26.01.2023 GIOVEDI’ SANTI TIMOTEO E TITO – LUCA 10,1-9 “La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai”
«Fermatevi nelle strade e guardate, informatevi circa i sentieri antichi, dove sta la strada buona e prendetela, così troverete pace per le anime vostre». Geremia 6,16
Pietro Saltarelli… il VECCHIO FARISEO COMMENTA…. In illo tempore: dixit Iesus…
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Dal Vangelo secondo LUCA 10,1-9
In quel tempo, il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi. Diceva loro: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe! Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada. In qualunque casa entriate, prima dite: “Pace a questa casa!”. Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha diritto alla sua ricompensa. Non passate da una casa all’altra. Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: “È vicino a voi il regno di Dio”». Parola del Signore
Mediti…AMO
Memoria dei santi Timoteo e Tito, vescovi, discepoli di san Paolo Apostolo; ad essi sono indirizzate le Lettere dalle sapienti raccomandazioni per l’istruzione dei pastori e dei fedeli.
Timoteo, di padre pagano e di madre ebreo-cristiana, Eunice, fu discepolo e collaboratore di san Paolo e da lui preposto alla comunità ecclesiale di Efeso.
Tito, anch’egli compagno di san Paolo nell’attività missionaria, fu posto alla guida della Chiesa di Creta.
I due discepoli sono destinatari di tre lettere «pastorali» dell’apostolo, che fanno intravedere i primi lineamenti dei ministeri nella Chiesa.
Timoteo era nato a Listra da madre giudea e padre pagano. Si era avvicinato alla comunità cristiana e, poiché aveva una buona conoscenza delle Scritture, godeva di grande stima presso i fratelli.
Quando, verso l’anno 50, passò da Listra, Paolo lo fece circoncidere per rispetto verso i giudei e lo scelse come compagno di viaggio. Con Paolo, Timoteo attraversò l’Asia Minore e raggiunse la Macedonia.
Accompagnò poi l’apostolo ad Atene e di lì venne inviato a Tessalonica. Quindi proseguì a sua volta per Corinto e collaborò all’evangelizzazione della città sull’istmo. Tito era di famiglia greca, ancora pagana, e venne convertito dall’apostolo in uno dei suoi viaggi.
Egli viene inviato in particolare alla comunità di Corinto con lo scopo di riconciliare i cristiani di quella città con l’apostolo. Quando si reca a Gerusalemme per l’incontro con gli apostoli, Paolo porta con sé Timoteo il circonciso insieme con Tito l’incirconciso.
Nei suoi due collaboratori egli riunisce simbolicamente gli uomini della legge e gli uomini dalle genti. Secondo la tradizione Paolo scrisse due lettere a Timoteo e una a Tito quando erano rispettivamente vescovi di Efeso e di Creta. Sono le uniche due lettere del Nuovo Testamento indirizzate non a comunità, ma a persone.
L’apostolo, ormai anziano, si lascia finalmente andare ad annotazioni ricche di affetto verso i suoi due discepoli nella fiducia di aver messo nelle giuste mani l’annuncio del Vangelo del Signore.
Ma esattamente cosa hanno fatto, Timoteo e Tito?
Paolo, abbiamo accennato, prende con sé Timoteo a Listra nel suo secondo viaggio missionario. Anche se lo conosceva da tempo, come con sua madre e sua nonna, ebree, che si fanno cristiane con lui. Lo manda in missione nelle chiese che ha fondato, per correggere errori e mettere pace.
Inviandolo a Tessalonica, gli scrive “nessuno disprezzi la tua giovane età”, e ai Corinti lo presenta così “Vi ho mandato Timoteo, mio figlio diletto e fedele nel Signore: vi richiamerà alla memoria le vie che vi ho insegnato”.
Invece Tito è greco, un pagano convertito, di cui dice Paolo nella seconda lettera ai Corinzi “Mio compagno e collaboratore”.
Compagno di momenti importanti: come la famosa riunione nota come concilio di Gerusalemme, ed è anche mediatore persuasivo, ed entusiasma Paolo risolvendo una grave crisi tra lui e i Corinzi.
E lo vediamo efficiente organizzatore, quando dirige e porta a termine la prima grande iniziativa di solidarietà fra le Chiese: la famosa colletta per i poveri di Gerusalemme.
Secondo Papa Benedetto XVI, Timoteo e Tito «ci insegnano a servire il Vangelo con generosità e a essere i primi nelle opere buone».
Ad oggi festeggiati insieme il 26 gennaio, giorno seguente alla festa della Conversione di San Paolo, sino al Messale del 1962 erano ricordati separatamente, San Timoteo al 24 gennaio come vescovo e martire, San Tito al 6 febbraio come vescovo e confessore.
E questa festa ci permette di dare continuità alla riflessione di ieri.
Un’evangelizzazione autentica si fa testimonianza e la conversione di uno provoca, chi ascolta, altri a pensare e a mettersi in discussione.
LA FEDE È DONO DI DIO, MA LA MEDIAZIONE, CHE AVVIENE ATTRAVERSO I TESTIMONI DELL’AMORE DI DIO, È INDISPENSABILE.
E questo perché la fede cresce in noi, grazie alla fede di chi ci sta vicino, in una ricerca comune necessaria per incarnarla in tutti gli aspetti della vita.
Ecco allora che vivere a lavorare, allo stesso tempo, permettono una condivisione che genera conseguentemente alla comunione, in ogni momento dell’esistenza.
A volte riduciamo la trasmissione di fede al catechismo o agli appuntamenti liturgici, che ci trovano quasi sempre in modo apatico e troppo spesso passivo, o peggio ancora, anche stanco ed annoiato. Essere comunità cristiana non può limitarsi a questo.
Timoteo e Tito sono stati, insieme con Paolo di Tarso, costruttori di comunità in contesti in cui la parola di Dio andava calata, o meglio, inculturata.
Non hanno fatto mera apologia della fede, di quell’esperienza di Gesù Cristo che gli apostoli potevano testimoniare.
Hanno colto il cuore GIOIOSO dell’annuncio di Cristo e lo hanno cantato in tutte le lingue conosciute, lo hanno riscritto, rivissuto secondo categorie nuove, uscendo da schemi mentali e culturali nei quali erano nati e che avevano definito le loro persone.
Quando Luca ricorda e racconta questa pagina del vangelo odierno, ha davanti a sé la fervente missione dei primi cristiani che andavano di città in città nel bacino del Mediterraneo, annunciando con un certo successo la buona notizia.
Gesù aveva già inviato i Dodici (Lc 9,1-6), da lui scelti e chiamati “apóstoli”, ovvero inviati, ma ora ne invia altri settantadue, tanti quanti il numero delle genti abitanti la terra secondo la tavola delle nazioni di Genesi 10 (nella versione greca dei LXX).
Li invia davanti a sé come precursori e preparatori della sua venuta definitiva: essi dovranno fare quello che Giovanni il Battista aveva fatto prima che Gesù si manifestasse a Israele (Lc 3,1-18), ora lo fanno i discepoli, affinché il Signore trovi i cuori pronti ad accogliere la buona notizia del regno di Dio.
Questa missione, come le altre fatte da Gesù, abbisognava di inviati che non erano mai abbastanza, perché il mondo è vasto.
Gesù sa che la messe è abbondante, ma sa, altrettanto bene, che sono pochi gli operai che dovranno mietere. Così è stato così al tempo di Gesù, e così sarà nei secoli eterni. E a tutti noi, viatori nel tempo, Gesù chiede di pregare continuamente Dio affinché sia lui a chiamare e a mandare operai, perché la messe o la vigna è sua.
E noi sappiamo bene che la chiamata di un missionario avviene grazie alla preghiera della chiesa, perché ogni autentica missione deve sempre scaturire dalla preghiera (Lc 6,12-13), e di conseguenza, anche il lavoro della mietitura va fatto nella preghiera.
Ecco allora il mandato che dice cosa fa e quale stile deve adottare l’inviato di Gesù, ma anche che gli operai sono pochi…
Ma attenzione, dobbiamo anche notare che Gesù si ferma a spiegare in modo particolare lo stile del discepolo da Lui inviato ed a Lui totalmente dipendente.
Questo non sarà come alcuni missionari farisei, né come i filosofi itineranti, né come i rabbini visitatori. Sarà piuttosto come il levita del salmo 16, che nella sua povertà proclama “Il Signore è mia porzione e mio calice” (v. 5), perché confiderà solo nel Signore.
Sarà povero, ma non misero, senza assicurazioni per il viaggio, ma incontrando sulle strade quelli che cercano la vita piena, racconterà l’AMORE INFINITO E SALVIFICO, CHE DIO HA PER LORO.
A costoro, che l’Evangelista chiama “figli della pace”, della vita in pienezza, gli inviati augureranno la pace, e con loro entreranno in rapporti umanissimi: mangiando e bevendo alla loro tavola, senza l’ossessione della purità delle persone e dei cibi… come ha insegnato loro Gesù.
Ragioniamoci sopra…
Prega il Signore per me… Fratello che Leggi…
Sia Lodato Gesù, il Cristo!