18).

Se dovessimo guardare con occhi disincantati la storia di Pietro, vedremmo che Pietro non ha nulla di eroico, di nobile e di desiderabile.

Eppure è uno dei testimoni privilegiati che Dio stesso ci mette davanti, A MODELLO DELLA NOVITÀ CHE LA SUA PAROLA HA PORTATO.

Di quella novità che fa nuova ogni cosa.

Di quella novità che, nell’amore accolto e corrisposto, TRASFORMA LA FRAGILITÀ IN FORZA, L’INFEDELTÀ IN FEDELTÀ, LA PAURA E LA VILTÀ IN CORAGGIO E PARRÈSIA.

Per tre volte Pietro aveva negato di conoscere Gesù, facendolo persino davanti a una serva, intimorito dalla situazione.

Tutte le sue certezze e la consapevolezza del nuovo importante ruolo affidatogli dal Maestro, “…si erano sciolte come neve di un sol giorno al sole”.

Pietro, LA ROCCIA, che avrebbe dovuto rassicurare i fratelli, si era rivelato il più debole di tutti.

E anche la resurrezione, lieto fine della vicenda, non lo aveva coinvolto più di tanto, perché il suo tradimento e il suo fallimento lo avevano schiacciato. E PIETRO È STATO L’ULTIMO A CONVERTIRSI ALLA GIOIA.

Ecco perché la liturgia ce lo indica come modello, alla fine del nostro percorso pasquale, nel quale Giovanni ci accompagna per raccontarci l’epilogo della faticosa conversione, ALLA GIOIA, di Pietro.

Dopo la pesca miracolosa sul lago di Tiberiade, Gesù si manifesta a Pietro in particolare.

Pietro non ha ancora superato il suo tradimento, la sconfitta per lui umiliante non gli permette di gioire della gioia del suo maestro.

Perciò Gesù lo prende da parte e gli chiede di guardare dentro al suo cuore.

Gli aveva chiesto il Signore “…Mi ami Simone, Figlio di Giovanni?

Gesù due volte gli aveva chiesto l’amore totalizzante, e per due volte, Pietro gli aveva risposto di essere capace a donargli SOLO L’AMORE DELL’AMICO.

Era divenuto consapevole del proprio limite, e aveva preferito rispondere con un meno impegnativo “…ti voglio bene“.

Gesù aveva insistito ma la risposta era stata sempre la stessa.

Alla fine Gesù aveva dovuto “abbassare il tiro”, chiedendo a Pietro se almeno gli volesse bene. E Pietro si era intristito.

Ma di questo ha bisogno il Signore. Non di un super-credente integerrimo e orgoglioso di sé, MA DI UN FRATELLO, consapevole del proprio limite che sappia capire le debolezze degli altri, avendo sperimentato TUTTA LA FRAGILITA’ UMANA SULLA PROPRIA PELLE…

Fratelli e Sorelle, nel commentare questo brano, mi scendono le lacrime, perché penso alla mia vita, costellata da tante GRAZIE, da tanti Doni di Dio, ma anche da tante brutte malattie e disgrazie, che a spesso mi hanno reso duro e intristito.

Guarda caso mi chiamo anche io Pietro.

E copiose mi scendono le lacrime perché, come probabilmente era accaduto all’Apostolo Pietro, hanno iniziato a brillare nel mio cuore le parole del Salmo 118 versetto 71 “… bene per me se sono stato umiliato…perché impari ad obbedirti”.

Ragioniamoci sopra…

Il Signore IDDIO ti Benedica

E tu Prega il Signore per me… Fratello che Leggi…

Sia Lodato Gesù, il Cristo!